INGHILTERRA (XIX, p. 231; App. I, p. 728)
Per notizie geografiche, statistiche ed economiche, v. gran bretagna, in questa App.; per l'impero inglese, v. britannico, impero, in questa App.
Storia (XIX, p. 232; App. I, p. 728).
Incoronato re Giorgio VI in Westminster (12 maggio 1937), Baldwin cedeva due settimane dopo il timone. Raccoglieva l'eredità del primo ministro dimissionario il suo cancelliere dello scacchiere, Neville Chamberlain, che delle proprie tendenze politiche aveva dato prova fin dal 10 giugno 1936 in un discorso, quando ancora durava la guerra etiopica, contro Ginevra e le sanzioni. Mentre il conflitto spagnolo infieriva, mentre l'assassinio di Carlo e Nello Rosselli, la caduta del primo gabinetto Blum (giugno 1937) e le trame dei cagoulards tradivano la gravità dell'infiltrazione fascista in Francia, il primo ministro di Gran Bretagna credette buona rotta volgere il naviglio del suo paese verso le sponde dei dittatori, negoziando direttamente con Mussolini (luglio 1937), nell'attesa di poter inviare un suo ministro a negoziare con Hitler (Lord Halifax a Berchtesgaden, 19 novembre 1937). Caparbio e ombroso, indifferente alle critiche del parlamento, del Foreign Office, dei suoi stessi ministri - lieto, quando rassegnarono le dimissioni, di poter sostituire a due deputati due pari, Lord Halifax a Eden (Ministero degli esteri, febbraio 1938) e Lord Stanhope a Duff Cooper (Ministero della marina, ottobre 1938) - odiatore della ideologia ginevrina e incredulo nel principio della sicurezza collettiva, Chamberlain ritenne di poter sostituire al sistema delle alleanze e delle intese indirette in funzione sostanzialmente antigermanica, un nuovo sistema in funzione mediatamente antirussa: agitato dall'incubo della "valanga", atterrito dalla possibilità che un'imprudente parola sua o d'altri affrettasse la catastrofe.
Lo sollecitavano al tentativo le speranze sterili e fugaci del Patto a quattro (giugno 1933) e del fronte di Stresa (aprile 1935), parzialmente giustificate in sé stesse dal perdurare a quel tempo del sistema ginevrino e di una relativa tranquillità europea, mentre di tali accordi o possibilità ben poco sopravviveva, in seguito alla guerra d'Etiopia e alla rioccupazione della Renania. La rioccupazione della Renania segnava, d'altronde, la fine della Piccola Intesa, lo scardinamento di Versaglia, la rinunzia implicita ai patti militari della Francia con Varsavia e con Praga. E l'Inghilterra tanto più sembrava condannata a cessar di essere, in Europa, una potenza continentale, quanto più essa era isolata nella sua politica europea.
Contro le critiche dell'opposizione che, sebbene peccassero di astrattismo ideologico e di dogmatismo pacifista, s'ispiravano tuttavia al senso della storia, alla consapevolezza del principio tradizionale della politica estera di coalizione, Chamberlain poteva mobilitare all'interno l'apatia mercantile del medio ceto, il desiderio diffuso di ripresa economica e di libertà commerciale, massime dopo la crisi del 1931, l'avversione alla guerra che, strumento positivo fra Versaglia, Locarno e Thoiry nelle mani della sinistra britannica ed europea, tosto era divenuta, dopo il crollo del secondo gabinetto MacDonald, un'arma negativa, per rinfacciare ai laburisti la propria condotta e metterli ora in contraddizione con sé medesimi, quasi fossero divenuti subitamente bellicisti e guerrafondai.
Leva e cardine del suo sistema fu non di meno per Chamberlain la radicata ostilità del continente al bolscevismo e, per esso, all'Unione sovietica, quell'anticomunismo invano temperato dal fronte popolare di Blum e da cui fu tanto a lungo e tanto gravemente impacciata la solidarietà delle sinistre non comuniste o addiríttura cattoliche (J. Maritain, F. Mauriac e don Sturzo, ad esempio) con l'antifascismo italiano e con la Spagna repubblicana. Quanto più i dittatori sapevano dare orpello di crociata legalitaria per il trono e l'altare, per la tutela dell'ordine costituito al loro proposito di preparare l'avvento dell'ordine nuovo totalitario, tanto più i conservatori inglesi e, in genere, i difensori, in qualunque partito militassero, degli ordinamenti democratico-liberali si schieravano con i proprî nemici. È favola, mera scherma polemica della coeva pubblicistica di sinistra, accusar Chamberlain di aver subìto volentieri il ricatto dei dittatori pur di vederli muovere in arme contro la Russia. È anzi vero il contrario: Chamberlain volle la pace, una qualsiasi pace a qualunque costo, perché nulla quanto la guerra, ogni guerra, poteva pregiudicare il suo programma: soprattutto all'interno.
La destra isolazionistico-imperialista ed anti-americana - al controllo dei grandi organi di stampa, fossero i giornali di Lord Beaverbrook (Daily Express, Sunday Express, Evening Standard e i quotidiani di provincia) o i giornali di Lord Rothermere (Daily Mail, Sunday Chronicle) e di Lord Kemsley (Daily Telegraph, Sunday Times, ecc.) o lo stesso grave Times di casa Astor, fin dal 7 settembre 1938 autorevole consigliere della politica di Monaco - dal correlativo atteggiamento antibolscevico di Hitler ed antieuropeo degli Stati Uniti poteva derivar alimento alla propria illusione di uno sviluppo indisturbato dell'autarchia imperiale britannica in antitesi al principio della coalizione europea sotto egida inglese, quel principio che Winston Churchill, di questi anni appunto, ribadiva nella sua opera inascoltata di storico e di oratore. La sinistra, nella misura in cui la controllavano ancora i pacifisti alla Lansbury (ed è significativo che l'ex-leader del Partito laburista, destituito l'ottobre del 1935 perché ostile ad ogni politica sanzionistica la quale eventualmente comportasse il rischio d'una guerra in Europa, di lì a non molto precedette i ministri conservatori nelle visite a Hitler), nella misura in cui l'impedivano i predicatori disarmati della sicurezza collettiva, la sinistra poteva forse acquiescere anch'essa ad una pace fittizia che, nell'intatta salvaguardia del gioco democratico e delle guarentigie parlamentari fomentava frattanto e tuttavia l'illusione pericolosa della forza inglese nel mondo, l'ingenuo convincimento che bastasse una parola di fermezza, come in età vittoriana, e di militante democrazia per incutere ai dittatori timore e rispetto, arginandone quindi la marcia. Ma Chamberlain sapeva che la salda massa del popolo, non legata al gioco dei partiti, ma sensibilissima agli appelli che si levavano dai deboli e perseguitati, obbediente al principio tradizionale di offrire ad essi un asilo, rispettosa dei molti - ed erano fra essi i migliori giovani di Oxford e Cambridge - che andavano a combattere e più ancora a morire sull'Ebro e sul Tago, e alla cui brigata imponeva il suo nome e tributava l'omaggio di una sua visita lo stesso leader della opposizione, on. Attlee, la salda massa del popolo, grata a quanti d'ogni parte attestassero il perdurare della gentilezza e virtù della stirpe, sempre più inquieta e più diffidente quanto più dai paesi totalitarî piovevano le offese e le minacce, non avrebbe mai supinamente accettato il dilagare in Europa d'un conflitto russo-tedesco diretto a distruggere non pur l'Unione sovietica e i paesi slavi, ma le ideologie della classe operaia, il mito della Rivoluzione d'ottobre.
Monaco, perciò, fu l'acme, a un tempo, e la catastrofe della politica di Chamberlain. Ceduti non pur la Cecoslovacchia e l'Europa orientale, ma, indirettamente, la Spagna e i presupposti societarî di ogni azione internazionale (onde, preventivamente ottenuta a Ginevra fin dal maggio 1938 l'autorizzazione a riconoscere l'impero fascista d'Etiopia, Parigi non esitò ad accreditare con formula piena il suo ambasciatore in Roma e Londra non esitò a far entrare in vigore il 16 novembre gli accordi anglo-italiani del 16 aprile chesanzionavano su ogni fronte la vittoria mussoliniana), quel 30 settembre 1938, nello scendere dall'aereo e nell'affacciarsi al balconcino di Downing Street per rispondere al plauso della folla, Chamberlain non stringeva in mano se non un pezzo di carta: la dichiarazione congiunta anglo-tedesca redatta all'insaputa dei ministri e dell'alleato francese, dichiarazione il cui valore unicamente, in verità, dipendeva dalla firma e dalla buona fede di Hitler. Si trattava dunque di un equivoco psicologico gravissimo, che contribuiva a rendere la guerra intrinsecamente prossima e inevitabile.
Perché Monaco fu accettata dai più, in Gran Bretagna, quale premessa e presupposto della fine, all'interno e all'estero, del terrore nazista, e invano fu deprecata dai meno come l'inizio d'un nuovo ciclo terroristico in Germania e in Europa. Di fronte al governo diviso, alle dimissioni, seppur isolate, del primo Lord dell'ammiragliato Duff Cooper (3 ottobre), e alle critiche anche, e soprattutto, di parte conservatrice, lo stesso Chamberlain riconosceva che Monaco non ristabiliva né l'equilibrio né la fiducia, epperò imponeva la necessità di affrettare e d'intensificare il riarmo, quanto più la crisi del settembre aveva messo a nudo l'insufficienza della preparazione strategica. Monaco, dunque, come Churchill disse fin dal 5 ottobre ai Comuni e come Hitler pochi giorni dopo ribadiva cercando invano di aprire propagandisticamente una breccia nei ranghi dei parlamentari britannici, Monaco - per l'una e per l'altra parte - non era la fine: era, anzi, il principio. Si avvicinava ormai il giorno in cui l'Inghilterra - forse anche da sola o fosse anche sola - doveva ineluttabilmente sbarrare ai dittatori, con le armi in mano, la via delle nuove avventure.
L'Europa totalitaria non voleva credere, né in realtà poteva capire, il fatto inatteso del risveglio inglese. Hitler perciò rasentava la sconfitta nell'ora medesima del suo trionfo più clamoroso. Quanto più Chamberlain si giustificava in discorsi amari e malcerti, incapace d'intendere le ragioni del proprio declino, quanto più metteva a repentaglio per compiacer Mussolini l'amicizia franco-inglese, e subìva l'umiliazione del viaggio a Roma (11-14 gennaio 1939) e dell'incondizionato riconoscimento del regime franchista (27 febbraio), tanto più l'ora delle decisioni irrevocabili urgeva. E venne alle Idi di Marzo. L'ottimismo ufficiale, cui ancora il 10 marzo aveva dato eloquente espressione nel suo discorso di Chelsea il ministro degli Interni Sir Samuel Hoare, esasperò, dinanzi all'occupazione di Praga, l'opinione pubblica inglese che gli stranieri - amici e nemici - potevano credere indurita oramai alle sconfitte, che insorse invece fierissima non tanto per la rinnovata aggressione hitleriana quanto per l'affronto al primo ministro e l'offesa all'onore della nazione. L'ambasciatore di Germania in Londra H. von Dirksen telegrafò il 17 a Berlino che le temperate dichiarazioni di Chamberlain l'antivigilia, avevano provocato l'indignazione del parlamento e dello stesso governo. Il 18 notava che sotto l'influenza del Foreign Office già prevalevano i più risoluti. Dopo aver cambiato di tono nel discorso di Birmingham (17 marzo), Chamberlain dovette mutar politica. Per non cadere. Fu, probabilmente, un errore che dié origine a un secondo equivoco psicologico, peggiore di Monaco. Perché Chamberlain dimissionario avrebbe probabilmente instaurato l'unità del paese, avrebbe quanto meno dato alla patria la consapevolezza del pericolo e ai nemici un avvertimento supremo. Invece, senza nemmeno procedere ad un rimpasto, senza rivolgersi, per gelosia senile e paura, a Winston Churchill, mentre le elezioni suppletive portavano in parlamento i suoi avversarî, Chamberlain rimase.
E tentò la mossa che ad altri poteva riuscire, forse, ma non a lui: garanzie alla Polonia (31 marzo-3 aprile), garanzie, dopo l'occupazione fascista dell'Albania, alla Romama e alla Grecia (13 aprile). L'assegno in bianco, a torto definito così da critici malevoli all'interno e all'estero, non era in realtà che una velleità intimidatrice: come quel medesimo aprile il progetto di legge sul servizio militare obbligatorio. Invano si tentava in tal modo, o col discorso di Lord Halifax a Chatham House il 29 giugno, di far comprendere all'Asse che la misura era colma; nessuno ci credette fuori dell'Isola e pochi nella stessa Inghilterra. La medesima sfiducia che, nonostante i rimproveri sarcastici e amari di un Blum, trasse i laburisti a votare contro la coscrizione, diresse i negoziati col governo sovietico e indusse quest'ultimo ad accettare in agosto le profferte hitleriane, se anche può essere postumo titolo d'onore per Chamberlain l'avere negato a Stalin quanto successivamente gli concessero Churchill e Roosevelt. Stranamente il mondo non vide la rinascita di un impero unanime, unito. Vide l'uomo di Monaco e lo ritenne pronto a nuove capitolazioni, mentre dal giorno del patto russo-tedesco nessun inglese più dubitava, pur lieto nella desolazione dell'ora di entrare in guerra con la coscienza sicura (tale stato d'animo Churchill espresse mirabilmente nel suo discorso del 3 settembre): conforme a un obbligo d'onore (il 25 agosto era stato infatti concluso a Londra il patto di alleanza anglo-polacco) analogo a quello, in obbedienza al quale venticinque anni prima la Gran Bretagna era scesa in guerra a vendetta della neutralità belga violata. Nella certezza del suo buon diritto, nella consapevolezza ragionata e orgogliosa di ricalcare le vie della tradizione, il popolo era perciò assai più fermo e pronto di Chamberlain. Se ne accorse quest'ultimo il 2 settembre, allorquando alla Camera che attendeva l'ultimatum osò parlare di negoziati e dilazioni. Rotti gl'indugi per timore del peggio, alle 11,15 di domenica 3 settembre Chamberlain diede alla radio notizia dell'avvenuta dichiarazione di guerra, prima di piangere, nella seduta ai Comuni apertasi a mezzugiorno sul fallimento dell'opera sua. Gli si offriva nuovamente l'occasione di andarsene. Si limitò ad un rimpasto: chiamò Churchill all'Ammiragliato, Eden al Ministero dei dominî.
Si provvide mirabilmente alla messa al sicuro delle opere d'arte; si distribuirono maschere antigas, si organizzò l'oscuramento antiaereo, si allontanarono dalla capitale e dai maggiori centri urbani un milione e 160 mila bambini, s'introdussero le opportune misure fiscali, si dié inizio al razionamento (gennaio 1940). Ma non si poté, o non si volle, procedere subito alla mobilitazione integrale. E la stessa inattività sulla Maginot aggravava quel senso pericoloso di "noia", così appropriatamente impersonata e così eloquentemente espressa da Chamberlain, mentre l'invasione della Finlandia rinfocolava le animosità antisovietiche, acuite dalla partizione della Polonia. Churchill emergeva e sollecitava con una autorità tutta sua, mal nascondendo un dissidio implicito anche nelle dimissioni del ministro della Guerra Hore Belisha (5 gennaio 1940). Nonostante il fermo rigetto della pace hitleriana dopo la fine della campagna di Polonia (ottobre 1939), si sospettava Chamberlain d'intrighi con Mussolini. Manifestamente necessitavano l'unità nazionale e un animo nuovo. Il pertinace rifiuto di liberali e laburisti e della Confederazione generale del lavoro a partecipare al governo individuava nettamente l'ostacolo. Perciò lo stesso dibattito parlamentare sui rovesci in Norvegia (7-8 maggio 1940) fu meramente la causa occasionale della crisi. Un conservatore, l'ex-ministro L. S. Amery, gridò in piena Camera le parole di Cromwell: "In nome di Dio, andatevene". La maggioranza fu di 81 voti soltanto. Chamberlain volle negoziare con le sinistre. Ma dal congresso laburista di Bournemouth venne la risposta aspettata: partecipazione al governo di un altro primo ministro. La sera del 10 maggio 1940, al termine della prima giornata di sangue sul fronte di Francia, si costituiva il governo di coalizione nazionale, presieduto da Winston Churchill. Silenziosa, nella Gran Bretagna inconsapevole, s'iniziava la rivoluzione.
Perché una guerra inauguratasi con lo sfondamento del fronte, la perdita delle armi e l'esodo da Dunkerque, una guerra di resistenza tosto impegnata nelle vie, nelle officine e nei cieli, poteva essere sostenuta e condotta unicamente con la radicale trasformazione della vita associata e mediante un capovolgimento completo di abiti e di istituti. Ma il popolo non avrebbe accettato gli oneri, né i ministri sarebbero stati in grado d'imporli, se prima non s'instaurava, o si restaurava, la fiducia dei governati nei governanti: la partecipazione effettiva non pur del laburismo parlamentare al governo, ma della classe operaia, della Confederazione generale del lavoro, al potere. Churchill pertanto affidò i posti di più immediata responsabilità e di più immediato contatto col popolo ad uomini in cui il popolo confidava.
Lord del sigillo privato, Attlee ebbe il compito di presentare al parlamento, già il 22 maggio 1940, ottenendone l'approvazione d'urgenza, il progetto di legge per la cessione allo stato dei beni, diritti, interessi e franchigie del cittadino: cioè, concretamente, l'eventuale rinunzia ai crediti esteri e all'inviolabilità del domicilio e del segreto postale e telefonico, e l'obbligo di mobilitazione a fini militari e industriali; nonché, e soprattutto, ai termini dell'articolo 18-B, la sospensione temporanea dell'Habeas corpus, la liceità dell'arresto per misure di pubblica sicurezza e l'internamento senza processo a titolo di precauzione politica. H. S. Morrison, ministro dei Rifornimenti (e dal dicembre 1940 degli Interni e della Sicurezza nazionale) lanciò la parola d'ordine dell'intensificata produzione, il popolarissimo ed efficacissimo Go to it. E. Bevin, organizzatore sindacale ignoto, allora, ai più e al parlamento, provvide, da ministro del Lavoro e del servizio civile, a mettere in moto la macchina gigantesca, a trasferire gli operai dalle industrie non essenziali a quelle essenziali, colmando i vuoti nelle prime con donne o anziani o individui comunque inabili a più gravosi lavori di guerra; tolse la libertà di mutare impiego, o di cercarlo, senza il preventivo consenso degli organi governativi di collocamento, dichiarò illegali scioperi, licenziamenti e serrate: equiparando così dinanzi alla patria in pericolo datori di lavoro e operai, mentre s'istituivano commissioni arbitrali, consigli misti di gestione, organi bilaterali per l'incremento della produzione.
I sacrifici non potevano essere, d'altronde, senza corrispettivo. La mobilitazione della mano d'opera, nella misura medesima in cui essa imponeva la separazione coatta, imponeva correlativamente la necessità di garantire il pane e l'igiene, il posto ai richiamati e l'assistenza alle loro famiglie, l'uguaglianza nel vitto e nel vestire e nel vivere, l'eventuale sradicamento dei profittatori e borsari neri. Due ministri conservatori, paladini tenaci fin allora dell'economia di mercato, provvidero lealmente alla nuova bisogna. Ministro dell'alimentazione, il presidente del Partito conservatore Lord Woolton ideò un sistema complesso e flessibile di razionamento e tesseramento annonario e dei generi di prima necessità, che non soltanto assicurava, ogni settimana, il necessario a ciascuno, ma istituiva il calmiere, mediante il principio dell'acquisto in blocco da parte dello stato e della rivendita controllata ai grossisti e agli esercenti, a un prezzo sovente inferiore al prezzo d'acquisto, reso possibile dalle sovvenzioni statali. (Per i provvedimenti finanziarî, v. gran bretagna, in questa App.). Tali provvidenze riuscirono politicamente e socialmente di tanto più efficaci, in quanto si alleviava così un decennio di crisi. Il paese aveva sofferto l'epidemia cronica della disoccupazione, che toccò sovente e talora superò i due milioni, mentre la libera iniziativa individuale, la mancanza di qualsivoglia controllo valutario e l'indipendenza e autonomia dei singoli sindacati avevano messo la sterlina in pericolo. Ex-disoccupati o figli di disoccupati, cresciuti magari col sussidio e in zone sinistrate, conobbero un benessere nuovo. Sorsero mense aziendali semi-gratuite o comunque gestite o sovvenzionate dallo stato, e apposite commissioni scientifiche organizzarono razionalmente la dieta più sana.
Al livellamento economico frattanto si accompagnava, o più sovente coincideva con esso, il livellamento etico e sociale. Necessariamente, sotto l'urgere delle bombe - perché quasi ogni sera dal 7 settembre al Natale 1940 Londra fu colpita e altrettanto avvenne quell'autunno e la successiva primavera nelle città di provincia; e perdurarono comunque la minaccia e il pericolo, rincruditi fra il giugno e l'agosto del 1944 per l'offensiva dei siluri volanti e quell'autunno per l'offensiva dei V2 - scomparve, anche per l'obbligata scarsità o eliminazione della mano d'opera, l'uso dell'abitazione, sia perché le case stesse crollavano, sia per il trapianto di popolazione (fanciulli e scuole, uffici e fabbriche trasferiti altrove, profughi allogati nelle campagne, ecc.) sia perché, in Londra almeno, soltanto i rifugi, anzi le sole stazioni della ferrovia sotterranea, parevano garantire certezza di asilo. E qui pure giova notare le conseguenze politiche di tali misure d'assistenza. Perché, non appena il socialista Herbert Morrison succedette nella carica di ministro degli Interni al conservatore Sir John Anderson, che aveva in un primo tempo vietato di adibire a rifugi antiaerei le stazioni della metropolitana e si era nel contempo reso inviso per l'indiscriminato internamento e la frequente deportazione oltremare di rifugiati razziali e politici, allora bensì, ma allora soltanto, agli umidi e insufficienti Anderson shelters a livello del suolo si sostituirono i Morrison shelters interrati e in cemento armato; si organizzò, dopo l'incendio della City (28 dicembre 1940) prima su basi volontarie, quindi obbligatoriamente, il servizio civile, ogni notte, di vigilanza del fuoco; si trasformarono, infine, in ricoveri decenti ed igienici le stazioni e i rifugi. Ciascuno ebbe la sua tessera, il suo posto e la sua branda. E qui, nei rifugi, come nelle botteghe, nelle officine, negli uffici, quindi nelle formazioni paramilitari e ausiliarie, nell'esercito infine, ai cittadini di Gran Bretagna e ai volontarî stranieri si affiancavano gli 81 mila profughi: per la massima parte austriaci, tedeschi e italiani, dunque tecnicamente "nemici" già arrestati in massa, per timore della "quinta colonna", fra il maggio e il giugno del 1940, poi rilasciati. Entro il 1941 i profughi erano sostanzialmente immessi ed integralmente ammessi nella comunità civile britannica, e ad essa conferirono il beneficio di affrancarla, nonostante il vansittartismo dilagante, dal nazionalismo e dalla xenofobia, illuminandola invece sulla realtà delle dittature e sulla posta del gioco.
La guerra quindi fu, per il popolo, non solo, come allora si disse da uomini dell'estrema, "guerra civile internazionale", ma concretamente divenne, all'interno, una guerra rivoluzionaria: cioè la rivendicazione e la consacrazione in perpetuo di un ordine nuovo. Guerra, tuttavia, di rivoluzione democratico-liberale-parlamentare, e non di stampo bolscevico, per l'atteggiamento medesimo dei comunisti che, obbedienti alla iniziale neutralità sovietica, si fecero indirettamente sabotatori dello sforzo bellico nazionale.
L'esecutivo raccomandò agli aderenti di servire, anziché nelle forze armate, nelle nuove organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco e della ricerca scientifica. L'organo del partito, il quotidiano Daily Worker, cui l'internamento dei fascisti britannici (Sir Oswald Mosley, l'on. cap. Ramsay, ecc.) toglieva il miglior pretesto alla sua polemica, fu soppresso (21 gennaio 1941) dal ministro Morrison. Al quale poi toccò, nel congresso nazionale del suo partito, la Pentecoste 1943, di proporre, e l'ottenne, il rigetto, statutariamente sancito dal congresso laburista di Bournemouth nel giugno 1946, della domanda di affiliazione fatta dal Partito comunista britannico, dopo l'invasione della Russia convertitosi al più acceso e indiscriminato bellicismo, e organizzatore nel 1942 di sterili dimostrazioni verbali per l'immediata apertura del secondo fronte in Europa. Per breve tempo beneficiario del sincero entusiasmo per la resistenza e l'ardimento dell'armata rossa, il Partito comunista britannico, forte oggi appena di 40 mila iscritti e di due deputati, si è dal 1940 involontariamente, ma effettivamente, escluso dalla comunità nazionale.
Affrettavano l'avvento dell'ordine nuovo anche il fervore di studî e interessi e conoscenze che animavano di questi anni gli Inglesi, fossero i lavoratori nell'Isola o i soldati in Africa, in Grecia, in Italia, e, dal 6 giugno 1944, sul fronte francese, nonché l'intensissima attività pubblicistica dell'estrema sinistra, soprattutto ad opera dell'editore V. Gollancz. Si venne così elaborando - positivamente e negativamente - una dottrina della sinistra. Negativamente in quanto si sottopose (dall'on. A. Bevan, da Michael Foot e da altri) a critica ragionata e distruttiva l'attività politica dei "colpevoli", che erano essenzialmente gli uomini di Monaco e dell'appeasement. Positivamente, in quanto, mentre gli stranieri venivano illustrando le proprie esperienze di vinti e di esuli, implicitamente anche formulando alla meditazione dei lettori ed ascoltatori britannici i problemi del dopoguerra, si precisavano i principî della ricostruzione, si affermava e chiariva la necessità dei controlli e dell'economia pianificata, si redigevano i programmi della riorganizzazione sociale. Fra il 1942 e il 1943 questo stato d'animo trovò la sua più alta espressione nell'opera economico-pubblicistica di W. H. Beveridge.
Il governo gli affidò la compilazione di un vero e proprio sistema di assistenza sociale "dalla cuna alla bara", di cui era cardine il principio del lavoro obbligatorio per tutti, dell'assicurazione sanitaria e della pensione. Non tutto il governo accettò, e le ripercussioni del risentimento si videro subito nella rinunzia di Morrison, oratore ministeriale nel dibattito sul piano Beveridge, da tesoriere del Partito laburista in favore di A. Greenwood, iniziatore del piano stesso, e nel radiodiscorso di Churchill (21 marzo 1943) sul programma quadriennale di ricostruzione post-bellica.
Già sul finire del 1942, quando le campane, mute per ragioni di sicurezza militare dall'estate 1940, salutarono l'indomani di el-‛Alamein non soltanto la prima vittoria, ma, e soprattutto, giusta la formula di Churchill, "la fine del principio", l'animo del paese, dunque, non era più elisabettiano. Elisabettiano fu nel 1940, per la somiglianza delle situazioni storiche, benché la Luftwaffe di Goering poco avesse in comune con l'armada di Medina Sidonia, per la parola di Churchill echeggiata da tanti - alla radio, per es., da W. Steed e in libri e giornali da A. L. Rowse - per l'orgoglio di essere soli a testimoniare un principio e a difendere il mondo. Ma fin dai mesi della battaglia di Gran Bretagna una vena di socialismo vittoriano e post-vittoriano, fatto di carità e di "assistenza sociale", pervadeva, ad esempio, le radioconversazioni, i celebri "Postscripts", del Priestley. E se dall'uno stato d'animo nascevano gli avviamenti a una nuova storiografia (A. L. Rowse, H. Butterfield, ecc.), a un nuovo sentire etico e civile, dall'altro scaturivano più immediatamente i problemi della battaglia politica in cui l'elisabettiano Churchill fu travolto.
Assorto nei suoi compiti di guerra, e riluttante ad ammettere uomini non di parte sua alle conferenze e intese internazionali e interalleate, indifferente, nonostante scatti subitanei come nella scaramuccia elettorale di Brighton, alle fortune dei conservatori di cui pure, dopo la morte di Chamberlain, egli era il capo, Churchill finì col disinteressarsi vieppiù di politica interna, e, lasciando agli Attlee, ai Morrison e ai Bevin il compito dell'amministrazione, mentre consentiva agli avversarî un'insospettata libertà propagandistica e il vantaggio della progressiva esperienza e pratica di governo, sempre meno mantenne il controllo immediato dello stato d'animo popolare. Non avvertì la contraddizione delle due anime discordi che contendevano in lui, e nel giudizio che di lui davano i concittadini, ben risoluti a non lasciar che dell'universale venerazione e gratitudine per il primo ministro approfittasse, in una lotta di fazioni, il Partito conservatore.
Pur in regime di tregua decisa fin dal dicembre 1939, onde si convenne di rinviare al dopoguerra le elezioni politiche o municipali e di colmar le vacanze aperte da morte o dimissioni o incompatibilità od elevazione alla parìa mediante la scelta, non contrastata, di un candidato del partito medesimo del deputato uscente, le 200 e più elezioni suppletive del decennio 1935-45 lasciavano prevedere un sensibile slittamento a sinistra. Molto anche si poteva inferire dal pullulare degli "indipendenti" e dal vigoreggiare d'un partito nuovo, il Partito del "Commonwealth", sorta di socialismo azionistico-saragattiano, il cui capo, Sir Richard Acland, battuto nel luglio del 1945 e quindi rientrato nei ranghi laburisti, doveva conservare al suo partito nuovo ed antico, nella più drammatica delle by-elections (26 novembre 1947), il collegio di Gravesend. Pesavano contro i conservatori le memorie del ventennio fra le due guerre, né acquistavano favore presso il pubblico, anche perché notoriamente avversati dal loro medesimo esecutivo, i riformatori di destra (Quintin Hogg, Peter Thorneycroft, R. A. Butler ecc.) alle cui proposte per un controllo dell'economia si preferivano il programma laburista e il piano Beveridge. Non istupisce perciò che - laddove la destra per timore del peggio e i comunisu, nell'interesse della Russia e del nuovo appeasement, inclinavano a conservare la coalizione fino al termine della guerra in Asia - i laburisti, nel loro primo congresso post-bellico (Blackpool, Pentecoste 1945), si dichiarassero invece per le elezioni ad ottobre, previa la compilazione di albi aggiornati. Impulsivamente Churchill rispose con le dimissioni (23 maggio) e il nuovo governo decise lo scioglimento della Camera il 15 giugno e le elezioni il 5 luglio. La sterilità del Partito conservatore apparve tanto più evidente nell'impiego di mezzi quali il "caso Laski", condito di antisemitismo, e lo spauracchio, che Churchill medesimo non esitò ad agitare, della "Gestapo" laburista. Il 26 luglio, durante una pausa obbligata della conferenza di Potsdam, cui Churchill aveva condotto seco anche Attlee quale capo dell'opposizione e suo eventuale successore i risultati confermarono la realtà della silenziosa rivoluzione. Da allora 393 socialisti fronteggiano ai Comuni men di 200 conservatori e 11 liberali puri, troppo scarsamente rappresentativi, in regime di collegio uninominale, dei due milioni e mezzo d'Inglesi che votarono per essi. Churchill rassegnò le dimissioni la sera stessa. Il 15 agosto, nel discorso della Corona, re Giorgio VI formulava i capisaldi del nuovo programma: nazionalizzazione delle miniere, della Banca d'Iughilterra, dei trasporti ferroviarî e stradali, del gas, elettricità ecc., ed una moderata smobilitazione. Come si conveniva l'indomani di Potsdam, agli inizî del nuovo conflitto.
La politica laburista, infatti, si compendia nella consapevolezza di un dissidio teorico e pratico fra l'Inghilterra e l'URSS, che non si vuole ma non si esclude che possa divenire una guerra. Dissidio teorico: cioè antitesi fra comunismo e socialdemocrazia, fra dittatura e libertà (una libertà, peraltro, che non soltanto si differenzia dal liberismo economico, ma è sintesi di democrazia politica e di giustizia sociale). E dissidio pratico sorto, prima e più ancora che da una conscia rivalità d'imperialismi nel Mediterraneo e in Europa, dall'amarezza di un disappunto. La guerra guadagnò progressivamente all'URSS tutte le simpatie che in Gran Bretagna le avevano fatto perdere il patto con Hitler e l'atteggiamento del Partito comunista; le schiuse la via dei Balcani e del mare, previa la sostanziale rinunzia inglese ad uno dei tradizionali postulati della politica estera fra il congresso di Vienna e il congresso di Berlino. Ma il dopoguerra vide l'URSS perdere progressivamente questo raggranellato tesoro di simpatie e di consensi, rinnovandosi invece, nella pubblicistica dell'uno e dell'altro paese, la scherma già usata da Goebbels contro la comunità delle nazioni britanniche e dalla propaganda inglese contro il regime hitleriano. Con una differenza, tuttavia, capitale: che l'esperienza della seconda Guerra mondiale non poteva andare perduta.
Naturalmente i frutti, psicologici e politici, del disinganno, conseguenze immediate del dissidio anglo-russo, non maturarono che a poco a poco. Ancora nel novembre 1946 poteva il primo ministro ribadire, di contro ai "bloccardi" della destra e della sinistra, che l'Inghilterra non intendeva aderire né al blocco occidentale né al blocco orientale, in quanto la sua politica si fondava sulle N. U. Epperò, nell'inseguire ogni astratta possibilità d'intesa quadripartita e di ricostruzione unitaria della Germania, premessa indispensabile d'ogni ricostruzione unitaria del continente europeo, Londra non esitò a pazientare e a trattare in danno all'Italia, ma nel presunto interesse dell'unità e della pace. Dalla prima conferenza dei ministri degli esteri in Londra (settembre-ottobre 1945), dinanzi alla quale comparve come un imputato l'on. De Gasperi, alla conferenza di Parigi, che diede all'Italia (10 febbraio 1947) il suo cosiddetto trattato di pace, in parte a fini di politica interna, in parte per la intesa antiitaliana dell'estrema destra militaristico-reazionaria e dell'estrema sinistra filocomunista, il governo britannico venne concedendo sempre maggiori lembi di territorio italiano, nella speranza che quanto più si soddisfacevano le rivendicazioni francesi e iugoslave ai confini occidentali e orientali della penisola, tanto più sarebbe stato possibile ottenere il compenso di una maggiore cooperazione a risolvere il problema tedesco. Donde la conclusione paradossale di un'Italia disarmata, mutilata e delusa, eppure divenuta frattanto la frontiera di due imperi e da entrambi sollecitata.
Questa medesima necessità difensiva ha imposto al governo laburista di risolvere positivamente il vieto quesito teorico: se l'Inghilterra sia dell'Europa o non anche sia nell'Europa. La risposta, implicita nella stessa bipartizione del continente e nell'urgenza di organizzarne la parte non russa, divenne esplicita, dopo il discorso del gen. H. Marshall ad Harvard (5 giugno 1947), nella prima conferenza economica di Parigi (luglio 1947), cui Londra non volle s'invitasse la Spagna franchista, e nel piano Bevin di unione occidentale europea formulato dal ministro degli Esteri nel suo discorso ai Comuni del 22 gennaio 1948 ed embrionalmente attuato fra la conferenza tripartita di Londra (prima conferenza post-bellica alla quale non si sia chiamata a partecipare la Russia sovietica) e la conferenza a cinque di Bruxelles, suggellata dal patto militare del 17 marzo 1948. Nel frattempo, negoziato da Blum a dicembre del 1946 e firmato a Dunkerque da Bevin e da Bidault il marzo del 1947, il trattato di alleanza anglo-francese inaugurava un sistema, sanzionato l'anno dopo a Bruxelles, di accordi a difesa dell'Occidente da ogni aggressione. Mentre l'acuirsi del dissidio e l'aggravarsi della crisi finanziaria britannica imponevano al governo di Washington la necessità dell'intervento in Europa e di accollarsi l'onere - cui le forze della sola Inghilterra oramai erano impari - di tutelare in Europa lo statu quo. I molti che si sono compiaciuti di scoprire analogie storiche fra l'avventura napoleonica e l'avventura hitleriana, fra la Santa Alleanza di Vienna e la Santa Alleanza di Potsdam, sembra non abbiano scorto questa suprema analogia e contrario fra il compito dell'Inghilterm dopo il 1815 e il compito degli Stati Uniti dopo il 1945. Come l'Inghilterra, per un'altra delle contraddizioni di cui è così ricco il suo passato, fu nel secolo scorso tutrice di uno statu quo illiberale e nel contempo fautrice di ordinamenti all'interno e all'estero, liberali e parlamentari, così l'America, fautrice del più sfrenato liberismo in un mondo avviato all'economia pianificata, deve in questo secolo raccogliere e proseguire il retaggio liberale britannico. Consci od inconsci, gl'Inglesi della rivoluzione laburista mirano per un verso a cancellare il fatto della secessione americana e il dissidio fra le due rive dell'Atlantico che non fu sinora composto, mentre per altro verso tendono a rimediare all'errore massimo di Versaglia, in quanto alla presenza della URSS in Europa si accompagna ad equilibrarla, quella uguale e contraria degli S. U.
A codesta formulazione delle relazioni anglo-americane certo con l'autorità della sua persona e delle sue origini ha potentemente contribuito, anche a prescindere dal discorso di Fulton (marzo 1946), il capo dell'opposizione conservatrice, sebbene Churchill veda il problema essenzialmente in funzione di salvaguardia antirussa.
L'interferenza di politica interna e di politica estera nelle relazioni anglo-americane divenne manifesta già nell'agosto 1945, con l'abrogazione della legge di affitti e prestiti. Unico rimedio, anche per la quasi totale liquidazione durante la guerra e a fini bellici dei crediti esteri e delle riserve d'oro e di valute pregiate, fu il prestito negoziato principalmente da Lord Keynes e approvato dagli stessi conservatori e comunisti, nonostante la campagna dei Beaverbrook e degli Amery (dicembre 1945). Quasi un miliardo di sterline si credeva bastassero per un quadriennio al riassetto dell'industria, nel trapasso dal piede di guerra al piede di pace, con l'incremento conseguente della produzione e delle esportazioni, raccomandato al popolo dall'on. Attlee già nel suo radiomessaggio del marzo 1946. Del prestito americano storicamente interessano la clausola di non discriminazione, che di fatto annullava il principio della preferenza imperiale, e la clausola di convertibilità che, entrata praticamente in vigore il 15 luglio 1947, fu sospesa dal cancelliere dello scacchiere on. Dalton già il 20 agosto, quando l'ultima rimanenza di 100 milioni di sterline fu bloccata a titolo di garanzia e quindi svincolata e spesa entro il marzo 1948 nell'aggravarsi della crisi del dollaro. Tali due clausole governano dal principio del 1946 la politica economica, imperiale e coloniale dell'Inghilterra, i controlli e le restrizioni e riduzioni: razionamento del pane nell'estate del 1946, razionamento delle patate nell'autunno del 1947 - entrambi abrogati tra primavera e estate 1948 -, limitazioni annonarie, autarchia, intese bilaterali; mentre si rivelano ogni giorno più difficili e delusive le relazioni commerciali con l'Europa orientale, divieto di possedere o di esportare valuta straniera, ecc. Ma il tratto forse più notabile della concessione del prestito americano si è che in esso appunto il governo trovò lo strumento con cui finanziare la nazionalizzazione delle industrie, delle miniere (1° gennaio 1947) e delle ferrovie (1° gennaio 1948). È forse ancor prematuro un giudizio tecnico ed economico sui vantaggi e svantaggi della nazionalizzazione. Ma non è prematuro un giudizio politico sulla nazionalizzazione quale mezzo a suscitar nel paese un fervore nuovo di lavoro e di vita, nell'interesse transeunte di un partito e nell'interesse permanente di tutti. Si temeva, come al termine dell'altra guerra, la disoccupazione. E, se è vero che, nonostante le critiche dell'estrema sinistra, il governo ha creduto nella situazione internazionale presente di dover procedere cautamente alla smobilitazione, onde al termine dell'anno finanziario 1948-49 saranno sotto le armi ancor 716 mila uomini, se è vero che tale mobilitazione in sostanza equivale a una disoccupazione mascherata; non è men vero che il principio medesimo della disoccupazione quale strumento per uscir dalla crisi a buon prezzo, il principio del diritto del datore di lavoro al licenziamento della mano d'opera, è abrogato in favore del principio opposto dell'universale obbligatorietà di registrazione della mano d'opera a fini d'impiego, fermo restando, dall'agosto 1947, al governo il diritto di assegnare alla mano d'opera l'impiego che di volta in volta meglio si ritenga conforme all'interesse dello stato cioè, in pratica, all'incremento della produzione a fini di esportazione. Nell'aprile 1947 il governo, indifferente alle critiche dei sindacati e dei liberali puri, dei pacifisti e dei comunisti, aveva frattanto ristabilito il principio del servizio militare obbligatorio in tempo di pace. Precisamente la certezza dell'impiego (la disoccupazione seguirebbe solo al mancato aiuto americano ai termini del piano Marshall) e la sicurezza del reddito, pure in regime di inflazionistica svalutazione della sterlina e di tassazione media del 45% - molte provvidenze furono, del resto, escogitate a favore dei meno abbienti nei tre bilanci del cancellierato Dalton - il principio, ormai quasi universalmente adottato, della settimana lavorativa di 40 ore o di 5 giorni (con l'alternarsi dei turni a garantire la pienezza del rendimento), la perfetta distribuzione delle razioni annonarie, il controllo dei prezzi nonostante il rincaro dei costi di produzione all'interno e di acquisto all'estero, in seguito a che vennero limitate a 392 milioni di sterline annue le sovvenzioni governative per i generi alimentari (novembre 1947), hanno conservato al governo - come provano le 40 elezioni suppletive in cui il laburismo perdette finora un solo seggio e nonostante lo scacco temporaneo delle elezioni municipali nel novembre del 1947 - il consenso del popolo, per una mutua fedeltà al programma comune.
Né esiste indizio concreto, quali siano le speranze uguali e contrarie dei conservatori e dei comunisti, d'un rafforzamento della destra o di un indebolimento della sinistra. Divisa fra il sogno d'un ritorno puro e semplice all'antiquato laisser-faire e la formulazione cartacea d'un principio di economia pianificata in cui la classe operaia, memore delle sofferenze passate, non può avere alcuna fiducia, l'opposizione conservatrice deriva credito dal nome di Churchill, dalla sua leale collaborazione con Bevin e Cripps, dagli stessi errori del governo, piuttosto che da nuovi apporti e consensi. Mentre il Partito laburista, ancor sotto l'incubo del decennio che seguì alla scissione MacDonald e ben deciso a non ricader nel suo duplice errore di allora, il pacifismo e il liberismo, quanto sa mantenersi l'appoggio della Confederazione generale del lavoro per l'indiscussa autorità dei suoi capi e soprattutto del ministro degli Esteri, altrettanto vien guadagnandosi l'appoggio dei ceti medî e in genere dell'intelligenza, perdendo in tal modo quel che di operaistico e di settario esso aveva e ne compromise a suo tempo l'opera di governo. La democrazia britannica si avvia quindi a essere, e in parte lo è già ormai, democrazia egualitaria. La stessa riforma dell'educazione - il limite di 15 anni per l'istruzione obbligatoria e gratuita, la maggior frequenza delle borse di studio messe a concorso, le nuove facilitazioni universitarie e lo sviluppo delle università di provincia a scapito del monopolio di Oxford e Cambridge - tende a ridurre le élites borghesi ed aristocratiche in un settore particolarmente sensibile e quasi inespugnabile per virtù inveterata di tradizione.
E bensì a prevedere un livellamento, con i suoi difetti e vantaggi: un incremento quantitativo a detrimento della qualità. Può esserne simbolo il nuovo parlamento senza diretta rappresentanza universitaria ai Comuni e con una Camera Alta forse a carattere elettivo e corporativo, probabilmente in ogni caso non più ereditaria. Ma l'esperimento di una rivoluzione pacifica, di una sintesi di libertà e di pianismo, può dirsi fin d'ora attuato. Perché, ormai svincolatosi dalle strette di un partito, esso impegna e modella, indipendentemente dalle fortune del partito al potere, un'intera nazioue, a un tempo europea ed imperiale.
Bibl.: Per un'interpretazione sintetica e psicologica del decennio 1938-47, cfr. P. Treves, L'isola misteriosa, Firenze 1947; cfr., inoltre, M. Borsa, Noi e gli Inglesi, Milano 1945, e la diligente compilazione cronachistica di K. Ingram, Years of crisis, Londra 1946, p. 134 e segg. Sulla politica prebellica: Viscount Maugham, The Truth about the Munich Crisis, ivi 1943; W. W. Hadley, Munich, ivi 1944; A. L. Rowse, The End of an Epoch, ivi 1947; L. B. Namier, Diplomatic Prelude, ivi 1948; J. W. Wheeler-Bennet, Munich, ivi 1948. Sulla propaganda bellica: I. Thomas, Warfare by words, ivi 1942; W. H. Steed, Wods on the air, ivi 1946; H. Krabbe, Voices from Britain, ivi 1946. Sull'estrema sinistra: V. Gollancz, The Betrayal of the Left, ivi 1941 (e gli altri scritti elencati s.v.). Sulla politica laburista: J. Parker, Labour marches on, ivi 1947; C. Hollis, The Rise and Fall of the ex-Socialist government, ivi 1947; Z. Hogg, The Case for Conservatism, ivi 1947. Per il nuovo orientamento culturale-storiografico: spec. A. L. Rowse, The Spirit of English History, ivi 1943; id., The English Spirit, ivi 1944; id., The Use of History, ivi 1946.
Battaglia aerea d'Inghilterra.
Dopo le fulminee campagne di Polonia, di Norvegia e di Francia, la Germania sperò di ottenere un altrettanto rapido successo contro l'Inghilterra con uno sbarco in forze nelle isole britanniche. Alla voce guerra mondiale (in questa seconda App., vol. I p. 1138) è stato illustrato il piano di questa colossale operazione di sbarco dal comando tedesco definita operazione del "Leone Marino" e si sono messe in evidenza le ragioni per le quali la prima fase aerea, della battaglia iniziatasi l'8 agosto 1940 e mirante a distruggere o paralizzare la caccia di difesa britannica, per creare la premessa indispensabile all'effettuazione dello sbarco, fallì completamente. Si espongono qui di seguito le vicende delle quattro fasi nelle quali può essere suddivisa la battaglia. Nel primo periodo (8-18 agosto) i Tedeschi effettuarono attacchi diurni con massicce formazioni di bombardieri, scortate da formazioni pesanti e poco maneggevoli di velivoli da caccia. Gli attacchi furono condotti contro convogli ed obiettivi costieri, sempre con lo scopo essenziale di impegnare la caccia avversaria. Questa, però, sviluppando una tattica tanto avveduta quanto inattesa, si sottrasse al combattimento, riservando le sue energie alla decimazione delle formazioni di bombardieri. Nei primi 10 giorni la Luftwaffe perdette oltre 600 velivoli.
Il comando tedesco, di fronte alle impreviste gravi perdite subìte, specialmente nelle file degli Stukas, decise di ritirare quest'ultimi dalla linea per riservarli solo per attacchi contro convogli e cambiò obiettivi e tattica. Obiettivi principali furono gli aeroporti interni della caccia e le fabbriche di aeroplani; fu diminuita l'entità delle formazioni da bombardamento ed aumentata la scorta caccia, per assicurare la protezione delle prime da tutte le provenienze. Dal 24 agosto al 6 settembre furono sferrate 35 azioni principali diurne, in cui la difesa inglese perdette oltre 200 caccia, ma che costarono ai Tedeschi circa 560 velivoli.
Il comando germanico mutò ancora i concetti operativi ed il 7 settembre cominciò a portare la battaglia nel cielo di Londra, nella duplice convinzione che la caccia nemica, per difendere la capitale, si sarebbe indotta ad accettare combattimento e che la distruzione di un obiettivo importante come Londra sarebbe stata sufficiente a metter in crisi la forza di resistenza dell'avversario. L'attacco di Londra, durato senza interruzione dal 7 settembre al 5 ottobre, fu l'ultimo disperato tentativo tedesco di ottenere ad ogni costo la vittoria. In 29 giorni la Luftwaffe sferrò, oltre quelli notturni, 36 attacchi principali diurni, con formazioni offensive protette da forze da caccia 4 volte superiori, lanciando su Londra 14.200 t. di bombe. Ma le successive linee di difesa dei cacciatori impegnarono duramente le formazioni attaccanti, che giunsero sempre sull'obiettivo gravemente decimate, perdendo oltre 800 velivoli, di cui 185 nella sola giornata del 15 settembre.
Il 6 ottobre incominciò la quarta ed ultima fase della battaglia, in cui i metodi dell'attaccante vennero ancora completamente mutati. Esso abbandonò quasi del tutto l'impiego dei bombardieri, che utilizzò solamente di notte, e cercò di raggiungere lo scopo per mezzo di aeroplani da caccia muniti di bombe di medio calibro: tali velivoli, scaricato il loro carico esplosivo, potevano poi impegnare e sostenere il combattimento con la caccia avversaria. Cessato il primo effetto della sorpresa ed il conseguente disorientamento nelle file dei cacciatori britannici, la tattica di questi fu adeguata a quella dei Tedeschi, i cui apparecchi, intercettati tempestivamente, venivano costretti a sganciare le bombe sul Canale, mentre i caccia inglesi, ottenuto lo scopo, si sottraevano al combattimento.
Il 31 ottobre la battaglia d'Inghilterra poteva considerarsi finita, non conclusa drammaticamente, ma smorzatasi gradatamente; la vittoria inglese non fu per questo meno completa e sicura.
Negli 84 giorni nei quali si sviluppò la battaglia furono provocati danni gravissimi ai docks, distrutti migliaia di edifici, uccise 14.280 persone e ferite 20.325. La caccia inglese perdette circa 850 velivoli ed ebbe 375 piloti uccisi e 385 feriti. L'aviazione tedesca perdette oltre 2500 apparecchi.
Bibl.: C. T. Rowding, The battle of Britain, in The London Gazette, supplemento, 10 novembre 1946.
Archeologia.
Scavi sistematici e scoperte casuali dovute a distruzioni belliche hanno offerto in questi ultimi anni nuovi importanti documenti archeologici sia della Britannia (v. britannia, VII, p. 880) preistorica e romana, sia delle epoche successive fino al periodo sassone.
Mesolitico. - Negli anni 1937-38 I. G. D. Clark e W. F. Rankine hanno scavato un abitato mesolitico a Farnham, Surrey, mettendo in luce un certo numero di cavità superficiali di forma irregolare che sono state interpretate come fondi di capanna, profondi da cm. 90 a m. 1,10, coperti di rami. L'industria associata era costituita di elementi microlitici uniti a nuclei di asce. Il Clark pensa che questo gruppo faccia parte di una cultura alla quale dà il nome di cultura di Horsham, descrivendola come fondamentalmente maglemosiana con influsso del medio tardenoisiano. Questi fondi di capanna deriverebbero dalle abitazioni paleolitiche.
Neolitico. - Scavi fatti da W. F. Grimes nel 1938 nel Ty-isaf Long Cairn (lungo tumulo) nelle Montagne Nere del Breconshire hanno dimostrato che il tumulo appartiene alla cultura neolitica secondo la tecnica struttiva usata dai costruttori dei lunghi tumuli di Cotswold-Severn. L'apparente combinazione, in questo tumulo, del tipo allungato e rotondo e l'associazione di una galleria funeraria a transetti e di un falso portale, oltre a camere laterali, sembra che incorpori culturalmente e cronologicamente forme distinte.
Parte di un abitato del tipo di Skara Brae è stato scavato da V. G. Childe e W. G. Grant nel 1938 a Rinyo, Rousay, Orkney. I trovamenti confermano quanto si sapeva e cioè che gli occupanti praticavano un'economia sedentaria di allevatori di tipo neolitico.
Nel 1938 S. Piggott ha scavato un gruppo di tumuli rotondi a Crichel Down, Dorset. Uno di questi conteneva un cadavere rannicchiato, deposto sul lato sinistro in una cavità nella creta. Ai piedi della tomba era un "Beaker" del tipo B 1. e tutto il sepolcro era tipico dell'inumazione del periodo dei "Beakers". L'interesse della tomba consiste nel fatto che nella regione parietale sinistra del cranio dell'inumato era stata praticata accuratamente una operazione di trapanazione che, come la maggioranza dei casi consimili nell'Europa preistorica, deve aver avuto un significato rituale.
Nel 1940 W. F. Grimes ha esplorato un certo numero di località vicino a Stanton Harcourt, sulla terrazza ghiaiosa che si stende lungo il lato occidentale del Tamigi. Delle località del periodo del bronzo la più importante risultò una, nella quale, a una tomba del tipo di cultura di Peterborough-Food-Vessel, seguiva un'altra tomba associata con un degenerato "Beaker" B. Nella fossa che circondava questa sepoltura ne era scavata un'altra con dentro un sarcofago ligneo con suppellettile composta di un pendente ad anello di osso e sette frecce dentate e peduncolate del normale tipo "Beaker". Il pendente di osso può ricollegarsi agli oggetti d'oro di Dimini e della cultura tessalica del neolitico B, a quelli di pietra di Troia II-V e a una serie in osso e ambra della Svezia del periodo delle ciste di pietra, indicando così dei rapporti con l'oriente. Il fatto che chiaramente una tomba del tipo "Food Vessel" precede una del tipo Beaker" è interessante poiché rovescia la successione comune, ma il Grimes ritiene che la tomba del tipo "Food Vessel" sia insolitamente recente. Un gruppo di tumuli degli inizî del periodo del medio bronzo è stato scavato da S. Piggott a Beaulieu Heath nel 1941-1942. In due casi si sono riscontrati resti di una casa funebre rettangolare al centro sopra una inumazione di cui ogni traccia era scomparsa.
Prima età del ferro. - Un nuovo sviluppo nel campo delle conoscenze di questo periodo è rappresentato dallo scavo di un abitato a cui fu dato da G. Bersu, nel 1938-39, il nome di Little Woodbury. L'unica cinta permanente era una palizzata alla quale venne aggiunto un fossato. Quasi nel centro era una casa rotonda di circa m. 15 di diametro, con due anelli concentrici di pali, e quattro pali nel mezzo, forse per sostenere un abbaino, mentre un gruppo di altri pali formava un portico. Dentro il recinto circondante la casa era un complesso di pozzi, fori di pali e cavità. I pozzi sono ritenuti dal Bersu depositi, e dovevano contenere dei recipienti di pelle o vimini, con coperchi, per immagazzinarvi prodotti agricoli. I fori per pali sono stati interpretati come destinati a cavalletti per asciugare il grano e il fieno, o a piattaforme per il grano da seme. Le cavità erano probabilmente piani battuti per trebbiare, ecc. La ceramica associata è del periodo del ferro A 2 e A B e indica una occupazione dal III al I sec. a. C.
Nel 1938 J. B. Ward Perkins ha condotto degli scavi in un colle fortificato a Oldbury, presso Ightham, Kent, vicino all'importante tratturo preistorico conosciuto come "via dei Pellegrini" e dominante un passaggio nord-sud del Weald. Gli scavi hanno rivelato due periodi di fortificazione, ma nessuna traccia di occupazione permanente, cosicché il campo era evidentemente un luogo di rifugio piuttosto che un abitato stabile. La prima occupazione è associata con un tipo di ceramica caratterizzata da "foot ring vessels", ed è probabile che questa fortificazione sia stata fatta per fronteggiare la penetrazione belgica al tempo di Cunobellino. Le fortificazioni posteriori sono associate con ceramica belgica di tarda età e sono forse da collegare all'invasione romana del 43 d. C.
Seconda età del ferro. - A Camulodunum, C. F. C. Hawkes e M R. Hull hanno condotto una campagna di scavi durata dieci anni e terminata nel 1935, i cui risultati sono stati pubblicati nel 1947. La penisola fra il Colne e il Roman River sembra che sia stata difesa da una serie di cinte il cui sistema principale storicamente e archeologicamente può riconnettersi con Cunobellino e datarsi circa nel 10 d. C. Dentro la cinta principale una più interna difendeva la penisola Sheepen, che è stata identificata con il nucleo della capitale di Cunobellino. Ceramica aretina testimonia i contatti continentali e la datazione. Questo periodo termina bruscamente con il riempimento del vallo difensivo, databile verso il 43 d. C. Nel periodo seguente, che è caratterizzato dal primo apparire della terra sigillata della Gallia meridionale, si hanno poche tracce dell'occupazione del luogo. Nel 49 d. C. comincia un nuovo periodo di attività quando la località sembra diventare un sobborgo industriale della "colonia" fondata in quell'anno. Il periodo termina con una grande distruzione che, archeologicamente, sembra coincidere con il saccheggio della "colonia" da parte di Boudicca nel 61 d. C. Seguì subito una temporanea rifortificazione per opera o di Boudicca o della rioccupazione romana. Con lo smantellamento seguente di queste difese l'occupazione del luogo cessa quasi completamente.
Epoca romana. - Si è concluso nel 1939 uno scavo del "Jewry Wall" a Leicester, fatto da K. . Kenyon, rivelando una più antica occupazione con carattere belgico e, nei successivi livelli, un graduale processo di romanizzazione. Intorno al 125-130 d. C. il luogo fu sgombrato per l'erezione di un foro e di una basilica. Il "Jewry wall" con i suoi due archi veniva a costituire la parte centrale della basilica e l'ingresso al foro. Nel 150-160 d. C. sorse nel foro un grande edificio termale che rimase in uso fino al IV secolo.
A Londra si è iniziata nel 1946 sotto la direzione di W. F. Grimes la prima esplorazione archeologica dei luoghi danneggiati dai bombardamenti aerei nell'area della città romana ed è stata continuata su larga scala nel 1947. Gli scavi principali sono stati condotti nell'angolo nord-ovest della città antica. Si è rintracciata la linea delle mura, la cui storia risulta complessa e che, probabilmente, furono precedute da un aggere; ma i varî problemi attendono ancora una precisazione. L'area compresa dentro il circuito delle mura è molto rovinata da pozzi medievali. Sono stati messi in luce i resti di un edificio medievale, identificato con il Neville's Inn, distrutto nel grande incendio del 1666.
Anche a Canterbury le zone distrutte dai bombardamenti aerei sono state esplorate archeologicamente dal 1945 in poi, sotto la direzione prima del William e poi di S. S. Frere. Si sono scoperti resti di edifici del II e III sec. d. C., con rifacimenti e aggiunte del IV sec. d. C.; scarse le tracce della Canterbury belgica e sassone.
Nel 1938 fu fatta una esplorazione delle difese di Silchester (Calleva Atrebatum) da T. A. Cotton. Il luogo della città preromana non è stato identificato. L'aggere di terra esterno, che racchiude un'area di 230 ettari, è risultato non anteriore alla conquista romana e forse posteriore alla rivolta di Boudicca. La rete stradale si estendeva fino all'aggere esterno e può datarsi nel 120-160 d. C., mentre nell'area esterna non si costruì mai. La prime difese della linea interna consistevano in un banco di terra e in un vallo databili nel 160 d. C. Furono poi rimpiazzate da un muro in pietra, un alto aggere e un nuovo vallo circa il 190-210 d. C.
Ma il trovamento più notevole del periodo romano è stato frutto di una scoperta occasionale: una magnifica collezione, perfettamente conservata, di piatti e altri oggetti d'argento venuta in luce presso Mildenhall, Suffolk, nel 1942, ora nel Museo britannico.
Il pezzo più fine e più importante è un grande piatto con al centro la testa di Nettuno e un fregio interno di Nereidi e uno più esterno con una vivace scena bacchica. Alcuni cucchiaini recano il monogramma cristiano. Tutti i pezzi si possono datare nel IV sec. d. C. (tranne una tazza un po' più antica). Questo tesoro presenta analogie con quello di Traprain datato da monete di Onorio (395-423 d. C.).
Nel 1946 a Low Ham, Somerset, l'edificio termale di una grande villa romana è stato scavato sotto la direzione di C. A. Ralegh Radford e H. S. L. Dewar. Nella sua forma attuale l'edificio risale al sec. IV d. C.; la parte conservata più notevole è costituita dal pavimento a mosaico policromo del frigidarium. Un ottagono centrale è decorato con Venere che si prepara per il bagno, mentre i pannelli laterali hanno scene che illustrano la storia di Didone ed Enea.
Epoca anglosassone. - Una singolare e magnifica sepoltura entro una barca fu scavata da C. W. Phillips nel 1939 a Sutton Hoo, Woodbridge, Suffolk. La barca, del tipo marittimo, era stata calata in una fossa e poi coperta con un gran tumulo. Nel centro era eretta una camera funeraria lignea contenente la suppellettile.
Non fu trovata alcuna traccia del cadavere e si presume che il monumento rappresenti un cenotafio di qualche personaggio reale. I trovamenti comprendono oreficerie di notevolissima tecnica, coppe d'argento, in genere di origine europea orientale, fra le quali una con marca di controllo dell'imperatore Anastasio I (491-518 d. C.), spade, armi, e un elmo che mostra analogia con i trovamenti del cimitero svedese di Vendel, e monete merovinge che ci riportano a circa il 650 d. C. Si è fatta l'ipotesi che la persona a cui era dedicato il cenotafio fosse il re Etelberto che morì nel 656 d. C.
Bibl.: Le relazioni già pubblicate di questi varî scavi e trovamenti sono comparse nella rivista: Archaeologia, edita dalla Society of Antiquaries, vol. XC per gli scavi di Oldbury, Kent; vol. XCII per gli scavi di Silchester; Proceedings of the Prehistoric Society, vol. V per gli scavi di Farnham, Ty-isaf Long Cairn, vol. VI per gli scavi di Crichel Down, Dorset, e di Little Woodbury, Wilts, vol. IX per gli scavi di Beaulieu Heath, Hants; Proceedings of the Society of Antiquaries of London, vol. LXXIII per gli scavi di Rinyo, Rousay, Orkney; Oxoniensia, VIII-IX per gli scavi di Stanton Harcourt, Oxfordshire; inoltre per Camulodunum: Reports of the Research Comm. of the Soc. of Antiquaries, XIV.
Arti figurative (XIX, p. 268).
Architettura. - Nel periodo tra le due guerre mondiali (1918-39) l'architettura inglese subì, al pari dell'architettura degli altri paesi europei, cambiamenti essenziali. Conformemente alla tradizione inglese tali cambiamenti avvennero gradualmente senza bruschi ed improvvisi rivolgimenti.
A modi stilistici tradizionali si diede ancora la preferenza per alcune costruzioni di ampia mole: le cattedrali anglicane goticizzanti di Liverpool di sir G. Scott (quasi terminata) e di Guildford, progettata da E. Maufe (in costruzione); la cattedrale cattolica classicheggiante a Liverpool (in costruzione); i Britannic House Offices a Londra (1923-25) dell'architetto sir E. Lutyens. Per edifici di minor conto quali palazzi comunali di località minori, banche, uffici e case d'abitazione ci si attenne ai modelli forniti dall'architettura inglese georgiana del sec. XVIII e principio del XIX, con mura di laterizî, vetrate di finestre a saracinesca e tetti a spioventi ricoperti di tegole, come, ad esempio, la villa di campagna di Middleton Park (1934-38), degli architetti E. e R. Lutyens.
I primi sintomi d'un cambiamento di gusto cominciarono a manifestarsi, attraverso espressioni più libere, in numerose costruzioni più tarde di questo periodo, pur riecheggiando ancora proporzioni e particolari classici e palesando a volte influenze scandinave. Ne sono esempî caratteristici a Londra il palazzo del Royal Institute of British Architects (1929), diverse stazioni della metropolitana, l'Università (1935-36), costruita dagli architetti Adams, Holden e Pearson, il palazzo del Consiglio delle acque metropolitane (1935), l'ospedale per bambini (1934-38), degli architetti Stanley Hall, Easton e Robertson; i palazzi comunali a Norwich (1938) e a Hertford (1939), degli architetti James e Pierce; il teatro commemorativo di Stratford (1932), degli arch. Scott, Shepherd e Chesterton. Queste costruzioni rivelano la tendenza ad eliminare la rigida simmetria assiale in favore di una composizione asimmetrica e meno formale.
Gli eventi politici dell'Europa centrale nel decennio 1930-40 indussero alcuni importanti architetti di quei paesi a rifugiarsi in Inghilterra e a collaborare durante un certo periodo con architetti inglesi. Il Bexhill Pavilion (1936; architetti Mendelsohn e Chermayeff), l'Impington Village College (1938-39; architetti Gropius e Fry), case di M. Breuer e Yorke ed altre simili costruzioni contribuirono ad accelerare il processo d'assimilazione di espressioni e tecniche moderne: strutture rinforzate di calcestruzzo o acciaio che permettono ai muri esterni di essere leggeri ed occupati a larghi tratti da vetrate; incremento della prefabbricazione dei singoli elementi costitutivi (vedi casa: Casa prefabbricata, in questa App.); l'accettazione di costruzioni a lisce superfici prive di decorazioni eseguite nei tradizionali materiali di pietra e legno.
Fra i più significativi esempî appartenenti a questa recente fase di sviluppo dell'architettura moderna in Inghilterra vanno ricordate le seguenti costruzioni a Londra: blocchi di appartamenti a Highpoint (1935 e 1938; architetti Tecton); Lawn Road (1934) e Palace Gate (1939) di Wells Coates; Kensal House (1936) e Ladbroke Grove (1936) di Maxwell Fry; i magazzini Peter Jones (1936-39; architetti W. Crabtree, Slater, Moberly e C. H. Reilly); Finsbury Health Centre (1938) e aggiunte al giardino zoologico (1933-38; architetti Tecton); case progettate da S. Chermayeff e R. McGrath.
Dopo l'intervento nella guerra, poche altre costruzioni poterono essere eseguite, eccettuate quelle di carattere industriale, quali fabbriche, edifici di aeroporti, stazioni generatrici per energia elettrica, ecc., in cui si utilizzarono i progressi della tecnica costruttiva nell'impiego di acciaio saldato e di calcestruzzo gettato. Dal 1945 l'attività costruttiva è rigorosamente controllata e viene indirizzata soprattutto alla costruzione di case di abitazione. In questo campo nuovi sistemi sono stati provati e adottati, usando calcestruzzo precompresso, strutture d'acciaio, alluminio, ecc. La preferenza per case semi-isolate e blocchi d'appartamenti a 4 o 5 piani si è rivolta ora verso case a terrazze e blocchi di appartamenti a 8 piani con ascensori. Il Ministero della pianificazione urbana e rurale ha elaborato un esteso programma di costruzioni di scuole, divenute necessarie in seguito alla legge 1944 sulla pubblica istruzione e di una serie di "città nuove" per decongestionare Londra. Esse saranno le costruzioni più interessanti di questo periodo austero.
Pittura e scultura. - Dopo l'esposizione a Londra dei postimpressionisti francesi del 1910 l'influenza di Van Gogh, ma soprattutto di Gauguin e Cézanne, si fece sentire fortemente sul vecchio gruppo New English e da W. R. Sickert (1860-1942) assieme a Harold Gilman, Spencer Gore e Charles Ginner fu fondato il Camden Town Group, da cui nacque il London Group, che finì per sostituire completamente il New English come gruppo d'avanguardia. Valendosi di questo orientamento verso l'arte francese e soprattutto verso Cézanne si svilupparono le personalità di Duncan Grant (nato nel 1885) e di Mathew Smith (nato nel 1879).
Il movimento del "vorticismo" (che voleva sintetizzare in sé futurismo e cubismo), sorto di lì a poco, ebbe a sua guida Windham Lewis (nato nel 1884) e vi parteciparono E. Wadsworth e W. Roberts. Fu ostacolato però dallo scoppio della prima Guerra mondiale, nella quale invece trovarono motivi drammatici molti pittori, taluni dei quali inviati dallo stesso governo inglese sui teatri di guerra. Dopo la fine del conflitto, a parte l'emergere di importanti figure isolate, ancora piene di echi preraffaelliti, come Stanley Spencer (nato nel 1892), si svilupparono tendenze eclettiche (es. Christopher Wood, 1901-30), ma si svilupparono anche tre correnti ben precise: una corrente astrattista, capeggiata da Ben Nicholson (nato nel 1894) e John Tunnard (nato nel 1900); una corrente tradizionalista, che difendeva l'impressionismo, la quale prese il nome di Euston Road Group ed ebbe tra i suoi esponenti più importanti Victor Pasmore (nato nel 1908), William Coldstream e Lawrence Gowing; e infine una corrente a carattere espressionistico e "neoromantico" più legata a tipiche fonti inglesi quali W. Blake e S. Palmer, ma assai sensibile anche all'influenza di Picasso. A quest'ultima corrente appartengono Graham Sutherland (nato nel 1903), John Piper (nato nel 1903), e Henry Moore, noto fino a poco tempo fa come scultore, ma oggi assurto a notevole importanza anche come pittore. In tale corrente possono essere inclusi Eric Ravilious (1908-42) e Edward Bawden (nato nel 1903) e anche, a giudicare dall'orientamento dei suoi ultimi lavori, la pittrice Frances Hodgkins (1870-1947).
Durante la seconda Guerra mondiale molti tra i migliori pittori inglesi ripeterono quanto era stato fatto nella prima, ritraendo nelle loro opere lo sforzo immane compiuto dalla Gran Bretagna per arrivare alla vittoria. È divenuto famoso a questo proposito lo Shelter Sketchbook di H. Moore, ritraente la vita della popolazione londinese nei ricoveri durante i bombardamenti.
Dopo la conclusione del conflitto, al cessare dell'isolamento che ne derivava, la pittura inglese ha assunto caratteristiche più accentuate "d'avanguardia" (espressionismo, astrattismo, surrealismo). Perciò ora, mentre artisti assai fini come Jvon Hitchins (nato nel 1893) rendono più lirici e vivaci i loro cromatismi, altri artisti come Graham Sutherland, sono passati a forme surrealiste, e hanno assunto maggiore rilievo pittori come E. Burra (nato nel 1905), cultore di bizzarre e allucinanti visioni. In generale, tuttavia, non viene mai smarrita quella fine pacatezza che distingue sempre l'arte inglese.
Nella scultura, accanto a fortissimi residui di preraffaellismo, rinascimentalismo, "Gothic Revival", e a comprensibili persistenti richiami all'Oriente e all'Egitto, si è sviluppata recentemente, dopo le esperienze di J. Epstein e dietro l'esempio di H. Moore, unico, oggi veramente originale e significativo, una ricerca di forme più libere, in genere a carattere astrattista-surrealista, come ad es., nell'opera di Barbara Hepworth o di F. E. Mac William.
Bibl.: R. H. Wilensky, English Painting, Londra 1933: id., An Outline of English Painting, ivi 1946; G. Reynolds, Twentieth-Century Drawings, ivi 1946; A. T. Broadbent, Sculpture today in Great Britain, ivi 1944; E. Newton, British Sculpture, ivi 1947; L. Venturi, Pittura contemporanea, Milano 1947; J. Rothenstein e altri, Catalogo della mostra della Tate Gallery a Valle Giulia, Roma 1947; Quindici pittori inglesi (pref. di H. Read), ivi 1947; R. Ironside, Painting since 1939, Londra 1947.
Danni di guerra ai monumenti e opere d'arte.
I danni arrecati ai monumenti d'interesse storico dell'Inghilterra si distribuiscono in tre distinte fasi della guerra: durante le incursioni aeree del 1940-41 quando vennero colpiti Londra, i porti più importanti e le città industriali; durante una serie più breve di incursioni nel 1942, molte delle quali furono deliberatamente effettuate per danneggiare città antiche e i loro monumenti; infine durante gli attacchi a Londra e alle regioni nord-orientali per mezzo di bombe volanti nel 1944. Londra ebbe a soffrire soprattutto durante il primo periodo, quando una vasta area della città (il luogo della Londra romana e medievale) fu completamente distrutta. La maggior parte degli edifici demoliti era moderna, ma tra essi si trovavano anche alcune chiese medievali e parecchie di Sir Christopher Wren (1632-1723). La cattedrale di S. Paolo (Wren; 1675-1710) fu colpita due volte ma non seriamente danneggiata. Tra le chiese medievali la perdita più dolorosa fu quella della chiesa dei frati agostiniani (sec. XIV), completamente annientata; altre tre sono state danneggiate, ma potranno essere restaurate. Delle 31 chiese nella City o nei pressi di essa, di Sir Christopher Wren, 17 sono state sventrate dal fuoco o distrutte da esplosivi o gravemente danneggiate. Le più importanti di queste erano St. Bride (Fleet Street), Christ Church (Newgate Street), St. Clement Danes, San Lorenzo (Jewry), St. Mary-le-Bow, St. Vedast e St. Mildred (Bread Street). Di tutte queste chiese, ad eccezione dell'ultima, la torre campanaria e i muri perimetrali sono rimasti intatti e potranno quindi essere restaurate e incorporate in una nuova costruzione. Le opere d'arte in legno, ferro battuto e stucco, e i monumenti sepolcrali, di cui quelle chiese erano particolarmente ricche, sono andate generalmente perdute. La più celebm delle chiese di Wren, St. Stefano (Walbrook), è stata danneggiata meno gravemente delle altre; e il suo restauro è attualmente (1948) in corso.
Altre perdite nella City comprendono la distruzione di Barbers' Hall (1636) e Brewers' Hall (1670) e l'annientamento totale o parziale di oltre otto palazzi (Halls) delle Società della City, di cui la maggior parte risale ai secoli XVII e XVIII. La Guildhall (1411-35, con aggiunte posteriori) è stata sventrata, ma non vi è da lamentare la perdita di parti antiche. Agli Inns of Court, contigui alla City, sono stati arrecati gravi danni. Nel Temple, la Temple Church (1185) è stata sventrata e quasi tutti i monumenti sepolcrali sono andati distrutti (la chiesa si sta ora restaurando). Sia nel Temple che in Grays Inn numerose case dei secoli XVII e XVIII sono state distrutte. Il bel tetto di Grays Inn Hall è stato bruciato e quello di Staple Inn (1581) completamente demolito. Nel Charterhouse (sec. XVI-XVII) il tetto ed altre parti dell'edificio sono state distrutte dal fuoco. L'abbazia di Westminster è stata colpita da una bomba, ma il danno fu relativamente lieve. Il palazzo del Parlamento (Sir C. Barry, 1837 segg.), gravemente danneggiato, è ora in restauro.
Fra gli altri edifici danneggiati o distrutti di Londra ricordiamo: Chelsea Old Church (completamente distrutta, ma si è salvata la maggior parte dei monumenti sepolcrali); Holland House (principio del sec. XVII; quasi completamente distrutto); le gallerie di pittura Dulwich (di Sir John Soane, 1811; il mausoleo del fondatore è andato distrutto); Portman House (i begli interni del 1760-81 sono completamente distrutti); Trinity House (di Samuel Wyatt, 1793-95; ne rimangono soltanto i muri perimetrali danneggiati). Tra le chiese in stile gotico del sec. XIX le perdite più gravi sono quelle di St. Alban, Holborn (W. Butterfield, 1859-63) e St. John, Red Lion Square (J. L. Pearson, 1870-74).
A Bath, costruita quasi interamente nel sec. XVIII, la perdita più grave è quella dell'interno delle Assembly Rooms (di John Wood, 1769-71); le squisite decorazioni di stucco sono interamente distrutte). Una serie di case del sec. XVIII (ad es. Somerset Place), è stata sventrata; ma ne sono in corso i restauri. A Bristol, tre chiese del sec. XV ed una del XVIII nel vecchio centro della città sono quasi completamente annientate dal fuoco come pure la Dutch House, in legno e muratura, del principio del sec. XVII, e l'Ospedale di S. Pietro della stessa epoca. A Canterbury alcune bombe caddero nei pressi della cattedrale, ma solo lievi danni furono arrecati alla struttura dell'edificio dal quale erano state rimosse tutte le vetrate. Gravi danni subirono invece il portale d'ingresso (secoli XIII-XV) del collegio di S. Agostino e diversi edifici medievali nelle immediate vicinanze della cattedrale. A Coventry, la cattedrale (secoli XIV-XV) fu completamente distrutta ad eccezione della torre e dei muri esterni. Ford's Hospital (1509-29; una notevole costruzione in legno e muratura) è rovinata ma può essere restaurata. A Exeter una bomba demolì nella cattedrale (sec. XIV) la cappella di S. Giacomo e parte della navata del coro meridionale. La chiesa di S. Lorenzo (sec. XV) fu incendiata ed altre chiese danneggiate. Molte case del tardo sec. XVIII (specie Bedford Circus, 1780-1830) furono interamente distrutte.
A Liverpool la Customs House (un importante edificio di stile classicheggiante del 1826) fu sventrata e dovette successivamente essere demolita. Le Blue Coat Chambers (1718) e diverse chiese della prima metà del sec. XIX furono danneggiate o distrutte. A Norwich, la cattedrale subì solo lievi danni e le quattro chiese medievali che andarono distrutte avevano scarsa importanza artistica. A Plymouth, i danni furono estremamente gravi: il centro della città che comprendeva una serie di belle strade del principio del sec. XIX, fu completamente annientato, mentre furono sventrate la medievale chiesa di S. Andrea e la Charles Church (1640). A York, sono da lamentare la perdita dell'interno della Guildhall (sec. XV) e lo sventramento della chiesa di S. Martino (sec. XV).
Città quali Manchester, Birmingham, Hull, Southampton e Portsmouth posseggono pochi monumenti antichi e gli estesi danni arrecati a questa città riguardano solo pochi edifici di valore architettonico. A Yarmouth la vasta chiesa parrocchiale di epoca medievale fu sventrata. A Eton ci furono gravi danni all'Upper School (1689-91) e ad altri edifici. A Dover, la chiesa di S. Giacomo Minore (sec. XII e segg.) fu devastata durante il bombardamento. Circa una dozzina di chiese di villaggi in varie regioni del paese fu distrutta.
Bibl.: J. M. Richards e John Summerson, The Bombed Buildings of Britain, 2ª ed., Londra 1947.
Letteratura (XIX, p. 281).
Nello spinto carattere sperimentale che 1a narrativa inglese assunse durante gli anni tra le due guerre mondiali per opera di scrittori d'eccezione, quali J. Joyce e V. Woolf, è possibile ravvisare un esaurirsi della grande tradizione narrativa che in Inghilterra era sorta e aveva trovato i suoi sviluppi maggiori dal secolo XVIII in poi. Se la narrativa sperimentale spingeva le sue radici più profonde nella crisi spirituale degli anni tra le due guerre, è pur vero che aveva non meno profonde radici in una insoddisfazione nata dal grado di saturazione raggiunto dalla narrativa tradizionale. In quanto esprimeva più o meno chiaramente la coscienza di questo esaurimento della tradizione - e in tal senso soltanto - è significativa la convinzione, diffusa nella letteratura inglese alla vigilia della seconda Guerra mondiale, che dopo il Ulysses di Joyce il romanzo non fosse più possibile.
Gli anni della seconda Guerra hanno segnato perdite notevoli per la letteratura inglese tra nomi di risonanza internazionale, quali Joyce, la Woolf e W. B. Yeats, e giovani assai promettenti. Si aggiunga che in Inghilterra più che altrove la vita letteraria si svolgeva per gruppi, e la guerra, disperdendo codesti gruppi, determinò per gli anni della sua durata una vita angusta e isolata, aprendo in pari tempo un abisso incolmabile che rendeva impossibile ogni ritorno alle condizioni precedenti.
Nel relativo disorientamento che questa situazione ha creato, si potrebbe distinguere un gruppo di narratori (eredi di quella cerchia di Bloomsbury che ebbe in Virginia Woolf il suo centro e cui appartenne anche E. M. Forster ormai da vario tempo inoperoso) che tengono fe moo a valori stilistici, quali E. Bowen, H. Green, W. Sansom (The Fireman flower; Three). Un altro gruppo tende a mantenersi sopra una linea di avanguardia sperimentale e, oltre a risentire fortemente l'influenza di F. Kafka, come Rex Warner (The wild goose chase; The aerodrome; Why was I killed, romanzi in cui è talvolta creata un'intensa atmosfera ossessiva), fa largo uso della psicanalisi, come Nigel Balchin (Small back room; Mine own executioner; War prisoner patient; il curioso esperimento di romanzo dialogato Lord, I was afraid, e il recente romanzo d'interpretazione storica The Borgia testament). Altri ancora hanno cercato di sfuggire alla realtà del presente, come C. Morgan (The voyage, romanzo che si svolge in Francia negli ultimi anni del secolo scorso) e R. Lehmann (The ballad and the source che molti considerano il suo romanzo migliore); oppure si sono rifugiati in posizioni religiose, come A. Huxley, che oltre a un romanzo (Time must have a stop; trad. ital., Milano 1947) ha dato libri teorici (Means and ends, trad. ital., Milano 1947; Science, liberty and peace) e come W. S. Maugham che, dopo aver dato forma narrativa alle sue esperienze mistiche nel romanzo The razor's edge (trad. ital., Milano 1948), ha scritto romanzi storici (Then and now; Catalina). Oltre alla tendenza verso un particolare genere di commedia moderna che quasi sempre lascia sapore amaro per una improvvisa deviazione verso il tragico (ne sono rappresentanti maggiori Chr. Isherwood e V. S. Pritchett e, almeno in parte, E. Waugh), è da menzionare anche un gruppo di scrittori cattolici (esponente maggiore: G. Greene) che hanno qualità notevoli ma che, essendo tutti convertiti, non sembra abbiano superato lo zelo protestante e il gusto calvinistico della dannazione e mancano di quella duttilità che la tradizione occidentale della cultura cattolica ha dimostrato altrove di possedere.
In generale, la narrativa inglese, mentre è stata finora ben poco accessibile all'esistenzialismo, ha invece risentito fortemente la psicanalisi, e questo rende l'influenza di Joyce più sensibile di quella della Woolf, sebbene la Woolf sia assai di più sulla linea maestra della tradizione inglese. Anche l'incremento, che per l'imitazione di E. Hemingway e Isherwood, ha avuto la letteratura di reportage, contribuisce a un notevole abbassamento del livello stilistico.
Vivo, ma ormai scarsamente operoso il vecchio poeta laureato J. Masefield; attivi altri poeti dei meno giovani quali S. Sassoon e W. de la Mare, da cui peraltro non sono da aspettare sorprese; nella poesia infatti la crisi spirituale degli anni tra le due guerre ha trovato espressione attraverso l'orientamento di sinistra assunto da alcuni dei poeti giovani meglio affermati quali W. H. Auden, L. MacNeice, C. Day Lewis. Che codeste ideologie politico-sociali, del resto di natura prevalentemente velleitaria, fossero il surrogato con cui si cercava di colmare la sentita carenza di valori dello spirito, è dimostrato da due fatti. In primo luogo, tali vagheggiamenti non impedirono a quegli stessi poeti di essere sotto l'influenza di T. S. Eliot, il quale nel decennio 1938-48 ha aggiunto un elemento sostanziale alla sua opera con la pubblicazione dei Four Quartets e che il premio Nobel ha consacrato, nel 1948, come il maggiore tra i viventi poeti di lingua inglese. In secondo luogo, lo scoppio della seconda Guerra mondiale liquidò molto rapidamente simpatie di sinistra e velleità rivoluzionarie. Dopo un periodo di silenzio, questi poeti hanno trovato, sia pure solo in parte, accenti più personali. L'insoddisfazione alimentata dalle loro ideologie nei più giovani che avevano esordito sotto la loro influenza, prese forma di reazione letteraria.
I poeti meno lontani da Eliot - e ai già nominati è da aggiungere Stephen Spender - furono considerati classicisti e ad essi fu contrapposto un "nuovo romanticismo" che ebbe largo contributo anche da poeti gallesi. Sebbene tra questi poeti gallesi siano alcuni dei nomi oggi più quotati, come K. Rhys (The Van Pool and other poems) e, soprattutto, D. Thomas, sembra nondimeno che essi subiscano l'influenza della psicanalisi sotto forma di scrittura automatica e di un surrealismo che è, perciò, non solo di figure ma di lessico. Tale in specie il caso del Thomas e, in parte, di G. Barker, segnatamente nella sua raccolta più recente, Eros in Dogma. Se tracce di surrealismo si riconoscono anche nell'opera di V. Watkins (gallese: Ballad of the Mari Lwyd), il rappresentante maggiore di questa tendenza è David Gascoyne (Man's life is this meat; Poems 1937-42), che rimane assai strettamente connesso ai surrealisti francesi. Se non si voglia ricorrere a estrinseci raggruppamenti intorno a riviste, bisogna, per il rimanente, limitarsi a citare nomi singoli: Kathleen Raine (Stone and flower); Anne Ridler (The nine bright shiners; Cain); Laurie Lee (The sun my monument); Laurence Durrell (A private country; Cities, plains and people); Nicholas Moore (The glass tower); Ruthven Todd (Until now; The planet in my hand; Acreage of the heart); Wrey Gardiner (Sharp scorpions; Questions for waking; The gates of silence; Lament for strings); Alex Comfort (A wreath for the living; Elegies; The signal to engage); Norman Nicholson (Five rivers; Rock Face, e interessanti esperimenti di teatro di poesia, come The Old Man of the Mountains).
In generale, la poesia contemporanea sente relativamente poco l'influenza dello scomparso Yeats troppo tipicamente irlandese, mentre sarebbe addirittura inconcepibile senza G. M. Hopkins, la cui azione per quanto indiretta e capillare, è profonda e attivissima. Ma è proprio nel campo della poesia che gli esperimenti e le ricerche sembrano dimostrare maggiore vitalità. Ne sono prova non solo i tentativi di riportare la poesia sulla scena (l'iniziativa è stata dell'Eliot con Murder in the Cathedral e The family reunion), ma anche il fatto che nella lirica cercarono la soluzione dei loro problemi interiori alcuni giovanissimi, quali S. Keyes e A. Lewis, caduti ventenni in guerra dopo aver dato di sé sicure promesse.
Un indizio, se non di vitalità, almeno di ansia nella ricerca è da vedere anche nelle antologie periodiche che, durante la guerra, cercarono di raccogliere le attività isolate e, a guerra finita, mirarono a ristabilire subito i contatti con altri paesi, accogliendo numerosi scrittori stranieri.
Di tali raccolte periodiche sono da ricordare The Windmill; New writing and daylight, pubblicata dal poeta ed editore J. Lehmann; Penguin new writing; Modern reading; New road, ecc. In questo senso, si ricordano anche alcune riviste che sono riuscite a superare tempi molto difficili: tra esse, Scrutiny; Poetry e, più d'ogni altra eclettica e d'avanguardia, Horizon, diretta da Cyril Connolly.
Assai abbondante è stata la letteratura biografica e critica: oltre alla consueta ricchezza di studî shakespeariani, tra cui da segnalare l'ottimo Shakespeare's history plays di E. M. W. Tillyard, merita menzione anche l'importante saggio di B. Willey The Eighteenth Century background. Studî autobiografici e biografici di valore artistico e interesse storico hanno dato Osbert Sitwell (Left hand, right hand; The scarlet tree, ecc.), Peter Quennell (Byron in Italy; Four portraits) e lo stesso Huxley che in Grey Eminence (trad. ital., Milano 1947) ha scritto un acuto studio su quel Padre Giuseppe, che fu esecutore dei progetti del Richelieu.
Per altri autori non citati e per le opere di alcuni dei nominati, si vedano le rispettive voci, in questa Appendice.