Ai sensi dell’art. 2126 c.c., la nullità, o annullabilità, del contratto non produce effetto per il periodo di esecuzione del contratto. Tale regime è derogato nel caso in cui tal nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. La disciplina contenuta nell’art. 2126 c.c. è eccezionale rispetto alle normali conseguenze scaturenti in caso di una declaratoria di nullità che non è sanabile ed è retroattiva. Nel rapporto di lavoro subordinato, invece, anche nel caso in cui il contratto sottostante sia viziato da nullità, vengono fatti salvi gli effetti prodotti, in particolare, il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per l’attività lavorativa effettivamente prestata (prestazione di fatto). Questo regime di favore, non opera, però, nel caso di illiceità dell’oggetto o della causa del contratto. In tal caso, il lavoratore potrà solamente chiedere l’applicazione della disciplina di diritto comune sull’ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.). Nel caso in cui l’illiceità dell’oggetto o della causa derivi dalla violazione di norme che tutelano il prestatore, questi avrà in ogni caso diritto alla retribuzione (art. 2126, co. 2 c.c.). La giurisprudenza intervenuta nel tempo ha restrittivamente definito il concetto di oggetto o causa illecita. Si è ritenuto che non basti la violazione di una qualsiasi norma imperativa, ma che occorra la violazione di norme espressione di principi di ordine pubblico in senso stretto, in altre parole di norme che contengono principi etici fondamentali dell’ordinamento. In tale direzione, si esclude l’illiceità della causa nei casi in cui sia assente nel lavoratore il requisito di un’abilitazione o di una speciale autorizzazione amministrativa.