Detto anche lavoro a chiamata, è stato introdotto dagli art. 33 e ss. del d. lgs. n. 276/2003, poi abrogato con l’art. 1, co. 45, della l. n. 247/2007, e nuovamente introdotto nell’ordinamento italiano dall’art. 39, co. 11, della l. n. 112/2008. Fattispecie più discussa che utilizzata, ha avuto applicazione soprattutto nei settori del turismo e dello spettacolo. Con il lavoro intermittente il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro, che decide liberamente se e quando utilizzarlo mediante chiamata. Ciò che caratterizza questa particolare forma di lavoro, è la mancata predeterminazione della quantità della prestazione lavorativa. La stipulazione di un contratto di lavoro intermittente è soggetta alla coesistenza di requisiti oggettivi e soggettivi. Infatti, può essere stipulato per rispondere alle esigenze e nei casi previsti nei contratti collettivi o, in mancanza di questi ultimi, nei casi individuati provvisoriamente dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto, nonché per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese e dell’anno e con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età, anche pensionati. Il contratto (in forma scritta ad probationem) deve necessariamente indicare la durata, le ragioni che ne hanno consentito la stipulazione, il luogo e le modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore. Con riferimento a quest’ultima, infatti, si possono individuare due sottotipi di lavoro intermittente. Il primo, è quello in cui lavoratore è obbligato a rispondere a ciascuna chiamata percependo in cambio un’equa indennità di disponibilità. In base a questo tipo di contratto il lavoratore malato o oggettivamente impossibilitato a rispondere alla chiamata è tenuto a informare il datore di lavoro e non matura il diritto alla indennità di disponibilità. L’omessa tempestiva comunicazione determina, salvo diversa pattuizione del contratto individuale, la perdita dell’indennità per un periodo pari a 15 giorni, anche se l’effettiva indisponibilità sia stata più breve. Mentre il rifiuto ingiustificato della chiamata da parte del lavoratore obbligatosi alla disponibilità costituisce inadempimento, con le conseguenze tipizzate dalla legge (art. 36, co. 6, d. lgs. n. 276/2003). Il secondo sottotipo si realizza invece in assenza dell’obbligo di disponibilità e della relativa indennità, con la conseguenza che il contratto in questo caso prevedrà solo uno scambio tra lavoro effettivo e retribuzione, con libertà del lavoratore di rifiutare la chiamata. Il lavoro intermittente è soggetto anche a specifici casi di divieto (identificabili con quelli previsti per il lavoro a termine e per la somministrazione di lavoro), ossia: per la sostituzione di lavoratori legittimamente scioperanti; presso unità produttive nelle quali siano stati licenziati collettivamente nei sei mesi precedenti oppure siano stati sospesi con trattamento di integrazione salariale lavoratori con le stesse mansioni di quelli intermittenti; presso imprese che non abbiano effettuate la valutazione dei rischi.