Leonardo da Vinci
Un genio multiforme
Pittore, scultore, architetto, ingegnere e scienziato, Leonardo sperimenta soluzioni innovative nei campi dell’arte e della scienza. Nelle sue pitture si basa sull’osservazione della natura, ma non si limita a rappresentare lo spazio secondo le regole della prospettiva, bensì raffigura anche l’atmosfera in cui sono immerse le cose. A tale scopo utilizza la tecnica dello sfumato, che gli consente di passare da un tono di colore all’altro, senza contrasti netti. Le sue immagini sono prive di contorni e orientate in più direzioni. Il suo universo è costituito da mondi mutevoli, carichi di atmosfere e di luci variabili. I suoi studi scientifici sono ricchi di intuizioni che ancora oggi offrono motivi di riflessione
Spirito critico e razionale, Leonardo indaga la realtà con intento scientifico e con passione, per scoprirne i segreti. Approfitta di ogni occasione che gli si presenti per sperimentare e approfondire la propria conoscenza dei fenomeni naturali. Nato a Vinci, in Valdarno, nel 1452, compie a Firenze la sua formazione nella bottega di Andrea del Verrocchio, imparando differenti tecniche. Realizza quindi le sue prime opere e nel 1472 risulta iscritto alla Compagnia di San Luca, che raccoglie i pittori.
A trent’anni si reca a Milano, alla corte degli Sforza, dove Ludovico Sforza, detto il Moro, signore di Milano (1480-99) aveva reso la città un vivissimo centro economico, culturale e artistico. In questo ambiente, assai diverso da quello della Firenze dei Medici, Leonardo si presenta prima come ingegnere e in seguito come artista, ed esprime liberamente le sue doti di umanista estremamente versatile: progetta chiese, fortificazioni, ponti, macchine; si occupa di scienze naturali e di matematica; dipinge e scolpisce.
A Milano Leonardo avvia anche una scuola, di cui non si sa molto, ma che probabilmente doveva essere una specie di accademia in senso quasi moderno. La scuola, infatti, accoglieva non solo apprendisti, come era in uso nelle botteghe di allora, ma anche maestri affermati, i quali – all’interno di quella istituzione – potevano esercitare la loro professione.
Ci restano, come testimonianza di questa Accademia, sei incisioni sul tema geometrico con titolo «Achademia Leonardi Vinci», definite «ghiribizzi» dallo storico dell’arte Giorgio Vasari. Si tratta di una successione di nodi creati da una linea che si avvolge senza mai interrompersi all’interno di un cerchio: secondo alcuni studiosi di Leonardo, come Carlo Pedretti, sono quasi capolavori di computer grafica.
Nel 1495 Ludovico Sforza commissiona a Leonardo la pittura murale dell’Ultima cena (conosciuta anche come Cenacolo) nel refettorio del convento domenicano di S. Maria delle Grazie a Milano. La scena si svolge nella parete di fondo della sala ed è inquadrata da una ;rigorosa prospettiva in modo che chi entra si trova di fronte a uno spazio che sembra continuare in quello virtuale del dipinto.
La composizione è ripartita, ai lati della figura di Cristo, da quattro gruppi di apostoli, ciascuno composto da tre personaggi. Gesù, al centro, indica il vino e il pane, simboli dell’Eucaristia, che alludono al proprio sacrificio. «Uno di voi mi tradirà», sembra stia dicendo. Da questa frase scaturiscono le differenti reazioni degli apostoli con i loro gesti concitati, come per esempio quello di Tommaso, a destra di Cristo, che esprime la propria incredulità e il desiderio di sapere e di toccare con mano attraverso l’indice alzato. O di Filippo, che comunica lo stupore e la propria estraneità con le mani rivolte al petto; oppure di Giuda – l’unico a essere in ombra – che nasconde il suo tradimento nell’espressione torva e nel gesto rapace.
I ritratti di Leonardo rappresentano la sintesi delle sue teorie artistiche e scientifiche. «Il bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’omo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile perché s’ha a figurare con gesti e movimenti delle membra», scrive Leonardo nel suo Trattato della pittura (una raccolta postuma di appunti).
A questo scopo il pittore consiglia di studiare le persone mentre sono tristi, o adirate, o prese da animate discussioni o colpite da una qualsiasi emozione. Basandosi sull’osservazione diretta, Leonardo arriva a stabi;lire un sistema di regole che ;fissano la rappresentazione dei gesti e delle espressioni e che sarà poi ripreso in seguito dai teorici dell’arte francesi del 17° secolo.
Durante il suo soggiorno milanese, Leonardo ammira le opere di Antonello da Messina e dipinge diversi ritratti a mezzobusto, che risentono della sua maniera. Caratteristiche derivate da Antonello sono: il fondo neutro in ombra da cui emerge la figura molto illuminata e un forte chiaroscuro.
Se il Ritratto di musico di Leonardo è quello che ha più punti in comune con Antonello, la Dama con l’ermellino è uno dei primi ritratti moderni della storia dell’arte. Qui Leonardo abbandona l’iconografia tradizionale del personaggio di profilo e mostra i «moti dell’animo». Il dipinto nasce da un delicato gioco di rapporti ritmici, dei caratteri fisici della dama e dei movimenti appena accennati, l’inclinazione del capo, la direzione dello sguardo e la rotazione del corpo. Leonardo ci mostra un’immagine viva della donna, come se fosse vista in uno specchio. Ma la dama con l’ermellino racchiude anche un piccolo segreto: la presenza dell’ermellino nasconde un rebus la cui soluzione ci ha permesso di scoprire l’identità della dama. Il nome greco dell’animale è galè, da cui si arriva a Gallerani, cognome della splendida dama che era l’amante di Ludovico il Moro. L’ermellino inoltre è simbolo di candore e uno degli emblemi di Ludovico Sforza, chiamato in una poesia del tempo: «Italico Morel bianco ermellino». Ecco svelato l’enigma.
Nel 1499, all’arrivo dei Francesi e alla caduta del Moro, Leonardo lascia Milano per trasferirsi in un primo momento a Vaprio e in seguito a Mantova; negli anni successivi si muove tra Venezia e Firenze e, in veste di architetto e ingegnere, segue le campagne militari condotte in Romagna da Cesare Borgia.
A Firenze manifesta una sorta di insofferenza per la pittura e riversa il suo ingegno negli studi geologici del territorio. In questo stesso periodo l’artista compie sopralluoghi in Romagna e in Toscana per progettare opere di ingegneria e di difesa. E proprio da questi studi scaturisce l’amore per il paesaggio: la convinzione che la natura sia un immenso organismo (macrocosmo) di cui l’essere umano (microcosmo) è una parte fondamentale.
Questi nuovi interessi di Leonardo si erano manifestati già a Milano nel dipinto della Vergine delle rocce (1483), dove la scena sacra si svolge in un’umida grotta, che si apre nel fondo su uno squarcio illuminato di rocce e picchi.
Nel Trattato della pittura, Leonardo illustra le sue osservazioni sul rapporto luce-ombra e sulla prospettiva aerea, ossia la resa pittorica di un fenomeno naturale come il pulviscolo atmosferico. Leonardo rende la profondità con sfumature azzurre, che avvolgono tutto in un’atmosfera di nebbia e di luce diffusa, come per esempio nel paesaggio della Gioconda, dove la stessa luce dorata avvolge figura e paesaggio. In questo modo il pittore esprime il suo concetto, che l’essere umano è parte della natura e partecipa al suo continuo trasformarsi.
Il ritratto di Monna Lisa del Giocondo, meglio noto come la Gioconda, è in assoluto l’opera di Leonardo più celebre in tutto il mondo. Noto è soprattutto il suo sorriso enigmatico, che ha fatto scrivere fiumi di parole, suggerendo mille interpretazioni. Secondo una lettura recente la donna rappresenterebbe la personificazione della Castità che vince il Tempo con un sorriso di trionfo. Ma chi era veramente la Gioconda? L’identità della figura ritratta nel dipinto non è certa. Che si tratti di Monna Lisa Gherardini, una cortigiana proveniente dalla piccola nobiltà rurale, o che sia la benestante signora fiorentina, Monna Lisa del Giocondo, da cui deriva l’altro nome con cui è conosciuto il ritratto, o che si tratti di un autoritratto dove Leonardo si è raffigurato in versione femminile, sono tutte ipotesi. È anche possibile che Leonardo non abbia dipinto una persona specifica.
Le analisi ai raggi X, a cui è stato sottoposto il dipinto nel corso dei suoi restauri, mostrano che ci sono tre versioni della Monna Lisa, nascoste sotto quella attuale. L’opera è infatti frutto di una lunga elaborazione: l’artista l’ha ritoccata più volte nel corso degli anni, portandola con sé perfino in Francia, dove venne acquistata dal re.
Dal punto di vista pittorico la figura è quasi priva di contorni, grazie al sapiente uso della tecnica dello sfumato. Il pittore passa senza contrasti e con gradualità da un tono all’altro, creando un’immagine mutevole, che suggerisce diverse direzioni: una del corpo, una delle braccia e un’altra del viso.
Nel 1503 Leonardo è di nuovo a Firenze dove la Repubblica di Firenze gli commissiona, per la Sala del Maggior consiglio in Palazzo Vecchio, un affresco che rappresenta il trionfo dei Fiorentini sulle milizie milanesi nella famosa Battaglia di Anghiari. Nell’altra metà della parete il giovane Michelangelo affresca la Battaglia di Cascina.
Nel 1506, lasciata di nuovo Firenze per Milano, l’artista studia la geologia delle valli lombarde e si interessa all’anatomia umana. Nel 1513 si trasferisce a Roma (dove resta per tre anni sotto la protezione di Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico) e nel 1517 ad Amboise, in Francia alla corte di Francesco I. Lì muore nel 1519, lasciando l’amico pittore e discepolo Francesco Melzi esecutore testamentario.
«La vita di Leonardo» afferma Vasari «è varia et indeterminata forte, sì che pare vivere a giornata»: egli infatti osservava un completo distacco dagli affetti, evitando legami di qualsiasi genere. Sempre il Vasari ci riferisce poi delle stravaganze dell’artista per spaventare i visitatori indesiderati.
Inoltre, sono note le sue stranezze nell’abbigliamento e le sue idee eterodosse per quanto riguarda l’alimentazione: egli era, infatti, un vegetariano convinto, in un’epoca in cui le abitudini alimentari non erano equilibrate e attente alla salute come oggi. È probabile che anche questi lati anticonformisti della personalità di Leonardo abbiano contribuito alla nascita del suo mito.
Leonardo è stato un grande sperimentatore anche nel campo delle tecniche pittoriche. La tecnica dell’affresco – che come dice il nome deve essere dipinto sull’intonaco ancora fresco – esige tempi di esecuzione molto rapidi. Questo procedimento poco si confà allo spirito del maestro, al suo modo di rendere le sfumature e i chiaroscuri delicati e all’abitudine di tornare sopra le figure per modificarne i gesti. Per questo il pittore nell’Ultima cena adotta una tecnica con leganti organici che fissano il colore alla parete e che purtroppo si riveleranno in seguito poco resistenti alle aggressioni dell’umidità e degli agenti atmosferici.
Anche nella Battaglia di Anghiari Leonardo sperimenta una tecnica nuova, ma anche questa si rivela inadeguata a resistere al calore dei bracieri messi nel salone per far seccare la pittura. L’opera, quasi scomparsa, viene molto presto ridipinta da Vasari. Oggi, grazie ad alcuni saggi esplorativi, si è scoperto che Vasari ha dipinto su un altro intonaco, lasciando un’intercapedine fra questo e il muro dove era il lavoro di Leonardo. Sul muro sottostante potrebbero ancora esservi i resti della battaglia dipinta dal maestro.
I molteplici interessi di Leonardo, dalla forma delle nuvole, al volo degli uccelli, all’anatomia umana e animale, alla botanica, alla matematica, all’ottica, ;all’astronomia, all’idraulica ma anche ai rebus e alle caricature, sono testimoniati da una grande quantità di disegni raggruppati in raccolte (fra questi: Codice Atlantico, Raccolta di Windsor, Codice Hammer, Codice Arundel). I disegni sono corredati da annotazioni scritte con la mano sinistra in un verso che va da destra a sinistra.
L’intricata vicenda dei codici di Leonardo è stata paragonata a una spy-story, con personaggi spesso illustri che si contendono – talvolta anche con il furto – questo sterminato numero di fogli nelle maggiori città d’Europa e negli ultimi anni anche d’America. Uno dei codici di Leonardo è stato acquistato a un’asta miliardaria prima dal petroliere Armand Hammer e poi nel 1994 da Bill Gates, l’uomo più potente dell’industria informatica.
Alla morte di Leonardo tutti i suoi manoscritti passano a Francesco Melzi, che li riporta in Italia conservandoli con cura, ma non altrettanto fa il figlio Orazio. Con lui ha inizio la dispersione del materiale di Leonardo. Parte dei codici gli viene rubata e parte arriva in Spagna, acquistata dallo scultore Pompeo Leoni. Alla morte del Leoni, gli eredi offrono la collezione al granduca di Toscana, che su consiglio dell’‘esperto’ Cantagallina (alle volte i nomi sono veramente appropriati) la rifiuta ritenendola «triviale». Così alcuni codici finiscono in Inghilterra. Ma gran parte dell’eredità – acquistata dal conte Galeazzo Arconti – tornerà lo stesso in Italia per essere donata alla morte del conte alla Biblioteca Ambrosiana di Milano e all’Institut de France. Ma non finisce qui. Nel 1795 Napoleone ordina il trasferimento dei codici dall’Ambrosiana a Parigi. Solo un codice (il Codice Atlantico) ritornerà a Milano dopo il congresso di Vienna.
Nelle migliaia di pagine che compongono i suoi codici, Leonardo annota pensieri e disegni in cui si combinano sensibilità artistica, cura dei particolari, inventiva scientifica e attente descrizioni dei fenomeni naturali. Estraneo ai dibattiti accademici, Leonardo si accosta alla scienza vestendo gli abiti dell’osservatore accurato piuttosto che quelli dello sperimentatore o del teorico. Nei suoi appunti – mai pubblicati e gelosamente custoditi grazie alla scrittura speculare – raccoglie ambiziosi progetti destinati a restare tali, accanto a vere e proprie invenzioni che in seguito sono diventate realtà. Affascinato dal volo, Leonardo dedica studi dettagliati al volo degli uccelli e progetta vere e proprie macchine volanti tra cui un elicottero azionato dall’uomo, un deltaplano e il paracadute. Numerose le invenzioni in campo militare sollecitate da pontefici e sovrani suoi committenti: tra di esse si annoverano studi per sottomarini, disegni di cannoni per il lancio di bombe esplosive, carri coperti da artiglierie, battelli incendiari.
Tuttavia, le principali realizzazioni di Leonardo sono opere di ingegneria idraulica, come il porto-canale di Cesenatico e il Naviglio della Martesana; rimangono sulla carta invece i progetti sollecitati dalla Repubblica di Firenze durante l’assedio di Pisa per deviare il corso dell’Arno a monte della città avversaria.
Leonardo si distingue tra i contemporanei per la qualità dei disegni anatomici realizzati dopo aver assistito in prima persona alla dissezione dei cadaveri. Tra essi c’è l’uomo vitruviano, una sua celeberrima opera, dove il corpo umano è inscritto nel cerchio e nel quadrato, le figure perfette della geometria piana che insieme alla matematica rappresenta per Leonardo il fondamento di tutte le scienze naturali. Le competenze anatomiche maturate permettono all’artista-scienziato di progettare anche un robot umanoide e un cavaliere meccanico, forse destinato ad animare le feste della corte sforzesca a Milano.
Il 15 agosto 1911 a Parigi viene rubata la Gioconda. I primi sospetti ricadono sul poeta francese Guillaume Apollinaire, che è arrestato e condotto in prigione; in seguito anche il pittore Pablo Picasso è interrogato in merito, ma poi sono entrambi rilasciati.
Si scoprirà poi che l’autore del furto è Vincenzo Peruggia, un emigrato italiano, impiegato al museo del Louvre. Il Perugia, convinto che il dipinto appartenesse di diritto all'Italia e non dovesse quindi restare in Francia, aveva compiuto il furto semplicemente staccando il quadro e nascondendolo sotto il cappotto. Ma quando poi aveva cercato di vendere il capolavoro a un mercante d'arte di Firenze era stato scoperto e catturato.
Al momento dell'arresto il ladro dichiara di aver agito per motivi patriottici. In ogni caso, prima di tornare in Francia ed essere restituito al Louvre nel 1913, il quadro è stato esibito in tutta Italia.
Marcel Duchamp, nel 1919, espone una riproduzione della Gioconda a cui ha aggiunto barba e baffi. In questo modo l’artista ha voluto compiere una dissacrazione nei confronti di un’opera divenuta ormai un mito, ma ha voluto dire anche qualcosa di più. Ha voluto fare un’allusione ermetica (cioè segreta) al carattere ambiguo della figura ritratta. Se Leonardo aveva raffigurato nei panni della Gioconda sé stesso come androgino (ossia un essere bisessuato, figura che nell’alchimia significa l’unione dei contrari), Duchamp, con il suo intervento apparentemente beffardo, intende rendergli un omaggio ermetico. L’artista francese, inoltre, mostra numerosi punti in comune col genio del Rinascimento: la passione per i giochi di parole, gli indovinelli, i rebus e soprattutto l’idea che l’arte deve essere più mentale che fisica.