magistratura
I custodi della legge
Il magistrato esercita in modo continuativo la funzione giurisdizionale dello Stato, quella dell’applicazione delle leggi, intervenendo quando esse vengono violate. Il termine magistratura descrive sia il ruolo del magistrato sia il corpo organizzato, cioè l’ordine dei magistrati. Esistono diversi tipi di magistrati, a seconda delle materie di cui si occupano: ordinari, amministrativi, militari. Il principio dell’indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato – norma fondamentale per garantire il buon esercizio della funzione giurisdizionale – si è affermato progressivamente grazie all’influsso del pensiero liberale e costituzionale
La funzione principale del magistrato, anche se non l’unica, consiste nel giudicare, cioè nell’esprimere un giudizio imparziale su interessi in conflitto, che in un processo sono rappresentati dall’accusa e della difesa. L’atto tipico di questa funzione è la sentenza.
Magistrati ordinari. Le leggi italiane prevedono l’esistenza di diversi tipi di magistrato. In primo luogo, abbiamo i magistrati ordinari, i quali esercitano la giurisdizione sulle questioni regolate dal Codice civile e dal Codice penale. Le controversie in materia civile possono riguardare la famiglia (per esempio, le cause di separazione dei coniugi o di cessazione degli effetti civili del matrimonio), la proprietà e i diritti reali, l’adempimento dei contratti e la responsabilità extracontrattuale, che insorge quando un soggetto arreca ad altri un danno ingiusto, per esempio quando, in violazione delle norme del codice della strada, un automobilista investe un passante o tampona un’altra autovettura. Le cause penali consistono invece nell’accertamento della responsabilità e nella conseguente condanna di chi abbia commesso un reato (per esempio, un omicidio o una rapina), cioè un comportamento punito dalla legge con una pena che può essere detentiva (ergastolo, reclusione e arresto), pecuniaria (multa o ammenda) o entrambe le cose.
A seconda dell’attività svolta, i magistrati ordinari si distinguono in giudici e pubblici ministeri (o procuratori della repubblica): i primi giudicano le cause loro sottoposte, i secondi dirigono le attività di indagine finalizzate al perseguimento dei reati, avvalendosi della polizia giustiziaria e rappresentano l’accusa nel processo.
Magistrati amministrativi e militari. La legge prevede l’esistenza dei magistrati amministrativi, che operano nel Consiglio di Stato, nei tribunali amministrativi regionali (i cosiddetti TAR) e nella Corte dei conti. I magistrati dei TAR e del Consiglio di Stato si occupano delle controversie che sorgono quando un privato cittadino si sente danneggiato da un atto della pubblica amministrazione. Alla Corte dei conti vengono esaminate le controversie sollevate contro quei funzionari pubblici accusati di aver recato, nell’esercizio delle loro funzioni, danni allo Stato.
Infine, i magistrati dei tribunali militari si occupano, in tempo di pace, dei reati commessi dagli appartenenti alle Forze Armate.
Per poter svolgere in modo appropriato la sua funzione, il magistrato deve godere di una condizione di autonomia e indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato. Ciò significa che nell’esercizio delle sue funzioni il magistrato non deve subire interferenze né dal Parlamento (potere legislativo), né dal governo (potere esecutivo).
Tale concezione si è affermata, nel mondo moderno, grazie al liberalismo e al costituzionalismo. In particolare, la tesi secondo cui la funzione giurisdizionale deve essere affidata a un apposito organo ha ricevuto una compiuta elaborazione, nella prima metà del 18° secolo, per merito del filosofo francese Charles-Louis de Secondat barone di Montesquieu, nel quadro della dottrina della separazione dei poteri, e ricevette le sue prime applicazioni, tra 18° e 19° secolo, in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Francia.
Quanto all’Italia, il suo sistema giudiziario originario derivava dall’organizzazione esistente nel Regno di Piemonte e Sardegna dopo l’emanazione dello Statuto, concesso da Carlo Alberto nel 1848.
Tale statuto prevedeva che la giustizia fosse amministrata in nome del re da parte dei giudici che egli istituiva. I giudici erano inamovibili (se avevano un’anzianità superiore a tre anni), ma non lo erano i pretori e i pubblici ministeri. Nel 1859 alla magistratura fu attribuito l’assetto di un corpo sottoposto al potere esecutivo e, in particolare, al ministro della Giustizia.
Nel 1890, quando ormai esisteva da quasi trent’anni il Regno d’Italia, la nomina dei giudici non fu più rimessa al sovrano, ma ad appositi concorsi pubblici; nel 1907 fu quindi istituito un Consiglio superiore, composto da magistrati, che aveva il compito di fornire al ministro della Giustizia pareri sulle progressioni di carriera dei magistrati.
Il regime fascista (1922-43) determinò un arresto nel percorso di graduale aumento delle garanzie di indipendenza dei giudici, accentuando la struttura gerarchica dell’organizzazione giudiziaria.
L’indipendenza della magistratura sancita dalla Costituzione. Durante i lavori dell’Assemblea incaricata di redigere, nel 1946, la Costituzione della Repubblica italiana, vennero prese importanti decisioni: il potere giudiziario venne parificato agli altri poteri dello Stato e i magistrati vennero dichiarati inamovibili e autonomi. L’indipendenza della magistratura dal governo venne considerata un’esigenza e una conquista della democrazia; ma si determinò anche un orientamento contrario all’autogoverno dei magistrati, nel timore che i giudici divenissero una casta chiusa e potente.
La Costituzione che scaturì dai lavori di questa assemblea nel 1948 stabilisce, all’art. 101, che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. La norma garantisce anche l’indipendenza del singolo giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, e quella dell’ordine giudiziario nel suo complesso.
Le garanzie di indipendenza. La garanzia dell’indipendenza dei singoli magistrati esige, in primo luogo, che sia assicurata dall’ordinamento la loro posizione super partes e di assoluta estraneità alla controversia all’interno del processo. Tale garanzia trova espressione nel principio dell’assunzione per concorso e in quello della inamovibilità, ai quali non si può in nessun caso derogare «se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il consenso [del magistrato]».
La garanzia dell’indipendenza del magistrato come singolo si traduce, inoltre, nel divieto che altre e diverse autorità interferiscano con l’esercizio della funzione giurisdizionale.
L’indipendenza dell’ordine giudiziario nel suo complesso richiede invece l’autonomia della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato.
L’art. 104 della Costituzione stabilisce che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere e a garanzia di tale indipendenza attribuisce al Consiglio superiore della magistratura la funzione di autogoverno dei magistrati. A esso spettano le decisioni in materia di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.
Il principio secondo il quale la giustizia è amministrata in nome del popolo vale a rafforzare l’indipendenza della magistratura, istituendo l’unico collegamento possibile in uno Stato di diritto tra il giudice e la sovranità popolare, di cui la legge è la massima espressione.
Magistrati ordinari e magistrati speciali. Le garanzie esaminate riguardano i magistrati ordinari. Per quanto riguarda le magistrature speciali – Corte dei conti e tribunali militari – la Costituzione attribuisce alla legge ordinaria il compito di assicurarne l’indipendenza.
La Corte costituzionale ha precisato che l’indipendenza dei giudici speciali consiste nell’assenza di vincoli che comportino la loro subordinazione ad altri organi e nella garanzia di una certa forma di inamovibilità.