manierismo
Lo stile raffinato e stravagante che segnò la fine del Rinascimento
L’armonia dell’arte rinascimentale, con la regolarità geometrica delle forme, i colori limpidi e chiari, la rappresentazione dello spazio precisa e lineare, viene completamente abbandonata dagli artisti manieristi. Osservando le opere di Pontormo, Rosso Fiorentino e Parmigianino si rimane confusi e sorpresi: lo spazio è strano, le figure si allungano e si contorcono come impegnate in uno sforzo misterioso, i colori sono brillanti e violenti, i volti diventano minacciosi. Questa apparente confusione è il sintomo di una crisi artistica che si sviluppa per tutto il Cinquecento
Con il termine manierismo si indica un periodo storico artistico molto lungo, tanto che questa espressione serve a volte per significare in modo generico l’arte di tutto il Cinquecento. La definizione maniera venne impiegata per la prima volta dal biografo Giorgio Vasari nelle sue Vite (1550) con il significato di stile. Vasari, che aveva scritto il primo manuale di storia dell’arte moderna, pensava che l’arte moderna fosse iniziata con Giotto e da allora fosse gradualmente migliorata raggiungendo la perfezione con i grandi maestri del Rinascimento: Leonardo, Raffaello e soprattutto Michelangelo.
Poiché con costoro l’arte era giunta al massimo livello, secondo Vasari per gli artisti successivi non c’era speranza di migliorare ancora: a essi non restava altra alternativa che quella di imitare i grandi geni passati, in quanto nelle loro opere era dato già trovare ogni perfezione. È così che si arriva al manierismo, ovvero a uno stile che imita lo stile di altri.
Le caratteristiche di questa nuova corrente cominciano a manifestarsi intorno al 1515 a Firenze nelle opere di un gruppo di artisti inquieti e bizzarri come Iacopo Carrucci detto il Pontormo, Rosso Fiorentino e Andrea del Sarto. Narra sempre Vasari che costoro erano personalità dal carattere difficile: introversi, rivoluzionari e insofferenti, volevano mettere in discussione le regole dell’arte sperimentando nuove forme e nuovi colori di loro invenzione. Nel far questo non tenevano in nessuna considerazione le leggi naturali dello spazio e delle proporzioni e storpiavano figure ed espressioni.
Il vero e proprio manierismo prende avvio invece a Roma e ha un momento di massima espansione dopo il 1527, in coincidenza con il sacco di Roma. A seguito dell’invasione delle truppe di Carlo V e delle devastazioni operate dai suoi lanzichenecchi, la città papale, che aveva raccolto negli anni precedenti artisti provenienti da tutta Italia quali Francesco Mazzola detto il Parmigianino, Sebastiano del Piombo o Rosso Fiorentino, si svuota. Partono anche gli allievi di Raffaello sparpagliandosi per tutta l’Italia. In tal modo lo stile di Raffello e di Michelangelo si propaga nella Penisola e all’estero.
Finita la guerra, Roma si ripopola di artisti: ritornano Sebastiano del Piombo, Perin del Vaga, Daniele da Volterra, ma soprattutto ritorna Michelangelo nel 1534 e, due anni dopo, inizia l’affresco del Giudizio universale per la Cappella Sistina. Contemporaneamente si sposta da Firenze un gruppo di pittori molto legati a Michelangelo, quali Giorgio Vasari, Jacopino del Conte e Francesco Salviati. L’incontro di queste personalità nei più importanti cantieri romani promossi da papa Paolo III Farnese dà origine a uno stile uniforme, elegante e molto raffinato. Vasari e Salviati eliminano gli eccessi e le stranezze di Pontormo e Rosso, ma mantengono alcune caratteristiche essenziali tipiche della maniera.
I principali aspetti dello stile manierista derivano dalle novità introdotte da Michelangelo in pittura, scultura e architettura. Particolare successo riscuote la figura serpentinata, ovvero un modo di ritrarre la figura umana in posa quasi contorta, con la testa, le spalle, il busto e le gambe disposti in direzioni contrapposte. Alle pose forzate corrisponde spesso l’uso di colori innaturali, accesi e cangianti, anch’essi derivati dalle tinte usate da Michelangelo nella volta della Sistina.
Le comuni regole della prospettiva e delle proporzioni del corpo umano non vengono più seguite, le figure si fanno allungate e di una bellezza fredda e sensuale allo stesso tempo. In tal modo l’artista manierista crea una realtà virtuale, molto affascinante, che non ha più niente a che fare con quella in cui viviamo e che siamo abituati a conoscere.
Intorno agli anni Sessanta del Cinquecento questo linguaggio così aristocratico cominciò a essere aspramente criticato da alcuni teorici dell’arte. Costoro si mostravano molto preoccupati del fatto che l’arte fosse diventata così complicata e risultasse ormai incomprensibile alla maggior parte delle persone. L’ultima generazione degli artisti manieristi, nella quale spiccano i nomi di Federico Barocci, Gerolamo Muziano, Taddeo e Federico Zuccari, Jacopo Zucchi e Marcello Venusti, fino a Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino e Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, cerca di venire incontro a queste nuove esigenze, espresse in modo particolare dalla Chiesa, e prova a correggere lo stile manierista. Gli eccessi e le stranezze vengono eliminati e l’arte sembra ritornare alla rappresentazione della natura e del vero.
Lo straordinario successo di Raffaello a Roma, a partire dal 1508, produce una grande quantità di richieste all’artista, conteso da papi e cardinali. Per far fronte ai molti lavori il pittore organizza attorno a sé una fiorente bottega nella quale si formano personalità centrali per lo sviluppo della successiva corrente manierista. Nei cantieri della Villa Farnesina, di Villa Madama, delle Stanze e delle Logge vaticane Raffaello lascia buona parte del lavoro esecutivo e decorativo all’originale Giulio Romano, al fedele Perin del Vaga, a Giovanni da Udine, esperto in decorazioni che riproducono fiori e frutti, e a Polidoro da Caravaggio, specialista nella pittura di paesaggio.Il primo a lasciare Roma, dopo aver terminato alcune opere interrotte alla morte del maestro – tra cui la Stanza di Costantino in Vaticano – è Giulio Romano, chiamato dai Gonzaga a Mantova. Qui l’artista eseguì il suo capolavoro: l’architettura e la decorazione ad affresco del Palazzo Te.Perin del Vaga si sposta invece a Genova, dove decora il palazzo di Andrea Doria, mentre Giovanni da Udine ritorna nella città natale, per poi raggiungere Venezia. Polidoro è lo straordinario portavoce dello stile di Raffaello nel Sud d’Italia: muovendosi a Napoli e poi a Messina influenzerà molti artisti di quei luoghi.
Negli anni di pontificato di Paolo III Farnese le molte imprese artistiche promosse dal papa e dai suoi potenti nipoti, primo fra tutti Alessandro, vedono attive numerose squadre di decoratori messi al lavoro sotto la direzione di pittori che si comportano più come manager che come artisti. Giorgio Vasari dirige la campagna di affreschi nella Sala dei cento giorni in Palazzo della Cancelleria (1546), Perin del Vaga decora la Sala Paolina in Castel Sant’Angelo (1545-47); più tardi Taddeo Zuccari è a capo dell’impresa degli affreschi di Palazzo Farnese a Caprarola (1561-66) e, insieme a Francesco Salviati, di quelli di Palazzo Farnese a Roma (1563-64).In tutti questi cicli i temi scelti dalla storia antica e moderna servono a celebrare, con toni altisonanti, la figura del papa e dei nipoti e le loro gesta.