SCHIFANO, Mario
– Nacque il 20 settembre 1934 da Rosa Paganini e Giuseppe Schifano a Homs (Libia), dove il padre, archeologo restauratore, era impegnato negli scavi di Leptis Magna (Schifano 1960-1964..., 2005, p. 201). Nel 1941, nell’ambito delle operazioni di sfollamento degli italiani dalle colonie africane, fu trasferito con la famiglia a Roma, dove visse in due diversi campi profughi, prima a Cinecittà e poi a Trastevere, nella caserma Lamarmora. Finita la guerra, riprese a frequentare la scuola, abbandonandola però per insofferenza già alla fine della seconda media: fu così, per qualche tempo, garzone in una bottega di Trastevere. Nel 1951 iniziò a lavorare, come restauratore di terrecotte, al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, per intercessione del padre che vi era impiegato dalla fine della guerra; al contempo si dedicò al disegno e alla pittura da autodidatta.
Risale al 1954 la prima notizia di un suo evento espositivo, quando chiese un permesso lavorativo «per assentarsi il giorno 30-10-54 per presenziare all’inaugurazione della mostra d’arte, dove è personalmente interessato» (Roma, Archivio della Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria Meridionale Roma II: l’esposizione non è altrimenti documentata allo stato attuale delle ricerche). Tra il luglio 1956 e il dicembre 1957 sospese l’impiego museale per svolgere il servizio di leva, e al suo ritorno riprese, con maggior costanza, la pratica della pittura. Nel 1958 partecipò ad almeno due esposizioni: Lo Savio, Manzoni, Schifano, Uncini alla galleria Appia Antica e Mostra di pittura Premio Cinecittà organizzata in una delle sedi del Partito comunista in ottobre. Nel gennaio 1959 tenne una seconda collettiva ad Appia Antica, in compagnia di Renato Mambor e Cesare Tacchi, ed espose tele dipinte a smalto d’influenza ancora informale. Il 23 maggio di quello stesso anno s’inaugurò, sempre ad Appia Antica, la prima personale di Schifano, presentata da Emilio Villa: l’artista espose i recenti primi Cementi,opere dalla marcata caratterizzazione materica.
Nel 1960 avviò un ciclo di pitture monocrome, con lettere e numeri stampigliati, esposte per la prima volta nel novembre, alla mostra della galleria La Salita 5 pittori. Roma 60. Superato ogni retaggio informale, sperimentò per l’occasione la tecnica a smalto su carta intelata, che per anni avrebbe caratterizzato la sua produzione pittorica. Al 1961 datano i primi riconoscimenti ufficiali, tra cui la partecipazione al premio di incoraggiamento per giovani artistidella Galleria nazionale d’arte moderna di Roma e la vittoria del XII premio Lissone per la giovane pittura internazionale. Nel marzo di quello stesso anno si tenne poi, negli spazi della galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis, la seconda personale del pittore, con tele monocrome entro le quali si riconoscevano, ad angoli stondati, le forme di polaroid, diapositive, cartelli stradali: si trattava di veri e propri schermi pittorici su cui, di lì a poco, avrebbero fatto la loro comparsa immagini tratte dal vocabolario dei mass media. In questa occasione Schifano conobbe Ileana Sonnabend, già moglie di Leo Castelli, giunta dagli Stati Uniti con il secondo marito e intenzionata ad aprire una galleria in Europa. I coniugi Sonnabend misero l’artista sotto contratto d’esclusiva ed egli poté dunque licenziarsi, nel 1962, dall’impiego museale per dedicarsi completamente all’attività pittorica.
Primo risultato della collaborazione di Schifano con la Sonnabend fu la partecipazione del pittore a The New Realists, storica mostra tenutasi nell’ottobre 1962 alla Sidney Janis Gallery di New York. Schifano, che per l’occasione non raggiunse gli Stati Uniti, inviò una Propaganda con il logo della Coca Cola, ricerca cui era giunto nei primissimi mesi del 1962. In questo modo egli fu inserito in quel gruppo di artisti europei e americani (Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Jim Dine, Mimmo Rotella, Jean Tinguely, Christo) impegnati a quella data in ricerche new dada e pop. Il 1962 fu infatti l’anno di maggior coinvolgimento di Schifano in linguaggi tratti dal mondo della pubblicità e dell’arredo urbano, presto abbandonati in favore della reinterpretazione di temi legati alla secolare tradizione pittorica italiana quali il paesaggio, la natura, il museo: nell’aprile 1963 aprì alla galleria Odyssia di Roma, Schifano. Tutto con opere emblematiche quali O sole mio, Leonardo e Grande particolare di paesaggio italiano. Questa mostra segnò anche la rottura del rapporto, già logorato, con la Sonnabend, che, nella sua nuova galleria parigina, inaugurò, sempre nell’aprile 1963, la prima personale internazionale di Schifano in sua assenza, esponendo opere dipinte tra il 1961 e il 1962.
Nel dicembre 1963 l’artista partì, in compagnia della fidanzata Anita Pallenberg, per il primo viaggio americano, che lo vide a New York fino all’estate successiva. Nel corso di questo soggiorno si inserì attivamente nei gruppi della ricerca artistica più avanzata, frequentando, tra gli altri, Jasper Johns, Frank O’Hara e Andy Warhol. Presso la neonata sede newyorkese della galleria Odyssia tenne inoltre la sua prima personale americana, inaugurata nell’aprile 1964. Negli stessi mesi dipinse anche le tele – Beebe’s Garden Summer Morning, Parte superiore e When I remember Giacomo Balla, New York 1964 – inviate poi in Italia per la sua prima Biennale di Venezia, quella del 1964, cui fu invitato, con ogni probabilità, per intercessione di Maurizio Calvesi.
Nel 1965 iniziò a collaborare con lo Studio Marconi di Milano, dove realizzò una mostra personale con cadenza annuale fino al 1970. In quello stesso 1965 ebbe anche importanti riconoscimenti internazionali quali gli inviti alle biennali di San Marino e di San Paolo del Brasile e la partecipazione alla grande mostra sull’arte italiana contemporanea del National Museum of modern art di Tokyo. Nel frattempo, le sue tecniche pittoriche si aprivano sempre più a materiali nuovi come la vernice spray, stesa spesso con l’ausilio di mascherine di carta, e il plexiglass colorato, applicato in trasparenza sulle tele dipinte. Il ricorso a questi elementi era anche un segnale tangibile dell’influenza esercitata su Schifano da alcuni modelli americani – la pittura di Jim Dine e quella di Andy Warhol in primis – esperiti dal vivo durante i diversi viaggi negli Stati Uniti di quegli anni (dopo il viaggio del 1963-64 ne è testimoniato uno nel 1965). Queste tecniche trovarono applicazione particolarmente in alcune serie quali Futurismo rivisitato, Compagni compagni, Oasi e Tuttestelle, che ottennero un enorme successo di mercato, rendendo Schifano uno degli artisti più popolari e conosciuti anche presso il grande pubblico. Nel giugno 1967 l’artista venne incluso nella sezione “Immagine” all’interno della mostra Fuoco Immagine Acqua Terra organizzata alla galleria L’Attico di Roma. In quest’occasione non espose tele dipinte, ma scelse di proiettare fotogrammi di documentazione della guerra del Vietnam, uno dei primi esempi di sconfinamento della sua ricerca al di fuori della pittura. A partire dal 1964 la pratica pittorica di Schifano si aprì infatti ad altri media, soprattutto la fotografia e il cinema.I primi esperimenti video (Reflex e Round Trip) datano al 1964, mentre è del 1967 il primo cortometraggio, Anna Carini in agosto vista dalle farfalle, proiettato, in quello stesso anno, allo Studio Marconi. Seguì poi la trilogia cinematografica di Satellite, Umano non umano (presentato nel 1969 alla Mostra del cinema di Venezia nella sezione film sperimentali) e Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani (1968-69).
La vicenda umana di Schifano fu segnata, a partire dagli anni Sessanta, dall’uso di sostanze stupefacenti, con pesanti risvolti giudiziari che ebbero notevole eco sulla stampa generalista. Nel luglio 1966 l’artista fu infatti arrestato per la prima volta per detenzione di marijuana e trascorse tre mesi al carcere di Regina Coeli. Nel 1969 fu oggetto di due ulteriori procedimenti penali seguiti, negli anni Settanta, da altri quattro fermi, l’ultimo dei quali, nel 1975, conclusosi con un periodo di restrizione al manicomio di S. Maria della Pietà, scelto per evitare il carcere. Al 1983 data l’ultimo arresto per droga di Schifano: la sua vicenda giudiziaria si concluse in via definitiva solo nel 1997, quando la Corte d’appello di Roma cancellò le precedenti condanne riabilitando così l’artista.
Gli anni Settanta si aprirono per Schifano con la pratica di una nuova tecnica che coniugava le sperimentazioni pittoriche degli esordi con le successive ricerche fotografiche e cinematografiche. Nel 1970 l’artista iniziò a riportare, su tela emulsionata, immagini televisive ritoccate a smalto industriale, scelto per la brillantezza dei colori finali e per la velocità di asciugatura che ben si accordava con la rapidità esecutiva della sua pittura. In questa fase l’artista lavorava infatti per serie: quelle intitolate Paesaggi TV e Personaggi TV furono esposte per la prima volta allo Studio Marconi nel dicembre 1970 e presentate in catalogo da Tommaso Trini. In quello stesso 1970 l’artista si recò per l’ultima volta negli Stati Uniti, per i sopralluoghi del film Laboratorio umano, progetto che non vide mai la luce; fecero seguito, nel decennio, numerosi altri viaggi in Estremo Oriente e Africa. Sempre nel 1970 l’opera di Schifano fu oggetto di una prima ricapitolazione retrospettiva in occasione della mostra Vitalità del negativo curata da Achille Bonito Oliva, dove si videro opere dipinte dall’artista nei primi anni Sessanta quali Tempo moderno, Botticelli, Vero amore n. 3 (1962).
Nel 1974 si tenne la prima retrospettiva storica di Schifano, organizzata dall’istituto di storia dell’arte dell’università di Parma nel salone delle Scuderie in Pilotta per iniziativa di Arturo Carlo Quintavalle: vi vennero esposte quasi trecento opere che coprivano un ampio arco della produzione pittorica dell’artista tra il 1956 e il 1973, e la mostra fu accompagnata da un esaustivo catalogo. Nella seconda metà del decennio l’artista, oltre a ritornare per motivi di opportunità mercantile su alcune serie del passato quali le Propagande, varò nuovi cicli (tra i quali Al mare e Quadri equestri) in cui tornava centrale la riflessione intorno al medium pittorico considerato in sé, e attraverso cui esprimere una soggettività carica di pulsioni. Questa fase culminò con la mostra personale tenuta a palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1979, che sancì il rinnovato interesse della critica per Schifano, per l’occasione celebrato come padre nobile di quel “ritorno alla pittura” che iniziava a caratterizzare il clima artistico italiano ed europeo a quella data. Schifano, d’altro canto, condivise a lungo, con alcuni degli artisti della cosiddetta Transavanguardia, la collaborazione con il gallerista modenese Emilio Mazzoli, ma anche l’attenzione del critico ‘ufficiale’ di quel movimento, Achille Bonito Oliva.
Nel corso degli anni Ottanta, alla luce di questi sviluppi, Schifano prese a essere considerato un maestro indiscusso della scena artistica nazionale e internazionale: fu ad esempio uno dei pochi artisti della sua generazione a essere incluso da Germano Celant nella storica mostra Identité italienne, svoltasi al Centre Pompidou di Parigi nel 1981. Nel 1982 e nel 1984 egli fu nuovamente invitato alla Biennale di Venezia, mentre nel 1983 ebbe una personale alla Annina Nosei Gallery di New York. Nel 1984 venne invitato a tenere una mostra al Museo civico di Gibellina, dove dipinse in situ un ciclo di quadri a tema naturale, donati in seguito alla cittadina devastata dal terremoto del 1968. Nel 1985 gli vennero dedicate una mostra monografica, curata da Alain Cueff, al Musée Saint-Pierre art contemporain di Lione e una al Museum of modern art di San Francisco; nel 1987 vinse il premio speciale Fondazione Michetti per un artista attivo in Italia a partire dagli anni Sessanta. In questa fase la sua pittura divenne ricca e sensuale, con il colore pastoso applicato sulla tela direttamente dal tubetto. Nelle opere degli anni Ottanta Schifano ritornò su alcuni temi che l’avevano da tempo interessato, come quello della natura (con i cicli degli Orti botanici, dei Gigli d’acqua e dei Campi di grano) o quello della storia dell’arte e dell’archeologia. A quest’ultimo filone va ricondotta l’azione pittorica con cui egli inaugurò, nel 1985, l’Anno degli Etruschi a Firenze, realizzando in diretta, davanti a un folto pubblico e accompagnato da una telecronaca di Bonito Oliva, una chimera di dimensioni ambientali. Nello stesso 1985 il pittore sposò Monica De Bei e nacque il figlio Marco Giuseppe.
Nel 1990 la personale Schifano. Divulgare riaprì le sale del palazzo delle Esposizioni di Roma dopo una lunga chiusura. In quest’occasione l’artista espose opere di grandi dimensioni realizzate con l’impiego delle prime tecnologie digitali e della stampa da computer. Nel 1993 la Biennale di Venezia gli dedicò una sala personale, nella sezione Slittamenti, mentre nel 1994 il suo lavoro fu incluso nella mostra del Guggenheim Museum di New York The Italian Metamorphosis 1943-1968. Nel 1995 Schifano siglò un contratto d’esclusiva con Telemarket, società per la vendita di opere d’arte al grande pubblico attraverso canali innovativi quali la televisione, le aste e gli showrooms. In questo modo l’artista trasferì nella sua pratica pittorica modalità di produzione vicine a quelle seriali dell’industria, dichiarando di voler competere, per i tempi di realizzazione delle opere, con le macchine e le rotatorie per la stampa. In questi anni prestò la sua opera a cause sociali, collaborando con l’Alto commissariato per i rifugiati dell’ONU e con Greenpeace. Nel 1994 si recò ad Asmara, in Eritrea, dove documentò fotograficamente la grave situazione di disagio vissuta dai bambini ospitati in una missione dedicata all’infanzia. Nel 1996, durante un viaggio in Brasile, attuò un’azione di protesta, documentata dal video Making off, in polemica con le autorità di Rio de Janeiro, che avevano deciso di dipingere di verde tutte le baracche delle favelas per mimetizzarle alla vista, dipinse una di queste catapecchie di bianco, rendendola così visibile a grande distanza. Il decennio si chiuse con l’organizzazione di una mostra itinerante tra l’America del Sud (San Paolo del Brasile, Buenos Aires, L’Avana, Città del Messico) e l’Europa (1997-98) intitolata Musa ausiliaria, in riferimento al particolare rapporto che la pittura di Schifano ebbe nel corso dei decenni con il medium televisivo.
Il 26 gennaio 1998 l’artista morì all’ospedale S. Spirito di Roma per una fatale crisi cardiaca.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Latina, Fondo galleria La Tartaruga, fasc. racc. 81/61, Mario Schifano (2), mostre e opere; Roma, Archivio della Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria Meridionale Roma II, fascicolo 25, posizione IV, Mario Schifano; Roma, Archivio Maurizio Calvesi, busta “Mario Schifano”; Venezia, Archivio storico delle arti contemporanee, Esposizioni Biennali, Arti Visive, busta 126, “XXXII 1964. Sottocommissione XXXII – Atti regolamento XXXII”, 1962-1964, 3; Schifano. Tutto (catal.), testi a cura di M. Calvesi, Roma 1963; M. Schifano (catal.), a cura di A.C. Quintavalle, Parma 1974; M. Schifano (catal.), a cura di M. Meneguzzo, Ravenna 1982; Schifano. Opere 1957-1997 (catal., Conegliano), a cura di M. Goldin - A. Bonito Oliva, Milano 1998; Schifano 1960-1964. Dal monocromo alla strada (catal.), a cura di G. Marconi, Milano 2005; Schifano 1964-1970. Dal paesaggio alla TV (catal.), a cura di G[iorgio] Marconi - G[iò] Marconi, Milano 2006; L. Ronchi, M. S. Una biografia, Milano 2012; G. Gastaldon, Ileana Sonnabend e M. S.: un epistolario (1962-1963), in Storia dell’arte, 2015, n. 140, pp. 148-176.