In patologia umana e veterinaria, forma microbica dotata di vita autonoma. I m., originariamente chiamati PPLO (sigla di pleuropneumonia like organisms), possono considerarsi i più piccoli microrganismi capaci di crescere su terreni di coltura. Le cellule dei m., a differenza di quelle batteriche, non hanno una parete cellulare rigida, sono molto fragili e presentano un elevato polimorfismo. La più piccola unità riproduttiva è un granulo sferico di dimensioni minute, anche di soli 100 μm, dal quale, con processi di segmentazione e fusione si ottengono le varie forme (globulari, filamentose ecc.) aventi dimensioni fino a 300 μm.
I m. si colorano poco con i coloranti di anilina, bene con il Giemsa ed elettivamente con il metodo di Dienes (blu di metilene e azzurro II); sono gram-negativi. La loro coltivazione richiede l’uso di un terreno base complesso, con numerosi fattori di crescita. Sono resistenti ad alcuni antibiotici (penicillina, streptomicina), ma sensibili ad altri (tetracicline, eritromicina, oleandomicina). Sono molto diffusi in natura come saprofiti del suolo.
I m. sono responsabili di numerose forme patologiche (micoplasmosi), che colpiscono roditori, cani, uccelli, e l’uomo. Nei bovini provocano la pleuropolmonite dei bovini, nella pecora, Mycoplasma agalactiae produce lesioni mammarie, oculari, articolari e leucopenia. Per quanto riguarda la patologia umana, si distinguono: Mycoplasma hominis tipo 1, isolato dall’apparato genito-urinario, dal sangue e dal liquido pleurico; Mycoplasma hominis tipo 2 e Mycoplasma fermentans, isolati solo dall’apparato genito-urinario; Mycoplasma salivarum, Mycoplasma orale (Mycoplasma pharyngis) e Mycoplasma pneumoniae, isolati dall’apparato respiratorio. Dalle vie genito-urinarie sono stati isolati altri ceppi non ben caratterizzati, indicati come ceppi T, che producono sull’agar colonie piccolissime. Studi sui cofattori in caso di infezione da HIV-1 hanno messo in luce il ruolo patogenico di alcuni m. nel danno cellulare a carico del linfocita.
Il termine m. indicava il protoplasma della ruggine dei cereali, secondo una teoria, formulata da J. Erikson (1897) per spiegare lo svernamento delle ruggini, che ha ormai soltanto valore storico.