MUSICA CONTEMPORANEA.
– Linee di tendenza della musica contemporanea. Il panorama europeo. Le tendenze musicali statunitensi. Altre esperienze (inglesi ed) europee. La situazione italiana. Bibliografia
Linee di tendenza della musica contemporanea. – Nell’ambito della m. c. si classificano ormai fenomeni vasti e differenti. Questa espansione, riscontrabile già negli ultimi anni del 20° sec., va affiancata per contrasto alla sempre più scarsa frequenza di citazioni da parte di intellettuali e artisti, al persistente distacco del pubblico da opere ritenute fondamentali dalla musicologia critica e alla capillare diffusione dei dispositivi di diffusione sonora (v. musica e web; musicale, fruizione), che, filtrando ogni genere musicale attraverso l’ascolto amplificato, finiscono con l’assimilare l’esperienza della musica del passato, puramente acustica, a quella della musica elettronica o elettroacustica, erodendo così uno dei principali assi di collegamento fra la musica classica e la m. c., ancora solido nell’opera dei compositori del Novecento. Le piattaforme digitali hanno inoltre favorito la divisione della musica per generi, in cui la m. c. è definita in maniera spesso scomoda: classical, postclassical, indie classical, rasentando talvolta l’ossimoro contemporary classical.
La rivendicazione dell’appartenenza della m. c. a un più ampio contesto culturale ha dato luogo all’espressione musica colta, che comprende musica antica e classica, avanguardia e postavanguardia, proiettandosi nel presente con la dicitura occasionale di musica colta contemporanea. Tuttavia, sia l’appartenenza della m. c. all’ambito delle attività intellettuali e non a quelle di intrattenimento, sia la continuità di essa con la tradizione della musica classica quale discriminante per la sua legittimità, rimangono argomenti di discussione piuttosto che certezze consolidate (cfr. A. Baricco, Perché ci piace Pollock e la musica colta no?, «La Repubblica», 8 gennaio 2011). Nella visione del critico e musicologo statunitense Alex Ross (2010, pp. 3-21), la m. c. non è l’unica alla quale attribuire uno status artistico a differenza di altre, ma è semplicemente un genere musicale da collocarsi accanto ad altri generi, che contengono istanze culturali e sociali assai diverse.
Le ultime edizioni della Biennale di Venezia (2012-15) dirette da Ivan Fedele suggeriscono una possibile definizione attuale di m. c., mettendo in risalto la sua dipendenza strutturale da un testo scritto, coerente con la tradizione occidentale in cui compositore e interprete comunicano fra loro e con il pubblico attraverso quel testo, nel quale si definisce l’opera. Tale definizione entra però in contrasto con la tendenza a identificare un’opera musicale non più con la partitura, ma con una o più registrazioni di riferimento, estendendo all’ambito della musica classica quanto già accade nella musica popolare (cfr. J.-J. Nattiez, Le combat de Chronos et d’Orphée, 1993; trad. it. 2004, pp. 106-30).
Verso altre direzioni si muovono il festival MiTo Settembre Musica, in cui per volontà del direttore artistico Enzo Restagno sono state preferite monografie su autori rappresentativi rispetto a criteri definitori, contribuendo con pubblicazioni annuali al costante allargamento di orizzonte della musica del presente, e il festival Milano Musica che illustra aspetti assai diversi della m. c., spaziando dalla rarefazione delle trame sonore di Morton Feldman (edizione 2013), a quelle di Fausto Romitelli (edizione 2014), dense, allucinate, piene di riferimenti alla musica rock.
Una parziale ricognizione delle esperienze recenti aiuterà a stabilire alcune linee di tendenza.
Il panorama europeo. – In Francia, l’IRCAM (Institut de Recherche et Coordination Acoustique/Musique), inaugurato a Parigi nel 1977, ha favorito la nascita di fenomeni diversi quali la musica spettrale, l’applicazione di tecniche digitali alla composizione, il software Max/MSP.
Nelle opere di riferimento della musica spettrale: Les espaces acoustiques (1976-85) di Gérard Grisey (1946-1998),Gondwana (1980) di Tristan Murail (n. 1947), i parametri dell’armonia sono pensati secondo la prospettiva timbrica e viceversa, e a loro volta timbro e armonia sono proiettati su un asse temporale, inteso sia come tempo di inviluppo, cioè produzione delle singole componenti parziali rispetto al suono fondamentale, sia come tempo di sviluppo, cioè come struttura della successione di eventi sonori, dunque come forma musicale, in graduale trasformazione. Più recentemente i fondatori dell’ensemble L’Itinéraire, Michaël Levinas (n. 1949), Murail e Hugues Dufourt (n. 1943) hanno ricercato analogie fra fenomeni sonori e altri fenomeni fisici, acustici e culturali, indagando, per es., il rapporto luce-colore (H. Dufourt, Lucifer, d’apres Pollock, 1992-2000, per grande orchestra), attingendo all’eredità di forme narrative quali il poema sinfonico (T. Murail, Légendes urbaines, 2006, per grande ensemble), o chiamando in causa l’espressività della voce lirica e il teatro musicale (M. Levinas, GO-gol, 1996; Les nègres, 2003; Chansons pour la Loterie Pierrot et Jean Lagrèle, 2008).
Delle risorse della tecnica spettrale si avvale la finlandese Kaija Saariaho (n. 1952): dopo aver definito una personale cifra stilistica con Lichtbogen (1986), per ensemble ed elettronica, e Graal théâtre (1994), per violino e orchestra, Saariaho è riuscita a trasferire nel teatro il fascino onirico e simbolico della sua musica con L’amour de loin (2000), opera sulla figura del trovatore Jaufré Rudel su libretto di Amin Maalouf, proseguendo in direzione di ancor più articolate suggestioni scenografiche con Laterna magica (2008) con riferimento a Ingmar Bergman, ovvero affrontando il tema della condizione femminile con due lavori: La passion de Simone (2006), oratorio sulla vita e gli scritti di Simone Weil, ed Émilie (2008), monodramma lirico dedicatoa Émilie du Châtelet, scienziata del Settecento.
Il connazionale Magnus Lindberg (n. 1958), ha indagato i rapporti fra musica spettrale, concreta e seriale nella trilogia di composizioni per larghi organici ed elettronica:Kinetics (1989), Marea (1990) e Joy (1990); successivamente, con Aura (1994), Arena (1995) e Cantigas (1999) ha intrapreso un percorso di recupero dell’articolazione romantica della forma che, insieme alla forte energia sonora presente nella sua musica, lo ha condotto a esiti di grande comunicabilità nel Concerto per orchestra (2003), Expo(2009), con cui ha inaugurato un biennio di residenza presso la New York Philharmonic Orchestra, e nel Secondo concerto per pianoforte e orchestra (2012).
Lo spettralismo ha influenzato anche i compositori allievi dell’ungherese György Ligeti (1923-2006). In Schnee (2008), per grande ensemble, il danese Hans Abrahamsen (n. 1952) ricorre alle risorse polifoniche del canone, per investigare le possibilità combinatorie di suoni ottenuti con tecniche di produzione inusuali, creando un’atmosfera sonora cristallina e rarefatta, le cui armonie possono essere ricondotte alle risonanze naturali di spettri armonici. Il Concerto per violino (2001), della coreana Unsuk Chin (n. 1961) comincia con il produrre risonanze iridescenti simili a quelle spettrali, ma diverse sorgenti di ispirazione, dal Gamelan alla polifonia antica, dalle campane orientali all’organo a bocca cinese (cfr. Šu, per sheng e orchestra, 2009), danno origine a un prisma di timbri che rispecchia lo stupore e la grazia di Alice in Wonderland, opera composta nel 2007. Altri autori francesi – Philippe Hurel (n. 1955), Philippe Leroux (n. 1959), François Paris (n. 1961), Yan Maresz (n. 1966), Bruno Mantovani (n. 1974) – hanno inserito i processi spettrali di trasformazione del suono nei loro percorsi individuali, al pari di altre esperienze della musica colta o extracolta (soprattutto Maresz), preferendo la ricerca dell’efficacia di scrittura all’appartenenza manifesta a scuole o correnti.
Le tecniche di elaborazione digitale applicate alla composizione per strumenti acustici, al pari di suggestioni della musica rock e blues, hanno dato luogo alla saturazione sonora, derivazione estrema della tecnica spettrale, che accomuna il lavoro di Raphaël Cendo (n. 1975) e Franck Bedrossian (n. 1971). La saturazione, parente stretta dell’effetto overdrive che genera suoni alieni al controllo del musicista, consiste sia nello spingere i gesti esecutivi oltre il limite gestibile dall’interprete, sia nel perseguire nell’atto compositivo degli esiti non interamente prevedibili ed estranei a sistemi musicali chiusi.
Il software Max/MSP per la programmazione grafica e l’interazione in tempo reale, nato all’IRCAM nella seconda metà degli anni Ottanta e sviluppato dalla società Cycling ’74, è oggi utilizzato in gran parte dei progetti che prevedano l’utilizzo dell’elettronica. Partita I (2006) di Philippe Manoury (n. 1952) realizza la polifonia virtuale già immaginata da Johann Sebastian Bach, cui il titolo fa esplicito riferimento, chiamando la viola solista a generare suoni rielaborati elettronicamente dal computer e a interagire con essi durante il progressivo svolgersi dell’esecuzione, rimodulando le caratteristiche dello strumento antico in base all’acquisizione di nuove potenzialità sonore ed espressive.
La carriera di Henri Dutilleux (1916-2013) ha seguito invece percorsi differenti. I riconoscimenti internazionali ottenuti grazie a lavori come la Symphonie n° 1 (1951), Tout un monde lointain (1970) per violoncello e orchestra, Ainsi la nuit (1977) per quartetto d’archi, gli hanno meritato una fama di ispirato sinfonista e di artista solitario; la sua musica è stata promossa da interpreti legati più al mondo della musica di repertorio che a quello della musica d’avanguardia: Mstislav L. Rostropovič, Anne-Sophie Mutter, dedicataria di Sur le même accord (2002) per violino e orchestra, i Berliner Philharmoniker, committenti di Correspondances (2003) per soprano e orchestra, Renée Fleming, dedicataria del ciclo di Lieder Le temps l’horloge (2007). Pascal Dusapin (n. 1955) condivide con Dutilleux la dote per il disegno di ampie forme, il respiro sinfonico, la capacità di narrazione, l’indipendenza artistica dalle correnti più radicali; a essi Dusapin unisce la passione per il teatro, evidente nelle sette opere liriche composte finora, tra cui Perelà, uomo di fumo (2003), da Aldo Palazzeschi; Faustus. The last night (2004), su libretto del compositore, da Christopher Marlowe; Passion (2008), sul mito di Orfeo. Nel 2013 Dusapin ha preso posizione contro gli attacchi rivolti alla musica atonale da Jérôme Ducros durante una conferenza presso il Collège de France: L’atonalisme. Et après? innescando una discussione pubblica sulla politica culturale che negli anni ha sostenuto le poetiche più vicine al modernismo: ultimamente infatti hanno attratto attenzione le opere di Guillaume Connesson (n. 1970) e Régis Campo (n. 1968), cui può essere associato l’italiano Nicola Campogrande (n. 1969), che guardano alle diverse musiche esistenti come a un repertorio entro il quale muoversi liberamente, senza la necessità di delimitare il registro espressivo in un territorio esclusivo.
In Germania, proseguendo nella direzione indicata da Hans Werner Henze (1926-2012), l’instancabile attività creativa di Wolfgang Rihm (n. 1952) associata a quella di compositori della stessa generazione: Hans-Jürgen von Bose (n. 1953), Manfred Trojahn (n. 1949), Detlev Müller-Siemens (n. 1957), ha dato vita a una ricca produzione da parte di autori più giovani. L’urgenza dell’espressione individuale è in primo piano sia nella musica strumentale sia nelle opere teatrali di Detlev Glanert (n. 1960), come nella musica di Matthias Pintscher (n. 1971), oggi direttore musicale dell’Ensemble Intercontemporain di Parigi, e di Jörg Widmann (n. 1973); in questi autori l’espressionismo di matrice novecentesca si coniuga con istanze più vicine alla sensibilità del 21° sec. quali la segmentazione del percorso temporale, le sovrapposizioni di stili, la libera combinazione di elementi del passato e del presente per soddisfare i propri scopi espressivi.
Nonostante Rihm riconosca nella sua musica l’influenza di Helmut Lachenmann, quest’ultimo ha interpretato in maniera molto più radicale il rifiuto della tradizione musicale, quando essa sia trasformata in consuetudine: «ovunque le musiche dovrebbero essere causa di irritazione» (H. Lachenmann, W. Rihm, Conversazioni e scritti, a cura di E. Restagno, 2010, p. 20). Una posizione così estrema fa sì che i suoi discepoli, diretti o indiretti, abbiano coniugato la sua ricerca con istanze diverse: nei lavori dell’austriaco Clemens Gadenstätter (n. 1966) oggetti produttori di suoni fortemente connotati (sirene, radiosveglie ecc.) sono posti a confronto con strumenti tradizionali dell’orchestra; gli italiani Mauro Lanza (n. 1975) e Francesco Filidei (n. 1973) uniscono al rigore del caposcuola tedesco una singolare vocazione ludica, che si coniuga con originalità agli insegnamenti di Salvatore Sciarrino e alla ricerca scientifica sulla struttura del suono condotta presso l’IRCAM; nel caso di Lorenzo Pagliei (n. 1972), anch’egli attivo all’IRCAM, la ricerca di nuovi territori di espressione ha condotto all’invenzione di interfacce musicali innovative che permettono di immaginare una nuova liuteria integrata con strumenti digitali di elaborazione del gesto esecutivo.
In direzione opposta si sviluppa l’attività di compositore, autore teatrale, regista e organizzatore di Heiner Goebbels, il quale prende le mosse dal pensiero musicale di Hanns Eisler (1898-1962) per definire l’opera musicale all’interno di un più vasto campo di interesse intellettuale, strettamente connesso con questioni politiche e con le pratiche correnti delle altre arti dello spettacolo, alla ricerca esplicita di un veicolo di comunicazione che sottragga la m. c. al rischio di autoreferenzialità.
Una traiettoria simile, ma con esiti diversi, è seguita da Louis Andriessen (n. 1939), il principale esponente della cosiddetta Scuola dell’Aia, caratterizzata da una scrittura musicale aggressiva, antiromantica e piena di ritmi incalzanti, parallela a quella del minimalismo statunitense (v. minimal music), unita alla ricerca di estrema chiarezza concettuale, cui appartengono anche i neerlandesi Cornelis de Bondt (n. 1953), Huib Emmer (n. 1951), Diderik Wagenaar (n. 1946) e Gilius van Bergeijk (n. 1946) oltre ai numerosi allievi del conservatorio della città dove Andriessen ha insegnato per molti anni, fra cui Martijn Padding (n. 1956), Yannis Kyriakides (n. 1969), Michel van der Aa (n. 1970) e, in contesto internazionale, Steve Martland (19542013) e Graham Fitkin (n. 1963). Il punto centrale per Andriessen, già esplicito a partire dagli anni Settanta – Workers union (1975), Mausoleum (1979), De Snelheid (1984), De materie (1988) – e verificabile in tutta la produzione successiva, è la relazione che la musica intrattiene con il mondo del pensiero, della politica, con la letteratura, il teatro e le altre arti, includendo il cinema e la videoarte, con cui si sono cimentati con successo sia Andriessen: M is for Man, Music, Mozart (1991) su un video di Peter Greenaway; La Commedia (2008), film opera per la regia di Hal Hartley; sia van der Aa, nel doppio ruolo di compositore e regista: One (2002), opera da camera per soprano, video e soundtrack; Up-close (2010), per violoncello, orchestra d’archi e video; Sunken garden (2012), film opera. Ad Andriessen si sono rivolti molti compositori in cerca di una via di sviluppo al minimalismo; seguendo i suoi incoraggiamenti, diversi allievi hanno fondato ensembles guidati da uno o più compositori, fra i quali meritano menzione la Steve Mart land Band, la Graham Fitkin Band e i Bang on a can di New York.
Le tendenze musicali statunitensi. – Sotto la direzione di David Lang (n. 1957), Michael Gordon (n. 1956) e Julia Wolfe (n. 1958), il gruppo Bang on a can si caratterizza per la fusione dell’energia della musica rock e del free jazz in un linguaggio dominato dalla reiterazione di elementi facilmente riconoscibili, sovrapposti e combinati in forme complesse. I tre compositori, oltre ad aver firmato insieme alcuni lavori, The carbon copy building (1999), Lost objects (2001), Shelter (2005), percorrono carriere individuali non prive di importanti riconoscimenti (premio Pulitzer 2008 e Grammy award 2010 a Lang per The little match girl passion) e hanno stabilito rapporti fecondi anche con musicisti elettronici, trasformando, per es., il classico della musica d’ambiente Music for airports di Brian Eno in una composizione per soli strumenti acustici. Unitamente alla casa discografica Cantaloupe, i Bang on a can sono catalizzatori del lavoro dei compositori influenzati dal minimalismo e dal postminimalismo: John Luther Adams (n. 1953), premio Pulitzer 2014 per Become ocean; Martin Bresnick (n. 1946) e Frederic Rzewski (n. 1938), figure autorevoli di riferimento; Annie Gosfield (n. 1960) e Arnold Dreyblatt (n. 1953) che attraverso ritmi reiterati sperimentano ai confini fra suono e rumore; Derek Bermel (n. 1967), Glenn Branca (n. 1948), Evan Ziporyn (n. 1959), Iva Bittová (n. 1958), Steven Mackey (n. 1956), che guardano alla musica popolare sovvertendone le sonorità. D’altronde, il legame fra minimalismo, dance e rock sperimentale si è fatto negli anni sempre più evidente: nel 2005 l’ensemble Alarm will sound ha presentato in versione interamente acustica la musica elettronica di Aphex Twin; dopo la pubblicazione del disco Reich remixed (1999), in cui alcuni fra i maggiori deejay rielaboravano la musica di Steve Reich, il maestro del minimalismo, ha preso come materiale due canzoni della band inglese Radiohead in Radio rewrite (2012); in direzione convergente, il chitarrista della band, Jonny Greenwood (n. 1971), ha intrapreso una fortunata carriera di compositore, confrontandosi, per es., con il polacco Krzysztof Penderecki (n. 1933) in 48 Responses to Polymorphia (2012). Sedeejay famosi (Jeff Mills, Blue potential, 2005), musicisti elettronici (Ryoji Ikeda, Op, 2002) e chitarristi rock (Thurston Moore, Stroking piece No. 1, 2003) si avventurano ormai con successo nel campo della composizione per strumenti classici, la formazione accademica e la frequentazione di territori musicali alternativi è comune a gran parte dei compositori emergenti; si vedano, per es., Nico Muhly (n. 1981), autore di colonne sonore (The Reader, 2008, The Reader - A voce alta, di Stephen Daldry), capace di creare arrangiamenti per il gruppo islandese Sigur Rós e di comporre opere liriche per il Metropolitan (Two boys, 2011); Mason Bates (n. 1977), che si introduce nell’orchestra con il suo dj set The rise of exotic computing (2013); gli inglesi Anna Clyne (n. 1980), apprezzata da Riccardo Muti come compositrice residente presso la Chicago Symphony Orchestra, e Max Richter (n. 1966), autore del fortunatissimo Recomposed by Max Richter. Vivaldi, The four Seasons (2012).
Agli aspetti più vistosi della cultura pop, per rivelare la bellezza spregiudicata della finzione, fanno riferimento sia lo statunitense Michael Daugherty (n. 1954), nell’opera Jackie O (1997) e nelle composizioni per orchestra Radio City. Symphonic fantasy on Arturo Toscanini and the NBC Symphony Orchestra (2011), American Gothic (2013), Lost Vegas (2012), sia l’inglese Mark-Anthony Turnage (n. 1960), autore dell’opera Anna Nicole (2011), sulla vita della playmate Anna Nicole Smith. In altri lavori, come nel fortunato Blood on the floor (1996), frutto della collaborazione con i musicisti jazz John Scofield, Peter Erskine e Martin Robertson, Turnage partecipa al progetto di dialogo fra generi diversi che è valsa la fama al cinese Tan Dun (n. 1957), premio Oscar per la colonna sonora del film di Ang Lee Wo hu cang long (2000; La tigre e il dragone), autore di un’opera dal titolo programmatico Marco Polo (1996) e di The first emperor (2006) con Placido Domingo nel ruolo dell’imperatore Qin, nonché della Water passion after st. Matthew (2000) che, unitamente al Water concerto (1998), Paper concerto (2003), e all’Earth concerto (2009), quest’ultimo in rifermento al Canto della terra di Gustav Mahler, costituiscono un ponte fra il mondo musicale orientale e occidentale. Il repertorio klezmer, la familiarità con il tango e la musica classica sono fondamentali per l’argentino Osvaldo Golijov (n. 1960) in lavori come The dreams and prayers of Isaac the blind (1994), per clarinetto klezmer e quartetto d’archi; Ayre (2004), ciclo di folk song per soprano ed ensemble; Azul (2006), per violoncello e orchestra.
Più vicina agli strumenti tradizionali, ma non per questo passatista è la produzione di: John Corigliano (n. 1938), che dalla colonna sonora del film Le violon rouge (1998; Il violino rosso) di François Girard ha tratto il Concerto per violino e orchestra (2003); Christopher Rouse (n. 1949), autore a oggi di quattro sinfonie e numerosi concerti; Steven Stucky (n. 1949), premio Pulitzer nel 2005 con il Second Concerto for orchestra; Tobias Picker (n. 1954) compositore di numerose opere fra cui An American tragedy (Metropolitan Theatre, 2006); Robert Beaser (n. 1954) la cui pregevole produzione per chitarra si è arricchita di un Concerto (2009) scritto per Eliot Fisk; Richard Danielpour (n. 1956), autore fra l’altro di Margaret Garner (2005), opera in collaborazione con la scrittrice premio Nobel Toni Morrison; Aaron Jay Kernis (n. 1960), cui i lavori Air (1996), Musica instrumentalis, (1997), Musica celestis (1990), Symphony in waves (1989), hanno valso precoci riconoscimenti internazionali.
La tragedia dell’11 settembre 2001 non è passata senza eco nella produzione dei compositori statunitensi: WTC 9/11 è il titolo iconico di una composizione scritta nel 2010 da Reich, mentre più allusivo è il titolo dell’acclamato On the transmigration of souls (2002) di John Adams i cui lavori più recenti procedono nella originale rielaborazione della memoria musicale, Absolute Jest (2012), e di forme tradizionali, The gospel according to the other Mary (2013). Un simile atteggiamento di ripensamento e attualizzazione, ma non di rottura con il passato si riscontra nella musica del finlandese Esa-Pekka Salonen (n. 1958), apprezzatissimo direttore d’orchestra, capace di sfruttare la consuetudine con i migliori interpreti per fini di comunicazione diretta e mai banale, come nei brillanti Concerti per violino (2009) e per pianoforte (2007).
Altre esperienze (inglesi ed) europee. – L’attività parallela come direttore d’orchestra accomuna diversi compositori inglesi, che trovano la propria voce all’interno dei mezzi tradizionali dell’orchestra, dell’opera e della musica da camera. Le opere di George Benjamin (n. 1960), Into the little hill (2006) e Written on skin (2012), entrambe su libretto di Martin Crimp, riescono a coniugare la tecnica raffinatissima con le esigenze dello sviluppo drammatico e del ritmo teatrale. Powder her face (1995), esordio teatrale di Thomas Adès (n. 1971), ha fatto scoprire un talento poderoso per il teatro musicale, confermato da The Tempest (2004), da Shakespeare, che si riflette anche in Asyla (1997), per orchestra, con il quale Simon Rattle ha inaugurato nel 2002 la sua direzione dei Berliner Philharmoniker, commissionando il successivo Tevot (2007), nel concerto per violino Concentric paths (2004) e nei lavori con il videoartista Tal Rosner: In seven days (2008); Polaris (2011). Similmente a John Tavener (1944-2013), ma con esiti diversi, James MacMillan (n. 1959) riconduce le ragioni del far musica alla testimonianza religiosa, non priva di dubbi e interrogazioni, come in St. John Passion (2007), che sviluppa il discorso iniziato da The confession of Isobel Gowdie (1990) e Veni, Veni, Emmanuel (1992), mentre il mondo di fantasia di Maurice Sendak, messo in musica da Oliver Knussen (n. 1952) – Where the wild things are (1979-83), Higglety Pigglety Pop! (1985, rev. 1999), si infrange sul dolore e la commozione del Requiem. Songs for Sue (2006).
Nel 2013 la rivista inglese «Gramophone» ha attribuito il premio come miglior disco all’incisione di Seven (2006) per violino e orchestra dell’ungherese Peter Eötvös (n. 1944), molto apprezzato anche come direttore, a dimostrazione della fruttuosa contiguità fra attività di compositore ed esecutore, caratteristica condivisa dal connazionale György Kurtág (n. 1926), attivo come pianista in formazioni cameristiche e considerato a buon diritto il più importante compositore ungherese vivente. Ma se la produzione di Kurtág è splendidamente risolta nella dimensione della miniatura, Eötvös punta invece alla costruzione di forme estese, evidenti nelle sue opere, assai rappresentate, fra cui spiccano Three sisters (1997), da Anton Čechov, e Angels in America (2004), da Tony Kushner. Inimitabile, la musica di Kurtág è ammirata da molti e trova inedite corrispondenze nei territori misteriosi esplorati dall’italiano Stefano Gervasoni (n. 1962), professore di composizione presso il Conservatorio di Parigi, la cui raffinata abilità si rivela nell’intimità dell’espressione musicale.
L’estone Arvo Pärt (n. 1935) rimane uno dei compositori viventi più eseguiti al mondo. L’integrità morale con cui in Unione Sovietica affrontò le critiche per aver dichiarato la sua fede religiosa (Credo, 1968), ha portato il compositore, in seguito all’assassinio di Anna Politkovskaya, a dedicare tutte le esecuzioni delle sue musiche alla giornalista russa e a schierarsi apertamente contro Vladimir Putin, dedicando la Quarta Sinfonia (2008) al suo oppositore Mikhail Khodorkovsky. Analogie con la sua musica si riscontrano nell’opera del connazionale Erkki-Sven Tüür (n. 1959), del georgiano Giya Kancheli (n. 1935), dell’armeno Tigran Mansurian (n. 1939) e della russa Sofia Gubaidulina (n. 1931).
Figura appartata della m. c., il finlandese Einojuhani Rautavaara (n. 1928) ha guadagnato nel tempo la stima dei migliori interpreti, come dimostra l’incisione integrale dei Concerti per strumento solista e orchestra, ove figurano, tra gli altri, il pianista Vladimir Ashkenazy, il clarinettista Richard Stoltzman e, curiosamente, anche le creature immortalate nel celebre Cantus arcticus (1972), concerto per uccelli e orchestra.
La situazione italiana. – In Italia, i compositori che riscuotono maggior successo di pubblico, Ludovico Einaudi
(n. 1955) e Giovanni Sollima (n. 1962), partecipano alle sorti del movimento neotonale iniziato negli anni Ottanta da Lorenzo Ferrero (n. 1951), Carlo Galante (n. 1959), Paolo Arcà (n. 1953), Matteo D’Amico (n. 1955), Marco Betta (n. 1964) e Marco Tutino (n. 1954), che ha contribuito a diffondere l’interesse verso le esperienze della musica minimalista e postminimalista statunitense ed europea. In questa direzione guarda il gruppo milanese Sentieri selvaggi, fondato nel 1997 dai compositori Carlo Boccadoro (n. 1963), Filippo Del Corno (n. 1970) e dal giornalista Angelo Miotto, costituito da musicisti attenti sia alle nuove composizioni scritte dai fondatori del gruppo o da compositori affini (fra le molte Bad blood, 2002, di Boccadoro, e Musica profana, 2001-11, di Del Corno) sia alle collaborazioni con musicisti jazz, rock e pop. Il successo riscosso da Einaudi e Sollima, che uniscono una solida preparazione classica al gusto per la semplicità della musica popolare, ha incoraggiato d’altra parte molti autori a comporre brani di breve durata, con melodie riconoscibili e armonie semplici, pro-posti spesso in concerto dal compositore medesimo, come accade nella musica leggera. Ne è dimostrazione Giovanni Allevi (n. 1969), che rivendica polemicamente il ruolo di rappresentante della musica contemporanea.
L’attrazione verso mondi musicali lontani era d’altronde già palese, seppur in forma diversa, nel lavoro di Fausto Romitelli; insieme con i compositori del collettivo Sincronie, Riccardo Nova (n. 1960), Giovanni Verrando (n. 1965) e Massimiliano Viel (n. 1964), Romitelli ha aperto la strada all’esplorazione dei rapporti della musica di scrittura con altre forme di espressione musicale, proponendo l’integrazione fra i suoni amplificati e distorti caratteristici di certa musica rock, entro una cornice non lontana dalla matrice spettrale.
Simili interessi si rispecchiano nella fondazione di ensembles come Repertoriozero, formato nel 2008 solo da strumenti amplificati, o come Alter ego, nato nel 1991, che sperimenta collaborazioni con musicisti della scena elettronica (Pan Sonic, Scanner, Matmos) e hip-hop (Frankie Hi-nrg). Programmaticamente elettronico è il collettivo di compositori Edison Studio: Fabio Cifariello Ciardi (n. 1960), Luigi Ceccarelli (1953), Mauro Cardi (n. 1955) e Alessandro Cipriani (n. 1959) hanno intrapreso interessanti progetti interdisciplinari, fra cui la composizione istantanea di colonne sonore per film muti. La loro attività si affianca a quella di centri di ricerca più longevi: Tempo Reale, fondato da Luciano Berio a Firenze nel 1987 o Agon, fondato nel 1990 a Milano, le cui attività propulsive assolvono anche importanti compiti didattici. Da fondamentali esperienze con la musica elettronica prendono le mosse Michele Tadini (n. 1964), vincitore del Prix Italia 2008 con il radiofilm La musica nascosta, e Marco Stroppa (n. 1959) la cui idea della musica come ricerca s’intreccia con l’indagine sulle proprietà della percezione, nonché i più giovani Jacopo Baboni Schilingi (n. 1971), autore sia di musiche da concerto sia di istallazioni sonore interattive al confine con la Sound art, Emanuele Casale (n. 1974) le cui ricerche sul linguaggio dei suoni hanno convinto Noam Chomsky a partecipare alla talk opera Conversazioni con Chomsky (2013), Oscar Bianchi (n. 1975), che ha sviluppato alcune intuizioni di Romitelli interagendo con strumenti insoliti, Crepuscolo (2004), per flauto dolce contrabbasso ed elettronica, Fluente (2013) per due voci e cornamusa, o proiettandole su più grande scala, Oneness (2013) per clarinetto basso, corno di bassetto e orchestra.
Nonostante le crescenti difficoltà economiche, il teatro rimane al centro dell’interesse nella vita musicale italiana. Il rapporto con il gesto e con il corpo è fondamentale nella musica di Azio Corghi (n. 1937), che insieme a José Sara-mago (premio Nobel per la letteratura 1998) ha realizzato le opere Blimunda (1990), Divara (1993), Il dissoluto assolto (2005); e i lavori drammatici La morte di Lazzaro (1995), Cruci-Verba (2002), De paz e de guerra (2002). Degli insegnamenti di Corghi hanno fatto tesoro, tra gli altri, Silvia Colasanti (n. 1975), autrice di una musica lirica e irrequieta che si riflette sia nelle trame strumentali (Variazioni sull’inquietudine, 2011; Concerto per violoncello e orchestra, 2012) sia nel teatro musicale (Faust, 2011, da Fernando Pessoa; La metamorfosi, 2012, da Franz Kafka), e Alberto Colla (n. 1968), vincitore nel 2001 del concorso teatrale indetto dalla Scala di Milano con Il processo, da Kafka, e autore di Somnium, per coro e orchestra, con cui nel 2002 è stato inaugurato l’auditorium Parco della Musica di Roma.
Esiti teatrali ha avuto l’attività di Giorgio Battistelli (n. 1953) sin dall’originale esordio Experimentum mundi (1981), che continua a mostrarsi attuale anche grazie alle rielaborazioni del 2004 Experimentum mundi remix ed Experimentum mundi continuum (Prix Italia 2005); la fonte cinematografica dei libretti ha dato luce a Prova d’orchestra (1995) da Federico Fellini; Miracolo a Milano (2007) da Vittorio De Sica; Divorzio all’italiana (2008) da Pietro Germi; Il medico dei pazzi (2014) dalla commedia di Eduardo Scarpetta; il confronto teso con la riflessione politica sul presente è al centro di Sconcerto (2010), in cui il direttore d’orchestra impossibilitato a dirigere si eleva a metafora dell’incapacità dell’intera società a orientarsi nel mondo presente, e in CO2 (2015) sui rischi della devastazione ambientale. Fondamentalmente teatrale è anche la scrittura di Fabio Vacchi (n. 1949), che pone l’opera al centro di una complessa rete di relazioni con il pensiero e la scrittura contemporanea; fruttuose sono state le collaborazioni con Franco Marcoaldi: La burla universale (2001); Il letto della storia (2003); con Michele Serra: La madre del mostro (2007); D’un tratto nel folto del bosco (2010), da un racconto Amos Oz con il quale Vacchi ha realizzato in seguito l’opera Lo stesso mare (2011); con Aldo Nove Mi chiamo Roberta, (2006); con Ermanno Olmi, regista alla Scala dell’opera Teneke (2007) su soggetto di Yaşar Kemal, e dei film Il mestiere delle armi (2001) e Centochiodi (2007) per i quali Vacchi ha composto le musiche. Anche nei lavori più recenti di Ivan Fedele (n. 1953) – Antigone (2006), opera lirica commissionata dal Maggio musicale fiorentino, punto d’arrivo della suo percorso compositivo e foriero di nuovi sviluppi –, di Luca Francesconi (n. 1956) – Quartett (2011) da Heiner Müller, su commissione del Teatro alla Scala –, e di Alessandro Solbiati (n. 1956), Leggenda (2011), dai Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, per il Teatro Regio di Torino, è possibile riscontrare un rinnovato interesse per la vocalità e la ferma fiducia nella capacità del teatro di dar risonanza universale ai conflitti interiori.
Passione politica e rivendicazione sociale sono temi ricorrenti nella produzione teatrale degli ultimi anni; si vedano, per es., Il sogno di una cosa (2014) di Mauro Montalbetti (n. 1969), su libretto di Marco Baliani per il quarantennale della strage di piazza della Loggia; Lo stridere luttuoso degli acciai (2014), cantata scenica per voci, ensemble ed elettronica, di Adriano Guarnieri (n. 1947), sulla tragedia della Thyssenkrupp; Io, Hitler (2009) di Del Corno, su testo di Giuseppe Genna; N.N. (2008) di Filidei, dedicata all’anarchico Franco Serantini; Portopalo. Nomi, su tombe senza corpi (2006) di Nova, con drammaturgia di Giorgio Barberio Corsetti e Guido Barbieri; Alex Brücke Langer (2003) di Verrando, sul leader storico dei Verdi europei; l’opera comica Mr. Me (2003) di Luca Mosca (n. 1957) è una raffigurazione grottesca del potentissimo e corrotto autocrate Mr. Minestrony; questioni di attualità sono al centro delle opere multimediali di Andrea Molino (n. 1964): Qui non c’è perché (2014) da Primo Levi, Three mile island (2012), Winners (2006), Credo (2004); ancora nel campo della multimedialità, Voci vicine (2014) e i Piccoli studi sul potere (2010) di Cifariello Ciardi realizzano con strumenti musicali la traslitterazione di alcuni discorsi pubblici diffusi attraverso i mezzi di comunicazione di massa.
Nell’ultima produzione di Salvatore Sciarrino (n. 1947) il teatro attrae un interesse crescente, anticipato in Lohengrin (1984), poi realizzato in Perseo e Andromeda (1990), Luci mie traditrici (1998), Macbeth (2002) e Superflumina (2010), e si situa entro un più vasto percorso di ricerca sulla vocalità. Riferimenti al manierismo di origine pittorica –Anamorfosi (1980), per pianoforte – hanno trovato terreno fertile nella riscoperta di Gesualdo da Venosa Le voci sottovetro, per voce ed ensemble (1998), Terribile e spaventosa storia del Principe di Venosa e della Bella Maria (1999), musica per l’opera dei pupi, giungendo, attraverso progressivi avvicinamenti – Cantare con silenzio (1999), per sei voci, flauto e percussione, Quaderno di strada (2003), dodici canti e un proverbio per baritono ed ensemble, Da gelo a gelo (2006), per voci e orchestra – alla personale reinvenzione della monodia vocale nei 12 Madrigali (2008), per 8 (o 7) cantanti, e alla condensazione nella voce sola de La nuova Euridice secondo Rilke (2015) per soprano e orchestra.
Bibliografia: A. Ross, Listen to this, New York 2010 (trad. it. Milano 2011); Ali di Cantor. The music of Ivan Fedele, ed. C. Fertonani, Milano 2011; R. Belgiojoso, Note d’autore. A tu per tu con i compositori d’oggi, Milano 2013; M. Angius, Del suono estremo. Una collezione di musica e antimusica, Roma 2014.