Nazionalizzazione e privatizzazione
Pubblico o privato nell’impresa
In passato lo Stato si occupava in prima persona della produzione di beni o servizi come l’elettricità o i telefoni; in altri casi, per evitare il fallimento di imprese private, si procedeva alla loro nazionalizzazione, per cui esse diventavano di proprietà statale o di enti pubblici. Negli ultimi anni ci si è resi conto che per incrementare l’efficienza economica e per contenere il deficit la privatizzazione è più adatta, sicché lo Stato si riserva un ruolo di regolatore e non di produttore
Se pensiamo a tutti i settori dell’economia di un paese vediamo che in alcuni operano imprenditori e società private (come, per esempio, nel campo alimentare o tessile) mentre in altri invece c’è la totale assenza dell’iniziativa privata e soltanto lo Stato, o comunque le imprese pubbliche, si possono occupare di quel ramo produttivo ( fino a poco tempo fa in Italia così era, per esempio, per il settore della telefonia). Uno dei compiti più importanti dello Stato è quello di garantire ai suoi cittadini i servizi pubblici di prima necessità: pensiamo alla luce elettrica, alla comunicazione telefonica, al servizio postale, alle strade e alle ferrovie. Per adempiere a questo compito lo Stato in passato nazionalizzava, cioè si faceva proprietario, in prima persona o attraverso enti pubblici, di tutto quanto necessario per erogare tali servizi: assumeva quindi la proprietà delle società elettriche e telefoniche, delle società stradali e ferroviarie e così via, le dirigeva e ne garantiva il funzionamento. Questo non vuol dire, però, che tutti questi servizi fossero gratis: il pedaggio autostradale o la bolletta della luce dovevano comunque essere pagati secondo tariffe decise dal proprietario, cioè dallo Stato stesso. Ma perché lo Stato voleva occuparsi direttamente di questi servizi pubblici e non consentiva, per esempio, che la proprietà della società elettrica fosse in mani private? Perché si riteneva che certi settori economici fossero di primaria importanza per la vita della società civile, e che di conseguenza solo lo Stato, o comunque un organismo pubblico, dovesse averne l’esclusiva proprietà.
Di regola per realizzare una nazionalizzazione si procedeva prima all’espropriazione dei beni (lo Stato si appropriava dei beni pagando un indennizzo al soggetto che aveva subito l’esproprio) e poi si sanciva, per legge, la riserva di quel settore economico a favore del solo Stato. Così avvenne in Italia, per esempio, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1962. In altri casi, per evitare fallimenti e licenziamenti, lo Stato assumeva la proprietà di aziende che vendevano beni di carattere totalmente privato: per esempio, negli anni Sessanta, lo Stato italiano si trovò così a produrre... panettoni.
L’esperienza ha però messo in luce i limiti e i problemi che nascono quando lo Stato possiede, in via esclusiva, grandi fette dell’economia di un paese. Uno dei principali problemi è quello della mancanza di concorrenza e, come si sa, se manca la concorrenza i prezzi tendono a salire. Negli ultimi anni, quindi, si è affermata la tendenza ad abbandonare la nazionalizzazione e si è optato per il suo opposto: la privatizzazione. La parola stessa fa capire che, al contrario della nazionalizzazione, con la privatizzazione sono i privati (cittadini) a poter avere la proprietà (privata) delle imprese e delle società che erogano quei servizi che prima, invece, erano nazionalizzati.
Privatizzare però non vuol dire che lo Stato non si occupa più di quel che accade nel mondo della produzione: una buona privatizzazione di un settore economico si accompagna innanzitutto alla sua regolamentazione (per evitare che, una volta eliminato il monopolio pubblico, ne nasca uno privato, o che il monopolista privato possa abusare della sua posizione dominante) e alla vendita delle azioni della società (che fino allora era stata pubblica) nei mercati finanziari (borsa valori) così da diffondere la proprietà azionaria.
Con la privatizzazione di ampi settori economici i governanti cercano di ottenere il miglioramento dell’efficienza operativa delle imprese, l’apertura dei mercati finanziari e il loro sviluppo, la riduzione dell’influenza politica sulle decisioni delle società e, non ultimo vantaggio, la riduzione del debito pubblico.