Nazionalsocialismo
La follia del primato di una razza
Il nazionalsocialismo, comunemente detto nazismo, fu il movimento a capo del quale Adolf Hitler conquistò il potere in Germania nel 1933, sottoponendo poi il paese al proprio completo dominio fino al 1945. Esso costituì la forma tedesca del totalitarismo contemporaneo, la cui ideologia era costituita dall’idea del primato del popolo tedesco chiamato a fondare un impero millenario dominato dalla razza ariana, a distruggere gli ebrei considerati responsabili dei grandi mali del mondo e a estirpare il marxismo e la democrazia liberale
Nel gennaio 1919, nel quadro della gravissima crisi determinata in Germania (v. anche Germania, storia della) dal crollo dell’Impero, dalla sconfitta militare nella Prima guerra mondiale, dallo scontro acutissimo tra le forze politiche e sociali, dal sorgere della fragile Repubblica di Weimar (così detta perché la sua Costituzione era stata promulgata nella città omonima), era sorto il Partito operaio tedesco (Deutsche Arbeiterpartei), antisemita, nazionalista (nazionalismo), antimarxista ma anche ostile agli speculatori capitalistici. A esso aderì Adolf Hitler. Il partito si trasformò nel 1920 in Partito nazionalsocialista tedesco (National-sozialistische Deutsche Arbeiterpartei) e Hitler ne divenne il leader.
L’anima del programma del partito era la convinzione che la Germania avrebbe potuto risorgere unicamente liberandosi dai mali del giudaismo, del marxismo (Marx), della democrazia e dalle forze che li sostenevano, accusate di essere le responsabili del ‘tradimento’ che aveva causato la sconfitta militare del paese nel 1918. Gli ebrei venivano considerati come i manovratori di tutte le forze disgregatrici. Occorreva fondare un nuovo Reich («Impero»): la compattezza della nazione avrebbe dovuto poggiare su una comunità nazionale e su una socialità in grado di legare armoniosamente il capitale e il lavoro (da ciò il richiamo al socialismo), respingendo al tempo stesso la lotta tra le classi e il prevalere degli interessi dei pescecani capitalistici. L’8-9 novembre 1923, Hitler, appoggiato dal generale Erich Ludendorff, nel tentativo di abbattere il governo Stresemann, organizzò a Monaco un colpo di Stato, che però fallì portando al suo arresto. Hitler rimase in carcere fino al dicembre 1924. Liberato, riprese subito la guida del partito.
In prigione Hitler stese il Mein Kampf («La mia battaglia»), pubblicato nel 1925, nel quale teorizzò la necessità di un movimento sottoposto a un’organizzazione di tipo militare, guidato da un Führer («capo»), cui capi e gregari, accomunati dalle fede nel nazionalsocialismo, dovevano cieca obbedienza. La nuova società sarebbe stata basata sul dominio della razza ariana, sulle naturali gerarchie e quindi sulla sottomissione delle masse ai capi, degli elementi più deboli ai più forti, dei lavoratori ai padroni, delle razze e delle classi inferiori a quelle superiori, alla cui cima stava la razza ariana secondo la dottrina dei teorici razzisti (razzismo) quali, in prima fila, lo scrittore germanizzato d’origine inglese Houston S. Chamberlain.
Le leggi della natura stavano a mostrare che l’eguaglianza tra gli individui era un mito senza fondamento. Per conseguire questi fini occorreva, dunque, liberare la Germania dalla congiura ebraica diretta contro il popolo tedesco e dai marxisti, abbattere l’Unione Sovietica, dare alla razza dominatrice «uno spazio vitale» adeguato da conquistarsi soprattutto nell’Oriente europeo, attirare le masse con una massiccia propaganda, attaccare con la violenza e distruggere le opposizioni ‘rosse’. Hitler concepiva lo Stato tedesco, di cui dovevano far parte i Tedeschi d’Austria e tutte le altre minoranze tedesche esistenti in altri Stati, come il mezzo per fondare l’impero mondiale ariano.
Intorno a Hitler si formò un gruppo dirigente composto da Ernst Röhm, Herman Göring, i fratelli Otto e Gregor Strasser, Rudolf Hess, Alfred Rosenberg, cui si sarebbe poi aggiunto Paul Joseph Goebbels. Nel 1921 erano state create le SA (Sturm-Abteilungen «Squadre d’assalto»), di cui era capo Röhm, preposte alla lotta contro gli avversari, ed era stato fondato il giornale ufficiale del partito il Völkischer Beobachter («Osservatore del popolo»).
Dopo il 1925 il nazismo, che mise in atto continue violenze in primo luogo contro socialdemocratici e comunisti, ottenne il crescente appoggio di industriali, militari, alti burocrati.
Un modello per i nazisti era costituito dal fascismo italiano, giunto al potere nel 1922; Hitler considerava Mussolini un maestro. Nonostante le sue ambizioni, il partito nazista restò fino al 1929 un’organizzazione modesta. Nel 1928 i suoi iscritti ammontavano a circa centomila ed esso alle elezioni di quell’anno ottenne solo il 2,8%. Fu la grande crisi economica del 1929 a creare le condizioni che nel 1930 trasformarono il partito in una grande organizzazione di massa.
Travolta dalla crisi, nel 1932 la repubblica – indebolita dal crescere contemporaneo di nazisti e comunisti, continuamente coinvolti in lotte di strada, a scapito di socialdemocratici, cattolici e liberali – era al collasso. In luglio i nazisti diventarono il più forte partito del Parlamento, con oltre 13 milioni di voti, e il 30 gennaio 1933 il presidente della Repubblica Paul Hindenburg nominò cancelliere Hitler, saldamente appoggiato dalle classi alte che vedevano in lui l’uomo capace di stroncare il pericolo comunista e costituire un governo forte.
Prese le redini del governo, nel 1933 il nazismo distrusse il sistema parlamentare, assumendo il monopolio del potere. Ebbe così inizio il Terzo Reich. Venne cancellato l’ordinamento federale dello Stato e instaurato un rigido centralismo. Furono create la Gestapo (Geheime Staatspolizei «Polizia segreta di Stato») e la Suprema corte popolare per colpire i nemici della nazione. Nel 1934 Hitler fece assassinare dalle SS (Schutz-Staffeln «Squadre di difesa») guidate da Heinrich Himmler, i capi dell’ala sinistra del partito, tra cui Röhm, accusati di persistere in superate finalità anticapitalistiche e di voler sostituire l’esercito tradizionale con un esercito popolare. Alla morte di Hindenburg il Führer divenne, oltre che capo del governo, anche capo dello Stato.
Gli oppositori del regime furono perseguitati, imprigionati, uccisi; gli ebrei, oggetto di ogni sorta di umiliazioni e violenze, ridotti in una condizione di emarginati senza diritti; la vita dell’intero paese venne sottoposta a un regime di controllo poliziesco, l’economia posta al servizio del riarmo. La stampa, le istituzioni culturali, l’istruzione, le università, le arti furono asservite al regime. Chi non si sottomise fu messo al bando, costretto all’esilio, mandato in campi di concentramento.
Lo Stato tedesco e la Chiesa cattolica firmarono un concordato nel 1933, ma il razzismo introdusse fattori di tensione tra le due parti e nel 1937 fu condannato da Pio XI. Le Chiese protestanti a loro volta stabilirono pesanti compromessi con il regime, che cercò persino di dar vita a un ‘cristianesimo nazista’.
Nel 1934 fu creato il Fronte del lavoro (Deutsche Arbeiter Front), che provvide a soggiogare gli operai alla volontà degli industriali. Grandi fattori di consenso al regime furono l’eliminazione nel 1939 della disoccupazione, i trionfi in politica estera – resi possibili dall’alleanza con l’Italia fascista e con il Giappone e dalla debolezza di Francia e Gran Bretagna – e la rapida ricostituzione della potenza militare tedesca.
Nel settembre 1939 la Germania diede inizio alla Seconda guerra mondiale. Dopo i grandi successi iniziali, che lo resero padrone dell’Europa continentale, il nazismo si propose di costruire un nuovo ordine europeo razziale, dispotico, basato sull’alleanza con l’Italia, la soggezione della Francia, l’asservimento dei popoli slavi e la formazione di una serie di Stati satelliti. Sennonché a partire dalla fine del 1942 i Tedeschi presero a cedere, fino alla sconfitta nel maggio 1945.
Durante la guerra la furia razziale nazista portò alla soppressione nei campi di sterminio di circa sei milioni di ebrei (Shoah) – la cui eliminazione fisica, la «soluzione finale», venne decisa nel 1942 – e di un gran numero di altri appartenenti alle razze ‘inferiori’, di oppositori politici e di prigionieri di guerra soprattutto sovietici.