Oligarchia
Il potere nelle mani di pochi
Considerata da Platone e Aristotele una forma di governo degenerata, perché basata sulla ricchezza, l’oligarchia ha conservato per secoli un significato negativo, che permane ancora nel linguaggio corrente. Nel Novecento il termine ha assunto, nella scienza politica, un significato descrittivo: oligarchica è la natura di ogni grande associazione (anche lo Stato), in quanto tende a essere diretta da un piccolo gruppo di persone
Per Platone la forma perfetta di governo è l’aristocrazia, ossia il «governo dei migliori»: e poiché i migliori sono i sapienti, devono governare i filosofi. Le forme di governo però tendono a degenerare. Così, dall’aristocrazia nasce la timocrazia («governo dell’onore»), in cui i governanti non cercano la sapienza, ma gli onori e inclinano ai piaceri della ricchezza. La timocrazia degenera quindi nell’oligarchia («potere di pochi»), in cui la direzione del governo non è affidata ai più capaci, ma ai più ricchi. Qui la netta separazione tra ricchi e poveri fa perdere allo Stato la sua unità; inoltre scompare il principio della specializzazione, per cui ogni individuo può esercitare qualsiasi mestiere e vendere ciò che possiede. Tali condizioni conducono alla guerra civile tra ricchi e poveri, dalla quale nascerà la democrazia («governo del popolo»), identificata da Platone con il governo dei poveri; questa a sua volta condurrà alla tirannia, la peggiore forma di governo.
Aristotele classifica le forme di governo in base al numero dei governanti, distinguendo tra monarchia (governo di uno), aristocrazia e politìa (governo di molti). Egli poi distingue le forme di governo in rette o degenerate, a seconda che i governanti perseguano l’interesse generale o soltanto il proprio interesse. Per Aristotele l’oligarchia è la versione degenerata dell’aristocrazia (così come la democrazia lo è della politìa e la tirannia della monarchia). Nell’oligarchia i governanti sono tali non per il possesso della virtù politica, ma per la loro ricchezza; inoltre, la maggior parte dei cittadini viene esclusa dalla vita politica e questo rappresenta un pericolo per lo Stato.
Questa connotazione negativa dell’oligarchia si è conservata ancora oggi nel linguaggio corrente, anche se con un significato in parte diverso. Quando si parla di oligarchie economiche, politiche, burocratiche si vuole intendere che in quei settori della vita sociale il potere, invece di essere distribuito tra molti, è concentrato nelle mani di pochi gruppi ristretti.
Nella scienza politica contemporanea il concetto di oligarchia ha avuto larga fortuna. Alcuni scienziati politici del 19° e 20° secolo – come gli italiani Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto – hanno sostenuto che se si osserva senza pregiudizi la realtà politica si scopre che in ogni regime il potere è sempre concentrato nelle mani di piccoli gruppi o minoranze organizzate. Il potere, in altri termini, appartiene sempre a un’élite, che Mosca chiama classe politica e Pareto classe eletta. Sotto questo punto di vista, tutte le forme di governo sono ‘oligarchiche’: anche in democrazia il potere, che in teoria appartiene al popolo, è esercitato da gruppi ristretti di uomini, che costituiscono la classe politica o, in senso più largo, la classe dirigente. Ciò non significa che tra regimi democratici e regimi dittatoriali o totalitari non vi sia differenza: in democrazia, infatti, le élite governanti sono numerose, in concorrenza tra loro, aperte (nel senso che si può entrare a farne parte) e costrette periodicamente a sottomettersi al giudizio del popolo, il quale – tramite le elezioni – può privarle del potere.
Il pensatore che ha usato apertamente il termine oligarchia è stato il sociologo Roberto Michels, il quale ha applicato la teoria delle élite ai grandi partiti di massa, tipici della democrazia contemporanea. Studiando l’organizzazione della socialdemocrazia tedesca – cioè del primo e più grande partito europeo ispirato al socialismo di Marx – Michels affermò di aver scoperto la «legge ferrea dell’oligarchia», ossia quella tendenza per cui in tutte le grandi organizzazioni democratiche si formano inevitabilmente oligarchie dominanti. Tutto questo accade, sottolinea Michels, persino nei partiti socialisti, cioè in organizzazioni che sono ispirate agli ideali della più completa eguaglianza tra tutti gli uomini.