Opinione pubblica
La collettività discute e giudica
Quando si parla di opinione pubblica si fa riferimento sia alle persone che in quanto collettività giudicano gli accadimenti di un determinato momento, sia all’insieme delle idee che un gruppo umano (una città, una nazione e così via) ritiene giuste e vere in un particolare frangente. Si tratta dunque di un concetto piuttosto complesso, che può assumere significati diversi a seconda del contesto cui viene applicato
Il concetto di opinione pubblica si è formato in Europa in stretto rapporto con la crisi dei regimi assoluti e con lo sviluppo economico, sociale e civile dello Stato moderno: esso presuppone infatti l’esistenza di una società civile complessa e articolata, in cui sia dato esprimere opinioni non più soltanto individuali ma collettive, sia sulla politica dei governi sia su tutti gli altri aspetti della cultura, della religione e della vita quotidiana. Questo processo è stato poi accelerato dalle profonde trasformazioni economiche e sociali dei paesi avviati verso l’industrializzazione, dalla crescita dell’alfabetizzazione, dalla diffusione della stampa, dalla formazione di circoli culturali e politici.
Va ricordato d’altra parte che l’affermazione della borghesia già nel corso del Settecento aveva aperto un acceso dibattito sui caratteri dello Stato liberale e sulla necessità e le forme del controllo dei cittadini sul potere. In quel contesto era diventata centrale la discussione appunto sul ruolo dell’opinione pubblica, una discussione destinata a intrecciarsi con un altro dibattito destinato a continui sviluppi successivi: quello sul rapporto fra morale e politica, tra sfera individuale e sfera pubblica.
Una delle prime riflessioni risale a Locke, che nel Saggio sull’intelletto umano elevava la funzione dell’opinione pubblica allo stesso livello della legge religiosa e civile. Scriveva in proposito il pensatore inglese: «la misura di ciò che dovunque è detto e stimato virtù e vizio è questa approvazione o deplorazione, elogio o biasimo, che, per segreto e tacito consenso, si stabilisce in ciascuna singola società, tribù e circolo d’uomini nel mondo: per cui varie azioni vengono a trovare credito o deplorazione tra di essi, secondo il giudizio, le massime o il costume di quel luogo». Locke introduceva d’altra parte una netta distinzione tra la legge morale, espressa dall’opinione pubblica, e la legge civile, emanata dal potere politico, distinzione ripresa poi da Rousseau nel Contratto sociale.
La funzione dell’opinione pubblica intesa come «uso pubblico della ragione in tutti i campi» è stata poi analizzata da Kant, che indicava nella «pubblicità», cioè nel coinvolgimento pubblico dei cittadini nella discussione sugli atti del potere, la possibilità di stabilire un nesso tra politica e morale.
Il tema della funzione politica dell’opinione pubblica nel governo rappresentativo – controllato o gestito cioè dai rappresentanti del popolo – è rimasto alla base del pensiero liberale inglese e francese tra 18° e 19° secolo con Edmund Burke (conservatorismo), Jeremy Bentham, Benjamin Constant (liberalismo) e François Guizot: nelle loro riflessioni emergeva in particolare lo stretto legame tra opinione pubblica, informazione e libertà di stampa, intesa quest’ultima come condizione indispensabile per la circolazione delle idee.
Nella seconda metà dell’Ottocento le teorie liberali hanno invece posto in evidenza come nello sviluppo dello Stato democratico il concetto di opinione pubblica potesse presentare anche aspetti negativi. Sia Alexis de Tocqueville sia John Stuart Mill, per esempio, hanno sottolineato come nella concezione democratica dell’opinione pubblica si sottovalutasse la pressione che questa poteva esercitare sul comportamento e sulla mentalità dei singoli individui riducendone il grado di autonomia e producendo conformismo.
Nel corso del Novecento il concetto di opinione pubblica ha assunto via via un significato più complesso, in rapporto con l’evoluzione economica, con il coinvolgimento sociale e politico delle masse nella società e con la crescente influenza dei mezzi di comunicazione. All’inizio del secolo si erano ormai affermate la sociologia e la psicologia (sorte nella seconda metà dell’Ottocento) e muoveva i suoi primi passi la psicoanalisi; tali discipline portarono decisivi contributi allo studio dei comportamenti collettivi e del rapporto tra il capo e le masse nella realtà contemporanea.
Nel 1922 è stato pubblicato il fondamentale lavoro del sociologo americano Walter Lippmann intitolato L’opinione pubblica, destinato a diventare un classico negli studi sulla comunicazione. L’analisi di Lippmann si concentrava sul rapporto che nelle società industriali avanzate si stabilisce tra un pubblico sempre più composito e diversificato e i mezzi di comunicazione di massa. «Ciò che l’individuo fa – scriveva l’autore –si fonda non su una conoscenza diretta e certa ma su immagini che egli si forma o che gli vengono date». Da questo derivava la definizione seguente: «Le immagini in base a cui agiscono gruppi di persone o individui che agiscono in nome di gruppi, costituiscono l’Opinione Pubblica con le iniziali maiuscole». In tale processo, sottolineava ancora Lippmann, assumevano un ruolo preponderante i mezzi di comunicazione – che all’epoca erano soprattutto i giornali –, a loro volta emanazione di forze economiche, politiche, religiose e così via, accusati di svolgere, più o meno consapevolmente e in misura diversa, una funzione di manipolazione.
Questo punto è stato ripreso e approfondito dal filosofo tedesco Jürgen Habermas, esponente della Scuola di Francoforte, che in Storia e critica dell’opinione pubblica (1962) sottolinea come nelle società industriali avanzate la caduta del confine fra pubblico e privato tenda sempre più a connotare negativamente l’azione dell’opinione pubblica, destinata a esercitare una continua pressione sulla società pur essendo in balia della soffocante influenza dei mezzi di comunicazione di massa come la radio, il cinema e televisione.
All’inizio del 21° secolo nuovi cambiamenti si sono prodotti in rapida successione grazie alla rivoluzione telematica; in particolare Internet ha inciso sul panorama dei giornali e delle notizie, imprimendo una svolta significativa nel rapporto con il pubblico. Le riflessioni sul mondo dei giovani indicano, per esempio, che il loro rapporto con l’informazione è in crescente trasformazione: se da un lato emerge ormai una loro consolidata disaffezione nei confronti della carta stampata, dall’altro aumenta la ricerca di percorsi alternativi, come Internet appunto, per la raccolta di notizie in ambiti sempre più diversificati, spesso lontani dai temi e dai modi della politica ufficiale. La velocità del mezzo informatico, che permette un aggiornamento in tempo reale, pesa d’altra parte sempre di più nella formazione dell’opinione pubblica, creando a fianco degli altri mezzi di comunicazione un canale parallelo, alternativo e forse più accessibile; si è aperta una nuova epoca, non certo priva di contraddizioni, nella quale è data ai lettori qualche possibilità di controllare i media, invece di esserne controllati.
Nel complesso l’antagonismo tra i media per conquistare l’attenzione del pubblico diventa sempre più frenetico. In particolare i maggiori gruppi editoriali, ancora in parte arroccati sulla carta stampata, sono sempre più costretti ad aggiornarsi, utilizzando i siti web oltre che per gli annunci pubblicitari anche per l’informazione quotidiana.
Lo storico inglese Thomas Babington Macaulay, deputato liberale alla Camera dei Comuni, a proposito dell’influenza che la stampa può esercitare sul potere politico scriveva nel 1824 sulla Edinburgh review: «La galleria dove siedono i giornalisti è diventata il quarto stato del regno. La pubblicazione dei dibattiti, una pratica che alla maggior parte degli uomini di Stato liberali della vecchia scuola sembrava piena di rischi, oggi viene considerata da molte persone come una difesa che vale quanto, se non di più, tutte le altre messe insieme».