papato
Nella Chiesa cattolica, istituzione che esercita le funzioni di governo, dottrina e culto. È il solo Vangelo di Matteo (16, 18-19) a dire dell’investitura di Cristo all’apostolo Pietro; di fatto è esclusivamente alla fine del 2° sec. che troviamo un vescovo effettivo alla guida della comunità cristiana di Roma, che aveva avuto fino a quei tempi una guida collegiale. Altrove, come ad Antiochia, il sistema di governo episcopale si era invece già affermato e la situazione peculiare di Roma era dovuta alla scarsa compattezza dei cristiani nella capitale, frutto delle dispute tra le diverse visioni di Pietro e di Paolo, ma anche del cosmopolitismo dell’Urbe, ed è al proposito da notare come la Chiesa di Roma si espresse a lungo in greco e non in latino. Si concorda nell’individuare nell’africano di lingua latina Vittore (ultimo decennio del 2° sec.) il primo vescovo monarchico di Roma. L’autorevolezza del vescovo dell’Urbe, che nel 6° sec. si vide infine riservato il termine di derivazione greca papas, pappas («padre») fino a quel momento utilizzato per indicare vescovi, abati e presbiteri, crebbe gradualmente, passando dagli interventi di Stefano I (254-257) sugli affari di altre Chiese al favore di Costantino nei confronti della Chiesa di Roma. Tale imperatore non solo la riconobbe, ma si pose rispetto a essa in posizioni di certa preminenza – pur riconoscendo funzioni al vescovo cui donò il Laterano – convocando tra l’altro nel 325 il primo Concilio ecumenico a Nicea: papa Silvestro I non vi partecipò di persona e anzi neppure gli fu chiesta l’approvazione degli atti. Gli imperatori che subentrarono continuarono questa politica, ma il ruolo dei papi crebbe con vescovi quali Damaso I (366-384), che rivendicò il primato di giurisdizione della sede romana; Leone Magno (440-461), capace di riempire il vuoto creato dalla crisi imperiale e pure di difendere l’Italia e l’Urbe prima dagli unni e poi dai vandali; Gregorio Magno (590-604), già prefetto imperiale di Roma, che in un tempo difficile guidò la città.
Nell’Alto Medioevo i conflitti dei papi con l’impero bizantino e con i longobardi crebbero di intensità e ciò portò all’intesa con i franchi e alla nascita del Sacro romano impero. Dopo il 10° sec., quando il p. era stato conteso tra le famiglie aristocratiche di Roma, gli imperatori tedeschi provarono a controllare l’elezione del papa. Ne scaturì un lungo conflitto – di cui furono protagonisti, tra gli altri, pontefici come Gregorio VII (1073-85) e Innocenzo III (1198-1216) – nel corso del quale la Chiesa romana affermò con decisione il principio della superiorità del potere papale su tutti gli altri, civili ed ecclesiastici. Tra questi due regni i pontefici si fecero ispiratori delle crociate e, con Callisto II, convocarono il primo concilio generale gestito da un papa (1123). Dal 13° sec. l’affermazione di poteri laici pose il p. di fronte a nuove sfide. I contrasti tra il re di Francia e Bonifacio VIII, che rafforzò il principio della superiorità del papa su ogni altro potere esprimendolo nella formula della plenitudo potestatis del pontefice, condussero alla traslazione del p. ad Avignone e, quando Gregorio XI (1370-78) scelse di tornare a Roma, ebbe inizio il Grande scisma cui pose fine il Concilio di Costanza (1414-18). L’elezione di Martino V (1417) riportò il p. a Roma e diede il via a un lungo processo che portò in circa un secolo alla ricostituzione dello Stato della Chiesa trasformando in forma sempre più decisa il papa in sovrano temporale.
In Età moderna il p. fronteggiò due emergenze: l’imporsi delle nuove confessioni cristiane e la creazione di Chiese nazionali controllate dal potere civile all’interno di realtà statali sempre più forti. Ciò, insieme al prevalere della logica realistica che ispirò la Pace di Augusta del 1555, fece sì che l’evento rifondante la Chiesa di Roma in Età moderna, ovvero il Concilio di Trento, fu incondizionatamente accettato dai soli Stati italiani. L’autorità del papa, fortemente ispirata peraltro in quei decenni più dal Sant’Uffizio che dal recente concilio, fu così di fatto sempre più limitata alla sola penisola e il ridursi della influenza politica e dell’autorevolezza morale del p. fu infine sancito dalla Pace di Vestfalia del 1648 e dai nuovi equilibri internazionali che essa determinò. Nel sec. 18° si dispiegò l’offensiva più forte contro i papi, che si trovarono a vacillare per la vocazione delle potenze europee sempre più intenzionate a erodere le ultime tracce di potere universale degli eredi di Pietro; a ciò si legò sia la soppressione dei gesuiti, cui il p. fu costretto, sia la trasformazione dei chierici in funzionari di Stato nell’impero asburgico. Gli eventi rivoluzionari di fine secolo contribuirono a ricreare una nuova immagine del p., che apparve, nel clima della Restaurazione, strumento efficace per evitare il ripetersi di simili evenienze. La stessa Chiesa nel primo Ottocento, dopo il trauma, provvide a riformarsi profondamente, rinunciando a residui caratteri di mondanità, disciplinandosi e riorganizzandosi anzitutto attorno alla figura del segretario di Stato, divenuto il nuovo fulcro dell’attività della Curia. La fine del potere temporale nel 1870 e l’abbandono obbligato della reggia del Quirinale in favore dei palazzi vaticani (➔ Vaticano, Città del) favorirono tale processo, che mutò sostanzialmente non solo la struttura, ma anche la missione della Chiesa. Momento essenziale per ciò fu il codice di diritto canonico pubblicato nel 1917, che raccolse normative che non avevano fino ad allora avuto alcun motivo per trovarsi unificate in mancanza di un centro che potesse rivendicare piena autorità sulle innumerevoli parti divise della Chiesa. Il codice fu il presupposto del superamento di un sistema fondato su una federazione di Chiese nazionali, ma fu solo il nuovo codice del 1983 a prevedere esplicitamente che fosse unicamente l’autorità ecclesiastica competente, e non anche, in virtù di privilegi o consuetudini, quelle civili a nominare i vescovi. Il p. insomma acquisì, nel corso del sec. 20°, un monopolio di giurisdizione sulla Chiesa cattolica che in precedenza aveva solo potuto sussistere quale irrealizzata aspirazione. Nel pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005) la vocazione planetaria della Chiesa sembrò riuscire a esprimersi con particolare forza, ma il trionfo anche mediatico del pontefice polacco creò esigenze e aspettative che, se da un lato sembrarono costituire un’opportunità per la Chiesa, dall’altra la sottoposero a forti condizionamenti obbligando il pontefice a una decisa, spesso non indolore e rischiosa sovraesposizione.