L’obbligo di fedeltà (art. 2015 c.c.) posto in capo al prestatore di attività lavorativa si sostanzia come una prestazione di carattere negativo, ovvero come un obbligo a non fare, cioè ad astenersi dal trattare affari, in proprio o per conto di terzi, in concorrenza con il proprio datore di lavoro. Il divieto così posto, trova fondamento nel contratto di lavoro individuale in essere tra i due contraenti, e ha quindi vigenza e valenza solo per la durata del rapporto, cessando la sua efficacia al termine dello stesso. A causa di tali limiti temporali, laddove si voglia estendere la portata di tale divieto occorrerà stipulare un patto di non concorrenza (art. 2125 c.c.). Affinché ne venga riconosciuta la validità e l’efficacia, tale patto deve tuttavia possedere determinati requisiti; oltre a essere redatto in forma scritta, deve contenere determinati limiti. La durata del vincolo non può estendersi oltre i 5 anni per i dirigenti, e i 3 anni per gli altri prestatori di attività lavorativa, deve prevedere un corrispettivo a favore del lavoratore che stipula l’accordo, e non può eccedere dei limiti territoriali tali da compromettere la ogni potenzialità reddituale del lavoratore.
Obbligo di fedeltà del lavoratore