In diritto, obbligo cui è tenuto il prestatore di lavoro nei confronti del proprio datore di lavoro, nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato (art. 1175 e 1375 c.c.). Oltre a dover eseguire la propria prestazione nel rispetto delle specifiche mansioni assegnategli, il lavoratore deve osservare l’obbligo sia di fedeltà che di diligenza. All’art. 2105, il codice civile specifica, in particolar modo, il divieto di trattare per conto proprio o di terzi affari in concorrenza con l’imprenditore (divieto di concorrenza), il divieto di divulgare notizie riservate, riguardanti l’organizzazione e la produzione aziendale (a tale proposito di parla anche di obbligo di riservatezza o segretezza). La durata del divieto può anche eccedere quella del rapporto di lavoro e protrarsi per tutto il tempo ritenuto ragionevole per il permanere della segretezza. Problematica è la questione concernente le conseguenze derivanti dalla violazione del dovere di fedeltà. In ogni caso, a fronte di una violazione del dovere di fedeltà il lavoratore è passibile di procedimento disciplinare, ed eventualmente della relativa sanzione. Nei casi più gravi, inoltre, la violazione dell’obbligo di fedeltà può dar luogo altresì ad un licenziamento per giusta causa. Non va infine escluso che un comportamento contrario al dovere di fedeltà possa scaturire altresì conseguenze risarcitorie per danni arrecati all’impresa. In concreto, si tende a scorgere una violazione dell’obbligo di fedeltà in qualsivoglia comportamento contrario agli interessi aziendali, anche solo potenzialmente produttivo di danno. Il comportamento in questione è anche suscettibile di costituire reato ai sensi degli articoli 621, 622 e 623 c.p., che sanzionano la rivelazione, rispettivamente, di documenti, segreti e scoperte aziendali.
Diritto di critica del lavoratore e obbligo di fedeltà: un equilibrio delicato di Giovanna Martire