La mansione è il compito esplicato nell’adempimento di una prestazione di lavoro. Affinché un contratto di lavoro non sia considerato nullo per indeterminatezza dell’oggetto (art. 1346 e 1418, co. 2, c.c.) occorre che le parti pattuiscano le mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto (art. 2103 c.c. e art. 96, co. 1, disp. att. c.c.). Tale patto non deve essere necessariamente scritto, stante la libertà della forma del contratto di lavoro, ma può essere raggiunto anche per fatti concludenti, mediante la consensuale adibizione del lavoratore a determinati compiti. Solitamente nel contratto di lavoro l’oggetto della prestazione lavorativa è determinato mediante l’indicazione della ‘qualifica’ o del ‘livello’ che descrivono le mansioni. La legge raggruppa le diverse qualifiche in 4 grandi categorie: operai, impiegati, quadri e dirigenti (art. 2095, co. 1, c.c.) (Categorie e qualifiche professionali). Al momento dell’assunzione il datore di lavoro deve far conoscere al lavoratore «la categoria e la qualifica che gli sono state assegnate in relazione alle mansioni per le quali è stato assunto» (art. 96, co. 1, disp. att. c.c.). È previsto altresì a carico del datore di lavoro un obbligo di informazione scritta entro 30 giorni dalla data di assunzione circa «l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuita al lavoratore» (art. 1, co. 1, lett. f, d. lgs. n. 152/1997). Dalla qualifica del lavoratore dipende il trattamento economico e normativo dello stesso. A partire dai primi anni 1970, la contrattazione collettiva ha introdotto un sistema di classificazione professionale cosiddetto «inquadramento unico di impiegati e operai», fondato su una pluralità di livelli professionali comuni a entrambe le categorie, distribuiti su di una sola scala classificatoria articolata in livelli, che a oggi riguarda, nella maggior parte dei casi, anche la categoria dei quadri (di solito con la previsione di livelli apicali), mentre diversa contrattazione collettiva è prevista per la categoria dei dirigenti. In generale, vige la regola (art. 96, co. 1, disp. att. c.c.) secondo cui il lavoratore ha diritto a essere inquadrato, con il relativo trattamento, nella categoria legale e nel livello contrattuale corrispondenti alle mansioni effettivamente e stabilmente svolte. Infatti, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, sono nulli sia eventuali inquadramenti peggiorativi, sia le cosiddette clausole collettive di inquadramento formale che condizionano l’accesso a una determinata categoria al riconoscimento espresso da parte del datore di lavoro. Nell’ambito delle mansioni pattuite al momento dell’assunzione, al datore di lavoro è riconosciuto un cosiddetto ius variandi, ossia il potere del datore di modificare le mansioni attribuite al lavoratore. Tale potere è però soggetto a due limiti espressi (art. 2103 c.c.) ossia il limite dell’equivalenza e il limite della irriducibilità della retribuzione. Il limite dell’equivalenza si atteggia nel senso che il lavoratore dove non venga adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, potrà essere adibito o a mansioni superiori o mansioni equivalenti. L’assegnazione a mansioni superiori è consentita al datore: quando le nuove mansioni non richiedono una professionalità diversa da quella per la quale il lavoratore è stato assunto e il trattamento retributivo è corrispondente all’attività svolta. L’adibizione a mansioni superiori è imposta al datore: quando il lavoratore svolge mansioni superiori per un determinato periodo di tempo fissato dai contratti collettivi e comunque non superiore a tre mesi, salvo che tale adibizione sia avvenuta per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. In quest’ultimo caso, la giurisprudenza ha precisato che i tre mesi di lavoro devono essere effettivi e possono anche essere il risultato di periodi di adibizione a mansioni superiori più brevi di tre mesi ma tra essi cumulabili. In caso di accertamento giudiziale, l’adibizione a mansioni superiori va provata dal lavoratore ricorrente (essendo l’essenziale fatto costitutivo della sua domanda di inquadramento superiore). L’onere della prova è però a carico del datore di lavoro se si vuole eccepire che la posizione superiore, pretesa dal lavoratore, non è vacante, ma appartiene a un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. Nulla questio invece sul diritto del lavoratore a una retribuzione corrispondente alle mansioni svolte anche dove la ragione della adibizione fosse stata solo sostitutiva. Infine, per l’adibizione a mansioni superiori è altresì necessario il consenso del lavoratore, ma solo dove tale adibizione sia definitiva, mentre non è necessario per l’assegnazione temporanea. Per quanto riguarda invece l’assegnazione a mansioni equivalenti, la nozione di ‘equivalenza’ viene riferita al patrimonio professionale acquisito dal lavoratore che deve poter essere utilizzato anche nelle nuove mansioni escludendosi invece che l’identità di livello contrattuale significhi equivalenza stante l’eterogeneità delle qualifiche raggruppate in ciascun livello. Rimane fermo il divieto di adibire il lavoratore a mansioni non equivalenti, e quindi inferiori alle precedenti, con relativo divieto di patti contrari qualificati come nulli (a eccezione delle eventuali rinunce e transazioni ex art. 2113 c.c.). Le uniche eccezioni legali al generale divieto di adibizione a mansioni inferiori riguardano: a) la lavoratrice madre che durante il periodo della gravidanza e fino al settimo mese dopo il parto, se il tipo di attività o le condizioni ambientali sono pregiudizievoli alla sua salute, deve essere spostata ad altre mansioni, eventualmente anche inferiori, ma con conservazione della retribuzione precedente; b) i lavoratori esuberanti il cui licenziamento può essere evitato mediante un accordo collettivo che consenta la loro adibizione a mansioni diverse anche inferiori alle precedenti; c) i lavoratori divenuti invalidi durante il rapporto che possono essere licenziati solo se sia impossibile utilizzarli in mansioni disponibili in azienda anche inferiori, con diritto alla conservazione della precedente qualifica.
Categorie e qualifiche professionali