Figlio (Mosca 1672 - Pietroburgo 1725) dello zar Alessio Michajlovič e della sua seconda moglie Natalia Kirillovna Naryškina, regnò dal 1682 insieme al fratello Ivan, debole e malaticcio, sotto la reggenza della zarina Sofia. Messa da parte quest'ultima (1689), per altri dieci anni P. lasciò la direzione della politica moscovita ai boiari della famiglia Naryškin. La sua passione per gli esercizî militari, le costruzioni navali e la navigazione, l'immensa sete di apprendere e la decisa volontà di far progredire la Russia secondo il modello dell'Occidente, lo spinsero a varcare (1697), col nome di Pietro Michajlov, i confini della patria per un lungo viaggio di studio e di aggiornamento. Dai cantieri d'Olanda passò in Inghilterra, dove seguì un corso di costruzione navale; si recò quindi in Prussia, in Boemia e a Vienna. Stava per recarsi a Venezia quando una rivolta degli strel′cy lo richiamò precipitosamente a Mosca, dove centinaia d'impiccagioni (sett.-ott. 1698) segnarono l'inizio del suo duro regime autocratico. Lo sforzo espansivo, sul Baltico e sul Mar Nero e verso i Balcani, e l'opera riformatrice di P. costituiscono gli aspetti congiunti di un unico sforzo, diretto a mettere la Russia in condizione di reggere a un confronto armato con le potenze dell'Occidente, anche più progredite. Presa Azov (1696), il cui possesso fu confermato con la pace di Costantinopoli (1700), P., seguendo quella politica "pendolare" che diverrà una costante nella storia russa, si volse al Baltico, e (1700-09) riuscì a battere la Svezia, occupando la Livonia, l'Estonia e quindi le principali città della Carelia. In seguito si volse contro la Turchia e, attuando per la prima volta nella storia russa un collegamento con i cristiani ortodossi dei Balcani, mostrò di volerle contendere l'eredità bizantina. La guerra del Prut finì in un disastro e con la pace omonima (1711) P. perdette Azov e s'impegnò a restituire l'indipendenza ai Cosacchi. Alleato con la Danimarca, la Polonia, la Sassonia, la Prussia e l'Hannover, continuò la guerra contro la Svezia, piegandola (1721) alla pace di Nystad, e ottenendo il riconoscimento dei possessi baltici già conquistati. Contemporaneamente (1723), dopo una guerra contro la Persia, occupava le rive occidentali del Mar Caspio. Questo complesso sforzo, che conduceva la Russia ad aprirsi ampiamente sul Baltico, e in parte sul Mar Nero, avviando i collegamenti con gli Slavi e ortodossi dei Balcani, rappresenta l'inizio della successiva tradizionale politica russa. Esso può essere considerato, e tale era in parte agli occhi di P., come il primo banco di prova delle radicali riforme con cui l'imperatore volle dare al paese un volto moderno, occidentale, rompendo con tradizioni e abitudini vecchie di secoli. Le sue prime cure furono per l'esercito, che P. portò, con regolare reclutamento, a 126 reggimenti di varie armi, creando poi una flotta che alla sua morte contava, a parte il naviglio minore, 48 navi di linea. A questo enorme sforzo di organizzazione militare egli affiancò, anche per esigenze di finanziamento, una completa riforma amministrativa, centrale e locale, distribuendo i funzionarî (valutati per il loro merito e non per la loro nobiltà) in 14 gradi. Abolito il patriarcato (1721), fece dipendere la Chiesa dal Santo Sinodo, emanazione diretta del sovrano. Organizzò officine e fabbriche, specialmente di armi e tessili, e soprattutto scuole di ogni genere, cui chiamò i giovani di tutti i ceti, inviati a istruirsi all'estero per poi essere assunti a servizio dello stato; diede inizio alla pubblicazione della prima gazzetta russa, Vedomosti (Mosca, poi Pietroburgo, 1703-27), da lui curata personalmente. Risultato di questo spesso caotico susseguirsi di riforme, compiute servendosi di metodi autocratici e militareschi, fu la formazione di una classe intellettuale e dirigente per i bisogni e le esigenze di uno stato mercantilista. Nel complesso l'opera di P. è stata per la Russia uno sforzo gigantesco per mettersi a pari di un Occidente considerato, in sostanza, come un nemico da cui difendersi. P. morì senza aver indicato un successore; suo figlio Alessio (avuto dalla prima moglie Eudocia Lopuchina) era morto nel 1718, forse per le torture subite durante un processo intentatogli dal padre, che lo aveva costretto a rinunciare ai suoi diritti al trono: a causa della educazione ricevuta e del suo spirito tradizionalista, Alessio apparve al padre (che aveva inutilmente tentato di trarlo dalla sua parte) quasi l'incarnazione del vecchio mondo russo da lui combattuto.