pomodoro
Una bacca famosa in tutto il mondo
Il pomodoro è una Solanacea originaria dell’America Latina. Ricercato per i suoi frutti gustosi e ricchi di vitamine, ha alle spalle una lunga storia. Introdotto all’inizio in Europa come pianta ornamentale, fu ritenuto velenoso, e solo nel Settecento cominciò a essere usato in cucina. Tuttavia i Napoletani già dal Cinquecento apprezzavano
la bontà dell’oro rosso
I botanici chiamano il pomodoro Solanum lycopersicum, che significa «pomo del lupo», dal greco lỳkos «lupo» e Persikòn (mèlon) «pomo persico; pesca». Ma che c’entra il lupo col pomodoro? Qualche informazione ci viene dalla storia di questa pianta dai frutti straordinari e appartenente alla famiglia delle Solanacee, come la patata, il peperone, il tabacco. Il pomodoro cresce bene nei climi caldi e può raggiungere i 2 m di altezza; i suoi frutti sono bacche rosse di forma e dimensioni diverse secondo le varietà, dal sapore dolce-acidulo, ricchi di vitamine (A, C, B, K, PP) e di sostanze antiossidanti come il licopene.
Solanum lycopersicum deriva probabilmente dalla mutazione di una Solanacea selvatica con piccole bacche amare, che nel Messico precolombiano veniva chiamata tomatl. Quando gli Spagnoli arrivarono in America Latina nel 16° secolo, oltre al mais trovarono, coltivate dagli indigeni messicani e peruviani, piante di pomodori che chiamarono perciò tomate. Alcuni esemplari furono portati in Europa dove però vennero utilizzati solo come piante da giardino e non in cucina perché, come tutte le Solanacee, godevano la cattiva fama di essere piante velenose. È forse per questo che alcuni contadini – sembra italiani – chiamarono l’ortaggio pomo del lupo, cioè cibo di un animale selvaggio molto temuto; i botanici, poi, si sarebbero rifatti al suo nome popolare.
In effetti sappiamo che molte Solanacee sono davvero tossiche – basti pensare al tabacco, allo stramonio o alla belladonna – ma altre, pur contenendo la velenosa solanina, sono commestibili: è il caso della patata, del peperone, del pomodoro stesso. Se i medici del Cinquecento consideravano il pomodoro velenoso, gli alchimisti invece gli attribuivano poteri afrodisiaci – aumenterebbe cioè il desiderio amoroso – e lo usavano per preparare pozioni e filtri d’amore. Si ritiene questo il motivo per cui cominciò a essere chiamato in inglese love apple, in francese pomme d’amour («pomo d’amore») e in italiano pomo d’oro; ma se nella nostra lingua questo nome gli è rimasto, in inglese (tomato) e in francese (tomate) ha prevalso invece quello legato alla radice della parola precolombiana.
Nel Settecento, comunque – vuoi per fame o per ricerca di cibi esotici –, il pomodoro riesce a conquistare le cucine di tutta Europa e in seguito di tutto il mondo. Nel Sud d’Italia, invece, la pianta, che si ambienta bene grazie al clima assolato, è coltivata sin dalla metà del Cinquecento, in particolare tra Napoli e Salerno, che rapidamente diventano la patria dell’oro rosso. Qui s’imparò a conservare la salsa ricavata dalla pummarola e qui, alla fine del Settecento, sorsero le prime fabbriche di conserva di pomodoro. È dunque l’Italia, in particolare il Sud della penisola, che vanta il primato di aver introdotto il pomodoro in cucina. Il suo uso diventa quotidiano e nel secolo seguente avviene una seconda decisiva svolta che ne aumenta notevolmente il consumo: l’invenzione della pizza.
Dal libro del 1837 Cucina teorico-pratica di Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, la ricetta dei vermicelli col pomodoro: «Piglia quattro rotoli» – il rotolo è un’antica misura di peso equivalente a circa 200 g – «de pommodoro, li tagli, levi la semenza e quella acquiccia, li fai bollire e quando sono squagliati fai restringere quel sugo mettendoci un terzo di sugna» – ossia grasso di maiale. «Quando quella salsa si è stretta giusta fai bollire due rotoli di vermicelli verdi verdi» – vale a dire cotti al dente – «e scolati metti quella salsa col sale e pepe, tenendoli sul fuoco così si asciuttano un poco. Ogni tanto gli dai una rivoltata e quando sono ben conditi li servirai».