Divieto di produrre, vendere e trasportare bevande alcoliche, in vigore negli USA dal 1920 al 1933.
La lotta contro il consumo di liquori, avviata per motivi morali da predicatori protestanti sin dai primi del 19° sec., fu ripresa dall’American society for the promotion of temperance, nata nel 1826. Nel 1846 il Maine fu il primo Stato ad approvare una legislazione proibizionista, imitato da altri 12 Stati del Nord; ai primi del 20° sec., la lotta agli alcolici fu fatta propria anche dai deputati progressisti dei partiti democratico e repubblicano; nel 1906, preoccupati dagli effetti dell’alcolismo sull’efficienza della manodopera, alcuni datori di lavoro si organizzarono nell’American anti-saloon league, cui aderirono numerosi industriali ed entro il 1915 la metà degli Stati aveva vietato il consumo di bevande alcoliche. La proibizione per tutto il territorio federale fu sancita con l’approvazione del 18° Amendment act della Costituzione federale (gennaio 1919), cui seguì una legge federale (nota come Volstead Act dal suo proponente), con cui si definì come bevanda alcolica ogni liquido contenente oltre lo 0,5% di alcol, eccettuati gli alcolici a scopo medicinale. Inviso a gran parte della popolazione, il p. fu denso di conseguenze negative: crebbero il contrabbando, il trasporto abusivo (bootlegging) e la produzione illegale di liquori, consumati poi in una fitta rete di locali clandestini (speakeasies). Per il controllo di questi traffici si affrontarono violentemente bande rivali di malviventi. La vittoria democratica nelle elezioni del 1932 portò all’approvazione (febbraio 1933) del 21° emendamento, che abrogava il 18° e restituiva ai singoli Stati la libertà di decidere in materia di produzione e commercio di alcolici.