Rilke, Rainer Maria
L’Orfeo del Novecento
Rainer Maria Rilke è stato un narratore affascinante: scrisse anche per il teatro, ma fu soprattutto un poeta lirico, tra i più significativi e amati del Novecento. «Poeta senza casa», fu portato dalla sua irrequietezza e da una esasperata sensibilità a confrontarsi con ogni forma d’arte e di vita. Grazie ai suoi numerosi viaggi e alle sue frequentazioni egli consolidò la sua vocazione europea
Rainer Maria Rilke nasce a Praga nel 1875 e viene educato nei collegi militari dell’Impero austro-ungarico. I primi tentativi poetici sono ancora in parte convenzionali e vicini alla tradizione romantica. Questa fase si conclude con la prosa lirica Canto d’amore e di morte dell’alfiere Christoph Rilke, composta nel 1899, che ebbe una straordinaria fortuna presso la giovane generazione borghese. Qui Rilke si inventa discendente di un seicentesco alfiere, di cui rievoca in forme e modi legati all’impressionismo e alla sensibilità di fine secolo il passato e la morte in guerra.
L’irrequietezza del suo spirito lo porterà presto lontano da Praga. A Monaco conosce la scrittrice tedesca di origini russe Lou Andreas-Salomé, che era stata legata a Friedrich Nietzsche, insieme alla quale intraprende due viaggi in Russia. Dagli incontri con Lev N. Tolstoj e con i paesaggi, l’arte e la religiosità di quella terra nascerà il Libro d’ore, pubblicato nel 1905. Tra il 1900 e il 1902 vive in una comunità di artisti a Worpswede, nei pressi di Brema, dove conosce la scultrice Clara Westhoff che diventerà sua moglie, e dove matura Il libro delle immagini.
La natura di autentico poeta europeo di Rilke, che a Monaco conosce Sigmund Freud, a Venezia frequenta la grande attrice Eleonora Duse, e nel castello di Muzot in Svizzera ospita il poeta Paul Valéry, si riscontra anche nelle traduzioni delle opere del poeta francese, in alcune raccolte di liriche scritte in francese e nell’abbozzo di versione tedesca delle Rime di Michelangelo.
Nell’inquieto vagare di questo «poeta senza casa», i luoghi in cui Rilke ha soggiornato sono spesso residenze turrite che rimandano a epoche lontane e ad atmosfere aristocratiche, come il castello di Duino, vicino Trieste, dove fu ospite della famiglia dei Thurn und Taxis, o il torrione diroccato di Muzot, dove vivrà fino alla morte per leucemia, avvenuta nel 1926.
A Parigi, dove risiederà dal 1906, conosce lo scultore Auguste Rodin, di cui diventa segretario; questo incontro lo porta a riflettere sul rapporto tra la materia inanimata e la creazione artistica che dà a essa vita ed energia. Nei Quaderni di Malte Laurids Brigge (1910), come già era avvenuto per il Canto dell’alfiere, Rilke raffigura sé stesso nel giovane discendente di una nobile famiglia danese che annota le sue esperienze a Parigi e la sua angoscia di vivere e, insieme, ritorna con il pensiero alla sua vita passata. La moderna metropoli parigina, le cui strade emanano un odore «di iodoformio, di unto di patate fritte, di angoscia», è rappresentata in tutti i suoi aspetti più inquietanti in una prosa frammentata che, cancellando i confini tra mondo esterno e dimensione interiore, si apre verso il romanzo del Novecento.
Ma Parigi significa per Rilke anche la scoperta della pittura di Paul Cézanne. Proprio dalle suggestioni figurative e dalla frequentazione della pittura nascono i due libri delle Nuove poesie (1907-08), che saranno definite «poesie-oggetto», dove la lirica ottocentesca, attenta a rendere gli stati d’animo, lascia il posto a una precisissima osservazione dell’oggetto e della realtà.
Nel 1923 Rilke porta a termine, dopo una lunga crisi creativa seguita allo scoppio della Prima guerra mondiale e al crollo della vecchia Europa, le Elegie di Duino e i Sonetti a Orfeo. Le Elegie toccano temi esistenziali legati alla crisi vissuta dallo stesso Rilke, ma più in generale testimoniano il senso di perdita della sicurezza nell’uomo e nell’intellettuale europeo di fronte al tramonto dell’epoca borghese. Il loro motivo conduttore è la figura dell’angelo che è definito «terribile» perché irraggiungibile nella sua perfezione.
Nei Sonetti Rilke, richiamandosi al mito classico, celebra il poeta che, come l’antico cantore Orfeo («Sappiamo ormai, / se si ode un canto è Orfeo»), congiunge il mondo dei vivi e quello dei morti: «È uno dei messaggeri / che a lungo ancora alle porte dei morti / porge le coppe con gloriosi frutti». Difficile, spesso indecifrabile, la poesia di Rilke esercita un grande fascino soprattutto per la forza delle immagini.