Religioni primitive
Il concetto di 'religioni primitive' è in parte retaggio di concezioni evoluzionistiche della società e in parte espressione dei pregiudizi delle grandi religioni mondiali - cristianesimo, islamismo, induismo e buddhismo - nei confronti di altre religioni 'esotiche' e meno diffuse, praticate in aree remote del mondo. Implicita in tale espressione è l'idea che tali religioni, in quanto praticate da popoli 'preletterati', siano più primitive e inferiori rispetto alle religioni universali delle grandi civiltà. Nello stesso tempo, queste forme di religiosità primitiva sono ritenute utili dagli storici della religione e dagli studiosi di altre discipline che adottano un approccio evoluzionistico, in quanto in grado di gettar luce sulla nascita e sullo sviluppo delle religioni mondiali, e rivestono altresì una grande importanza pratica per i cristiani e i musulmani impegnati in attività missionarie nel Terzo Mondo.
Le religioni mondiali, secondo quanto affermano i loro esponenti, esprimono una verità ultima e trascendente, rappresentano forme superiori di spiritualità e di moralità e sono associate alla civiltà e alle culture evolute. Per questo motivo gli studiosi di religione comparata tendono di solito a trattarle come fenomeni storici nettamente definiti, che danno vita a sistemi a sé stanti di specifiche tradizioni religiose.
L'approccio alle religioni primitive, per contro, tende a essere meno sistematico e olistico; esse vengono presentate di solito in forma frammentaria sotto logore etichette quali 'mana', 'tabù', 'totemismo', 'magia', 'sciamanesimo', ecc. Il contrasto tra 'religioni mondiali' e 'religioni primitive' viene espresso a volte come contrasto tra religioni 'rivelate' e semplici fenomeni 'naturali' - distinzione che riecheggia la vecchia convinzione secondo cui i 'popoli primitivi' sarebbero in qualche modo vicini allo stato di natura.
Si tratta peraltro di distinzioni che oggi vanno progressivamente scomparendo. La grande espansione - si potrebbe anzi parlare di una vera e propria globalizzazione - del cristianesimo, dell'islamismo e dell'induismo (nonché in misura minore del buddhismo) ha dato luogo a una vasta gamma di compromessi spirituali e di sincretismi. Nello stesso tempo, nei paesi di tradizione cristiana (e in misura minore in quelli musulmani) credenze e pratiche esotiche (le 'religioni primitive' nei luoghi d'origine) sono state assorbite, diffuse e ridiffuse, producendo ogni sorta di nuovi culti e movimenti. Dal punto di vista dell'antropologia della religione, la differenza più significativa tra le religioni della 'grande tradizione' e quelle della 'piccola tradizione' attiene alle concezioni escatologiche. Le prime, siano esse monoteistiche come il giudaismo, il cristianesimo e l'islamismo, oppure politeistiche come l'induismo e il buddhismo, hanno in comune una visione escatologica in cui il destino del fedele dopo la morte (in questo mondo oppure nell'aldilà) dipende dalla condotta tenuta in vita.
Questa idea sembra universalmente assente nelle cosiddette religioni primitive dove, come vedremo, predomina la credenza che le ricompense e le punizioni per la buona e la cattiva condotta siano sperimentate in questa vita anziché essere rimandate all'aldilà. Tuttavia questa distinzione tra visioni escatologiche, per quanto rilevante sul piano teorico, sul piano pratico tende a scomparire nell'ambito delle credenze e delle pratiche religiose delle masse - ossia in quella che di solito viene chiamata 'religione popolare'. Questo fatto solleva interessanti questioni per la sociologia e l'antropologia della religione.
Sir James Frazer (v., 1890), uno dei primi esponenti dell'antropologia evoluzionistica britannica - che fu fondamentalmente uno studioso del folklore di immensa erudizione -, sostenne nella sua celebre opera The golden bough che la magia rappresenta una forma di comportamento e di credenza proto-religiosa; al progredire delle società essa lascerebbe il posto alla religione vera e propria e infine alla scienza. La tesi di una priorità storica della magia non fu condivisa dal contemporaneo di Frazer sir Edward Tylor (v., 1871), secondo il quale la religione primitiva sarebbe stata caratterizzata dalla credenza in 'esseri spirituali' - ossia da ciò che Tylor definì 'animismo'. L'esperienza dei sogni, delle allucinazioni, degli stati di trance e di altri fenomeni psichici insoliti diede origine alla nozione mistica di 'anima'. Da tale nozione scaturì la credenza in esseri spirituali - una visione animistica della natura che attribuisce caratteristiche sovrannaturali o spirituali ai fenomeni naturali. Dall'animismo si sviluppò la visione politeistica di un mondo popolato di esseri spirituali, e da questa a sua volta prese gradualmente forma il monoteismo.Il missionario cattolico Wilhelm Schmidt, fondatore della famosa scuola antropologica viennese, sostenitore sia del diffusionismo che dell'evoluzionismo, asserì al contrario che il monoteismo era presente già nelle società di cacciatori e raccoglitori più antiche e primitive. Tali credenze in un essere supremo in seguito sarebbero state 'corrotte' e confuse da concezioni magiche e animistiche, e tuttavia attraverso una paziente ricerca è ancora possibile individuarle sotto forma di 'sopravvivenze' dell'autentica cultura originaria di una società primitiva. Lo storico italiano delle religioni Raffaele Pettazzoni, dal canto suo, ha sostenuto la tesi abbastanza convincente che l'idea di un Essere supremo (spesso remoto e distaccato dalle vicende umane) non corrisponde a un autentico monoteismo. Inoltre, come attesta la storia del cristianesimo e dell'Islam (così come del giudaismo e dello zoroastrismo), in molti casi il monoteismo è nato come istanza riformatrice da un movimento di protesta guidato da profeti carismatici contro le credenze e le pratiche politeistiche dei contemporanei.
Un approccio completamente diverso a quella che all'epoca veniva definita con un'etichetta di comodo 'religione primitiva' fu proposto da Émile Durkheim, considerato a ragione il padre del funzionalismo antropologico e sociologico. Durkheim non considerava le 'religioni primitive' come la chiave per comprendere la storia della religione in una prospettiva evoluzionistica o diffusionistica; riteneva piuttosto che attraverso il loro studio sarebbe possibile cogliere aspetti essenziali della religione in generale. Partendo dal presupposto che il caso più perspicuo sarebbe offerto dalla religione primitiva più semplice praticata nella società a sua volta più semplice e primitiva, Durkheim si orientò verso la cultura arcaica degli Aborigeni australiani ('il genere umano allo stato di crisalide', secondo la definizione di Frazer) e studiò i resoconti sulle loro credenze e pratiche religiose forniti da due osservatori a lui contemporanei, Spencer e Gillen. Il sociologo francese dimostrò abilmente come le credenze degli Aborigeni nei poteri mistici di animali e piante e di altre forze animistiche 'totemiche' riflettessero la struttura dei loro gruppi sociali e le loro divisioni interne. In sostanza, i totem sarebbero simboli mistici dell'identità del gruppo, emblemi della coesione sociale. In quanto implica la separazione tra sacro e profano, la religione sarebbe a tutti gli effetti un fenomeno sociale: "il sistema di simboli attraverso cui la società acquista coscienza di se stessa [...] la forma di pensiero caratteristica dell'esistenza collettiva". Di conseguenza, la religione deve essere considerata il prodotto emozionale di un'intensa interazione sociale (la sua 'effervescenza collettiva') - una sorta di ipostatizzazione dell'esprit de corps. I rituali, dal canto loro, avrebbero il duplice scopo di inculcare ed esprimere questi sentimenti di coesione del gruppo. Sebbene liquidato come idealista borghese dai critici marxisti, Durkheim avrebbe potuto benissimo essere l'autore dell'aforisma marxiano secondo cui non è la coscienza a determinare l'essere dell'uomo, ma il suo essere sociale a determinare la sua coscienza.
L'ultimo esponente delle teorie classiche della 'religione primitiva' che menzioneremo qui è il filosofo francese Lévy-Bruhl. Egli condivise sostanzialmente l'interpretazione durkheimiana della religione in chiave sociale, ma istituì una netta distinzione tra il 'pensiero logico' degli europei e il pensiero prelogico dei popoli 'primitivi'. Tale distinzione sarebbe essa stessa espressione del carattere pervasivo della religione primitiva e della onnipresenza di idee mistiche nel pensiero primitivo. Questo sarebbe dominato, secondo Lévy-Bruhl, dalla credenza (animistica) in una 'partecipazione mistica', che presuppone una connessione di tipo non empirico tra gli eventi e le relazioni e le attività umane (v. anche De Martino, 1973³).
L'antropologo di origine polacca ma naturalizzato inglese, Bronislaw Malinowski, è considerato il fondatore dell'antropologia sociale moderna, in cui hanno un ruolo essenziale un'approfondita e continuata ricerca sul campo, l'osservazione diretta e la partecipazione alla vita quotidiana delle società studiate, nonché la padronanza della lingua locale. Lo studio pionieristico di Malinowski (v., 1922) sul sistema di scambio Kula nelle isole Trobriand del Pacifico sudorientale è diventato un classico della letteratura - come si conviene a uno studioso che amava spesso paragonarsi al geniale scrittore suo connazionale, Joseph Conrad. Malinowski, tuttavia, non fornì uno studio sistematico della religione, poiché sul piano teorico la considerava, in modo alquanto semplicistico, una mera stampella, un'appendice o un sostituto dell'azione concreta. Al suo contemporaneo Radcliffe-Brown, anch'egli esponente dell'antropologia britannica, si deve invece una ricerca sul campo, sul comportamento e le idee religiose degli Andamani (v. Radcliffe-Brown, 1922), che focalizzava l'attenzione sui miti, sui tabù e sul sacro. Nonostante alcune intuizioni felici (inclusa l'idea poetica secondo cui gli Andamani avrebbero avuto un 'calendario degli odori') si trattava di uno studio piuttosto superficiale che si collocava in una tradizione pre-malinowskiana ormai superata, risolvendosi in una semplice applicazione della teoria durkheimiana delle funzioni sociali della religione alla realtà andamana. Nondimeno, la ricerca di Radcliffe-Brown offriva ampio materiale per esercizi speculativi, ed Edmund Leach (v., 1971) si servì dei concetti dell'antropologia strutturale per costruire un ipotetico schema cosmologico tripartito delle credenze andamane.
La prima, importante ricerca sul campo condotta con criteri moderni su una religione non occidentale apparentemente non aveva nulla a che fare con la religione, ma si incentrava sulla stregoneria e sulla magia. Si tratta dello studio che l'antropologo E. Evans-Pritchard (v., 1937) condusse tra la fine degli anni venti e i primi anni trenta sugli Zande del Sudan meridionale, usando la lingua locale che aveva imparato a parlare correttamente. A capo della società zande, tipico esempio di regno tribale africano, vi era un clan nobiliare, che aveva tra le sue principali funzioni quella di giudicare i casi di stregoneria. L'economia locale era basata sulla coltivazione itinerante, integrata dalla caccia e dalla pesca. Allorché Evans-Pritchard cominciò ad affrontare il delicato tema della stregoneria, scoprì ben presto che gli Zande distinguevano almeno due tipi di potere maligno. Il primo, che egli indicò con il termine inglese sorcery ('fattucchieria'), comporta l'uso di formule magiche, incantesimi, riti e rimedi magici - ossia tecniche tangibili e in teoria visibili (sebbene coloro che le praticano facciano di tutto per nasconderle). Ciò che Evans-Pritchard designò come witchcraft (stregoneria), invece, sarebbe un potere (mangu) posseduto da alcuni individui, che si credeva avesse una base organica nell'intestino tenue. La stregoneria non è visibile direttamente; se ne può solo inferire la presenza dai suoi effetti, cercando conferme attraverso oracoli e, in ultimo, eseguendo un'autopsia sul cadavere di un individuo sospettato di stregoneria. In genere la stregoneria viene attribuita agli anziani, laddove nei giovani, se presente, sarebbe solo debolmente sviluppata. La fattucchieria è la più forte e la più temibile di queste forze maligne, e di conseguenza è associata ai capi e ai clan dominanti.La stregoneria, che può essere praticata sia dagli uomini che dalle donne, fornisce agli Zande una spiegazione della malattia e delle sventure (e lo stesso vale per la fattucchieria tra l'aristocrazia): i cattivi raccolti, gli insuccessi nella caccia, le difficoltà coniugali, i problemi con i capi, la malattia e perfino la morte vengono imputati all'azione della stregoneria. Tutto ciò sembrerebbe confermare la tesi di Lévy-Bruhl circa la natura mistica, prelogica del pensiero dei popoli primitivi. Tuttavia lo studio di Evans-Pritchard, che ha come implicito oggetto polemico le teorie di Lévy-Bruhl, dimostra che la situazione è assai più complessa. Gli Zande, di fatto, hanno spiegazioni causali di tipo empirico del tutto analoghe a quelle degli occidentali per gli incidenti e le disgrazie (e in certa misura anche per la malattia). La stregoneria non viene chiamata in causa per spiegare la mancata riuscita di processi tecnici che normalmente si svolgono senza problemi; certamente non da tutti in modo generalizzato. A essa, piuttosto, gli Zande ricorrono per spiegare perché le disgrazie (e la malattia) colpiscano determinati individui (o famiglie), anziché altri esposti agli stessi rischi. La stregoneria dunque non è un sostituto delle spiegazioni in termini di cause empiriche, bensì un'integrazione introdotta per render conto delle diseguaglianze nella sofferenza. Gli Zande, e altri popoli con credenze analoghe, non si limitano a scrollare le spalle dicendo "la vita è ingiusta", ma cercano una spiegazione dell'ingiustizia e dei capricci della sorte in termini di malevolenza personale. Attraverso varie tecniche divinatorie si cerca di stabilire a chi attribuire la responsabilità delle sventure - e di solito il sospetto cade sui rivali e sui nemici. Ecco dunque che la stregoneria assume i contorni di una psicologia delle relazioni interpersonali. Inoltre la stregoneria, gli oracoli impiegati per scoprire streghe e stregoni, gli esorcisti e i rimedi contro la stregoneria formano un sistema di credenze e pratiche che si autosostiene. Se uno di tali elementi risulta in contraddizione con l'esperienza e con le aspettative, la discrepanza può essere attribuita all'interferenza di qualche altra componente del sistema. Inoltre, come abbiamo visto, gli Zande riconoscono cause di ordine empirico e argomentano in modo perfettamente logico nei termini di queste ultime. Il loro sistema di credenze, dunque, rappresenta una teoria causale multipla e pluralistica, che per di più viene utilizzata in modo selettivo a seconda del contesto. Lo stesso fenomeno che gli uni cercano di scusare attribuendolo all'azione della stregoneria, sollecitando in questo modo simpatia e appoggio, può essere condannato dagli altri come conseguenza di incuria o inettitudine - o imputato semplicemente alla 'cattiva sorte'. Lo stesso vale per la morte: ciò che un individuo e la sua famiglia possono considerare opera della malevolenza ingiustificata di un nemico, verrà interpretato da altri, che non sono toccati da questa tragedia familiare, come una 'giusta morte' - una conseguenza del tutto naturale dell'età avanzata o di una grave malattia.
La stregoneria e la fattucchieria degli Zande dunque, lungi dal costituire esempi di 'pensiero prelogico' (come riteneva Lévy-Bruhl), rappresentano una teoria della sventura e una psicologia dell'interazione sociale. Va rilevata inoltre l'ambiguità situazionale dell'attribuzione di intenzionalità nei casi di stregoneria. Si tratta di un punto che non viene messo sufficientemente in evidenza da Evans-Pritchard, la cui principale preoccupazione era quella di operare una distinzione tra la 'stregoneria' - consapevole e deliberata - e la 'fattucchieria' - inconsapevole e, per così dire, fortuita. Di fatto, tuttavia, mentre le vittime considerano l'individuo accusato di stregoneria come un agente consapevole, questi tende sempre a negare la propria colpa, ammettendo tutt'al più una responsabilità inconsapevole. Dal punto di vista sociologico, quindi, la stregoneria degli Zande è sia intenzionale che non intenzionale, e non sorprende pertanto che molti di loro si dichiarassero altrettanto scettici quanto Evans-Pritchard sulla sua efficacia. Ancora una volta vediamo qui il complesso intreccio tra credenze in una causalità mistica e credenze in una causalità empirica.
Tra gli Zande, e in altre società simili, le forze negative della stregoneria - associate al cannibalismo e universalmente condannate - denotano gelosia, invidia e disprezzo, e si basano sul principio 'mors tua vita mea' (appropriatamente definito principio del 'bene limitato' da George Foster). Parafrasando il famoso aforisma di Marx sulla religione, si potrebbe dire che la stregoneria (o la fattucchieria) è l'oppio dei popoli.Una formulazione particolarmente vivida di queste idee è quella offerta dai Cwana del Botswana, in Africa meridionale, secondo i quali tutti possono esercitare un'influenza maligna sugli altri attraverso pensieri malvagi. La stregoneria peggiore, secondo i Cwana, è quella del cuore. L'atmosfera sarebbe animata da forze spirituali che si muovono tra le persone. Nessuno è realmente in grado di controllare i propri poteri spirituali, e per questo motivo gli anziani consigliano di "non tenere l'odio dentro di sé".
Tuttavia la stregoneria e la fattucchieria non sono gli unici poteri mistici responsabili di disgrazie e sventure. Alcune sono punizioni che conseguono automaticamente dalla violazione dei tabù e di analoghe prescrizioni protette misticamente, altre riflettono il potere spirituale degli antenati, i quali tendono a punire i discendenti che non li onorano, e altre ancora, infine, sono da ricondurre all'intervento del remoto e distante 'Essere supremo' degli Zande. Nel suo studio ammirevolmente dettagliato e riccamente documentato Evans-Pritchard concentrò l'attenzione sulla stregoneria e sulla fattucchieria, in parte nell'intento di confutare le tesi di Lévy-Bruhl, in parte, forse, perché la sua ricerca sul campo coincise con una reviviscenza della paura della stregoneria nella società Zande provocata da un programma coloniale di insediamento forzato in villaggi. Di conseguenza Evans-Pritchard non fornì una spiegazione esauriente del complesso intreccio delle credenze zande.
Prima di allargare il quadro di riferimento del nostro discorso inserendo l'analisi di questi poteri mistici negativi e sovversivi nel più ampio contesto della visione cosmica carica di valenze morali, propria delle 'religioni primitive', occorre precisare che la stregoneria e la fattucchieria non costituiscono le uniche forme di aggressione mistica interpersonale. In altre parole, esiste un tipo di reazione alla sventura che, per quanto metta analogamente l'accento sull'innocenza delle vittime, è socialmente meno distruttivo, e consiste nell'attribuire la responsabilità del male a uno spirito o demone malvagio. Le disgrazie sono interpretate come sintomi di una possessione da parte degli spiriti: il male è diagnosticato come una forma di intrusione dello spirito della malattia nel corpo della vittima. Questi mali spirituali affliggono specialmente le donne (v. Lewis, 1996²), soprattutto nelle società tradizionali che attraversano una fase di trasformazione sociopolitica. Le terapie sono fondamentalmente di due tipi. Si può cercare di costringere lo spirito malefico ad abbandonare la persona in cui si è insediato attraverso rituali esorcistici, oppure si esorta il paziente a placarlo tributandogli un culto e instaurando una relazione duratura con esso, in modo da convertire lo spirito invasore inizialmente ostile in una forza amica. Attraverso quest'ultima procedura, che Luc De Heusch (v., 1971) ha definito 'endorcismo', vengono reclutati seguaci per i culti dedicati allo spirito, guidati da ex pazienti che hanno superato le prove per diventare sciamani a capo del culto (v. Lewis, 1996²). L'endorcismo è un tipo di trattamento piuttosto costoso, in quanto gli spiriti da placare hanno gusti dispendiosi, specialmente quando si tratta di donne (profumi, abiti di lusso, gioielli, ecc.). Ciò, naturalmente, impone spese considerevoli ai mariti e ai parenti maschi. Spesso, sebbene non sempre, gli episodi di possessione di cui sono vittime le donne tendono a verificarsi in situazioni di dissapori coniugali - tipicamente quando due o più mogli competono tra loro per conquistare i favori del marito comune.
In certi casi, di fatto, le donne presentano sintomi diagnosticati come attacchi di possessione quando i mariti iniziano i negoziati per l'acquisto di una nuova moglie. Oltre a distogliere l'attenzione dalla nuova sposa, le spese per il trattamento della moglie ammalata possono ridurre in misura considerevole le risorse del marito, mettendolo nell'impossibilità di effettuare i necessari pagamenti matrimoniali. Qualunque sia il contesto iniziale, il ripetersi degli attacchi di possessione porta quasi invariabilmente un coinvolgimento sempre più profondo delle donne in quello che è di fatto un culto clandestino, o una religione segreta femminile. Le donne che sono soggette a ricorrenti attacchi di possessione sono considerate 'sposate' agli spiriti da cui sono 'aggredite', e la possessione stessa è spesso assimilata a un rapporto sessuale con lo spirito. Questo tipo di relazione, chiaramente modellata sulle relazioni coniugali ed espressa nel linguaggio estatico proprio del misticismo in generale, costituisce ovviamente una minaccia per il rapporto della donna con lo sposo terreno.
I culti di possessione (che spesso attraggono anche uomini appartenenti a categorie sociali inferiori) sono particolarmente diffusi nelle società tradizionali che sperimentano un cambiamento religioso e politico in cui gli uomini si convertono a una nuova fede (spesso una 'religione mondiale'), mentre le donne si rivolgono alla vecchia religione in questa nuova forma enfatizzata ed estatica. Tra questi culti di possessione uno dei più noti è il complesso cultuale zar/bori, diffuso in tutto il continente africano - dall'area occidentale a quella settentrionale e nordorientale - e al di fuori dell'Africa nel Golfo Arabico e in Iran (v. Lewis e altri, 1991). Esso è presente quindi in comunità che sono ufficialmente di religione cristiana o musulmana, ed è considerato dagli esponenti di queste ultime come una 'superstizione arcaica', il relitto di una religione primitiva, e viene altresì contrastato in quanto copertura di una militanza femminile. Ritorneremo in seguito sull'ambiguità di questa classificazione. Al complesso culturale zar/bori è associato un interessante pantheon di spiriti. Nel Sudan, ufficialmente musulmano, esso include santi e profeti islamici, spiriti femminili etiopi di natura erotica (associati alla prostituzione), spiriti turchi (riconducibili all'esperienza del dominio turco-egiziano), arabi (che si richiamano ai colonizzatori e conquistatori arabi i quali portarono la religione islamica) ed europei (retaggio dell'imperialismo britannico), e infine spiriti negri del Sud violenti e 'cannibali' (che simboleggiano il Sud non musulmano). Ciascuna classe di spiriti ha i propri costumi, che vengono indossati dalle donne nei rituali del culto, e una melodia caratteristica al suono della quale i devoti dello spirito danzano in stato di trance.
Nel Sudan questo culto è saldamente integrato nel contesto locale islamico: gli spiriti osservano le festività islamiche e seguono il calendario musulmano. Le donne a capo del culto - per lo più ex schiave - sono chiamate 'sceicche', e quando è possibile vanno regolarmente in pellegrinaggio alla Mecca. I rituali del culto, in cui si osservano molti elementi musulmani, sono analoghi ai riti matrimoniali sudanesi in quanto al pari di questi mettono in risalto il ruolo riproduttivo femminile; nella maggior parte dei casi sono disturbi legati alle funzioni riproduttive che spingono le donne a rivolgersi a tali culti. La terapia qui diventa una vera e propria religione. I fenomeni di possessione si verificano in situazioni sociali in cui mancano o sono preclusi altri sistemi di espressione delle frustrazioni e di realizzazione delle ambizioni personali. Come avviene nei fenomeni di stregoneria, anche in questo caso i posseduti sono per definizione sopraffatti da forze aliene che sfuggono totalmente al loro controllo, e quindi assumono il ruolo di vittime innocenti che richiedono attenzione e simpatia. Sia questo tipo di possessione che la stregoneria, inoltre, possono anche essere interpretati come aggressioni dirette contro altri. Talvolta, ad esempio, lo spirito della donna invasata può criticare e sfidare direttamente il marito di questa. La vittima di una stregoneria imputa a un nemico o a un rivale la responsabilità della sua condizione. In questa lettura in termini di azione sociale, la possessione implica un tipo di aggressione - in genere contro un coniuge oppressivo - più implicito e indiretto di quello comportato dalla stregoneria o dalla fattucchieria, che hanno tutti i caratteri di atti omicidi. In alcune culture in cui esistono entrambe le forme di aggressione mistica, le classi inferiori usano la possessione contro le classi superiori, senza peraltro cercare di rovesciarne completamente l'autorità, laddove le accuse di stregoneria e di fattucchieria sono un mezzo per sfidare radicalmente un'autorità inaccettabile. Lo stress psicodinamico e le tensioni all'interno della famiglia poliginica, quindi, possono strutturarsi nel modo seguente: le mogli si accusano reciprocamente di stregoneria, ma tale accusa non è mai rivolta contro il marito, di cui vengono contesi i favori attraverso gli attacchi di possessione. Il marito esasperato può reagire accusando una moglie troppo esigente di essere una strega (v. Lewis, 1996², p. 85).
Sia che coinvolgano spiriti demoniaci alieni, o il potere intrinsecamente maligno della stregoneria, le forme di potere mistico sinora esaminate sono considerate forze illegittime e antisociali, di natura essenzialmente sovversiva, che minacciano l'ordine morale della società.
La tutela dell'ordine morale è per contro il fulcro di altri tipi di culto propri delle società tradizionali, in particolare del culto degli antenati. Un esempio al riguardo è offerto dalle credenze dei Lugbara ugandesi (v. Middleton, 1960). In questa società, caratterizzata da un'organizzazione politica acefala di tipo tradizionale, la leadership è esercitata dagli anziani, che guidano piccoli aggregati di lignaggi patrilineari. Questi sono formati da famiglie di contadini che possono comprendere sino a sessanta individui. Oltre a distribuire la terra coltivabile e a controllarne l'allocazione, il capo anziano è il custode dei santuari degli antenati del gruppo, e ha dunque il monopolio delle relazioni tra i familiari e i loro avi. In qualità di custodi delle tradizioni morali, gli antenati giudicano il comportamento dei discendenti, punendo coloro che non rispettano l'autorità dell'anziano o infrangono l'armonia della comunità. A chi si macchia di tali 'peccati', inclusi il fratricidio e l'incesto, gli antenati inviano malattie e sventure, che sono interpretate dunque come punizioni del comportamento immorale. Raramente, tuttavia, gli antenati agiscono direttamente: in genere intervengono per fare giustizia dietro sollecitazione degli anziani. Non sorprende, dunque, che la dimostrazione più convincente dell'autorità di un anziano sia la sua capacità di invocare la maledizione ancestrale su un malfattore. Si ritiene quindi che l'anziano abbia una sorta di 'comunicazione diretta' con gli antenati, i quali rispondono direttamente alle sue lagnanze, che hanno l'effetto di una maledizione. I Lugbara chiamano 'ole' questo potere, che può essere considerato una forma spiritualizzata di carisma politico. Non si tratta peraltro di un potere incontrollato, poiché i Lugbara sono molto sensibili agli abusi di potere - i tentativi da parte di un anziano di rafforzare la propria autorità e di costringere il proprio seguito a conformarsi ai suoi voleri invocando ingiustamente la maledizione degli antenati. Anche per designare questa forma maligna di potere carismatico i Lugbara usano il termine 'ole', che in questo caso potrebbe essere tradotto nel modo più appropriato con 'carisma negativo'.
La mobilitazione del potere degli antenati attraverso le maledizioni e i suoi abusi (causa di sofferenze ingiustificate) si ritrovano in molte altre culture. Tra i Nyakusa della Tanzania, ad esempio (v. Wilson, 1951), il potere degli anziani di maledire chi trasgredisce il codice morale è chiamato 'respiro degli uomini', e si crede derivi da un 'demone' situato nello stomaco (si confronti la credenza zande secondo cui la stregoneria sarebbe localizzata nell'intestino tenue, sotto forma di una sostanza materiale chiamata mangu). Le stesse forze animano anche il potere maligno e antisociale di streghe e stregoni. Di conseguenza, la forza ispiratrice di un egotismo antisociale si tramuta nel suo opposto quando è utilizzata per tutelare il pubblico interesse socialmente approvato. Presso un'altra popolazione della Tanzania, i Safwa (v. Harwood, 1970), il concetto di itonga ha un'analoga ambivalenza, in quanto a seconda dei contesti può designare un carisma positivo approvato socialmente o un carisma negativo pubblicamente condannato. I Tiv della Nigeria (v. Bohannan, 1957), un'altra società con un'organizzazione politica acefala, usano il termine 'tsav' per designare sia la forza che sta a fondamento della giusta maledizione degli anziani, sia il suo opposto, il potere della stregoneria usato per fini egoistici.
Si potrebbero citare molti altri esempi di potere carismatico che assume connotazioni negative o positive a seconda del contesto morale. Come abbiamo visto, nella società zande i capi controllavano le accuse di stregoneria attraverso il monopolio degli oracoli. Più di frequente, nei regni africani tradizionali i sovrani, che vengono ritenuti padroni della vita e della morte dei sudditi, proteggono questi ultimi dalle stregonerie attraverso l'uso legittimo dello stesso potere (v. MacGaffey, 1980).
In queste società tradizionali caratterizzate da un'economia di sussistenza un elemento essenziale del potere carismatico degli anziani o dei capi è la fertilità; non sorprende pertanto che la sessualità abbia un ruolo di primo piano nelle credenze e nei riti religiosi. Così, ad esempio, secondo Jomo Kenyatta (v., 1938) un concetto chiave nella religione dei Kikuyu del Kenya è quello di mambura, che egli traduce come 'sacro' ma che denota anche, e forse principalmente, il rapporto sessuale tra gli anziani e le loro mogli non solo nel normale contesto domestico, ma anche in contesti cerimoniali, come ad esempio al termine dei rituali di circoncisione, o nella cerimonia di purificazione che segna la fine del rituale della seconda nascita (v. Bernardi, 1994, pp. 187-199). Nell'Africa centrale in generale il 'calore' del rapporto sessuale è associato alla fertilità, soprattutto nel caso dei capi, la cui vita sessuale di conseguenza riveste un grande interesse per i sudditi. Nella valle del Luapula l'usanza vuole che per festeggiare l'inaugurazione di un nuovo villaggio, il capo abbia un rapporto rituale con la consorte. La coppia deve poi mondarsi dai fluidi sessuali lavandosi nella speciale 'vasca matrimoniale' della donna. Si crede che questo lavacro rituale mantenga nel villaggio un propizio stato di 'calore', e che la raccolta dei fluidi sessuali favorisca la crescita delle piante e la fecondità in generale.
Credenze analoghe, ma in forma più elaborata, si ritrovano presso i Bemba, una società caratterizzata da un'organizzazione politica più centralizzata guidata da un sovrano ritenuto di origine divina. Qui ci si aspetta che il re e i capi abbiano rapporti sessuali regolari con le mogli nell'interesse generale della popolazione. Negli insediamenti più antichi dei Bemba questi atti di intimità tribale sono orchestrati dai consiglieri. Si ritiene che in questo modo l'energia mistica del sovrano possa liberarsi, assicurando la fertilità della terra e degli uomini. Naturalmente, l'eccitazione sessuale così scatenata è potenzialmente assai pericolosa, e viene quindi controllata attraverso proibizioni rituali sorvegliate da una classe sacerdotale, cui è affidata la responsabilità di "preservare la natura divina del sovrano" (v. Richards, 1968).Il vodu haitiano (v. Larose, 1977) - sebbene attualmente sia solo in parte una 'religione tradizionale', in quanto è anche un culto cristiano sincretico - evidenzia chiaramente questa ambivalenza morale del potere mistico. Nel vodu vi sono fondamentalmente due categorie di spiriti: le 'punte' - poteri magici malefici connessi agli zombi che si nutrono di sangue - e i loa, i famosi 'invisibili', assimilati a santi cattolici e considerati come protettori benigni. Questi poteri buoni, che agiscono nell'interesse collettivo, sono identificati con antenati di origine africana - poiché l'Africa viene considerata l'origine sacra della munificenza e della benevolenza mistica. È questo, in sintesi, il quadro sincronico delle principali forze che agiscono nel vodu. Il quadro diacronico è più complesso e più interessante. Quando un individuo muore, le sue 'punte' egoistiche orientate esclusivamente all'interesse personale diventano parte della sua proprietà, e attraverso l'eredità entrano nel patrimonio di famiglia. Avendo ora assunto un carattere familiare, collettivo, quelle che originariamente erano considerate 'punte' individualistiche e malvagie si trasformano in loa benigni. Così la magia umana (un artefatto culturale) diventa religione (un fenomeno 'naturale'). Di conseguenza nel vodu le forze benigne e le forze maligne si fondono nel tempo allorché nuovi antenati sono creati dalla magia, opera dell'uomo. Detto in altri termini, la magia del passato si trasforma in religione del presente.Nel vodu, così come in analoghi sistemi religiosi dualistici, gli antenati o altri numi tutelari dell'ordine morale non puniscono direttamente i peccatori, ma attraverso la revoca della loro protezione divina, che espone il colpevole all'attacco di quelle forze maligne che agiscono, per usare l'espressione di Giacomo I d'Inghilterra, come 'carnefici di Dio'.
I culti degli antenati, che, per così dire, feticizzano l'autorità degli anziani, sono forse gli esempi più evidenti di una religione fondata sulla moralità. Qui la devozione nei confronti dei membri anziani della famiglia si estende senza soluzione di continuità ai loro spiriti immortali. I culti degli antenati sono dunque basati direttamente sulla 'pietas filiale' (v. Fortes, 1969) e tendono a propagarsi con l'importanza della discendenza lineare nella struttura politica di una società. Un esempio relativo a una società di dimensioni ridotte, che peraltro non si basa su gruppi parentali estesi, è il culto dei morti dei Manus delle Isole dell'Ammiragliato (v. Fortune, 1935). I Manus credono che l'essenza del padre defunto sia insita nel cranio, che viene trattato con grande cura e appeso alle travi del soffitto per presiedere con la sua influenza benigna alle sorti dei discendenti. Se però la cattiva sorte colpisce il figlio e la sua famiglia, questo spirito paterno rischia di essere retrocesso tra gli spiriti dimenticati dei morti, e di subire la degradazione suprema della trasformazione in un oloturoide. Questa discesa nella scala zoologica - un passaggio dalla cultura alla natura, come direbbe Lévi-Strauss - riflette la diminuita importanza che gli antenati hanno per i vivi una volta esaurita la loro utilità di efficaci protettori.
La nozione di pietas filiale nella sua forma confuciana è il fondamento esplicito dell'elaborato culto shintoistico degli antenati, ancora praticato nel sofisticato Giappone - esempio di una 'religione primitiva' che si è conservata in una società avanzata. Nonostante le influenze confuciane, buddhiste e persino cristiane, lo shintoismo è assai simile nei suoi aspetti essenziali ai culti tribali degli antenati delle società tradizionali africane. Ancor oggi, nella maggior parte delle case giapponesi vi sono altari domestici e tavolette commemorative per i parenti defunti, trattati come antenati e venerati nel Giappone politeistico al pari delle divinità buddhiste, e spesso chiamati 'buddha'. Grazie alle fonti scritte della storia giapponese e al vasto corpus di studi sulla storia delle religioni asiatiche, conosciamo l'evoluzione di questo interessante culto degli antenati assai più di quanto non accada per qualsiasi altro culto. Sappiamo ad esempio che nel XX secolo la famiglia imperiale e il governo trasformarono deliberatamente il culto shintoista in una religione di Stato nazionale (e invero molto nazionalistica), al fine di legittimare il ruolo dell'imperatore come monarca divino, come 'padre della nazione' i cui antenati sono considerati anche antenati della nazione. Il nazionalismo giapponese del XX secolo potè dunque trovare sostegno in un culto degli antenati del tutto simile a quelli tipici delle società africane preletterate (v. Hori, 1968; v. Smith, 1983; v. Ohnuki-Tierney, 1987).
Nelle religioni tradizionali gli antenati non sono l'unico fulcro dell'ordine morale; altre forme di potere spirituale possono assolvere la medesima funzione. Nelle religioni nilotiche del Sudan troviamo importanti culti a base morale imperniati sull'idea di un dio o spirito onnipresente, che viene particolarizzato a seconda del contesto sociale e del livello di raggruppamento (lignaggio, gruppi locali o famiglie). Tra i pastori Nuer, ad esempio, (v. Evans-Pritchard, 1956), il dio/spirito kwoth è considerato origine della buona e della cattiva sorte, e il centro ultimo dell'universo. In quanto creatore e protettore del gruppo etnico, tale spirito è 'padre' e 'signore' di tutte le cose - tutto ciò che esiste è sua proprietà. Di conseguenza, i sacrifici di capi di bestiame o di altri beni non sono che una restituzione di ciò che già gli appartiene. Sebbene onnipresente, il dio dei Nuer è concepito a volte come distante e remoto, a volte come direttamente coinvolto nelle vicende umane - in certi casi sin troppo, come quando gli viene imputata la cattiva sorte. Tale divinità incarna l'ordine morale in quanto premia il giusto con il successo e punisce il peccatore con sventure e sofferenze. In relazione all'ordinamento sociale dei Nuer, basato su un sistema di lignaggio segmentario, il dio viene frammentato in quelle che Evans-Pritchard chiama 'rifrazioni', che riflettono l'esperienza nuer della natura molteplice della divinità. Di conseguenza, la religione di questa società è nello stesso tempo monoteistica e politeistica. Secondo Evans-Pritchard, qui la credenza negli spiriti degli antenati e nella stregoneria o fattucchieria è del tutto marginale; i Nuer hanno un atteggiamento fatalistico nei confronti di quelle avversità che non possono essere interpretate come legittime punizioni di peccati, sebbene credano nelle maledizioni, nei feticci e nel malocchio. Tra i Dinka, una popolazione vicina e affine ai Nuer, studiata dal brillante allievo e collega di Evans-Pritchard, Godfrey Lienhardt (v., 1961), forze sussidiarie di questo genere, inclusa la stregoneria, hanno un ruolo più importante per spiegare quelle sventure e malattie che sembra inappropriato attribuire all'azione delle divinità (o 'potenze') dinka. Osserviamo per inciso che questa religione è considerata espressamente dal suo etnografo una 'religione rivelata', in cui i poteri spirituali intervengono direttamente nelle vicende umane, spesso sotto forma di drammatici fenomeni di possessione. La divinità è il garante della verità e dell'ordine morale; il fatto che ai peccatori possano arridere fortuna e successo non costituisce un problema per i Dinka, i quali "sono certi che la divinità farà in ultimo giustizia" (ibid., p. 47).
Naturalmente, non tutte le società acefale presentano strutture sociali segmentarie che trovano un equivalente sul piano religioso in divinità 'rifratte'. Possiamo citare come esempio gli Indiani Akawaio di lingua caribica della Guiana (v. Butt e altri, 1967), una società divisa in piccole comunità contadine insediate nelle valli fluviali, ampiamente autonome e spesso in guerra tra di loro. Anche in questo caso al centro della religione non vi sono gli antenati, bensì un complesso culturale di spiriti della natura. A differenza delle divinità nuer e dinka, però, questi spiriti non hanno esplicite funzioni morali, sebbene possano agire per certi versi come custodi della moralità. In situazioni di conflitto sociale, infatti, a essi vengono imputate le malattie e la cattiva sorte. In generale, gli Akawaio credono che le rotture dell'armonia su cui si fonda la coesione della comunità rischiano di attirare la collera degli spiriti, i quali reagiscono inviando malattie e sventure. La cura in questo caso consiste nel localizzare la relazione troncata e nel fare le ammende appropriate, ripristinando l'armonia spezzata. Quando non si può risalire a infrazioni di questo tipo nell'ambito del gruppo locale, la causa dei mali viene ricercata non nella stregoneria, bensì nell'ostilità di una comunità vicina. Queste diagnosi vengono effettuate dallo sciamano locale, che protegge il gruppo grazie alla sua relazione privilegiata con gli spiriti. Ma questo potere dello sciamano locale viene visto dall'esterno, dagli altri villaggi, come una potenziale minaccia alla propria sicurezza. Lo sciamano di ciascun gruppo diventa dunque un simbolo dell'inimicizia e del conflitto fra le varie comunità: è qui che risiede, in questo caso, l'ambivalenza del potere mistico.
La stessa ambivalenza del ruolo dello sciamano emerge chiaramente nei resoconti etnografici sulla religione delle popolazioni artiche - locus classicus dello sciamanismo (v. Lewis, 1996²). Presso i Tungusi, ad esempio, lo sciamano del clan aveva la funzione di proteggere il proprio gruppo dall'aggressione degli sciamani dei clan rivali, e nello stesso tempo - come accadeva per l'antenato presso i Lugbara - uno sciamano impopolare poteva essere screditato e accusato di essere uno 'stregone' che ha rapporti con spiriti alieni. Nel caso degli Inuit o Eschimesi, l'ultimo esempio che citeremo in relazione a questo tema, il legame tra religione e moralità appare più indiretto. Si potrebbe affermare che qui la moralità consiste nel seguire religiosamente le 'leggi mistiche della selvaggina' che governano la caccia (ibid., p. 150). Queste 'norme di vita', come le definisce Rasmussen (v., 1929), regolano la disponibilità di selvaggina, dalla quale tradizionalmente gli Eschimesi dipendono per la sopravvivenza. Finché tali norme vengono osservate, la cacciagione non mancherà né vi saranno pericoli per il cacciatore. Questo codice sostanzialmente ecologico richiede che le prede e le attività dei mesi invernali non vengano mescolate a quelle dei mesi estivi. Ad esempio, le foche e altri prodotti del mare utilizzati in inverno devono essere tenuti separati dai caribù cacciati nel periodo estivo; la carne di caribù e di balena non può essere mangiata nello stesso giorno, e analogamente le pelli di caribù non possono essere confezionate nei periodi di caccia al tricheco; il cibo estivo non può essere consumato finché non sono stati smessi gli abiti invernali. Esistono centinaia di regole siffatte, la cui violazione minaccia di attirare malattie e sventure sul trasgressore e, cosa ancor più grave, di mettere a repentaglio il benessere dell'intera comunità. Secondo gli Eschimesi, coloro che infrangono tali regole emanerebbero un odore sgradevole che respinge la selvaggina, e per evitare che la caccia abbia esiti disastrosi occorre prendere le misure adeguate: il trasgressore deve confessare pubblicamente le violazioni dei tabù di cui si è macchiato, e fare penitenze e offerte sacrificali. Il problema è affidato allo sciamano del gruppo, il quale organizza una seduta in cui, con l'aiuto degli spiriti che lo assistono, esamina la condotta del colpevole per determinare quali tabù siano stati violati e in che modo vi si possa porre rimedio. Se non risulta che sia stata commessa alcuna violazione, e la condotta dell'accusato risulta irreprensibile, la colpa viene attribuita alla stregoneria di sciamani maligni appartenenti ad altre comunità.
Prima di passare a considerare il ruolo del mito e del rituale, concluderemo l'esame del modo in cui attraverso le spiegazioni della cattiva sorte la moralità è iscritta nelle religioni primitive presentando uno schema semplificato del potere mistico:
Sfortuna e malattie sono una conseguenza della condotta morale, e possono essere inflitte o direttamente dalle forze che tutelano l'ordine morale, oppure indirettamente dalle forze opposte che, pur mettendo esplicitamente in discussione la moralità, di fatto la promuovono in quanto possono essere efficaci solo quando la protezione benigna viene revocata. Resta il caso irriducibile della sofferenza degli innocenti. Il problema del male immeritato (che secondo Evans-Pritchard i Nuer non si porrebbero), viene risolto attribuendo la responsabilità a forze malvage che per definizione si pongono al di fuori dell'ordine morale, ossia a una stregoneria esterna.
La religione, sia essa 'primitiva' o 'evoluta', naturalmente non si propone solo di spiegare la sofferenza e di offrire rimedi al male. Essa cerca anche di rispondere a problemi più ampi di ordine cosmico, e abbellisce e arricchisce l'esistenza attraverso rituali che santificano gli stadi cruciali del passaggio dalla nascita alla morte e marcano i principali eventi che coinvolgono la comunità.
In quasi tutte le società troviamo miti della creazione che spiegano la nascita dell'umanità e la sua differenziazione dal resto della natura. Al centro di queste spiegazioni dell'origine dell'uomo vi è spesso un incesto primordiale che, come ha messo in luce Freud nella sua famosa analisi del mito di Edipo, sancirebbe la transizione dallo stato di natura alla società umana, oppure, come direbbe Lévi-Strauss (v., 1962), il passaggio dalla natura alla cultura (si tratterebbe quindi sostanzialmente di un'evoluzione positiva, in contrasto con il tono nostalgico del mito stesso). Secondo Lévi-Strauss questi miti, illustrando le funeste conseguenze dell'incesto, avrebbero inoltre la funzione di riaffermare il valore dell'esogamia. Tuttavia, come vedremo tra breve, il discorso è assai più complesso.Gli elementi essenziali della narrazione della Genesi si ritrovano nei pittoreschi miti della creazione degli Aborigeni australiani, che narrano come nell'Età del Sogno primordiale le due sorelle Wawilak attraversarono la foresta di Arnhem, denominando piante e animali e indicandoli come futuri totem. A seguito dei loro rapporti incestuosi con uomini del proprio clan, le due sorelle e la loro prole dovettero affrontare il Grande Pitone, che emerse dalla sua pozza sacra e le divorò, provocando un'immane alluvione che sommerse tutta la terra. Questi misteri vennero in seguito rivelati agli uomini del clan: qui il Pitone, l'elemento maschile della società, rappresenta anche la stagione delle piogge, che inghiotte e rigurgita la stagione secca per portare pioggia e fertilità.
Tra i Tucano dell'Amazzonia si ritrova un mito analogo di incesto cosmogonico, che narra come il Padre Sole, il dio creatore, si unì incestuosamente con la figlia al momento della creazione; tale evento viene commemorato in rituali di trance che celebrano le rigide regole esogamiche vigenti attualmente nella società (v. Reichel-Dolmatoff, 1971). Secondo i Tucano, lo stesso incesto primordiale avrebbe prodotto una pianta allucinogena (Banisteriopsis caapi) in grado di provocare visioni estatiche che vengono paragonate esplicitamente al rapporto incestuoso. Scopo dichiarato di tali visioni è un ritorno all'utero nel principio dei tempi, in cui si possono vedere le divinità tribali, la creazione dell'universo e dell'umanità, la prima coppia umana, la creazione degli animali e l'istituzione dell'ordinamento sociale, con particolare riguardo alle leggi esogamiche. L'individuo in stato allucinatorio che penetra nel grembo primordiale paragona se stesso a un fallo che penetra nel grembo materno. In altre società in cui l'esogamia non ha analoga importanza, la separazione tra il cielo e la terra e l'origine del genere umano mortale vengono ricondotti non a un incesto primordiale ma ad altri tipi di trasgressione. In alcune società amazzoniche, peraltro, si crede che le donne conservino un certo status di immortalità associato alla mestruazione e al parto (v. Hugh-Jones, 1979, p. 250). Ovunque, del resto, per la loro fertilità visibile le donne tendono a essere associate a certi aspetti della natura al di fuori della società umana rappresentata dall'elemento maschile, sebbene non sempre ciò avvenga in modo semplice e diretto (v. Ortner, 1974).Ancora più spesso i miti cosmici hanno il carattere di spiegazioni filosofiche, facendo appello a poteri mistici quali spiriti e divinità che "spiegano sempre più in termini di sempre meno" (v. Horton, 1970).
A un livello meno generale, i miti associati alla carica politica, come già aveva dimostrato Malinowski (v., 1922), contribuiscono a legittimare il potere - persino, o forse specialmente, quando coloro che reclamano il diritto di esercitarlo sono usurpatori. Naturalmente, lo stesso mito può servire a scopi diversi, e avere quindi significati diversi, per diversi segmenti o classi della società. Il mito di Edipo, ad esempio, non rappresenta solo il passaggio dalla 'natura' alla 'cultura', come sostenevano Freud e Lévi-Strauss, ma contiene anche il motivo intrigante dell''erede al trono perduto e ritrovato', e rappresenta dunque nel caso di alcuni regni tradizionali africani la razionalizzazione di una usurpazione straniera.
I miti, affermava Malinowski, esistono come ornamento dei riti, e il suo discepolo Lloyd Warner si spinse ancora più in là equiparando i miti degli Aborigeni a 'riti orali'. Più in generale, si potrebbe affermare che tra il mito e il rituale vi è lo stesso rapporto che sussiste tra la musica e la danza. I riti, pertanto, possono essere considerati come una messa in scena di verità religiose, una comunicazione con gli spiriti che è un atto di devozione, o una supplica d'aiuto, o un'invocazione della loro benedizione per sottolineare l'importanza dei principali eventi nella società o nella famiglia.
È opinione diffusa che nelle società tradizionali la dimensione rituale abbia un'importanza assai maggiore che nelle società moderne; è questa, ad esempio, la posizione di Lévy-Bruhl. Tuttavia, sebbene la maggior parte delle società tradizionali sacralizzi attraverso i riti le tappe decisive della vita dalla nascita alla morte, i riti possono svolgere funzioni assai diverse a seconda dei contesti. Riprendendo la tradizione del funzionalismo durkheimiano Victor Turner (v., 1969), nel suo famoso studio sul simbolismo dei colori nei riti di iniziazione dei Bakongo dell'Africa centrale, ha messo in evidenza la funzione di integrazione e di unificazione politica del rituale nei conflitti tra gruppi. Nelle società tradizionali strutturate gerarchicamente, per contro, nei riti che celebrano la monarchia si possono individuare correnti sovversive. Un esempio al riguardo è dato dalle tradizionali feste del primo raccolto nei regni bantu meridionali. Nel corso di queste feste il re è insultato e dileggiato in elaborate sequenze rituali in cui le donne assumono ruoli maschili, e l'ordinamento gerarchico riconosciuto viene temporaneamente rovesciato. Secondo Gluckman (v., 1963) questa 'ribellione rituale' dà sfogo alle correnti dissidenti e sovversive tra i sudditi, scongiurando in tal modo una rivoluzione reale. Come ha osservato acutamente Georges Balandier (v., 1970, p. 41), "lo stratagemma supremo del potere consiste nel consentire la propria contestazione rituale al fine di consolidarsi in modo più efficace".
Il rito, in ultima analisi, deriva il suo potere di sacralizzazione dalle forze mistiche attraverso le quali l'uomo attribuisce al mondo che lo circonda un significato supremo e trascendente.
Le religioni tradizionali, al pari delle religioni mondiali, fanno riferimento anche al mondo sociale e ai principî morali su cui si fonda. La risposta mistica alla condotta morale ha dunque un'importanza cruciale. Come abbiamo visto, l'ordine morale può essere tutelato direttamente dagli spiriti che puniscono i trasgressori, o può essere affermato indirettamente (nel contesto di una teologia dualistica) dalle forze benigne del cosmo attraverso la revoca della loro protezione, che espone i trasgressori all'aggressione maligna delle forze oscure e antisociali contrapposte al potere benigno. Naturalmente, come abbiamo già osservato, l'esperienza della sofferenza in questa vita non è limitata ai peccatori. Ciò solleva l'eterna questione del male immeritato, che i popoli 'primitivi' sono ben lungi dall'ignorare come, secondo Evans-Pritchard, accadrebbe per i fatalistici Nuer.
Con la grande espansione delle religioni mondiali, alcuni elementi delle religioni tradizionali locali sono penetrati nella pratica della religione ortodossa, minacciandone talvolta le credenze. Dal punto di vista dell'ortodossia questi aspetti devianti sono 'superstizioni', retaggi di una 'religione primitiva'. Da un punto di vista sociologico, tuttavia, oltre che essere potenzialmente sovversive tali deviazioni possono essere considerate la controparte necessaria dell'ortodossia stessa, che di solito definisce se stessa proprio in opposizione a queste sottocorrenti 'negative'. In effetti, si potrebbe affermare che se tali credenze e pratiche devianti non esistessero, sarebbe necessario inventarle al fine di riaffermare e mantenere l'ortodossia teologica, che si presenta come loro antitesi. A tale riguardo ci limiteremo a osservare che le religioni mondiali politeistiche, come l'induismo e il buddhismo, sono assai più tolleranti nei confronti delle credenze locali di quanto non lo siano le religioni monoteistiche come il cristianesimo e l'Islam. Le prime sono formalmente pluraliste e incoraggiano il sincretismo, mentre le seconde cercano di contrastarlo, emarginando le tendenze in tale direzione.
La visione escatologica condivisa dalle religioni mondiali, che pospone il giudizio morale finale nell'aldilà e risolve in questo modo il problema della mancata punizione dei peccatori in questa vita e, più in generale, il problema dell'ineguaglianza, non basta a soddisfare tutti i bisogni umani. La situazione è ben illustrata dal modello religioso pluralistico del Giappone. Qui l'orientamento religioso cambia a seconda dell'età: lo shintoismo, che promette ricompense immediate, è preferito dai giovani, più combattivi e competitivi, che si rivolgono ai santuari shintoisti per ogni sorta di problemi concreti di salute, di successo e di sicurezza; mentre gli anziani si volgono di preferenza al buddhismo, considerato una preparazione all'aldilà.Nella pratica quotidiana del buddhismo Theravāda, diffuso nello Sri Lanka, vi è una sorta di scambio tra il culto delle divinità locali e la venerazione del Buddha. La benedizione a lungo termine che si ottiene venerando i santuari buddhisti viene trasferita a divinità locali in cambio della promessa di un aiuto più immediato nelle difficoltà contingenti.
Tendenze analoghe si possono riscontrare nella pratica quotidiana dell'induismo indiano. In contrasto con la dottrina ortodossa, il karma viene ritenuto contagioso, e quindi si crede che il karma positivo o negativo di una persona possa influenzare gli altri. Inoltre, malattie e sventure spesso non sono interpretate come conseguenza del destino karmico di un individuo, ma vengono imputate a una malevolenza personale o ad altre influenze maligne (v. Sharma, 1973). Naturalmente, come abbiamo visto nel caso della stregoneria zande, queste influenze maligne vengono invocate per presentare la propria condotta nella luce più favorevole possibile.
L'Islam e il cristianesimo, dal canto loro, nel corso della storia hanno dovuto tollerare, e talvolta accogliere a malincuore, una varietà di culti locali, in genere incentrati su esseri spirituali come i santi. La pratica di tali culti ha sempre alimentato reazioni 'fondamentaliste' contro quelle che vengono bollate come 'eresie'. Non sorprende, pertanto, che la cosiddetta 'religione popolare' sia estremamente malvista dai teologi fondamentalisti. E tuttavia, come abbiamo già accennato, le concezioni escatologiche delle religioni mondiali si dimostrano inadeguate e devono essere integrate con elementi attinti dalle religioni non escatologiche etichettate come 'primitive', che promettono ricompense e punizioni immediate.
Nelle moderne società cristiane occidentali un ulteriore impulso in questo senso è dato dalla tesi della 'morte di Dio' della teologia contemporanea, che si traduce in pratica in un rifiuto della dottrina escatologica tradizionale in cui molti, in ogni caso, hanno cessato di credere. Inevitabilmente ciò ha come conseguenza un rifiorire della magia esotica, della stregoneria, della possessione demonica (inclusa quella da parte di 'alieni') e del 'satanismo', nonché di culti mistici di origine orientale - che sono attualmente un vero e proprio fenomeno di massa (v. Hexham e Poewe, 1986; v. Del Re, 1988; v. Barker, 1989; v. Lanternari, 1994). Ci troviamo quindi di fronte all'apparente paradosso di una 'religione primitiva' accolta con entusiasmo nella società contemporanea. (V. anche Credenze e culti; Festa; Incesto; Mito; Riti; Sciamanesimo).
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