Filosofo italiano (n. Casteldidone, Cremona, 1828 - m. suicida a Mantova nel 1920). Sacerdote, nel 1871 smise l'abito talare e dal 1881 al 1920 insegnò storia della filosofia all'univ. di Padova, divenendo il massimo rappresentante del positivismo italiano. Per A. la dimensione fisica e quella psichica sono aspetti di un'unica realtà oggettiva, che si evolve dall'indistinto al distinto. Tra le opere, La morale dei positivisti (1878) e L'unità della coscienza (1898).
Sacerdote (1851), insegnante (1852-67) nel seminario di Mantova, canonico (1863), fu poi professore (incaricato, dal 1864; titolare, dal 1869) di filosofia nel liceo pubblico della stessa città. Nel 1869, un suo discorso in memoria di P. Pomponazzi fu messo all'indice e la mancata ritrattazione da parte dell'A. portò, nello stesso anno, alla sua sospensione a divinis; nel 1871 smise l'abito ecclesiastico. Dal 1881 al 1920 fu professore di storia della filosofia nell'univ. di Padova, coprendo anche per alcuni anni gl'incarichi di lingua e letteratura tedesca (1885-86) e di pedagogia (1888-91).
A. è il massimo rappresentante del positivismo italiano; il suo sistema è peraltro piuttosto un grandioso tentativo di metafisica monistica che uno sviluppo dei motivi più propriamente empiristici del positivismo. Da un lato egli considera tanto la realtà fisica quanto quella psichica come aspetti di una realtà obiettiva sostanzialmente unica, e propende così verso uno schietto materialismo; d'altro lato, concepisce il processo evolutivo di tale unica realtà come un moto di continua genesi del distinto dall'indistinto. Tra i suoi scritti (quasi tutti in Opere, 11 voll., 1882-1912) si debbono particolarmente ricordare: La psicologia come scienza positiva (1870); La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877); La morale dei positivisti (1878); Il vero (1891); La ragione (1894); L'unità della coscienza (1898); Scienza dell'educazione (1903).