Russia
Rùssia. – Nel primo decennio del 21° secolo la Russia postsovietica ha consolidato i propri caratteri politici, economici e sociali sotto la guida di Vladimir Putin. La figura di Putin, presidente della Federazione Russa dal 2000 al 2008, poi primo ministro e di nuovo dal 2012 presidente, ha dominato la scena politica e ha impresso un’impronta fondamentale all’evoluzione del Paese, ancora legato a una tradizione di estrema personalizzazione del potere. Eletto nel marzo 2000 con il 53% dei voti Putin ha goduto inizialmente di un consenso senza precedenti costruito sulla restaurazione dell’autorità dello Stato, sulla crescita economica, sul ristabilimento del prestigio internazionale del Paese. Ciò che, fondamentalmente, ha fatto presa sull'opinione russa è stata la sua immagine di uomo forte, in grado di mettere a freno il dilagare della corruzione e delle mafie nella vita pubblica, di usare il pugno di ferro contro il terrorismo nato dalla questione cecena, di restituire alla R. un ruolo attivo nella politica estera, soprattutto nello spazio geopolitico dell'ex URSS. Nella realtà Putin si è mosso come uno strenuo centralizzatore dello Stato: ha attuato una riforma amministrativa volta a limitare fortemente le autonomie; ha posto sotto controllo presidenziale il consiglio della Federazione, scompaginando le lobby del potere locale che lo componevano; ha centralizzato le entrate fiscali, riducendo fortemente le prerogative delle unità federali. Parallelamente ha iniziato una battaglia contro i potentati economici colpevoli di arricchimento illecito, ma anche scomodi per la loro influenza politica. Nel contempo, Putin ha posto le premesse per una ripresa dell’economia russa dopo il crollo del rublo nel 1998. L’azione del presidente si è rivolta anzitutto alla costruzione delle istituzioni proprie di una società di mercato, quali un sistema bancario regolamentato e un insieme di misure legislative diretto a tutelare le imprese, le società per azioni, le transazioni economiche e commerciali. Sin dal 2000 si è delineata una crescita del PIL, dopo l’andamento negativo del periodo precedente, destinata a stabilizzarsi su tassi ragguardevoli negli anni seguenti (tra il 6 e l’8%). Il nuovo ciclo virtuoso si è consolidato grazie alla crescita sul mercato mondiale del prezzo del petrolio. Incentrata sull’esportazione di energia, l’economia russa ha conosciuto tuttavia anche un potenziamento del mercato interno che ha consentito di bilanciare e ridimensionare le importazioni di generi di consumo. La ripresa economica e la relativa affidabilità degli istituti del mercato, ha consentito un afflusso di capitale straniero, specie dall’Europa e il volume dei commerci con l’estero è cresciuto in modo esponenziale. Della nuova ricchezza hanno però beneficiato in pochi. È rimasta infatti la polarizzazione tra un’élite ricca secondo i più elevati standard mondiali e un quarto della popolazione, in buona parte composta da anziani, sotto la soglia della povertà e largamente priva di forme minimali di protezione sociale, mentre stentano a consolidarsi i ceti sociali intermedi. Dopo le elezioni del 2003 il partito del presidente, Russia unita, alleato con il nuovo partito filogovernativo Patria, ha di fatto dominato la Duma a fronte dei deludenti risultati dei comunisti ma soprattutto delle forze liberali e socialdemocratiche che non hanno ottenuto voti sufficienti per essere presenti in Parlamento. Privo di un'effettiva opposizione Putin ha accentuato i caratteri semiautoritari del sistema politico monopolizzando progressivamente i mezzi di informazione. Tutto ciò ha delineato nel Paese un regime di ‘democrazia controllata’ già prima delle elezioni parlamentari del 2003, predisponendone l’esito. A questa soluzione ha contribuito anche la guerra in Cecenia. Provocata da un complesso intreccio di interessi economici e politici, la seconda guerra in Cecenia (1999) è stata una scelta dettata soprattutto dalla volontà di mostrare la ‘mano forte’ contro il terrorismo, ma anche contro ogni insubordinazione centrifuga, lanciando un segnale inequivocabile contro ogni tendenza disgregativa della Federazione. La ricerca di una soluzione di carattere esclusivamente militare è stata la conseguenza diretta di tale approccio. Per alcuni anni, il prezzo pagato è stato una crescita della spirale del terrorismo teso a fondere la matrice indipendentista con quella internazionalista islamica. L’episodio più tragico è stato la strage di più di trecento bambini in una scuola di Beslan, in Ossezia, provocata da un attentato terroristico e dal conseguente blitz attuato dalle forze di sicurezza russe, nel settembre 2004. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 la R. è entrata a pieno titolo nella coalizione internazionale contro il terrorismo patrocinata dagli Stati Uniti, ottenendo una serie di vantaggi sul piano diplomatico. La collaborazione tra Mosca e Washington ha conosciuto una prima crisi in occasione della guerra in Iraq, giudicata un errore da Putin. In seguito la R. ha prestato assistenza al programma nucleare iraniano, opponendosi ai piani di sanzioni e rappresaglie militari contro Teheran discussi tra Londra e Washington. Putin ha accusato inoltre gli Stati Uniti di destabilizzare irresponsabilmente gli equilibri strategici con il progetto di scudo antimissile e ha avviato la cooperazione militare con India e Cina, mettendo in discussione gli accordi sul disarmo nucleare raggiunti con Washington nel 2002. Le tensioni tra la R. e il campo occidentale sono state alimentate anche dai sommovimenti politici verificatisi in Ucraina (v. ) e Georgia (v. ), considerati da Mosca il frutto di inaccettabili ingerenze nella propria sfera di influenza. Nel marzo 2004 Putin è stato rieletto presidente con un autentico plebiscito nazionale, raggiungendo oltre il 70% dei voti. Forte di questo risultato il governo ha inasprito gli aspetti autoritari e i limiti agli spazi di dibattito e di critica nell'opinione pubblica. In questo clima, l'assassinio nell'ottobre 2006 della giornalista A. Politkovskaja, una tra le voci più coraggiose levatesi a denunciare le tragedie della guerra cecena, è apparso a molti osservatori un segnale inquietante. Durante il secondo mandato è emersa inoltre la tendenza di Putin a impiegare la ricchezza energetica come un'arma della politica estera russa, soprattutto volta a condizionare gli Stati dell'ex Unione Sovietica. Il controllo statalista sull'energia ha costituto pertanto sia un elemento centrale del potere, sia uno strumento per rilanciare la politica di potenza del Paese. Nel dicembre 2007 il partito di Putin ha conseguito una nuova vittoria di larghe proporzioni nel voto per il rinnovo della Duma. Le modalità con cui si sono svolte le elezioni hanno però suscitato molte serie perplessità tra gli osservatori internazionali, che hanno sollevato dubbi sulle limitazioni imposte alla competizione politica e sulla correttezza dei metodi impiegati dal governo, in primo luogo l’uso monopolistico dei media e le intimidazioni verso gli oppositori più noti. Le elezioni presidenziali del marzo 2008 sono state vinte da D. Medvedev, già vicepremier e candidato dello stesso Putin che è divenuto a sua volta primo ministro continuando a mantenere un ruolo politico di primo piano. In campo internazionale, nell’estate del 2008 la crisi con la Georgia per la questione dell’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia, e il conseguente intervento armato della R., ha accentuato le tensioni con i paesi occidentali, e in particolare con gli Stati Uniti. Dopo l’avvento alla presidenza degli USA del democratico B. Obama, i rapporti bilaterali si sono normalizzati fino a giungere nel 2010 a una nuova intesa per la riduzione degli armamenti nucleari, sostitutiva del trattato START. Parallelamente il Cremlino ha rinsaldato i legami con le potenze asiatiche, Cina e India, e nel 2008 i tre stati hanno dato vita, con il Brasile, al sistema di cooperazione politico-economica BRIC. Nonostante i successi diplomatici, proprio in questi anni la popolarità di Putin all'interno del Paese ha cominciato a calare di fronte alla mancata attuazione delle riforme sociali e del permanere di una diffusa corruzione degli apparati statali. Le elezioni del dicembre 2011, pur confermando la vittoria di Russia Unita ne hanno visto un netto ridimensionamento: ha infatti raggiunto il 49,5% dei consensi, il 15% in meno rispetto alle precedenti elezioni. Il Partito comunista si è affermato come seconda forza politica, conquistando il 19,1% e raddoppiando i consensi rispetto alle elezioni del 2007, seguito dal partito centrista Russia giusta (13,2%) e dal partito di estrema destra dei Liberaldemocratici (11,6%). Nei giorni successivi alla divulgazione dell'esito delle consultazioni hanno avuto luogo in varie città numerose proteste di piazza contro il governo − cui sono state mosse fondate accuse di brogli − culminate nella manifestazione che a Mosca ha contato centomila partecipanti, la più grande dimostrazione di forza dell'opposizione dall'ascesa di Putin. Ciò nonostante le elezioni presidenziali, svoltesi nel marzo 2012 in un perdurante clima di violente agitazioni sociali, hanno visto la riconferma di Putin per un terzo mandato della durata di sei anni. Putin ha ottenuto oltre il 60% delle preferenze contro il 17,1% del candidato comunista G.A. Zyuganov, ma gli osservatori dell'OCSE hanno denunciato ancora una volta irregolarità e violazioni delle norme elettorali. Anche queste elezioni hanno provocato forti proteste di piazza, duramente represse dalle forze dell'ordine (v. Pussy riot). Nel tentativo di bloccare l'opposizione nel giugno 2012 la Duma ha approvato una legge che impone pesanti sanzioni pecuniarie a chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, ritenuta da molti una violazione del diritto di espressione. Nonostante ciò anche nei mesi successivi l'opposizione ha continuato a mobiliatarsi.