Movimento letterario che diede luogo a una vasta produzione lirica in volgare, e che si svolse durante i primi tre quarti del 13° sec., con centro nella corte di Federico II re di Sicilia e dei suoi figli, specialmente di Manfredi. La denominazione, che risale a Dante (De vulg. eloq. I, XII, 4), tiene conto del titolo regale di Federico II e poi di Manfredi, e del fatto che siciliani (specie di Messina e Palermo) o meridionali o comunque legati alla corte siciliana furono i verseggiatori, e fondamentalmente siciliano il linguaggio, sebbene nobilitato per effetto della cultura provenzale e latina e livellato dalla tendenza inconsapevole a un ideale linguistico, fonetico e lessicale unitario. Il poeta più antico (una sua poesia è del 1205) e più fecondo e famoso fu Giacomo da Lentini, inventore del sonetto; restano componimenti di Odo delle Colonne, Rugieri d’Amici, Stefano Protonotaro, Guido delle Colonne, Mazzeo di Ricco, Tommaso di Sasso, Ruggero o Ruggerone da Palermo. Questi poeti sono tutti siciliani; e alla Sicilia si ricollegano gli stessi principi, Federico II, il suocero di questo Giovanni di Brienne, il figlio Enzo re di Sardegna; e Iacopo Mostacci che visse a Messina. Parecchi altri sono meridionali: Pietro della Vigna, Rinaldo d’Aquino, Giacomino Pugliese, Folco di Calabria, Iacopo d’Aquino. Altri, di diverse regioni, accettarono il linguaggio della corte s.: Perzivalle Doria, Folcacchiero Folcacchieri, Paganino di Sarzana, Tiberio Galliziani, Compagnetto da Prato, Inghilfredi, forse di Lucca, e qualche altro.
Nata in ambiente colto, la poesia s., sebbene non manchi di motivi personali e immediati, per lo più si modella sulla lirica provenzale, sia per la forma ricercata sia per il contenuto, l’amor cortese, omaggio di umile suddito a signora altera e piena di ogni valore. Ma non manca qualche componimento popolareggiante (Giacomino Pugliese, Rinaldo d’Aquino). La sua grande importanza storica sta nel fatto che, mentre nel resto d’Italia l’imitazione provenzale si estendeva anche alla lingua (Lanfranco Cigala, Sordello ecc. scrissero in provenzale), nel Mezzogiorno si assunse per la prima volta a strumento letterario un volgare italiano. Con la dissoluzione della dinastia sveva, il centro letterario italiano passò in Toscana e il volgare di questa regione costituì durabilmente la nuova lingua nazionale, non senza però che la Scuola s. trasmettesse ai Toscani, insieme con schemi contenutistici, anche elementi fonetici e lessicali che si mantennero a lungo nella tradizione toscana e italiana.