sonetto Composizione metrica, (dal francese antico sonet «canzone, canzonetta»), di carattere prevalentemente lirico, composta di 14 versi (quasi sempre endecasillabi nella letteratura italiana), distribuiti in 2 quartine e 2 terzine, con rime disposte secondo precisi schemi. Nel suo schema originario il s. si compone di una prima parte costituita da 8 endecasillabi rimati alternativamente ABABABAB e di una seconda parte costituita da 6 endecasillabi rimati CDECDE o CDCDCD. L’ideazione del s. è attribuita a Giacomo da Lentini, che secondo la tesi romantica l’avrebbe costruito unendo due strambotti, metro popolareggiante; tale tesi è stata per lo più abbandonata a favore dell’ipotesi, espressa già nel 16° sec., che individua nella stanza di canzone la fonte d’ispirazione.
Lo schema originario subì presto modificazioni. Nella prima parte prevalse, verso la fine del 13° sec., la forma a rime incrociate ABBA ABBA. Nelle terzine vigeva maggiore libertà: agli schemi sopra ricordati si affiancarono presto gli ordini CDC CDC, CDD DCC, CDD CDD, CDE ECD, CDE CDE (preferito da F. Petrarca), CDE DEC e il più raro CDE EDC. Tuttavia anche le quartine conobbero ulteriori varianti (Petrarca usa anche gli ordini ABAB BABA o ABAB BAAB), benché più limitatamente. Si fecero anche continuare in vario modo le rime della fronte nella sirima, nel s. continuo. Ma la sperimentazione toccò anche la struttura metrica del s. con una grande varietà di soluzioni. Nel s. caudato, dopo le terzine è aggiunta una coda di uno o due endecasillabi (ed è detto anche s. ritornellato) o di un settenario e 2 endecasillabi. Se la coda è replicata si ha una sonettessa, forma che ebbe successo soprattutto nella poesia giocosa cinquecentesca. Il s. doppio, inventato, pare, da Guittone d’Arezzo, è ottenuto con l’inserzione di un settenario, rimante con il verso precedente, dopo ciascuno degli endecasillabi dispari delle quartine e dopo ciascuno degli endecasillabi pari delle terzine. Se l’inserzione si effettua anche dopo il primo endecasillabo delle terzine si ha un s. rinterzato. Il s. comune o misto presenta invece un’alternanza di endecasillabi e settenari entro la misura dei 14 versi. Il s. minore è composto di versi più brevi dell’endecasillabo. Rarissimo nei primi secoli, ebbe qualche cultore come A. Graf o G. D’Annunzio.
Il s. fu un componimento aperto a temi di varia natura, amorosi, morali, politici, artistici, polemici. In origine si presenta come metro privilegiato per il dialogo poetico nella forma della proposta, cui segue una risposta, di solito per le rime, del destinatario (cioè un s. di risposta che presenta le stesse rime del s. di proposta), o nella forma della tenzone; inoltre si piega a contenuti d’occasione e familiari. Vennero composte anche corone, serie di s. intorno a un medesimo tema. Con Petrarca il s. si pose sul piano della canzone come grande metro della poesia lirica, e tale restò per tutto il 16° secolo. Sull’onda del petrarchismo si diffuse fuori d’Italia. In Francia fu introdotto da C. Marot, che ne variò la struttura (sonnet marotique: 3 stanze di 4 versi e un distico, che per lo più è posto tra la seconda e la terza stanza, e talvolta alla fine). Gli schemi italiani furono invece fedelmente imitati dai poeti della Pléiade. In Inghilterra il s. riscosse un notevole successo. Con T. Wyatt le due terzine diventano una quartina più un distico. Composero s., tra gli altri, E. Spenser, W. Shakespeare, J. Milton, T. Watson. In Germania venne introdotto nel 17° secolo. Per la Spagna va ricordato il nome di G. de la Vega e per il Portogallo quello di L. de Camões. In Italia la fortuna del s. si rafforzò con V. Alfieri, U. Foscolo e poi G. Carducci. È inoltre il metro di tanta poesia dialettale non solo ottocentesca (basti ricordare G.G. Belli). Nel 20° sec. ha continuato a essere adottato da poeti come G. Pascoli, G. Gozzano, U. Saba, F. Fortini, E. Sanguineti, A. Zanzotto.