Russia, storia della
Dagli zar al postcomunismo
La Russia ha costituito il nucleo di due grandi formazioni storico-politiche ormai tramontate: l’Impero zarista (fino al 1917) e l’Unione Sovietica (dal 1922 al 1991). Dal 1991 è il cuore politico della Federazione russa, la quale fa parte della Comunità degli Stati indipendenti. Per gran parte della sua storia, la Russia è stata un paese arretrato dal punto di vista sociale ed economico, e autoritario dal punto di vista politico. Per molti aspetti essa è stata anche – ed è tuttora – un paese in bilico tra Oriente e Occidente. Dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917 e fino al principio degli anni Novanta del 20° secolo la sua storia ha coinciso con la parabola dell’ascesa e poi della caduta del comunismo
Abitato sin da epoche remote, nel 1° millennio a.C. il territorio dell’attuale Russia ospitava popolazioni di razza, lingua e cultura differenti, tra cui emersero in primo luogo gli Sciti e i Sarmati. Tra il 3° e il 9° secolo d.C. giunsero nel paese i Goti, gli Unni e quindi una serie di popolazioni slave che si stabilirono soprattutto in Ucraina e nelle regioni circostanti. Una svolta importante si ebbe nella seconda metà del 9° secolo, quando una popolazione scandinava, i Variaghi, detti anche Rus´ (da cui il nome Russia), fondò con Rjurik il primo nucleo dello Stato russo attorno alla regione di Novgorod. Da questo nucleo, attraverso ulteriori ampliamenti, nacque, sotto i successori di Rjurik, la Russia di Kiev, che fu cristianizzata secondo il rito greco-ortodosso e che nella seconda metà dell’11° secolo subì un processo di profonda frammentazione politica. Nella prima metà del 13° secolo la Russia fu invasa dai Tartari, di religione islamica, che diedero vita all’Impero dell’Orda d’oro, sottomettendo i principati slavi della regione.
Lo Stato russo riemerse alla fine del 15° secolo intorno al granducato di Moscovia, che, sotto la guida di Ivan III il Grande (1462-1505), si emancipò dal dominio tartaro. Ivan consolidò lo Stato e il potere della corona, sottomettendo la nobiltà e unificando il potere politico e quello religioso. Egli avviò un processo di espansione che proseguì con Ivan il Terribile (1530-84). Questi assunse nel 1547 il titolo di zar («imperatore») e continuò ad accentrare il potere nelle mani della monarchia reprimendo spietatamente le tendenze centrifughe della nobiltà. Dopo il regno di Boris Godunov (1598-1605), il paese entrò nell’età dei torbidi: una fase di crisi del potere centrale, di anarchia e di rivolte contadine, che fu segnata anche dall’invasione del territorio da parte di Polacchi e Svedesi. Questa fase si chiuse con l’ascesa al potere dello zar Michele III (1613-45), che diede inizio alla dinastia dei Romanov, destinata a governare la Russia fino al 1917.
Una svolta decisiva nella storia della Russia si ebbe negli anni dello zar Pietro il Grande (1689-1725). Per rafforzare il paese, soprattutto sul piano militare, egli diede infatti avvio a un processo di modernizzazione ispirato ai modelli, alla scienza e alle tecniche dell’Europa occidentale, introducendo riforme politiche e amministrative che colpirono la potenza politica dell’aristocrazia e della stessa Chiesa ortodossa a tutto vantaggio dei poteri assoluti dello zar. Questo sforzo imponente di occidentalizzazione – che toccò anche rilevanti aspetti della vita culturale del paese in opposizione alle vecchie tradizioni russe – fu accompagnato da un inasprimento dello sfruttamento dei contadini, che si trovarono completamente sottomessi a un’aristocrazia più debole sul piano politico ma pur sempre dotata di enormi poteri sociali. Grazie alla modernizzazione dell’esercito e alla costruzione della flotta militare, la Russia riuscì a espandere la propria potenza ai danni dei Turchi e degli Svedesi, diventando un attore decisivo della politica europea.
Dopo la morte di Pietro, queste riforme furono progressivamente smantellate e la nobiltà riprese gran parte dei suoi tradizionali poteri. Con Caterina II di Russia (1762-96), che si ispirò ai principi del dispotismo illuminato, la corona tornò a consolidare le proprie prerogative, ma crebbero al tempo stesso i poteri e i privilegi delle classi aristocratiche, specie sui contadini ridotti in servaggio. Il malcontento popolare sfociò in rivolte contadine, la più rilevante delle quali fu quella guidata dal comandante cosacco Emal´jan Pugacëv (1773-75). Sul piano della politica estera, la Russia allargò ulteriormente le proprie frontiere grazie alle spartizioni della Polonia e a nuovi scontri con i Turchi.
Caterina morì poco dopo la Rivoluzione francese, al principio dell’era napoleonica. Negli anni immediatamente successivi, con Paolo I (1796-1801) e poi soprattutto con Alessandro I (1801-25), la Russia, insieme alla Gran Bretagna, fu il principale avversario di Napoleone, al quale, dopo alterne vicende, inflisse una pesantissima sconfitta nel 1812, contribuendo in modo decisivo alla sua caduta.
Dopo la caduta di Napoleone, la Russia fu una delle principali protagoniste della politica europea. Essa giocò un ruolo importante al Congresso di Vienna (1814-15), ottenendo tra l’altro la Polonia. Insieme a Prussia e Austria, inoltre, diede vita alla Santa alleanza, che ebbe una funzione essenziale nel vegliare sull’ordine internazionale della Restaurazione. Stato fortemente autocratico, la Russia rimase estranea ai moti e alle rivoluzioni che investirono l’Europa nella prima metà dell’Ottocento. L’unica eccezione fu il moto dei decabristi del 1825, che venne represso nel sangue dallo zar Nicola I (1825-55) appena insediatosi al potere. Per il resto, in occasione sia della rivolta polacca del 1830-31 sia delle rivoluzioni del 1848-49 in Europa centrale, essa agì come guardiano della reazione.
Una svolta importante nella storia della Russia si verificò con la guerra di Crimea (1853-56) contro i Turchi, la Gran Bretagna, la Francia e il Piemonte. In questo conflitto, infatti, la Russia mostrò tutta la sua debolezza e, sconfitta, ripiegò su sé stessa. Si aprì allora un ampio dibattito tra occidentalisti e slavofili, cioè tra chi voleva introdurre riforme di stampo occidentale e chi invece si opponeva a questa prospettiva in nome delle peculiarità della civiltà russa. Gli stessi vertici del potere zarista, a partire dallo zar Alessandro II (1855-81), compresero che era necessario avviare un processo di modernizzazione per superare la strutturale arretratezza dell’Impero. Il principale risultato di questa svolta fu, nel 1861, l’abolizione della servitù della gleba. Si trattò tuttavia di una misura insufficiente, che non riuscì a risolvere i problemi dei contadini e dello sviluppo di una moderna economia.
Negli anni successivi la Russia, che continuò a espandersi soprattutto in Oriente, vide crescere un significativo movimento di opposizione, il populismo, che col tempo diede luogo a forme di lotta politica di tipo terroristico. Lo stesso Alessandro II cadde vittima, nel 1881, di un attentato. Seguì un periodo di reazione che si protrasse durante i regni di Alessandro III (1881-94) e di Nicola II (1894-1917), l’ultimo zar. In questi anni prese avvio, in alcune regioni del paese, un accentuato processo di industrializzazione, che trasse impulso soprattutto dallo Stato e dai capitali stranieri e che nello stesso tempo fece sorgere un moderno movimento operaio.
Dopo la sconfitta subita nella guerra russo-giapponese (1904-05) scoppiò la prima rivoluzione russa (rivoluzioni russe). Lo zar dovette concedere una costituzione e si formò un parlamento – la Duma – i cui poteri furono però progressivamente limitati. In questo contesto, nonostante alcuni rilevanti tentativi di riforma agraria, acquisirono consistenza importanti gruppi rivoluzionari, tra cui i socialrivoluzionari e i socialdemocratici, che già nel 1902-03 si erano divisi tra menscevichi e bolscevichi. Queste forze divennero decisive durante la crisi che si venne a creare con la Prima guerra mondiale (1914-18), a cui la Russia partecipò in alleanza con Gran Bretagna e Francia, mostrando tutta la propria debolezza in una guerra moderna da condursi con immense risorse economiche e in primo luogo industriali.
Il 1917 fu un anno cruciale nella storia della Russia contemporanea. In quell’anno, infatti, ebbero luogo due rivoluzioni. La prima abbatté definitivamente il regime zarista. La seconda portò al potere i bolscevichi di Lenin e di Lev D. Trockij, che diedero vita a un regime comunista, posero fine alla partecipazione della Russia alla guerra e, instaurata una vera e propria dittatura, uscirono vincitori da una drammatica guerra civile che insanguinò il paese fino al 1921. Nel 1918 sorse la Repubblica socialista federativa sovietica russa e nel 1922 l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (l’Unione Sovietica), di cui la Repubblica russa divenne il nucleo essenziale.
Dopo la morte di Lenin (1924) e una fase convulsa di lotte per il potere, verso la fine degli anni Venti si affermò la leadership di Stalin, che introdusse un regime dittatoriale di tipo totalitario, finalizzato alla modernizzazione forzata del paese. Questo processo portò all’abolizione della proprietà privata, alla piena statalizzazione dei mezzi di produzione e all’introduzione di un’economia pianificata, diretta cioè dall’alto mediante piani quinquennali e completamente sottratta ai meccanismi del mercato. Tutto ciò rese possibile, nel contesto russo, una forte crescita economica, ma portò alla costruzione di un regime fondato sulla distruzione di ogni forma di opposizione, sul terrore e sui campi di concentramento (gulag), con enormi costi umani.
L’Unione Sovietica partecipò alla Seconda guerra mondiale dapprima insieme alla Germania nazista (1939-41) e poi, attaccata da Hitler, insieme alle potenze alleate (1941-45), dando un contributo essenziale alla sconfitta del Fürer. Dopo la guerra, essa divenne, insieme agli Stati Uniti, uno dei due attori fondamentali della politica mondiale, in un mondo diventato ormai bipolare. Questa posizione di preminenza – resa possibile dalla formazione di un ampio sistema di Stati satelliti nell’Europa centro-orientale e dalla creazione di un enorme arsenale nucleare – attraversò diverse fasi nel corso della cosiddetta guerra fredda, entrando poi in crisi tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Incapace di riformarsi all’interno dopo la morte di Stalin (1953), dominata prima da Nikita S. Chruščëv (1956-64) e poi da Leonid I. Breznev (1966-82), l’Unione Sovietica avviò un corso di riforme più profonde nell’epoca di Michail S. Gorbačëv (1985-91). Queste riforme permisero di avviare una nuova fase di distensione nelle relazioni internazionali. Esse, tuttavia, portarono anche al collasso del sistema sovietico. Da qui, tra il 1989 e il 1991, la caduta dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale e la dissoluzione della stessa Unione Sovietica.
Dopo la caduta del regime comunista, la Russia è diventata – ed è tuttora – il nucleo politico della Federazione russa, che a sua volta fa parte della Comunità degli Stati indipendenti, sorta sulle ceneri dell’Unione Sovietica. Dapprima sotto la leadership di Boris N. El´cin (1992-2000) e poi sotto quella di Vladimir Putin (dal 2000 in poi), la Russia ha avviato un difficile processo di transizione verso la democrazia e l’economia di mercato, confrontandosi al tempo stesso con le molteplici tensioni etniche, nazionalistiche e separatistiche che sono esplose all’interno della Federazione, in particolare in Cecenia, con la quale è tuttora in corso un grave conflitto. Pur avendo perduto la sua posizione di egemonia mondiale, la Russia costituisce ancora oggi, anche per il suo enorme arsenale nucleare, una grande potenza regionale che può influenzare con il suo peso gli equilibri complessivi della politica mondiale.