Tecnica di difesa di antica origine coreana. Praticato fin dal tardo 1° sec. a.C. come arte marziale, si è affermato come disciplina sportiva di combattimento nella seconda metà del 20° secolo. Diffuso in molti paesi (sono circa 160 le nazioni affiliate alla World taekwondo federation, di cui 46 in Europa; quasi 50 milioni i praticanti), il t. è stato ammesso a titolo dimostrativo ai Giochi olimpici di Seul (1988) e di Barcellona (1992), per essere poi inserito nel programma ufficiale dei Giochi a partire da Sidney 2000.
Gli atleti sono suddivisi per sesso, età e categorie di peso (otto); indossano una divisa bianca (dobok) e sono obbligatoriamente muniti di protezioni (casco, corpetto ecc.). I colpi validi per il punteggio possono essere diretti solo al tronco e al volto dell’avversario, usando il piede o il pugno chiuso; in quest’ultimo caso, il tronco è il solo bersaglio valido (v. fig.). Gli incontri si svolgono sulla distanza di 3 riprese della durata di 3 minuti ciascuna (con un minuto di intervallo). Si disputano su un quadrato di 8 m di lato, posto entro un’area di sicurezza (di 12 m di lato). Le gare sono dirette da un arbitro coadiuvato da 4 giudici d’angolo e da un direttore di campo. Un incontro di t. può concludersi, oltre che con la vittoria ai punti di uno degli atleti, per ko, intervento arbitrale, abbandono, squalifica, ferita. Dai punti validi si sottraggono le eventuali penalizzazioni per le tecniche proibite.
In Italia la pratica del t. è regolata dalla Federazione Italiana Taekwondo (FITA), fondata a Roma nel 1985. Nel dicembre 2000 il CONI l’ha riconosciuta ai fini sportivi come federazione sportiva nazionale.