UNGHERIA (XXXIV, p. 674; App. I, p. 1086; II, 11, p. 1058; III, 11, p. 1011)
Secondo il censimento effettuato nel gennaio 1970 l'U. contava 10.315.600 ab. e da allora l'accrescimento è stato limitato, dato che il coefficiente di natalità (1976-77:17,2%o) supera di poco il coefficiente di mortalità (12,5%o). Una stima del gennaio 1978 dava 10.650.000 abitanti. Budapest conta ora oltre 2 milioni di abitanti, ospita cioè la quinta parte della popolazione ungherese, superando di gran lunga Miskolc, che viene al secondo posto (207.828 abitanti nel 1978). Malgrado la tendenza a far sviluppare nuove industrie in centri minori, Budapest mantiene un ruolo preminente con 655.000 salariati nell'industria, pari al 38% della popolazione industriale attiva (con valori più alti nell'industria elettrica e nella meccanica di precisione); di poco inferiore (36%) è il numero degli addetti al commercio.
Condizioni economiche. - L'economia si va assestando, diretta dallo stato, con piani pluriennali; è ora in Corso di esecuzione il quinto Piano quinquennale (1976-80) che mira a trasformare l'U. in paese industriale-agricolo a socializzazione avanzata con predominio dell'industria: il numero degli operai supera già quello dei contadini. Il reddito complessivo è andato aumentando del 6-7% negli ultimi anni (in progresso risultano soprattutto la produzione di energia e l'industria chimica). Nel 1968 è stato approvato il Nuovo Meccanismo Economico, che allarga l'autonomia delle imprese, lasciando più largo margine di profitti. Il tenore di vita è andato migliorando, soprattutto nelle campagne, diffondendo una mentalità piccolo borghese, volta ad acquisire un benessere sempre maggiore.
L'agricoltura ha tratto profitto soprattutto dallo sviluppo dell'irrigazione, che si estende ora su 400.000 ha. Dopo la costruzione dello sbarramento di Tiszalök sul Tibisco, nel maggio 1973 è stato inaugurato, sullo stesso fiume, lo sbarramento di Kisköre. Si è poi cercato di valorizzare il patrimonio minerario. La produzione di lignite ammonta ora a 23-24 milioni di t, quella di carbone a 3 milioni di t. In progresso anche l'estrazione di bauxite (2,9 milioni di t, lavorata nella fabbrica di Ajka) e di petrolio (2,2 milioni di t: nuovo giacimento rinvenuto nel 1965 a Tape presso Seghedino) e ancor più di gas naturale (6,6 miliardi di m3: nuovi giacimenti sono stati individuati a SO di Debrecen, 1966, e nel comitato di Zala, 1968). Nel 1974 si è iniziata l'estrazione di carbone nel giacimento di Visonta (Heves), destinato a produrre energia termica. Mercurio è stato individuato presso Sarospatak (1968).
L'industria pesante è ora in grado di produrre 3,9 milioni di t di acciaio. In aumento è la produzione di cemento (4,8 milioni di t nel 1978 contro 1,2 milioni nel 1955) e di concimi e fertilizzanti azotati (dopo l'apertura dell'impianto di Leninvaros sul Tibisco, che utilizza gas naturale romeno). Nel 1969 è stata inaugurata a S di Budapest la raffineria di Szazhalombatta, con annesso impianto per energia termica. Nel complesso la produzione industriale tende ad aumentare negli ultimi anni in media del 7-8%.
La produzione agricola appare in progresso per frumento (1977: 53 milioni di q), granturco (61 milioni di q), orzo (7 milioni di q), mentre diminuisce l'importanza della segale e dell'avena; in aumento è la produzione di zucchero di barbabietola. Il numero di bovini resta attorno ai 2 milioni di capi, ma in progresso è la produzione di latticini. I suini superano ora gli 8 milioni. Tra il 1960 e il 1974 il numero degli addetti all'agricoltura rispetto al totale delle persone occupate si è abbassato dal 38-40% al 25%.
Le comunicazioni sono state migliorate soprattutto in seguito all'elettrificazione di alcune delle principali linee ferroviarie, come la BudapestMiskolc-Nyiregyhàza, ultimata nel dicembre 1966. Di contro nel 1972 alcune linee sono state chiuse al traffico. La costruzione di un ponte sulla Drava a Bracs (aperto al traffico nel maggio 1969) ha abbreviato le comunicazioni con l'Adriatico. I grandi lavori eseguiti sul Danubio in corrispondenza delle Porte di Ferro hanno migliorato le condizioni di navigabilità anche nel tratto ungherese.
La bilancia commerciale risulta favorevole all'U., che è in grado di esportare macchinari e veicoli, prodotti chimici, frutta e vegetali, carne, ecc., verso Unione Sovietica, Rep. Dem. Tedesca, Cecoslovacchia, Italia, Rep. Fed. di Germania, Polonia. L'intercambio tra U. e Italia è favorevole a quest'ultima, che nel 1972 ha esportato per 207 miliardi di lire e importato per 169 miliardi (in prevalenza bestiame vivo e carne bovina). Si nota la tendenza da parte dell'U. a sviluppare gli scambi coi paesi occidentali. Ma l'amicizia con l'Unione Sovietica rimane il cardine della politica ungherese, condizione necessaria del suo sviluppo.
Bibl.: M. Pécsi-B. Sárfalvi, Die Geographie Ungarns, Budapest 1962; Autori vari, Oekonomische Geographie der Ungarischen Volksrepublik, a cura di S. Rado, ivi 1964; G. Enyedi, Le village hongrois et la grande exploitation agricole, in Annales de géographie, LXXIII (1974), pp. 687-700; I. Boldiszar, Hongrie, un guide actuel à travers le passé et le présent de la Hongrie, Budapest 1965; Magyarország nemzeti atlasza, ivi 1967; L. Trunko', Geologie von Hungarn, Berlino 1969; G. Markos, Ungarn. Land. Volk. Wirtschaft, Vienna 1971; The changing face of the Great Plain, a cura di B. Sárfalvi, Budapest 1971.
Storia. - Al centro della politica ungherese nell'ultimo ventennio si pone il dibattito sulla riforma economica. Dopo la crisi del 1956 il programma economico di I. Nagy, che auspicava uno sviluppo dell'industria leggera, di un settore artigianale privato, e soprattutto della piccola proprietà, era stato completamente cancellato: anzi, sullo scorcio degli anni Cinquanta era stata portata avanti un'intensa collettivizzazione delle campagne. Nell'agosto 1962, una volta realizzate cooperative di produzione sull'80% della superficie coltivabile (contro il 28% del 1958), il processo di collettivizzazione fu ufficialmente interrotto; a ogni membro delle cooperative venne allora riconosciuto il diritto di coltivare un appezzamento privato di 0,3-0,6 ha, così che diversi componenti di una stessa famiglia poterono disporre di una proprietà piuttosto consistente. Le aziende fruirono infine dell'abolizione delle consegne obbligatorie (stabilita già nel 1957), di prezzi più alti per i prodotti venduti allo stato, della libertà di acquistare macchine agricole dopo la scomparsa delle Stazioni di macchine e trattori. Queste riforme erano evidentemente ispirate dall'esempio chrusščëviano; più tardi tutta la materia fu regolata da due leggi successive (1967 e 1971). Sempre negli anni 1957-61 furono dissolti i Consigli operai e gli altri organi di autogestione che erano nati nell'ottobre 1956, costituendosi come enti con responsabilità politiche oltre che economiche. In seguito, nel corso degli anni Sessanta, l'industria magiara ha sperimentato una serie di innovazioni che hanno subìto un rallentamento solo a partire dal 1972. Già alla vigilia del XXII Congresso del PCUS Kádár allontanò alcuni dirigenti stalinisti, aprendo la strada alla revisione critica del sistema economico. Erano sorti, infatti, nuovi problemi che incidevano direttamente sulla produzione: si esauriva la spinta della cosiddetta "seconda ricostruzione" (attuata dopo il 1956) e si assottigliavano le riserve produttive costituite dai lavoratori di origine rurale e dalla manodopera femminile. Inoltre, veniva accusato anche un allarmante declino demografico. Il dibattito tra gli specialisti s'indirizzò decisamente verso la decentralizzazione del sistema produttivo, la ricreazione di un sistema di prezzi di mercato all'interno, direttamente collegati con quelli esteri, l'elevazione dei salari piuttosto che dei servizi sociali gratuiti, una maggiore cooperazione con il Comecon ma anche con i paesi occidentali e del Terzo Mondo, ma soprattutto verso una razionalizzazione - con l'inserimento di sofisticate tecniche economiche - e una maggiore efficienza della produzione. Al principio del 1963 già si ebbero alcune modifiche agli organi di direzione industriale, con indebolimento della burocrazia ministeriale, concentrazione delle piccole imprese in unità di maggiori dimensioni, parificazione degli specialisti senza tessera con i membri del partito. Ovviamente ci furono anche resistenze da parte di chi voleva mantenere saldo il ruolo predominante della dirigenza politica. Il dibattito fu particolarmente vivo sugli strumenti di controllo e direzione da attribuire allo stato: se diretti (obiettivi di piano, livelli produttivi obbligatori) o indiretti (incentivi e regolatori economici). Il Comitato centrale del Partito Operaio Socialista Unificato (POSU) approvò nel plenum del maggio 1966 una "riforma del meccanismo economico", che il presidente del Consiglio J. Fock intendeva come collegamento organico della direzione centrale pianificata del processo economico con il ruolo attivo del mercato. Al Comitato centrale del 24 novembre 1967 Kádár stesso sottolineò il ruolo particolare dei duetrecentomila dirigenti nel nuovo meccanismo economico.
Il 1° gennaio 1968 entrò in vigore il nuovo sistema misto, di piano e mercato, che concedeva spazio alla piccola iniziativa privata artigianale, ma soprattutto poneva in condizioni di competitività le aziende di stato, creando un compromesso tra autonomia aziendale e intervento pubblico. I freni, gli strumenti di controllo e indicazione, diretti e indiretti, furono allora considerati come misure eccezionali e transitorie per impedire il crearsi di fenomeni negativi (inflazione, disoccupazione, ecc.) connessi al passaggio dal centralismo al nuovo sistema: ma al termine del 1967 alcuni prezzi erano saliti pericolosamente, come quello della carne (del 30-50%) e dei trasporti (100%). In realtà dal momento che in un'azienda s'insediava una direzione, solo questa era responsabile della produzione quantitativa e qualitativa, degli acquisti e delle vendite (anche all'estero), degl'investimenti e della distribuzione del fondo-premi, che potevano raggiungere per i dirigenti stessi l'80% dello stipendio base, per una fascia intermedia di dipendenti il 50% e per la grande maggioranza degli operai e degl'impiegati il 15%. Per contro solo i primi e i secondi potevano avere lo stipendio ridotto del 25% e, rispettivamente, del 15%, in caso di cattiva conduzione economica. Ai sindacati fu riservata una limitata funzione consultiva. Nacque insomma, secondo una definizione critica di parte iugoslava, il "socialismo dei managers", che introduceva nuovi fattori di differenziazione economica e sociale. A partire dal plenum del novembre 1972, questo indirizzo fu ridimensionato, mentre fu aperto un processo di rinnovata centralizzazione. Su questa inversione di tendenza hanno giocato i rapporti con l'URSS e la crisi energetica mondiale, che aveva peggiorato, nonostante la crescita delle esportazioni, le ragioni di scambio. In particolare i contrasti con i sovietici si produssero sulla tradizionale politica di contributi magiari allo sfruttamento delle risorse minerarie russe (visite di Kádár e Fock in URSS, febbraio e marzo 1972, ricambiate sintomaticamente da Brežnev solo in novembre, subito dopo la conclusione del plenum citato). Nel 1974 alcuni innovatori furono allontanati dalle loro cariche, quali G. Aczél (per la cultura) e R. Nyers (economia). Nel marzo 1975, all'XI Congresso del partito, fu sottolineata la necessità di rendere più effettivo il controllo dei processi produttivi ed economici da parte degli organi centrali, che dovevano agire con maggiore iniziativa, coerenza e decisione nei confronti delle imprese. Il 15 maggio 1975 J. Fock fu sostituito da G. Lázár, un economista che aveva fatto una sorta di autocritica durante l'XI Congresso. Dal 1° gennaio 1976 la quota del fondo-premi è stata notevolmente ridotta, contraddicendo uno dei postulati della riforma degli anni Sessanta, l'incentivazione economica.
Sul piano politico, gli anni Sessanta si aprirono nel segno della liberalizzazione, avviata dal congresso del novembre-dicembre 1959, nel quale Kádár, appoggiato da Chruščëv, rafforzò la sua posizione. Nel 1960 egli abbinò alla carica di segretario del partito quella di primo ministro, tenuta per due anni da F. Münnich, affiancandosi come suo vice G. Kallai (che fu a sua volta primo ministro dal 1965 al 1967). Dimessi l'incompetente G. Marosán e il dogmatico I. Dogei, Kádár promulgò due amnistie (1960 e 1963) delle quali beneficiarono molti intellettuali che avevano appoggiato la sollevazione del 1956, quali Déry, Hay, Zelk, Tardos e István Bibò, già segretario di stato di I. Nagy. Nell'agosto del 1962 il Comitato centrale del partito riabilitò Rajk e altre 190 vittime del regime di Rákosi, che fu espulso dal partito insieme con Gerö e altri 17 esponenti dell'epoca stalinista; mentre K. Kiss, presidente della commissione di controllo, fu costretto alle dimissioni per la sua riluttanza alla destalinizzazione. La nuova città industriale Sztalinváros mutò nome in Dunajváros. La censura sulla stampa fu ridotta e furono permesse traduzioni di opere occidentali mentre ripresero vigore cinema e teatro. L'VIII Congresso del novembre 1962 confermò la nuova linea politica. All'inizio del 1963 la questione ungherese non era più tra quelle proposte all'attenzione dell'ONU, e U Thant visitò Budapest nel luglio dello stesso anno; nell'autunno seguente Kádár si recò a Belgrado dove si riconciliò con Tito. Nel settembre 1963 il governo ungherese giunse a un accordo con il Vaticano, primo passo di una politica di conciliazione, portata avanti nonostante l'opposizione del primate d'U. Jószef Mindszenty, che accettò di lasciare l'ambasciata americana di Budapest - dove si era rifugiato nel 1956 - solo nel 1971. (Di fatto già dal 1957 le gerarchie cattoliche avevano accettato di collaborare con il governo). Gli Ungheresi ebbero così "molte libertà anche se non la libertà stessa" (Paul Ignotus). Il regime acquistò in popolarità, grazie anche alla crescita del reddito pro capite che già nel 1960 superava del 20-35% quello del 1956. Il partito aumentò i suoi iscritti da 96.000 del dicembre 1956 a 512.000 del dicembre 1962 (714.000 nel 1974); furono ammesse in ruoli importanti dell'amministrazione anche persone non iscritte al partito, mentre sì pose termine alla persecuzione dei contadini abbienti e alla discriminazione scolastica nei confronti dei figli della vecchia classe media. Non ebbe molta fortuna il tentativo dei dirigenti magiari di uscire dal loro relativo isolamento lanciando la proposta di una più intensa collaborazione con le nazioni del bacino del Danubio (Austria, Iugoslavia, Ungheria e Cecoslovacchia), per la quale dimostrarono interesse soltanto gli Austriaci (visita del ministro degli Esteri austriaco Kreisky a Budapest nel 1964, ricambiata dal collega magiaro J. Pétér l'anno seguente, e visita del cancelliere Klaus a Budapest nel 1967). All'interno si mise la sordina a ogni sorta di rivendicazione territoriale. Solo il 24 febbraio 1972 un trattato di mutua assistenza ventennale con la Romania ha posto il problema della difesa culturale della minoranza magiara di Transilvania, pur nel rispetto dell'inviolabilità delle frontiere. Tuttavia la polemica sulla situazione di tale minoranza è stata nuovamente sollevata nel 1978 da uomini politici e di cultura in ambedue gli stati interessati. I trattati di alleanza firmati con la Rep. Dem. di Germania e l'URSS nel 1967, in uno spirito di rinsaldamento del blocco orientale, bilanciarono la normalizzazione dei rapporti diplomatici con gli SUA (1965). In particolare i governi magiaro e tedesco-orientale furono d'accordo nel trasferire nella Rep. Dem. Tedesca, mancante di manodopera, 30.000 lavoratori ungheresi. La politica di conciliazione religiosa nei confronti di cattolici e calvinisti è andata avanti, portando all'inserimento dei credenti nello stato socialista; esiste un ufficio di stato per gli affari ecclesiastici, che controlla da vicino le attività diocesane e svolge consultazioni con la Santa Sede prima di nuove nomine episcopali. Nel 1968, nonostante una certa simpatia della popolazione nei confronti della primavera di Praga, l'U. prese parte all'intervento in Cecoslovacchia; poi Kádár fu di esempio e incoraggiamento al "centrismo" di Husák. In linea con la politica di distensione internazionale l'U. ha sviluppato i suoi rapporti con l'Occidente oltre che con il Terzo Mondo, intrattenendo ormai relazioni diplomatiche con 104 paesi (fra gli stati riconosciuti negli ultimi anni: Rep. Fed. di Germania, Portogallo, Australia, Messico e Bangladesh). Nell'ambito del movimento comunista internazionale il POSU rimane su posizioni decisamente critiche nei confronti del maoismo senza dimostrare simpatia alcuna per il comunismo nazionale di Ceausescu. Negli ultimi anni particolarmente preoccupante si è dimostrato il problema dei giovani, aperti a una sorta di cosmopolitismo e alle tendenze della "nuova sinistra". Quest'ultima ha il suo centro nella "scuola di Budapest", composta soprattutto da discepoli di G. Lukács, nella quale emerge la figura del sociologo A. Hegedüs (già presidente del Consiglio nel 1956, prima del secondo ministero di I. Nagy). Essi criticano sia il burocratismo, sia il tentativo di competere col capitalismo ricreando la logica del profitto; in luogo di una società fondata sulla rigida separazione dei compiti sociali e produttivi, auspicano il controllo popolare sulla gestione degli specialisti e una maggiore mobilità del lavoro. Su posizioni ancora più radicali si è trovato il poeta Harasazti, che ha subìto diverse condanne, la più clamorosa delle quali nel gennaio 1974 per aver pubblicato clandestinamente un libro di memorie sulla sua esperienza di operaio (al processo ha sostenuto che gli operai ungheresi subiscono uno sfruttamento pari a quello sofferto in regime capitalistico). Il gruppo dirigente ha risposto a questi fenomeni promulgando una legge sulla condizione giovanile e conferendo maggior importanza alla Federazione giovanile comunista. Il XII congresso del POSU nel marzo del 1980 ha riaffermato in politica estera assoluta fedeltà all'URSS a riguardo sia della polemica sull'installazione da parte della NATO dei nuovi missili Cruise e Pershing sia dell'invasione sovietica dell'Afghānistān. In politica economica esso ha rilanciato la scelta in favore dei prezzi di mercato, della differenziazione dei salari in base alla qualità e alla produttività del lavoro, dell'autonomia delle aziende e dell'adeguamento dell'economia nazionale a quelle occidentali, con le quali s'intende intensificare gli scambi. Vi è stata inoltre una generale autocritica riguardante la mancata realizzazione del piano quinquennale e le disfunzioni del sistema economico. Per il sindacato ha chiesto qualche margine di autonomia il segretario generale Sándor Gáspár. Lo stesso Kádár, rimasto saldamente alla guida del partito e del paese nonostante qualche timore in senso contrario, ha auspicato, oltre al rinnovamento del sistema economico, anche uno svecchiamento dei quadri di partito.
Bibl.: P. Kende, L'economia ungherese di fronte ai problemi del meccanismo, in Le riforme economiche nei paesi dell'Est. Il seminario del CESES, Firenze 1966, pp. 11-43; T. Liska, Problemi attuali dell'economia dell'Ungheria, in Problemi attuali dell'economia dei paesi dell'Est. Seminario CESES di Tremezzo, Milano 1969 (Quaderni della rivista Il politico, 6), pp. 197-220; Der ungarische Kommunismus seit 1956, in Wissenschaftlicher Dienst Südosteuropa, XI (1962), pp. 111-17; Die ungarische Reform aus jugoslavischer Sicht, ibid., XVII (1968), pp. 11-13; Nach dem Budapester Parteikongress. Bleibt die Reform unvollendet?, ibid., XXIV (1975), pp. 65-72; E. Antal, Zur Korrektur des Regulatorensystems, ibid., XXV (1976), pp. 40-46; M. Molnár, Victoire d'une défaite, Parigi 1968; P. Ignotus, Hungary, Londra 1972, pp. 255-99 F. Fejtö, A history of people's democracies, Harmondsworth 1974, pp. 166-69, e passim; L'école de Budapest. La nouvelle gauche hongroise, in Les Temps modernes, XXIX (1974), pp. 2736-2857; J. Kádár, L'Ungheria e il socialismo, Roma 1974; id., Politica ed economia in Ungheria, ivi 1975; A. Hegedüs e Mária Márkus, Sviluppo sociale e organizzazione del lavoro in Ungheria, Milano 1975; A. Hegedüs, La struttura sociale dei paesi dell'Europa orientale, ivi 1977; M. Harasati, A cottimo. Operaio in un paese socialista, ivi 1978.
Letteratura. - Le vicende storiche della prima metà degli anni Cinquanta - il culto della personalità, gli errori della politica economica e altre manifestazioni del dogmatismo - fecero sì che gli scrittori, aspiranti alla conoscenza profonda della realtà, non la potessero rappresentare con i mezzi del realismo; cioè il dogmatismo partorì lo schematismo e costrinse molti scrittori a mettersi in disparte tra il 1949 e il 1953. Malgrado ciò la parte migliore della produzione letteraria non fu caratterizzata dallo schematismo. Nacquero opere valide con un contenuto nuovo idoneo anche per le esigenze socialiste.
Il racconto Próbatétel (trad. it., La prova, Roma 1952) di P. Veres (1897-1970) rivela i conflitti che scaturiscono dalle differenze dell'economia cooperativistica e della tradizionale forma di vita dei piccoli proprietari terrieri. Nascono negli anni Cinquanta due importanti drammi di Gy. Illyés (nato nel 1902), Az ozorai példa ("L'esempio di Ozora") e Fáklyaláng ("Fiamma di fiaccola"), il romanzo Isten malmai ("I mulini di Dio") di P. Szabó (1893-1970) e il primo volume della trilogia A Balog család ("La famiglia Balog") di P. Veres; in questi anni scrive T. Déry (1894-1977) il romanzo Felelet ("Risposta") in cui esamina il cammino della classe proletaria in chiave assai polemica. Nella narrativa di questo periodo l'attività di I. Sarkadi (1921-1961) assume importanza determinante, essendo l'espressione delle crisi morali e delle manifestazioni di attrito che sorgono tra l'individuo e la società (A gyáva, "Il vigliacco", Oszlopos Simeon, "Simeone Stilita", Elveszett paradicsom, "Paradiso perduto").
Ai poeti dell'epoca della "svolta a sinistra" (1949) L. Kónya (1914-1972) e P. Kuczka (1923) si aggiunge L. Benjámin, che diventa ben presto capostipite della nuova lirica socialista. Poi, verso la fine del decennio, si fanno vivi i rappresentanti della prima generazione venuta dopo il 1945 I. Simon (1926-1975), L. Nagy (1924-1978), F. Juhász (1928). Il vigoroso e colorito linguaggio popolare di Nagy attesta le possibilità di una nuova immaginazione poetica, mentre gl'imponenti poemi di Juhász rispecchiano, con stilemi singolari, i cambiamenti sociali dell'inizio degli anni Cinquanta. Quest'ultimo con il suo Tékozló ország (1954, "Paese prodigo") fa un passo decisivo verso la riconquista della libertà artistica. S'inserisce di nuovo nella vita letteraria con il volume Erdei vadak, égi madarak ("Fiere del bosco, uccelli del cielo"), il poeta I. Csanádi (1920), la cui carriera, a causa delle vicende belliche, per molto tempo era rimasta interrotta. Un altro poeta della giovane leva è S. Csoóri, conterraneo di Csanádi e anche lui figlio di contadini, nato nel 1930. Nella narrativa si distinguono E. Urbán (1918-1975), F. Karinthy (1921), e I. Örkèny (1912-1979), mentre M. Hubay (1918) arricchisce la drammaturgia con István napja ("Giorno di Stefano").
L'eliminazione graduale dei residui del culto della personalità e la nuova politica economica portano fervore anche nella vita spirituale: appaiono, una dopo l'altra, le opere degli scrittori già affermati, Hazai tükör ("Specchio patrio") di A. Tamási (1897-1966); Ègető Eszter ("Eszter Ègető,)) di L. Németh (1901-1975); si mettono in scena il Dózsa György ("György Dózsa") di Illyés e il Galilei di Németh. Pubblicano di nuovo Z. Jékely (1913), S. Weores (1913), il giovane J. Pilinszky (1921). Escono dal silenzio anche J. Kodolányi (1899-1969) e G. Féja (1900-1978).
Gli anni Sessanta vedono maturare i narratori F. Sánta (1927), G. Moldova (1933), I. Csurka (1933) e I. Szabó (1931-1976). Per questi anni sono indicativi anche i drammi di I. Dobozy (1917-1975j e i romanzi di M. Szabó (1917), e sono considerati eventi letterari le opere di E. Fejes (1923), Rozsdatemető (trad. it. Il cimitero della ruggine, Milano 1967), di S. Somogyi Tóth (1923), Próféta voltál, szívem ("Sei stato un vate, tesoro") e di A. Kertész (1931), Makra, ("Makra"). Degli altri due romanzi notevoli degli anni Sessanta, Hideg napok ("Giorni freddi") di T. Cseres (1915) e Tóték ("La famigliaTóth") di I. Örkény (1912-1979), si fanno anche importanti versioni cinematografiche. Dopo il 1957 si fa luce "la terza generazione" con K. Szakonyi (1931), B. Bertha (1935), M. Ladányi (1934) e F. Baranyi (1937). Appartiene a questo filone anche M. Váci (1924-1970), coraggioso portavoce dell'uomo della strada che spesso viene travolto dai cambiamenti rivoluzionari della realtà. Negli ultimi anni suscitano vasta eco in U. le opere degli scrittori transilvanici, di G. Páskándi e soprattutto di A. Sütő, Anyam könnyű álmot ígér ("Mia madre promette sogno leggero"), 1969.
Bibl.: P. Ruzicska, Storia della letteratura ungherese, Milano 1963; Magyar Irodalmi Lexikon ("Enciclpedia della letteratura ungherese"), a cura di M. Benedek, Budapest 1963; A magyar irodalom története ("Storia della letteratura ungherese"),a cura di T. Klaniczay, ivi 1964; F. Tempesti, La letteratura ungherese, Napoli 1970; Új magyar lexikon ("Nuova Enciclopedia Ungherese"), 7 voll., Budapest 1972; Ki kicsoda? ("Chi è?"), ivi 1972; I. Simon, A magyar irodalom ("La letteratura ungherese"), ivi 1973.
Arti figurative e Architettura. - La trasformazione sociale e politica, avvenuta dopo il 1945, muta in modo fondamentale la situazione dell'arte ungherese. Il neoclassicismo e l'accademismo, che possono essere considerati l'arte ufficiale degli anni del fascismo vengono sospinti in secondo piano e prevalgono gl'indirizzi moderni, precedentemente oppressi. Fra il 1946 e il 1950 si costituiscono le nuove forme organizzative della vita artistica (istituti di progettazione edile, federazioni delle arti), si sostituisce il corpo docente dell'istruzione superiore e se ne muta lo spirito. Dopo le distruzioni belliche, è la ricostruzione a impegnare innanzitutto l'attività edilizia; tuttavia ben presto si costruiscono numerosi edifici pubblici, istituzioni scolastiche e sanitarie, istituti di ricerca e impianti sportivi nuovi, nello spirito del funzionalismo fondato sulle tradizioni del Bauhaus (J. Szendrői, L. Lauber: Università di scienze agrarie, 1949-51; I. Janáky: Edificio universitario, 1949; K. Dávid: Népstadion, "Stadio del popolo", 1949-53; J. Szendrői, A. Lévai: Ambulatorio medico, Budapest, 1949). L'edilizia industriale diviene uno dei rami più dinamici dell'architettura.
Alla fine degli anni Quaranta, nel panorama delle arti figurative ungheresi, accanto al gruppo Gresham (A. Bernáth, I. Szőnyi, P. Pátzay) che segue la cultura pittorica postimpressionista, ad alcuni esponenti della generazione che già all'inizio del secolo si era avvicinata allo spirito dell'Ècole de Paris (Ö. Márffy, B. Czóbel, J. Kmetty), accanto ancora a B. Ferenczy, nella cui arte si riscontrano analogie con quella di Maillol, e a F. Medgyessy, s'impongono la cosiddetta Scuola Europea e il gruppo neorealista. La Scuola Europea (come si legge in una delle sue pubblicazioni dal carattere di ars poetica) rappresenta il fauvismo, il cubismo, l'espressionismo e il surrealismo, cioè in sostanza comprende tutti gl'indirizzi dell'arte moderna di cui fu precorritrice ideale la Scuola di Szentendre sorta negli anni Trenta, ma più precisamente si orienta verso il surrealismo e il costruttivismo. Si possono ascrivere all'ambito formale del surrealismo in special modo D. Korniss, E. Bálint, M. Anna, mentre il rappresentante principale della tendenza costruttivista è J. Barcsay. L'attività di Barcsay e degli scultori della Scuola Europea (M. Borsos, T. Vilt) praticamente conduce a un indirizzo neorealista, i cui seguaci (E. Domanovszky, J. Kerényi, J. Somogyi, A. Beck) nel 1948 enunciano il programma "Verso la nuova arte collettiva" e progettano statue per spazi pubblici, opere murali destinate alla collettività, espressive, pregne di significato, integrate con la moderna architettura. Il realismo espressivista caratterizza anche i grafici della fine degli anni Quaranta (V. Szabó, K. Koffán, L. Bencze). L'altro ramo della Scuola Europea, orientato verso l'arte non figurativa, ha come maggiore espressione il gruppo riunito attorno alla Galleria "Verso i quattro punti cardinali" (F. Martyn, T. Gyarmathy, T. Lossonczy).
Negli anni Cinquanta, a causa dell'interpretazione volgare del "realismo socialista" che si era assunto l'impegno dell'arte collettiva, il progresso artistico e quello sociale per un certo tempo si trovano contrapposti e transitoriamente balzano in primo piano gl'indirizzi accademizzanti e naturalistici. La maggior frattura appare nell'architettura. Il classicismo, definito tradizione nazionale, diviene modello della nuova architettura, il che conduce all'ecclettismo e alla stilizzazione. Lo sviluppo industriale offre grandiose possibilità urbanistiche (Dunaujváros; architetto capo T. Weiner) e, invece, negli edifici costruiti fra gli anni 1951-56 la funzionalità diventa secondaria rispetto al formalismo arcaicizzante, rappresentativo. Analogo processo si riscontra pure nella pittura e nella scultura, anche se i migliori del gruppo che aveva enunciato il programma dell'arte collettiva, conservano un alto livello qualitativo. Negli anni Cinquanta diventa indirizzo autonomo la cosiddetta Scuola di Hódmezővásárhely, che trae la sua tematica dalla vita contadina e il cui stile è caratterizzato dalla ricerca dell'unità fra la rappresentazione realista e la stilizzazione (Gy. Kohán, D.I. Kurucz, F. Szalay).
A partire dalla fine degli anni Cinquanta numerosi tentativi tendono a debellare gl'indirizzi conservatori, arcaicizzanti, e, in sostanza, si cristallizzano le direttrici artistiche attuali. In architettura, è di nuovo in primo piano la concezione funzionale che corrisponde alla tecnica e ai materiali edili. Anche i compiti urbanistici vengono assolti in questo spirito (costruzione del nuovo centro cittadino di Salgótariján, a partire dal 1961, Gy. Jánossy, Gy. Szrogh, G. Magyar, J. Finta; progettazione del complesso della piazza principale di Szekszárd, K. Jurcsik, L. Varga). Fra gli edifici pubblici, molte istituzioni scolastiche e culturali (M. Hófer: Università di Győr; K. Jurcsik: Casa della cultura di Orgovány; Cs. Bodonyi: alberghi; J. Finta: Duna-Interkontinentál a Budapest), edifici per uffici (Z. Gulyás; F. Bán) esemplificano un'attività architettonica che prende in considerazione le numerose possibilità offerte dall'architettura moderna. Nell'edilizia industriale si osserva l'espansione della concezione strutturalista utilizzante la teoria dei sistemi, e con nuovo impegno si affrontano i problemi urbanistici (I. Janáky; P. Reimholz; L. Földesi). Rivestono pure ruolo importante la moderna tutela dei monumenti e la ricerca di unità fra l'ambiente in cui il monumento si trova e gli edifici moderni complementari (Cs. Virág). In opposizione alla concezione tecnicistica del funzionalismo, si rafforzano le tendenze organiche, come pure il neoromanticismo (J. Makovecz).
Nella pittura e nella scultura il cambiamento è riscontrabile dagli anni Sessanta in poi. Il predominio degl'indirizzi accademizzanti, naturalistici, è infranto dall'arte simbolico-surrealista di Béla Kondor (morto nel 1972 in circostanze tragiche) intorno alla quale si raggruppano giovani grafici sensibili ai nuovi indirizzi (Gy. Feledy, G. Pásztor, A. Gross). Si rinnova anche l'attività degli artisti appartenenti all'ex Scuola Europea, fra i quali E. Bálint, le cui opere sono caratterizzate dalla rappresentazione associativo-surrealista e D. Korniss, che si avvicina alla poetica del hard edge. J. Barcsay negli anni Sessanta crea una serie di monumentali mosaici murali dallo spirito costruttivista. Le personalità più spiccate della nuova generazione sono P. Deim che amalgama i modi più significativi della Scuola di Szentendre con il costruttivismo puro, L. Ország che mette in luce le profonde dimensioni storiche e psichiche e I. Keserü astrattista lirico. Si rafforza il neocostruttivismo (J. Fajó, I. Bak, T. Csiky, I. Nádler), alimentato da una parte dall'arte di Lajos Kassák - che in età avanzata riprende la sua attività creativa - e, dall'altra, dall'op art di V. Vasarely di origine ungherese. Al principio degli anni Settanta, le opere della generazione più giovane sono influenzate da numerosi indirizzi della neoavanguardia, a cominciare dall'happening (M. Erdélyi), fino all'arte concettuale (D. Maurer, J. Major, Gy. Pauer) e al neodada. A parte si può considerare un tipo di arte che si aggancia agl'indirizzi neoprimitivi (V. Berky, T. Galambos), e che ha rappresentanti notevoli anche nella scultura (P. Kő, G. Samu). In questo campo, fino alla metà degli anni Sessanta, il predominio dell'indirizzo classicheggiante è contrastato soltanto da modi di rappresentazione formale espressivista-monumentale (J. Kerényi, J. Somogyi), ma in seguito appaiono anche nuove tendenze. Così, la serie di composizioni spaziali figurative (Utca) di E. Schaár utilizza anche elementi della pop art e degli effetti scenici. Accanto a questa artista rinnovano il linguaggio formale della plastica ungherese T. Vilt, che percorre i diversi indirizzi della plastica moderna, e la generazione più giovane (I. Varga, T. Vigh, M. Melocco), apportante un tono nuovo anche nei progetti urbanistici e monumentali. Rappresentanti dell'arte cinetica sono Gy. Z. Gách e S. Haraszti. Fra i rami dell'artigianato si elevano a livello internazionale la ceramica, vicina alla plastica non figurativa, specialmente le ceramiche da edilizia (I. Gádor, I. Schrammer) e l'arte della tappezzeria con molte personalità di rilievo (M. Szilvitzky, Zs. Szenes, G. Attalai); mentre il design si valorizza quasi esclusivamente sul piano sperimentale. Vedi tav. f. t.
Bibl.: L. Németh, Modern art in Hungary, Budapest 1969; Autori vari, Magyar épitészet 1945-70 (Architettura ungherese 1945-70), Budapest 1972; Kunst in Ungarn 1900-1950, Kunst museum, Lucerna 1975; Artisti ungheresi del 900 (catalogo), Milano 1976; L. Németh, Kurze Geschichte der ungarischen, Budapest 1979.