UNGHERIA
(XXXIV, p. 674; App. I, p. 1086; II, II, p. 1058; III, II, p. 1011; IV, III, p. 719)
Popolazione. - Il censimento del 1990 ha rilevato una popolazione di 10.374.823 ab., 334.640 in meno rispetto al censimento precedente del 1980. La dinamica demografica del paese è stata quindi caratterizzata per gli anni Ottanta da un tasso di crescita negativo. Questa situazione è derivata da un coefficiente di natalità piuttosto debole (11,4ı nel 1993) e da un tasso di mortalità del 14,6ı, e risulta ulteriormente aggravata da un saldo negativo fra i flussi migratori, in particolare dall'emigrazione di forza-lavoro giovane, continuata per decenni e intensificatasi nel periodo 1988-90, che è anche una delle cause principali dell'invecchiamento della popolazione.
La popolazione urbana è in costante aumento (63,2% nel 1993), ma ancora inferiore a quella dei paesi europei più industrializzati. La distribuzione della popolazione sul territorio continua a essere molto squilibrata: Budapest concentra circa il 20% della popolazione ungherese, e la forza di attrazione della capitale non cessa di crescere. Le altre città ungheresi non superano il 10% della popolazione di Budapest, e benché a partire dagli anni Settanta siano state tentate politiche atte ad attenuare gli squilibri della rete urbana e a decongestionare la capitale, i risultati sono stati molto modesti.
Condizioni economiche. - In U. è stata attuata fin dagli anni Settanta una riforma del rigido sistema economico pianificato di matrice sovietica. Per due decenni i dirigenti politici del paese hanno cercato di accomunare alla pianificazione una qualche liberalizzazione delle attività economiche. Questa riforma ha introdotto progressivamente una certa autonomia per le imprese, privatizzato una serie di attività economiche e modificato parzialmente il meccanismo della determinazione dei prezzi, lasciando che una parte di essi fosse definita dal mercato. Al momento dei rivolgimenti politico-economici che nel 1989-90 hanno investito l'Europa orientale, l'U. si è così trovata avvantaggiata, avendo già avviato il processo di passaggio a un'economia di mercato. La riapertura della Borsa valori di Budapest e la formazione di molte società per azioni sono avvenute prima della fine degli anni Ottanta, e il paese è stato privilegiato dagli investimenti delle imprese occidentali, in primo luogo austriache e tedesche, ma anche italiane e giapponesi. I provvedimenti liberalizzatori dell'economia, pur fornendo nuovo spazio al settore privato (e in particolare nel campo dei servizi, dove il processo di privatizzazione è molto avanzato), hanno però ridotto solo in parte il peso dell'economia di stato. Quest'ultima resta centrale nel settore minerario ed energetico e in una grossa parte del settore industriale. La stessa agricoltura nel 1992 manteneva ancora al 90% le strutture cooperative, che risultavano relativamente produttive e in grado di soddisfare il fabbisogno nazionale e di attivare una corrente di esportazioni.
I maggiori problemi dell'economia ungherese derivano, oltre che dalla complessità e dalla lentezza del mutamento dell'organizzazione economica, dalla dissoluzione dell'area commerciale dell'ex COMECON. Povera di risorse energetiche, l'U. non può più fare affidamento sulle importazioni dall'ex URSS di petrolio a prezzo agevolato, che ora deve pagare al prezzo del mercato mondiale, il che rappresenta un consistente costo aggiuntivo. Inoltre gran parte del settore industriale, in particolare le produzioni meccaniche pesanti e siderurgiche, ha ridotto notevolmente sia le esportazioni nei confronti dell'Europa orientale sia le vendite sul mercato interno, e riesce con grandi difficoltà a trovare sbocchi in Occidente a causa del ritardo tecnologico e dell'obsolescenza delle produzioni. Queste mancate esportazioni nei settori tradizionali sono state solo in parte compensate dall'aumento degli scambi con l'Occidente nei settori nuovi, chimica ed elettronica in particolare, concentrati in maggior parte nell'area di Budapest e oggetto di investimenti esteri, soprattutto tedeschi.
Un settore che invece ha tratto immediato vantaggio dal mutamento politico è quello del turismo, con un incremento dai paesi occidentali e il conseguente afflusso di valuta pregiata. Complessivamente i visitatori sono stati 40,5 milioni nel 1993. La prioritaria necessità di avere rapporti economici con altri paesi, determinata anche dal ristretto mercato interno, è una delle cause che ha indotto l'U. a impegnarsi a costituire entro il 2000 una zona di libero scambio con Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, premessa per un ingresso nell'Unione Europea, della quale dal 1992 è membro associato.
Bibl.: E. Bako, Guide to Hungarian studies, 2 voll., Stanford 1973; M. Pécsi, B. Sárfalvi, Physical and economic geography of Hungary, Budapest 19792; An economic geography of Hungary, a cura di T. Bernat, ivi 1985; J. Batt, Economic reform and political change in Eastern Europe: a comparison of the Czechoslovak and Hungarian experiences, Basingstoke 1988; Market economy and civil society in Hungary, a cura di C.M. Hann, Londra 1990; J. Kornai, The road to a free economy: shifting from a socialist system, the example of Hungary, New York-Londra 1990; I paesi dell'Est europeo: transizione al mercato e integrazione internazionale, a cura di M. Baldassarri e R. Mundell, Roma 1992; I.P. Szekelu, Hungary: an economy in transition, Cambridge 1993.
Storia. - Allo svolgimento del 12° congresso (1980) del Magyar Szocialista Munkáspárt (MSzMp, in italiano POSU) fece seguito il rinnovo dell'Assemblea nazionale (giugno), che, nella seduta inaugurale, riconfermò G. Lázár alla guida del governo e P. Losonczi alla presidenza del Consiglio presidenziale (capo dello Stato).
Le principali misure adottate nell'ambito della riforma economica, orientata verso un decentramento del sistema, riguardarono il rafforzamento (1982) delle piccole imprese private (attive soprattutto nel settore dei servizi) e delle cooperative agricole, e la riforma del sistema di gestione delle grandi imprese statali (1985) le cui dirigenze, parzialmente svincolate dagli organi centrali, vennero sottoposte a un maggior controllo da parte dei lavoratori; per questi ultimi furono introdotte differenziazioni salariali legate ai profitti. Il governo Lázár adottò inoltre una politica d'incoraggiamento degli investimenti esteri e di graduale liberalizzazione del commercio estero; varò una nuova legge sulla bancarotta (1986), che abolì i sussidi statali per le imprese fallimentari, e modernizzò il settore finanziario, in particolare il sistema bancario.
Parallelamente all'attuazione della riforma economica, con il fine di far fronte allo scontento popolare (la cui espressione rimase per altro limitata a sporadiche manifestazioni di protesta e a brevi interruzioni del lavoro) il governo stabilì l'introduzione della settimana lavorativa di cinque giorni (1981) e accordò ripetuti aumenti dei salari e delle pensioni, che non compensarono tuttavia la continua crescita del costo della vita. Il tentativo di allargare la partecipazione popolare alla vita politica portò all'adozione di una nuova legge elettorale (1983), che rese obbligatoria, e non più solamente possibile, come dal 1971, la presentazione di due candidati per ognuno dei 352 seggi dell'Assemblea nazionale (a cui venivano aggiunti 35 seggi da assegnare sulla base di una lista di personalità pubbliche); la selezione dei candidati restava nelle mani del Fronte Patriottico Popolare, organizzazione politica ufficiale dominata dal Partito comunista.
Nel marzo 1985, il 13° congresso del MSzMp riconfermò J. Kádár alla guida del partito (con la nuova carica di Segretario generale); il congresso prese atto dell'ulteriore peggioramento della situazione economica del paese, dovuto, secondo la stessa analisi ufficiale, alla persistenza di problemi strutturali quali la bassa produttività e l'arretratezza tecnologica, mentre una limitata riduzione del debito estero venne indicata da Kádár come risultato della politica di contenimento dei consumi; l'indirizzo di politica economica adottato nel 1980 fu quindi riconfermato dal congresso.
Sullo sfondo del continuo deteriorarsi della situazione economica nei mesi successivi al congresso emersero i primi segni di una grave crisi del regime: nel giro di pochi anni essa doveva portare, in virtù di un processo di graduale trasformazione istituzionale, a un profondo mutamento dell'assetto politico del paese e quindi alla fine dell'esperienza comunista. All'interno del partito le posizioni di critica nei confronti di Kádár, articolate sulla richiesta di una riforma istituzionale (in particolare di una maggiore autonomia degli organismi statali dal partito) e di adozione di una più ampia riforma economica, si andarono progressivamente rafforzando; il segretario del Fronte Patriottico Popolare, I. Pozsgay, fu fra i principali esponenti delle posizioni riformiste e nel settembre 1987 criticò come insufficiente il piano di stabilizzazione. Anche la Lega giovanile comunista si schierò a favore di una maggior democratizzazione del paese, mentre esponenti riformisti del partito parteciparono, nel settembre 1987, alla costituzione di un organismo politico indipendente, il Forum Democratico Ungherese (Magyar Demokrata Fórum, MDF). Il contrasto tra le due correnti si accentuò nei mesi successivi e sfociò nella conferenza ideologica del partito del maggio 1988. Essa segnò la vittoria dei riformisti, le cui principali richieste, fra cui quella di una democratizzazione della vita interna del partito, entrarono a far parte del documento finale. Kádár fu sostituito da K. Grósz e assunse la carica onorifica di presidente del partito, venendo estromesso dal Politbjuro, nel quale entrarono invece Pozsgay e R. Nyers (il responsabile della riforma economica del 1968). In giugno K. Németh fu sostituito alla presidenza del Consiglio presidenziale da F. Straub, scienziato di fama non iscritto al partito, mentre in novembre Grósz lasciò la carica di presidente del Consiglio dei ministri a un esponente dello schieramento riformista, M. Németh. Intanto aumentava l'attività organizzativa delle forze di opposizione, che nel marzo 1988, in occasione dell'anniversario della rivoluzione del 1848, diedero vita a una manifestazione di protesta con le parole d'ordine di libertà di stampa e di associazione.
Nel corso del 1988 si costituirono alcuni gruppi politici nuovi, di orientamento moderato: l'Alleanza dei Giovani Democratici e l'Alleanza dei Liberi Democratici; si riorganizzarono partiti tradizionali come il Partito dei Piccoli Proprietari Indipendenti (Fuggetlen Kisgazda Part, FKgP), il Partito Socialdemocratico Ungherese e il Partito Popolare Cristiano Democratico (Kereszténydemokrata Néppárt, KdNp). Dopo l'approvazione da parte dell'Assemblea nazionale di una legge sulla libertà di associazione (gennaio 1989) il progetto di transizione a un sistema multipartitico venne fatto proprio anche dal MSzMp. Nei mesi successivi s'intensificarono i contatti fra il settore riformista e le forze di opposizione; dopo un ulteriore indebolimento della posizione di Grósz e l'allontanamento di Kádár dalla presidenza del partito e dal Comitato centrale, nel giugno 1989 venne avviata una Tavola rotonda fra esponenti del partito, delle opposizioni e del sindacato ufficiale (che si ritirò dopo poco), per definire un nuovo quadro istituzionale e le modalità di transizione.
Durante lo svolgimento dei colloqui si verificarono due episodi che assunsero un forte significato simbolico e che, insieme alle modificazioni avvenute nel contesto internazionale (formazione del primo governo non comunista in Polonia), contribuirono ad accelerare l'esito dei colloqui: in giugno le onoranze funebri di stato rese a I. Nagy (ufficialmente riabilitato dopo la pubblicazione di un rapporto della commissione storica del partito in cui i fatti del 1956 venivano definiti una ''rivolta popolare'' e non più una ''controrivoluzione'') videro un'ampia partecipazione popolare, mentre in agosto ebbe luogo una grande manifestazione operaia di protesta contro la politica economica adottata dal governo; un'ulteriore espressione dell'esigenza di cambiamento avvertita nella società ungherese furono i risultati delle elezioni suppletive che, fra luglio e settembre, diedero ripetutamente la vittoria a esponenti delle opposizioni.
Sulla base dell'accordo conclusivo della Tavola rotonda (settembre 1989) l'Assemblea nazionale approvò quindi in ottobre numerosi emendamenti costituzionali quali l'abolizione della clausola costituzionale sul ruolo direttivo del partito, la creazione di una Corte costituzionale e l'istituzione della carica di presidente della Repubblica, provvisoriamente attribuita al presidente dell'Assemblea nazionale stessa, M. Szűrös; quest'ultimo il 23 ottobre 1989 proclamò la Repubblica di Ungheria, formalizzando così la fine della repubblica popolare. Nel corso dei colloqui le posizioni delle forze anticomuniste subirono una differenziazione e all'intesa fra i settori riformisti del MSzMp e il Forum Democratico si contrapposero le opposizioni moderate. Liberi Democratici e Giovani Democratici infatti contestarono l'accordo (in particolare il programmato svolgimento di elezioni presidenziali prima del rinnovo dell'Assemblea nazionale) e si fecero promotori di un referendum, svoltosi in novembre, in base al quale le elezioni presidenziali vennero posticipate. Preso atto dei profondi cambiamenti in corso, il 14° congresso straordinario del MSzMp (ottobre 1989) dichiarò lo scioglimento del partito e la costituzione di un soggetto politico nuovo, il Partito Socialista Ungherese (Magyar Szocialista Párt, MSP), presieduto da Nyers; il passo venne tuttavia respinto da una componente del partito che in dicembre ricostituì il MSzMp sotto la guida di G. Thürmer.
Le prime elezioni politiche multipartitiche si svolsero infine, in due turni, il 25 marzo e l'8 aprile 1990; segnarono un'affermazione del Forum Democratico, che con il 42,7% ottenne 165 seggi su 386; l'Alleanza dei Liberi Democratici si affermò come seconda formazione con il 23,8% dei voti e 92 seggi, seguita dal FKgP (43 seggi), dal MSP (33 seggi), mentre sia al KdNp che all'Alleanza dei Giovani Democratici andarono 21 seggi. Un governo di coalizione venne formato in maggio fra Forum Democratico, Partito dei Piccoli Proprietari e cristiano-sociali, sotto la guida del presidente del MDF, J. Antall, mentre Á. Göncz, esponente dell'Alleanza dei Liberi Democratici, veniva eletto presidente della Repubblica ad interim. Un emendamento costituzionale approvato in agosto confermò l'elezione per via parlamentare del presidente della Repubblica (e conseguentemente Göncz venne riconfermato nella carica), contrariamente all'elezione diretta prevista dagli accordi del settembre 1989; il quadro istituzionale venne completato dalla sostituzione della carica di presidente del Consiglio dei ministri con quella di Primo ministro, con poteri rafforzati, responsabile di fronte al Parlamento.
Il governo, di orientamento centrista e d'ispirazione cristiano-democratica, indicò come principali obiettivi programmatici la riduzione del forte debito estero e la piena transizione a un'economia di mercato; nel giugno annunciò un piano di privatizzazioni, adottando al tempo stesso misure per limitare i costi sociali delle riforme; nel periodo successivo tuttavia aumentò fortemente la disoccupazione (4% alla fine del 1990, ma superò il 12% nel 1992, stabilizzandosi nel 1993) mentre l'inflazione arrivò al 30% annuo nel 1990 (cresciuta al 34% annuo nel 1991, calò al 23% annuo nel 1992). Le difficoltà economiche furono aggravate dall'aumento del prezzo del petrolio, conseguente alla crisi nel Golfo arabico, e nell'ottobre 1990 l'annuncio improvviso di un aumento del prezzo della benzina (65%) provocò ampie proteste nel settore dei trasporti; negli anni successivi si susseguirono manifestazioni e scioperi di protesta contro la politica economica del governo, soprattutto da parte dei lavoratori del settore minerario. L'instabilità venne aggravata da ripetuti contrasti nella compagine governativa e fra quest'ultima e Göncz (che nel 1991 respinse una legge sulla persecuzione dei crimini compiuti fra il 1944 e il 1990). Forti tensioni interne attraversarono le stesse forze della maggioranza e una divisione nel Forum Democratico oppose la leadership centrista di Antall alla fazione di destra guidata da T. Csurka; le posizioni antisemite di quest'ultimo furono la causa di ripetute manifestazioni di protesta e infine, nel giugno 1993, ne provocarono l'espulsione dal partito.
L'insieme delle difficoltà incontrate dal governo (guidato dal dicembre 1993, in seguito alla morte di Antall, da P. Boross, già ministro degli Interni) si tradusse in una rapida perdita di popolarità dei partiti della maggioranza e quindi nella loro sconfitta nelle elezioni legislative del maggio 1994. I socialisti del MSP, guidati da G. Horn, già ministro degli Esteri del governo di M. Németh, conquistarono 209 seggi, seguiti dall'Alleanza dei Liberi Democratici con 70 seggi, mentre, della precedente coalizione, il Forum Democratico ottenne 37 seggi, il Partito dei Piccoli Proprietari 26 seggi e i cristiano-democratici 22 seggi. Il nuovo governo, costituito da Horn sulla base di una coalizione fra socialisti e liberi democratici, venne approvato dal Parlamento nel luglio 1994. Impegnatosi a portare avanti la politica di austerità, esso ha dovuto far fronte alla prosecuzione delle tensioni sociali e a un forte movimento di scioperi nel settore dei trasporti (aprile 1995). Nel giugno 1995 Göncz è stato rieletto alla presidenza della Repubblica.
Sul piano internazionale gli anni Ottanta registrarono la prosecuzione della tradizionale politica ungherese: oltre all'allineamento alle posizioni dell'URSS, inalterato dopo l'accesso al potere di M. Gorbačëv, furono sviluppate buone relazioni con i paesi del blocco occidentale; stretti rapporti commerciali intercorrevano soprattutto con la Germania occidentale e con gli Stati Uniti; nel 1982 l'U. fu ammessa al FMI e alla Banca Mondiale. Nei rapporti con gli altri paesi socialisti si registrò un rafforzamento degli scambi e delle relazioni politiche con la Polonia, mentre il problema delle condizioni della minoranza di lingua ungherese presente in Romania era fonte di crescente tensione con quest'ultima, tensione rimasta viva anche nella prima metà degli anni Novanta. Il rafforzamento dei rapporti con i paesi occidentali ha continuato a rappresentare una priorità nella politica internazionale sia nella fase di transizione del governo di M. Németh sia negli anni successivi; membro del Consiglio d'Europa dal novembre 1990, l'U. è dal gennaio 1994 membro associato dell'Unione Europea. Trattati di cooperazione con Russia e Ucraina furono firmati nel 1991, e nello stesso anno fu avviato un processo d'integrazione economica e politica con Praga, Varsavia e, dal gennaio 1993, Bratislava.
Bibl.: H.-G. Heinrich, Hungary: politics, economics and society, Londra 1986; P. Kende, A. Smolar, Le rôle des groupes d'opposition: la veille de la démocratisation en Pologne et en Hongrie 1987-88, Parigi 1989; X. Richet, The Hungarian model: planning and market in a socialist economy, Cambridge 1989; M. Molnar, From Béla Kun to János Kádár: seventy years of communism, Oxford 1990; P. Kende, A. Smolar, La Grande Secousse. Europe de l'Est 1989-1990, Parigi 1990; A. Ágh, The Hungarian party system, in Budapest Papers on Democratic Transition, 51 (1993); L. Vass, Changes in Hungary's governmental system and the problems of analysis, ibid., 59 (1993).
Letteratura. - Negli anni Settanta e Ottanta la narrativa ungherese ha subito importanti mutamenti, il cui senso principale è stato formulato da P. Esterházy: "l'arte vuol essere soprattutto libera" (in Jelenkor, "L'età presente", 1981, p. 3). Crollate le prospettive degli anni Sessanta e venuta meno la fede nella possibilità di cambiare il mondo esterno, gli scrittori si rifugiano in quello individuale. Nonostante il riaffiorare del linguistic turn ("più che della nazione e del popolo, gli scrittori devono preoccuparsi del soggetto e del predicato": Esterházy, in Kis Magyar Pornográfia, 1984, "Piccola pornografia ungherese"), non si rinuncia all'impegno sociale e nazionale, inalienabile dalla letteratura ungherese. Oltre a Esterházy (n. 1950), che segue le orme di G. Ottlik (1912-1990), autore di Iskola a határon (1959, "Scuola al confine"), di M. Mészöly (n. 1921) e di Gy. Konrád (n. 1933), appartengono a questo filone definibile come ''postmoderno'' F. Temesi (n. 1949), G. Bereményi (n. 1946) e P. Nádas (n. 1942).
Il romanzo di Temesi, Por ("Polvere", 1986-87), scritto in forma di glossario, raccoglie episodi e scene di vita di sei generazioni, con tutti i loro dilemmi storici, usando il linguaggio saporito della campagna e quello gergale dei giovani d'oggi. Sono di carattere enciclopedico anche le ''saghe familiari'' di Bereményi (Legendárium, 1978, "Leggendario") e di Nádas (Egy családregény vége, 1977, "La fine di una saga familiare"; Emlékiratok, 1986, "Memorie") che riassumono le esperienze di vari personaggi alla deriva degli avvenimenti storici degli anni Cinquanta, del 1956 e del 1968. Un suo dramma, Nagytakarítás (trad. it., Le grandi pulizie) nel 1986 è stato rappresentato anche in Italia. Esterházy introduce con molta efficacia nella letteratura ungherese la mentalità della giovane generazione, resa in un linguaggio spregiudicato, spesso grottesco, irto di citazioni colte. Dopo Termelési regény (1979, "Romanzo di produzione") che ironizza sui risvolti negativi della vita pubblica ungherese, l'uscita di ogni suo libro diventa immediatamente un caso ed è accompagnata da attese e accese discussioni; come nel caso di Tizenhét hattyúk (1987, "I diciassette cigni"), scritto sotto lo pseudonimo femminile di Lili Csokonai. Uno dei romanzi di Esterházy, A szív segédigéi (1985), è stato tradotto in italiano (I verbi ausiliari del cuore, 1988).
Un'altra direzione verso la quale si muove la nuova narrativa ungherese è quella del documentarismo, stimolato da fattori individuali, storici e sociali. Rifiorisce la sociografia con Gy. Fekete (n. 1922) e I. Csörsz (n. 1942), utilizzata anche da Gy. Moldova (n. 1934), da A. Végh (n. 1933) e dal transilvano Gy. Beke (n. 1927), che non hanno timori nel trattare argomenti prima considerati tabù: per es., Moldova in Bűn az élet (1988, "La vita è delitto") affronta i problemi della delinquenza in Ungheria. Ma ancora più importanti sono i romanzi che indagano sulla storia recente e meno recente dell'U., alla ricerca dell'identità nazionale e di possibili soluzioni per le questioni attuali.
Analizzano il passato in questa ottica I. Nemeskürty (n. 1925) in Rekviem egy hadseregért (1973, "Requiem per un esercito"), storia della seconda armata ungherese annientata nell'ansa del Don; T. Déry (1894-1977) in Ítélet nincs (1969, "Non c'è giudizio") e M. Szabó (n. 1917) in Régimódi történet (1977, "Una storia all'antica"). L'autobiografia romanzata di Gy. Illyés (1902-1983) intitolata Beatrice apródjai (1979, "I paggi di Beatrice") è anche una riflessione sul destino comune degli Ungheresi. Vanno ancora menzionati I. Gáll (1931-1982) che nel romanzo A ménesgazda (1976, "Il padrone della mandria") e nei racconti del volume Vaskor (1980, "L'età del ferro") rievoca le tensioni e le contraddizioni della prima metà degli anni Cinquanta; T. Cseres (1915-1993), presidente della Società degli Scrittori dal 1987 e autore di importanti romanzi storici, tra cui A vízaknai csata (1988, "La battaglia di Vízakna"). Gli autori più polemici sono E. Galgóczy (1930-1989), autore di Vidravas (1984, "Ferro da lontra"), B. Bertha (n. 1935) e soprattutto I. Csurka (n. 1934). Tra i più giovani del filone documentaristico spiccano A. Simonffy (n. 1941), che in Kompország katonái (1981, "I soldati del Paese-traghetto") narra gli sforzi compiuti per creare un esercito democratico negli ultimi anni della seconda guerra mondiale; e P. Dobay (n. 1944), autore di A birodalom ezredese (1985, "Il colonnello dell'impero") e sceneggiatore del film Mefisto di I. Szabó. Gy. Száraz (1930-1988) e Gy. Spiró (n. 1942) allargano gli orizzonti dei propri interessi su tutta l'area centro-orientale d'Europa, con una particolare sensibilità nei riguardi, rispettivamente, della problematica transilvanica e di quella polacca. Tra gli scrittori ungheresi della Romania e della ex Iugoslavia i più notevoli sono A. Sütő (n. 1926) e N. Gion (n. 1941).
Nel campo della poesia si osserva la continuazione della lirica impegnata in senso sociale e nazionale, rappresentata innanzitutto da Gy. Illyés (1902-1983), uno dei massimi esponenti spirituali del paese; da L. Nagy (1925-1978) e F. Juhász (n. 1928). L'altra corrente principale della lirica ungherese del Novecento, d'ispirazione filosofica e disposta a utilizzare anche metodi e poetiche dell'avanguardia, già avallata dal nome di M. Babits, viene mediata fino agli anni Settanta soprattutto da S. Weöres (1913-1989), poeta delle strabilianti metamorfosi e dell'inesauribile inventiva linguistica, nonché dal mistico J. Pilinszky (1921-1981). Quest'ultimo, insieme a L. Kassák (1877-1967), ha influenzato notevolmente i poeti più giovani appartenenti al secondo indirizzo, come per es. D. Tandori (n. 1938), la voce più autorevole della svolta ''postmoderna''. E mentre il filone nazional-popolare viene portato avanti da S. Csoóri (n. 1930), I. Kormos (1923-1977), I. Csanádi (1920-1991), I. Ratkó (1939-1989), I. Ágh (n. 1938) e G. Nagy (n. 1949), la seconda corrente principale della poesia ungherese si arricchisce ulteriormente dei contributi di Gy. Rába (n. 1924), S. Rákos (n. 1921), I. Vas (1910-1991), Gy. Csorba (n. 1916), L. Kálnoky (1912-1985) e dei più giovani Zs. Takács (n. 1938), I. Kiss (n. 1947) ed E. Szkárosi (n. 1953), ''transpoeta''.
Bibl.: K. Pintér Imre, Helyzetjelentés ("Rapporto sulla situazione"), Budapest 1979; B. Pomogáts, Az újabb magyar irodalom (1945-1981) ("La recente letteratura ungherese"), ivi 1982; L.M. Varga, Vázlat a hetvenes és nyolcvanas évek magyar irodalmáról ("Un abbozzo sulla letteratura ungherese degli anni Settanta e Ottanta"), manoscritto presso la Biblioteca delle Lingue straniere di Budapest; B. Ventavoli, Incontro con il romanziere Péter Esterházy, in Tuttolibri, 27 febbraio 1988.
Archeologia. - Le intense ricerche effettuate nella seconda metà del Novecento hanno dato un contributo determinante alla conoscenza archeologica in U., che risulta ampliata e profondamente mutata.
Per quanto concerne il Paleolitico, lo studio delle numerose testimonianze emerse ha permesso la loro frequente attribuzione ad alcune culture ben definite. L'interpretazione dei materiali rinvenuti nel 1964 a Vértesszőlős ha portato all'individuazione dell'industria di Buda, che risale al Paleolitico Inferiore. In questa località sono stati rinvenuti resti attribuiti all'Homo Erectus Palaeohungaricus, affine ad alcuni archeoantropi della Cina, di Giava e dell'Africa orientale. L'industria musteriana (Paleolitico Medio) è attestata da due stazioni principali, quelle scavate a Tata e a Érd. Le testimonianze inerenti alle culture di Szeleta e di Pilisszanto, fiorite durante il Paleolitico Superiore, provengono da alcune grotte della zona transdanubiana. I siti più importanti della cultura Gravettiana orientale (fase finale del Paleolitico Superiore) sono quelli individuati a Ságvár e Pilismarót, nella regione di Bacska, e a Madaras, presso le colline di Telecska. Vicino al villaggio di Lovas, nel distretto di Veszprém, è stata inoltre messa in luce una miniera di terre coloranti databile al Paleolitico: vi sono stati rinvenuti alcuni strumenti in osso usati per l'estrazione e la macinatura dei colori. Le scoperte attribuibili al periodo mesolitico riguardano principalmente la cultura di Būkk: va menzionato il fatto che l'analisi degli scheletri rinvenuti nelle grotte di Hillebrand e Būdōspest ha permesso di appurare che tutti i soggetti esaminati presentavano una modificazione anatomica ereditaria.
L'orientamento delle ultime ricerche inerenti al periodo neolitico è caratterizzato dal ridimensionamento delle teorie diffusioniste, a causa dell'individuazione di elementi spiegabili solo in termini europei. La maggior parte dei numerosi siti neolitici ed eneolitici indagati negli ultimi decenni è riconducibile alle culture della Ceramica Lineare (Kisköra-Gát), di Kōrōs (Devaványa-Rehely, Tiszajenő) e di Lengyel (Verseg-Kertekalja, Gorzsa). Presso Szentes è stato individuato un insediamento della cultura della Ceramica Lineare con resti di abitazioni e di tombe; in alcune sepolture sono stati rinvenuti dei vaghi in rame, i quali attestano il più antico utilizzo di questo materiale in U. (inizi del 3° millennio a.C.).
I più recenti studi sull'età del Bronzo riflettono il problema dei sistemi di datazione delle testimonianze. A tale scopo, infatti, sono stati ampiamente utilizzati il metodo del carbonio 14, affinato grazie a un programma informatico sviluppato a Groningen, e i parallelismi con il Bronzo miceneo: questi ultimi sono però apparsi devianti, in quanto le culture calcolitiche ungheresi si sono rivelate anteriori (2900-1700 a.C.) a quelle micenee (che nella loro fase più antica risalgono al 1700 a.C.). Inoltre si è dovuto superare il pregiudizio secondo cui la maggior parte dei manufatti metallici sarebbe stata importata: in realtà, dallo studio delle culture dell'età del Bronzo è emersa l'esistenza di tradizioni locali e la trasmissione delle tecniche di lavorazione tra culture successive. Per quanto concerne la tipologia degli abitati e i costumi funerari è risultato molto significativo lo scavo dei tell, tra cui va segnalato quello di Tiszaug-Kéménytetö: qui sono stati rinvenuti resti di case con pareti d'incannucciata rivestita d'argilla, esternamente decorate con motivi geometrici incisi a fresco (Bronzo Antico). Allo stesso periodo (inizi del 19° secolo a.C.) risale la cultura di Somogyvár-Vinkovci, che il recente scavo di Vinkovci ha permesso di attribuire a una popolazione guerriera nomade succeduta a quella di Zók. Alla media età del Bronzo sono databili i numerosi siti archeologici (insediamenti e ripostigli) appartenenti alle culture di Balaton-Lasinja (Zalavár-Basasziget), di Ottomány (Rétkōzberencs), di Gyulavarsánd (Kōtegyán), di Nagyrév (Diósd) e di Vatya (Szazhalombatta). In questo periodo venne talora praticata, presso le culture di Ottomány e di Gyulavarsánd, l'usanza di deporre carri fittili miniaturistici nelle sepolture, già diffusa nelle culture mesopotamiche più antiche. Molto numerose sono anche le testimonianze relative alla fine dell'età del Bronzo, quando invasioni di popolazioni occidentali determinarono la fine della cultura di Vatya e l'instaurarsi di un periodo di transizione (16°-14° secolo) detto di Koszider, caratterizzato dal disperato accumulo di tesori (come quello di Ocsa, appartenente a una donna di rango elevato). Alla fine di questo periodo l'insediamento stabile dei popoli invasori diede origine alla cultura delle tombe a tumulo, che si prolungò sino al 12° secolo (necropoli di Jánoshida, Budapest, Nagyberki-Szalacska e della regione di Koszider). Meno considerevoli appaiono le testimonianze dell'inizio dell'età del Ferro (insediamento di Sopron-Krantacker ii, necropoli di Vaszar), che però vanno intensificandosi in corrispondenza della fine dello stesso periodo, quando in U. si riversarono le tribù degli Sciti (7°-6° secolo a.C.). L'abilità di questo popolo nella lavorazione dei metalli è testimoniata dai ricchi corredi che accompagnavano le sepolture delle persone di rango elevato (Mezőtúr). Negli ultimi decenni sono state raccolte anche informazioni utili a far luce sui rapporti intercorsi tra gli Sciti e le popolazioni celtiche, sopraggiunte in U. nel corso del 5° secolo a.C.: merita un cenno particolare la necropoli di Orosháza-Gyopáros, caratterizzata dalla compresenza di oggetti scitici e celtici (dal 5° al 2° secolo a.C.). Sembra che l'influenza dei costumi funerari scitici abbia determinato anche l'uso celtico delle sepolture a carro, di cui si ha un esempio a Borsad, presso Arnót (fine 2°-prima metà del 1° secolo a.C.). Anche il problema della continuità tra l'epoca La Tène D e il periodo romano è stato recentemente affrontato, conducendo campagne di scavo nella valle del Kapos, nella regione di Zala, presso il forte di Solva (Esztergom), nel territorio dei Boi (ad Arrabona e Ad Statuas) e soprattutto a Réti Fōldek presso Szakály. In base a queste indagini è stato possibile supporre l'esistenza di due diverse modalità di evoluzione degli insediamenti, capaci di adattarsi alla civiltà romana (come avviene nel territorio degli Scordisci), ovvero di mantenere i costumi protostorici (insediamenti tipo Szakály).
Nell'ambito delle intense attività archeologiche mirate allo studio della Pannonia in epoca romana, è possibile individuare due orientamenti di ricerca, che hanno come obiettivo aree ben distinte e altrettanto importanti: la ricerca storica sul limes e l'analisi degli insediamenti interni. I capillari sondaggi archeologici effettuati presso strutture militari e civili sorte in corrispondenza della linea difensiva del limes hanno dato risultati eccezionali, dal punto di vista sia quantitativo, sia qualitativo: in questa sede ci limiteremo a elencare i più significativi. A Pilismarót (Castra ad Herculem), sulla riva sinistra del Danubio, sono state scoperte le strutture principali di una fortificazione militare avanzata (burgus): una torre quadrata, una corte a forma di U su cui si affacciavano le terme, una seconda corte circondata dagli edifici residenziali e due fornaci di cottura per la ceramica. Nel corso delle numerose campagne di scavo condotte dal Fülep a Nagitétény (Campona, lungo il tratto di limes compreso tra Aquincum e Matrica) sono state messe in luce la porta principalis destra e la porta decumana del castrum romano. A Dunaujvaros (Intercisa) sono state scavate le mura, le torri segnaletiche, la strada che correva lungo il limes, le canabae, un atelier per la lavorazione dell'osso e alcune zone destinate a uso sepolcrale. Adony (Vetus Salina) si è rivelato uno dei pochi siti da cui è possibile trarre qualche considerazione in merito alla sistemazione proto-imperiale dell'esercito. Gli studi ivi eseguiti, infatti, hanno permesso di datare la fase lignea dello stanziamento militare agli anni 70-80 d.C. A Százhalombatta-Dunafüred (Matrica), Kekesd (nel territorio di Baranya, presso Sopianae) e Somodorpuszta (presso Komárom) sono state investigate estese necropoli di età imperiale. Un cenno particolare merita l'attività archeologica svolta ad Aquincum, dove, anno dopo anno, è andata ampliandosi la conoscenza della città antica. Presso il ponte Arpád sono stati scavati tratti di mura e fossati dell'antico campo legionario e parte di un quartiere residenziale; in via Lajos sono state scoperte due torri di avvistamento; di fronte al museo di Aquincum si è rinvenuto un tratto delle mura e delle insulae dell'insediamento civile. Inoltre, nel corso di numerose campagne di scavo, si è cercato di determinare l'estensione del campo militare e la planimetria degli edifici annessi (praetorium, thermae maiores). In vari punti della città sono stati individuati resti di strade, necropoli, edifici privati, botteghe.
Anche importanti città pannoniche a carattere civile sono state oggetto di regolari campagne di scavo: a Scarbantia (Sopron) sono state messe in luce parti delle mura e delle porte della città antica, oltre ad alcune zone destinate a uso sepolcrale; a Savaria (Szombathely) si segnala il rinvenimento del tempio di Iside, con annesso luogo sacrificale; a Gorsium (Tać) sono state indagate le adiacenze del foro, una necropoli tardoantica, due ville extraurbane (ricche di sculture, oggetti minori, iscrizioni) e una basilica cristiana; a Sopianae (Pécs) sono state scoperte alcune tombe a camera e una necropoli, nonché un mausoleo e un cimitero paleocristiani. Un nuovo abitato romano è stato individuato e scavato a Budatétény. Tra i numerosi insediamenti di tipo rustico messi in luce in questi anni va segnalata la villa di Keszthely-Fenékpuszta. Si tratta di un insediamento fortificato, dotato di una poderosa cinta muraria con torri circolari, all'interno della quale sono stati individuati numerosi edifici, identificati con la dimora padronale, le terme, alcune case minori, magazzini, granai, stalle, botteghe: al di sopra di essi sono state successivamente fondate una necropoli e due basiliche cristiane.
Bibl.: E.B. Thomas, Römische Villen in Pannonien. Beiträge zur pannonischen Siedlungsgeschichte, Budapest 1964; L. Vértes, Remains of the Palaeolithic and Mesolithic Period in Hungary, ivi 1965; The archaeology of Roman Pannonia, a cura di A. Lengyel e G.T.B. Radan, ivi 1980; D. Gabler, E. Patek, I. Vōrōs, Studies in the Iron Age of Hungary, in Brit. Arch. Rep., International Series, Oxford 1982; J. Petrasch, Typologie und Funktion neolitischer Öfen in Mittel- und Südosteuropa, "Acta praehistorica et archaeologica", 18 (1986), pp. 33-83; Régészeti tanulmányok kelet magyarorszragrol, Debrecen 1986; J.G. Hajnoczi, Pannonia romaj romjai, Budapest 1987; Z. Visy, Der Pannonische Limes in Ungarn, ivi 1988; Régészeti tanulmanyok Pest megyéből, in Studia Comitatensia, 21 (1991); Bronzezeit in Ungarn. Forschungen in Tell-Siedlungen an Donau und Theiss, Francoforte sul Meno 1992; E. Patek, Westungam in der Hallstattzeit (Quellen und Forschungen zur prähistorischen und provinzialrömischen Archäologie, 7), Weinheim 1993. Si vedano inoltre le riviste: Acta Academiae Scientiarum Hungaricae; Acta Classica Universitatis Scientiarum Debrecensis; Archeologiai Értesitő; Budapest Régiségei; Communicationes Archaeologicae Hungaricae; Folia Archaeologica.
Arte. - Dal 1956 alla fine degli anni Settanta la situazione delle arti figurative in U. subisce una trasformazione radicale. Il Partito operaio socialista ungherese al potere riesce gradualmente a escludere le arti figurative e gli artisti dal novero delle controparti ammesse al dialogo; nel segno della centralità tradizionalmente assegnata dalla cultura ungherese del 19° secolo alla letteratura, la politica culturale comunista si concentra su quest'ultima e sulla cinematografia, rafforzatasi assai rapidamente dalla fine degli anni Sessanta. Lo stato non dispone né di un programma in campo artistico, né di un'arte ufficiale, così come avveniva invece nel sistema stalinista, perché non considera l'arte né strumento di legittimazione politica né mezzo efficace di propaganda. Le aspettative generiche di politica culturale, tuttavia, naturalmente concernono anche le arti figurative: non vengono imposti tabù agli artisti, garantendo loro libertà creativa, a patto che si astengano dal toccare temi quali il sistema politico ungherese e le sue alleanze politiche e militari, le persone dei dirigenti e questioni attinenti il comune senso del pudore. Nello stesso tempo, la chiusura culturale del paese nei confronti dell'Occidente determina mancanza di informazioni e l'attività di controllo della dittatura dello stato di partito di tipo sovietico, estesa a ogni settore, crea un'atmosfera soffocante anche nella vita artistica.
Questa stretta comincia ad allentarsi agli inizi degli anni Ottanta. Lo stato, sia pure imponendo limiti, autorizza alcune forme d'iniziativa privata nell'economia e questa liberalizzazione, che lentamente ''contagia'' tutti i campi della vita sociale, corrisponde a un'attenuazione della dittatura ideologica marxista-leninista. Il processo conduce, nella metà degli Ottanta, a una libertà sostanzialmente piena nel campo dell'arte. Il sistema istituzionale della vita artistica rimane immutato, ma il Palazzo delle Esposizioni di Budapest (istituzione del ministero per la Cultura, con funzione di spazio espositivo statale ufficiale, organizzatore esclusivo dei rapporti dell'arte ungherese con l'estero), sotto la direzione di K. Néray apre le porte all'arte contemporanea straniera, offrendo nel contempo anche ad artisti ungheresi indipendenti dal regime la possibilità di esporre all'estero.
In U. esistono due tipi di comunicazione sociale. Il primo appartiene al potere ed è costituito dal sistema istituzionale ufficiale, l'insegnamento, le comunicazioni di massa, il sistema istituzionale della vita artistica con la sua ideologia marxista che lentamente va scomparendo; l'altro è rappresentato invece dall'ambito dei gruppi artistici e politici di opposizione, limitati sul piano istituzionale, a causa della dittatura, in uno spazio assai ristretto. Vale la pena di rilevare tuttavia che nella complessità del quadro sociale ungherese degli anni Ottanta, gli stessi intellettuali sostenitori di un sistema di valori non comunista, bensì nazional-borghese, cristiano oppure liberal-sociale borghese contribuiscono al funzionamento − e spesso, contemporaneamente, alla dissoluzione − della dittatura comunista dello stato di partito. Il tracciato del confine tra i due ambiti passa non per le istituzioni, bensì negli individui. Il potere accetta e appoggia, anche nelle arti, ciò che è facilmente controllabile: in pittura il realismo, il postimpressionismo; in scultura l'atteggiamento classicizzante ed espressivista. Continua a opporsi all'avanguardia, che tuttavia non proibisce più, consentendole di entrare nel paese, sia pure tramite canali assai ridotti. La politica culturale della fine degli anni Settanta formula il principio di ''appoggio-tolleranza-divieto'', destinato a fungere da sfollagente morbido dello stato di partito. Tutto è permesso, ovvero niente è permesso: questa situazione paradossale caratterizza sostanzialmente l'arte ungherese degli anni Ottanta.
Agli inizi del decennio Ottanta compare l'''immagine nuova'', fenomeno definito in Italia ''transavanguardia'', in Germania heftige Malerei, in Inghilterra new spirit, in francia figuration libre, e che in U., sulle orme di L. Hegyi, prende il nome di új szenzibilitás ("nuova sensibilità"). Il fenomeno, che la critica ungherese non considera come tendenza, viene introdotto nel 1981 da due mostre, Új szenzibilitás I e la personale di K. Kelemen. Il superamento del concettualismo, del riduzionismo e della neoavanguardia, la riscoperta della personalità, l'elaborazione personale di simboli della storia della cultura caratterizzano gli artisti raccolti sotto questa denominazione, un insieme straordinariamente eterogeneo. Questa concezione compare nella pittura di I. Bak e di I. Nádler, in precedenza costruttivo-minimalisti; in questa direzione attuano una svolta I. Keserű, astrattista lirica, Á. Birkás, pittore gestuale-concettualista, il surrealista El Kazovszkij ed è in questo momento che fanno la loro comparsa anche numerosi giovani talenti: i pittori Z. Ádám, J. Bullás, I. Mazzag, L. Mulasics, Gy. Szőnyei, gli scultori Gy. Cseszlay e A. Mata.
La morte dell'avanguardia e la situazione che ne consegue costituiscono, dalla fine degli anni Settanta, il tema centrale dell'opera di M. Erdély (1928-1986), figura straordinariamente multiforme (architetto, pittore, scultore, grafico, performer, poeta, cineasta, filosofo, pedagogo). Oggi intere generazioni considerano a buon diritto come il loro maestro questo mite artista radicale e sovvertitore, il ''Joseph Beuys'' ungherese, che ha incarnato nella propria persona e nella propria produzione lo spirito dell'avanguardia. Nel suo gruppo di creatività e pedagogia dell'arte, che diresse tra il 1975 e il 1981, lavoravano numerosi giovani artisti, che nel frattempo hanno acquisito fama.
Il concettualismo continua a vivere, in forma sensitiva nelle pitture di Zs. Károlyi e di E. Tolvaly, nelle opere geometrico-matematico-costruttive di D. Maurer, attiva anche nel genere delle installazioni e della cinematografia.
La tradizione ormai classica della scuola di Szentendre continua con il pittore P. Deim, arricchendo di risultati sempre nuovi l'indirizzo stilistico del costruttivismo. Nella stessa Szentendre si forma ed è attivo a partire dalla metà degli anni Settanta lo Stúdió Lajos Vajda, che deriva il proprio nome da uno dei maggiori artisti di Szentendre, grafico surrealista accostabile a P. Klee, e raccoglie un gruppo di pittori neodada e surrealisti e di artisti dello happening: gli artisti guida ne sono I. ef Zámbó, L. fe Lugossy, A. Wahorn, ai quali possono essere ricollegate l'arte neoprimitiva di J. Szirtes (pittura e performance) così come l'arte della performance e la pittura figurativa surrealista-ironica di A. Böröcz e L. Révész, che hanno iniziato il loro percorso dalla cerchia di Erdély. Lo scultore Gy. Galántai, che lavora utilizzando fra l'altro anche scarti metallici, fondatore del centro di ricerca sull'arte Artpool, è uno degli organizzatori principali della divulgazione in U. della mail art e della controcultura.
Nella scultura prosegue nel suo processo di raffinamento l'astrazione filosofica e monumentale di G. Jovánovics, mentre I. Haraszty, sollevando questioni esistenziali e sociali, propone con la sua scultura di macchinari una brillante satira del kadarismo in declino. T. Csiky, con il suo costruttivismo pulito e vigoroso continua, da solo, nella scultura l'arte puritana del maestro dell'avanguardia ungherese, L. Kassák. In pittura l'allievo più fedele e più coerente di Kassák è J. Fajó, che ha iniziato la propria carriera accanto a Bak e a Nádler. Riflette sui problemi ecologici, con statue lignee che plasmano formazioni vegetali e con oggetti arcaici, G. Samu, una delle figure più originali della scultura ungherese contemporanea, accanto a S. Csutoros, che lavora anch'egli con forme naturali. Le costruzioni in travi di legno e le reti a coprire spazi realizzate da J. Megyik, che vive a Vienna, sono esempi del genere artistico concettuale sensitivo. Continua nello stesso tempo a esistere nella plastica ungherese anche la figuratività classica nella sua versione postmoderna nell'opera di T. Körösényi, M. Melocco e R. Török.
Alla metà del decennio inizia la produzione del gruppo di architetti dello Studio Plusz, composto da L. Rajk, A. Kovács, T. Szalai, G. Bachman, con statue di carta e installazioni decostruttiviste che fondono il costruttivismo dell'avanguardia sovietica classica con certo realismo patetico falsamente socialista. Anche nel decennio in corso Gy. Pauler prosegue i suoi esperimenti di pseudo-scultura, questa volta nel campo tematico della bellezza umana del nudo. R. Swierkiewicz, in una terra di confine situata tra neodada, informale e installazioni, sotto l'aspetto dei generi artistici utilizza una quantità di media eccezionalmente vasta. Indipendentemente dalle tendenze pittoriche, S. Molnár continua a costruire sui propri quadri a olio ormai monumentali la sua pittura quasi-astratta che ricorda forme biologiche.
Durante la fase di fervore artistico degli anni Ottanta e nel momento in cui l'eclettismo radicale andava per la maggiore, il fattore più fortemente decisivo nell'ambito della cultura visuale anche in U. è diventato il video e tale processo non si è arrestato dopo la caduta del muro di Berlino, il ritorno al sistema politico democratico borghese e la rinascita dell'economia di mercato. Dal 1989 il sistema istituzionale della vita artistica subisce mutamenti radicali, le associazioni di artisti pilotate dallo stato vengono eliminate o si trasformano, nascono nuove riviste; anche l'insegnamento delle arti si spoglia della sua impronta conservatrice, mentre nasce un mercato dell'arte, benché le gallerie, in mancanza di una borghesia che disponga di potere d'acquisto, operino ancora in condizioni assai difficili. Vedi tav. f.t.
Bibl.: L. Hegyi, Új szenzibilitás ("Nuova sensibilità"), Budapest 1983; Eklektika '85, catalogo della mostra, ivi, Palazzo delle Esposizioni, 1985; L. Hegyi, Avantgarde és transzavantgarde ("Avanguardia e transavanguardia"), ivi 1986; Modern and contemporary Hungarian art, Bulletin 1985-90, a cura di S. Mészöly, Soros Foundation Fine Art Documentation Center (Palazzo delle Esposizioni), ivi 1990; M. Erdély, Művészeti irásai ("Scritti sull'arte"), ivi 1991; Kortárs képzőművészet ("Arte contemporanea"), catalogo della mostra, a cura di I. Dévényi, ivi, Galleria Nazionale Ungherese - Museo Ludwig, 1991; AA.VV., A modern posztjai. Esszék, tanulmányok, dokumentumok a '80-as evek magyar művészetéról ("I posti del moderno, saggi, studi e documenti sull'arte ungherese degli anni '80"), Facoltà di Lettere dell'università degli studi Loránd Eötvös di Budapest, ivi 1994; '80-as évek - Képzoművészet ("Anni '80 - Arte figurativa"), catalogo della mostra, ivi, Museo Ernst, 1994.
Architettura. - Crocevia di culture diverse per la speciale posizione geografica, l'U. ha saputo elaborare in modo originale ogni apporto. È così nata un'autonoma e rilevante produzione architettonica, la cui componente essenziale è a tutt'oggi basata su uno sperimentalismo avanzato. Nonostante la cesura del secondo conflitto mondiale e la parentesi del realismo socialista nella sua interpretazione volgarizzata (del resto già conclusa nel 1954 a fronte dei gravi problemi della ricostruzione postbellica), l'avanguardia ungherese non ha mai interrotto le proprie feconde elaborazioni né tantomeno i legami con le correnti europee (v. App. IV, iii, p. 721). Il dibattito culturale quindi, sia pure soggetto alla complessità delle vicende politiche, ha potuto sviluppare e arricchire, in maniera variata ma non disomogenea, le principali linee di tendenza ereditate in modo capillare dal movimento moderno. Ha contribuito particolarmente la ricerca mai inevasa di un'identità nazionale (inizialmente lo stile ''magiaro''), non folklorica né incline ai sentimentalismi e contrapposta all'accademismo dei linguaggi ''importati''. L'U. ha avuto pertanto l'occasione, prima e più degli altri paesi dell'ex blocco sovietico, di affrancarsi sapendo trarre dall'opulento patrimonio storico spunti innovativi, poi innestati con mano felice sulla solida piattaforma del contemporaneo.
L'avere in qualche misura anticipato il razionalismo, per un verso, come, dall'altro, l'avere posto a fondamento di reinvenzione poetica l'impiego di tecniche e materiali della tradizione popolare (quali il mattone e il legno) ha permesso all'architettura ungherese, negli ultimi anni, una consistente rivisitazione delle fonti meno dogmatiche del moderno, accomunando i ''padri storici'' R. Steiner, A. Gaudí, E. Mendelsohn, F.Ll. Wright e R. Buckminster Fuller con gli outsiders B. Goff, H. Greene, P. Soleri, R. Pietilä e R. Paatelainen, cui si aggiunge l'informale di A. Bloc e C. Parent e il neobarocco di G. Domenig. Il filo rosso che costituisce il collegamento delle molteplici esperienze sta nell'avere rintracciato nella metamorfosi, cioè nella trasposizione dallo spazio fisico, reale, a quello creativo, spirituale, un valore antinaturalistico, per cui ''contesto'' e ''tradizione locale'' assumono il senso di un'autentica sinergia tra manufatto, luogo e abitante.
Si è perciò formata, a partire dagli anni Settanta, una corrente composita, meglio un indirizzo di ricerca, detto ''neoorganico'' o ''neoromantico'', che ha fatto suo il pensiero di B. Goff: "si può fare parte di un paesaggio senza bisogno d'imitarlo o di camuffarvisi". Capo indiscusso di quest'indirizzo (che rifiuta qualsiasi etichetta stilistica) è I. Makovecz, il talento più genuino del gruppo, autore del manifesto programmatico diffuso nel corso di un'importante rassegna itinerante approdata a Budapest nel 1985 (dopo le tappe di Helsinki, Oslo, Stoccolma, Monaco, Stoccarda) con il titolo Architettura organica in Ungheria, subito mutato in Architettura ungherese vivente. La mostra dove, oltre Makovecz e altri, espongono G. Csete e A. Kovács, ottiene vasta risonanza internazionale, rappresentando, con pertinenti idealità, gli altri esponenti dell'architettura romantica (da B. Prince al Team Zoo, da E. Asmussen all'Ecole de Lille, a K. Kowalski e M. Szyszkowitz).
Pochi gli assunti teorici: l'uso di forme metaforiche (umane e animali, come in Gaudí e in H. Greene), il riferimento a culture precristiane e a un mondo primigenio (come in Mendelsohn, in Pietilä e Paatelainen), la rivalutazione di alcuni elementi della cultura popolare (come in Wright e in Soleri). In quest'ottica, trame prive di codici fissi diventano il fulcro di ogni metodologia progettuale, sicché il movimento si caratterizza più per un ''sentire'' collettivo che per articolarsi in un insieme di regole ripetibili. Agli inventari degli stili e delle funzioni materiali dello storicismo e del razionalismo si aggiungono, come compositivamente determinanti, valutazioni psicologiche e istanze metafisiche, da alcuni esplicitate, a dimostrazione della libertà espressiva, con elementi archetipi, assoluti.
Si spiegano, in tal modo, le incursioni nell'''archeologismo'' di I. Gellér e nel ''popular'' di A. Kovács. I progetti di quest'ultimo (asilo e scuola materna a Kaposvár, 1980) si qualificano per un moderato postmoderno, evidente nelle geometrie semplici, nella simmetria e nei dichiarati simbolismi (definiti ''empatici''). L. Sáros, al contrario, si fa interprete del pathos monumentale del primo espressionismo, rendendo scoperto omaggio a Mendelsohn nei disegni per l'Osservatorio astronomico (1971). Più complicata, per le continue contaminazioni, la sintassi di Csete, attenta sia alla civiltà ungherese precristiana che al gotico locale, ma non dimentica degli insegnamenti della scuola di Amsterdam. Ne scaturiscono elaborati fantasiosi, sovente giocati sul concetto di metamorfosi. È infine a Makovecz e ai suoi collaboratori, E. Nagy e Z. Koppány (artefice del padiglione in legno e tela dell'esposizione di Budapest), che spetta la formulazione complessiva del teorema neo organico.
Dotato di una notevole immaginazione, anche se regolata dalla padronanza dei mezzi disciplinari, Makovecz adotta volumetrie sinuose e avvolgenti, strutture a guscio avveniristiche impiegando spesso tecnologie e materiali tradizionali. I suoi singolari edifici-albero (1983-85) hanno fatto scuola; altrettanto noti sono i suoi luoghi di culto, dove, forse con più efficacia che in altre tipologie, può realizzare spazi fluenti, drammaticamente segnati da costoloni, nervature e diaframmi lamellari. Esemplari in questo senso sono la Cappella al cimitero di Farkasrét (Budapest, 1975-77), dall'interno solcato da maestose sagome lignee incurvate una sull'altra, e la recente chiesa a Parks (1992), dall'involucro movimentato da una copertura a cresta, vagamente gaudiana, e da un rivestimento a scaglie. Per l'architetto ungherese l'organismo liturgico "sintetizza le migliori tradizioni di una comunità, la cultura della nazione ... È come un ponte che mette in comunicazione la sensibilità precristiana e la spiritualità del cristianesimo contemporaneo" (in L'Architecture d'aujourd'hui, 4, 1992). Vedi tav. f.t.
Bibl.: AA.VV., Ungheria. Architettura e urbanistica, in Parametro, 37 (giugno 1975), n. monogr., di cui si veda in particolare F. Lembo, E. Castellana, Da dove viene l'architettura ungherese, pp. 20-27; Architectures romantiques, in L'Architecture d'aujourd'hui, 224 (dicembre 1982), n. monogr.; Techniques et Architecture, 360 (giugno-luglio 1985), p. 116 ss.; The Architectural Review, 1066 (dicembre 1985); J. Gerle, Organische Architektur in Ungarn, in Bauwelt, 39 (ottobre 1985), pp. 1560-78; Modernità preistorica (Chiesa a Parks di Imre Makovecz), in L'architettura - Cronache e storia, 444 (ottobre 1992), p. 715.
Musica. - Fin dal primo decennio del Novecento, B. Bartók (1881-1945) e Z. Kodály (1882-1967), i due maggiori rappresentanti della musica ungherese del 20° secolo, avevano posto le premesse per la creazione di una scuola nazionale, alla quale la gran parte dei compositori delle generazioni successive si è poi richiamata. Alla loro stessa generazione appartiene E. Dohnányi (1887-1960), autore soprattutto di musica per pianoforte e da camera, quasi del tutto estraneo alla scuola nazionale, nonostante abbia in seguito dedicato gran parte della sua attività di direttore d'orchestra all'esecuzione delle opere dei suoi massimi rappresentanti.
Del primo gruppo di allievi di Kodály e Bartók, nati attorno al 1900 e impostisi all'attenzione internazionale alla metà degli anni Venti, fanno parte G. Kosa (1897-1984) e P. Kadosa (1903-1983), che risentono entrambi dell'opera di Bartók nelle composizioni degli anni Venti e Trenta, più tardi approdati allo studio della dodecafonia e del serialismo, e F. Szabó (1902-1969), che persegue nelle composizioni degli anni Venti la sintesi di musica popolare ungherese e musica colta europea, mantenendosi più tardi fedele, durante l'esilio in Unione Sovietica negli anni Trenta, all'estetica del realismo socialista.
Si ricordano inoltre H. Kelen (1888-1956), I. Kardos (1891-1975), J. Kennessey (1905-1976), R. Kokai (1906-1962), J. Adam (n. 1896); e ancora, L. Bardos (n. 1899), insegnante fra il 1928 e il 1967 presso la Scuola superiore di musica di Budapest, particolarmente impegnato, nel periodo fra le due guerre, nelle ricerche sul folklore nazionale; F. Farkas (n. 1905), allievo di O. Respighi a Roma fra il 1930 e il 1931, professore di composizione presso la Scuola superiore di musica di Budapest fra il 1949 e il 1975, dove ha avuto per allievi Z. Durkó e G. Ligeti; Z. Gardonyi (n. 1906), perfezionatosi con P. Hindemith al Conservatorio di Berlino, e trasferitosi nella Germania Federale nei primi anni Settanta; S. Veress (n. 1907), autore durante gli anni Trenta e Quaranta di opere che risentono fortemente dell'insegnamento di Bartók e Kodály, trasferitosi negli anni Cinquanta a Berna, presso la cui università ha insegnato a partire dal 1971.
Degli allievi di Kodály costretti a lasciare l'U. all'indomani della caduta del governo popolare di B. Kun, si ricordano T. Harsany (1898-1954), trasferitosi nel 1923 a Parigi, dove fondò la ''Scuola di Parigi'' assieme ad altri musicisti provenienti dall'Europa orientale; G. Frid (n. 1904), stabilitosi ad Amsterdam nel 1929, M. Seiber (1905-1960), residente prima a Francoforte sul Meno, quindi, alla metà degli anni Trenta, a Londra, dove poté studiare, oltre alla musica jazz, la tecnica di composizione a dodici suoni; e infine M. Rozsa (n. 1907), trasferitosi dopo un soggiorno a Lipsia negli Stati Uniti, dove dal 1945 ha insegnato composizione presso l'università di California.
Con il secondo dopoguerra e la costituzione del nuovo stato socialista, più intensa si è fatta la partecipazione dei compositori alla vita musicale del paese, essendo generalmente orientata la loro attività a favore dello sviluppo e della diffusione in senso popolare e democratico del messaggio musicale. Al rinnovamento della vita musicale di quegli anni hanno collaborato anzitutto compositori della generazione precedente, come I. Szelenyi (1904-1972), allievo di Kodály, direttore fra il 1951 e il 1956 della Rivista Musicale, e particolarmente legato alla tradizione popolare secondo la lezione del maestro; e J. Viski (1906-1961), anch'egli allievo di Kodály, insegnante dal 1942 presso l'Accademia Franz Lizst di Budapest, dove ebbe per allievi alcuni dei più importanti compositori ungheresi della nuova generazione. Il contributo maggiore è stato tuttavia quello dei compositori più giovani impegnati nella vita accademica del paese a partire dagli anni Quaranta: si ricordano E. Szervansky (1911-1977), R. Maros (1917-1982), T. Sarai (n. 1919), R. Sugar (n. 1919) e I. Sarkozy (n. 1920); e ancora P. Jardanyi (1920-1966), che nell'immediato dopoguerra ha collaborato alla redazione del Corpus Musicae Popularis Hungaricae, e A. Mihaly (n. 1917), il quale nel 1968 ha dato vita all'Insieme da Camera Ungherese, con l'intento di far conoscere e valorizzare il repertorio della nuova avanguardia ungherese.
Nel nuovo clima culturale si sono formati A. Szollosy (n. 1921), I. Patachich (n. 1922), G. Ligeti (n. 1923) e G. Kurtág (n. 1926), che si possono considerare i maggiori rappresentanti della musica ungherese a partire dagli anni Cinquanta.
Szollosy, allievo di Kodály e Viski, e più tardi di G. Petrassi a Roma, ha prodotto durante gli anni Settanta alcune composizioni per musica da camera, fra cui Preludio, adagio e fuga (1973) e Concerto per clavicembalo e archi (1978); ha presentato nel 1987, durante le giornate della musica ungherese di Budapest, il Canto d'autunno per orchestra. Patachich, allievo (prima metà degli anni Quaranta) di Viski e Farkas, ha fondato nel 1971 uno studio di musica elettronica, l'Experimentum Auditorii Studi (Exastud), collaborando inoltre con alcuni dei più importanti centri di musica elettronica del mondo; fra le sue composizioni di musica elettronica si ricordano in particolare Ludus sinteticus (1977), Calling Sounds (1977) e Hommage à l'électronique (1978). Ligeti, allievo di Farkas e Kadosa presso il Conservatorio di Cluj, si è perfezionato più tardi a Budapest con Veress e Jardanyi; al periodo propriamente ungherese della sua attività (a metà degli anni Cinquanta si è stabilito a Vienna, affermandosi come una delle personalità di maggior spicco della scena musicale europea degli ultimi decenni) appartengono alcuni lavori in cui ancora evidente è l'influenza di Bartók: così Musica ricercata, 11 pezzi per pianoforte (1951-1953), e il primo quartetto Metamorphoses Nocturnes (1953-1954). Kurtág, anch'egli allievo di Veress e Farkas al Conservatorio di Budapest, si è perfezionato a Parigi nella seconda metà degli anni Cinquanta, con D. Milhaud e O. Messiaen; nel 1984 ha ricevuto il premio Béla Bartók - Ditta Pasztory.
Alle nuove avanguardie europee, e in particolare all'avanguardia polacca e a quella italiana rappresentata da L. Nono, si sono richiamati durante la prima metà degli anni Sessanta i compositori più giovani, come I. Lang (n. 1933), Z. Durkó (n. 1934), S. Balassa (n. 1935) e A. Bozay (n. 1939).
Di Lang, allievo di Viski e Szabó, oltre alle opere teatrali Il grande drammaturgo (1960) e I codardi (1968), si ricordano alcune composizioni più tarde, come Constellations per oboe, violino, viola e violoncello (1975), 2 preludi per un postludio per fagotto, viola, violino e violoncello (1977), Percussion Music (1978). Delle composizioni di Durkó, allievo di Farkas, perfezionatosi a Roma con G. Petrassi nei primi anni Sessanta, si ricordano Dartmouth concert per soprano e orchestra (1966), e i lavori degli anni Settanta, come Chamber music per 2 pianoforti e 11 strumenti, Andromeda per organo (1980) e Suite I per violoncello solo (1980), Microstrutture (1973) e Rubato cantabile (1973), entrambi per pianoforte. Balassa è autore di molte pagine per musica da camera, alla quale si è dedicato fin dalla fine degli anni Cinquanta, con Bagatelle e Sequenze per pianoforte (1957-1969), e ancora con il Quintetto per fiati (1966) e il Quartetto per percussioni (1969); negli anni Settanta ha composto fra l'altro l'opera teatrale L'uomo estraneo (1977). Bozay, allievo di Szelenyi e Farkas, ha composto musica da camera, fra cui Silhouette per soprano, clarino e violoncello (1962), e Grida per tenore e orchestra da camera (1963); delle sue composizioni per orchestra si ricordano Pezzi sinfonici n. 1 (1967) e n. 2 (1975-76). Alla stessa generazione appartengono inoltre L. Kalmar (n. 1931), P. Karolyi (n. 1934), M. Kocsar (n. 1933), K. Lendvay (n. 1928), J. Soproni (n. 1930), L. Papp (n. 1935).
Fra i compositori del secondo dopoguerra si ricordano Z. Jeney (n. 1943), allievo di Farkas e Petrassi, nel 1970 tra i fondatori del Nuovo studio musicale di Budapest, e autore di Something lost per pianoforte preparato (1975), Arthur Rimbaud in the desert per uno strumento a scelta (1976), La media di cento anni per quintetto e due generatori (1977) e IMPHO 102/6 per 6 percussioni (1978); L. Vidovszky (n. 1944), allievo di Farkas e di Messiaen a Parigi (1971), anch'egli membro dello Studio Nova Musica e autore fra l'altro di Elegy per archi (1980), 3 voiced inventions per 3 organi elettrici (1980) e Narcisse et Echo, opera buffa (1981), oltre che, in collaborazione con Jeney e altri, di Hommage à Kurtag (1975) e Hommage à Dohnányi per 12 esecutori (1977); P. Eotvos (n. 1944), allievo di K. Stockhausen a Colonia, autore di Elektrochronik per 2 organi elettrici e nastro, e Interludes-Interieurs per nastro (1981).
Fra le opere più significative della musica ungherese degli anni Ottanta, presentate durante le ultime edizioni delle Giornate di musica contemporanea di Budapest, da ricordare fra l'altro Un pezzo per pianoforte di I. Kiraly, Cento piccoli pezzi per pianoforte di I. Martha, Natura morta di M. Hollos, Tre pezzi per orchestra da camera di M. Sugar, Conversazione per clarinetto, viola e pianoforte di F. Vary, Sei duo per violino e batteria di L. Dubrovay, Nella notte per orchestra d'archi di I. Vantus, 15 lieder di R. Dalos.
Bibl.: I. Fabian, Modern Hungarian music, in The Musical Quarterly, 1965; P. Dickinson, Some recent Hungarian music, in Soundings, 1971; M. Dasche, J. Breuer, Entwicklungslinien in der Musikkultur Ungarns, in Musik und Gesellschaft, 30 (1980), pp. 211-16; S. Neef, Neue ungarische Opern in den 70er Jahren. Produktionen fur Schallplatte und Rundfunk, ibid., pp. 217-20; P. Derossi, Ungheria, in Dizionario Enciclopedico della Musica e dei Musicisti, Il Lessico, 4, Torino 1984, pp. 650-52.
Cinema. - Dopo un faticoso avvio, il cinema ungherese prese slancio, a partire dal 1912, con uno dei primi lungometraggi, Nőverék .("Sorelle") di Ö. Uher. A questo film ne seguirono molti altri, al punto che alle soglie della prima guerra mondiale la cinematografia magiara era una tra le più floride d'Europa.
Il conflitto mondiale tolse però respiro alla nascente industria che, soffocata per di più dal clima di repressione seguito al potere di B. Kun, poté risollevarsi soltanto durante gli anni Trenta, quando la produzione non offrì comunque nulla di significativo, limitandosi a commedie leggere che facevano il verso al cinema di E. Lubitsch. È nel 1942 che vide la luce un'opera originale e interessante, Emberek a havason ("Gli uomini della montagna") di I. Szőts, cui seguì nel 1947 il toccante Valahol Európában ("Da qualche parte in Europa") di G. Radvány (n. 1907). Nonostante i buoni risultati, questi anni furono segnati da un'inarrestabile crisi economica; l'industria cinematografica, malata come le altre attività dello stato, ridusse la produzione annuale a pochissimi film. Benché con molti limiti ideologici, fu la politica stalinista degli anni Cinquanta a favorire la ripresa della cinematografia, risollevando le sorti dell'industria e favorendo la crescita di quella generazione di cineasti che darà vita a una delle più vive tra le nouvelles vagues degli anni Sessanta. I. Gaál, F. Kardos, I. Szabó, F. Kósa, P. Bacsó, Z. Fábri, M. Jancsó, e altri cineasti di talento si riunirono idealmente formando una corrente portatrice di profondi interrogativi legati essenzialmente alla storia del paese, come in Szegénylegények ("I disperati di Sandor", 1965) e Csillagosok, katonák ("L'armata a cavallo", 1967) di Jancsó, o alle vicissitudini politiche, come nel caso di Magasiskola ("I falconi", 1970) di Gaál e Falak ("I muri", 1968) di Kovács.
Negli anni Settanta si assiste al consolidarsi delle idee espresse dalla nouvelle vague magiara, sempre più apprezzata dalla critica internazionale, ma la cui definitiva consacrazione arriverà soltanto nel 1982, con il premio Oscar a Mephisto (1981) di Szabó. I registi che successivamente si affiancano ai maestri Jancsó, Fábri, Kovács, Gaál, si muovono spesso in un ambito di estrema professionalità, tuttavia pochi sono coloro che riescono a esprimere una poetica davvero personale. Tra questi meritano un posto di riguardo le registe M. Mészáros (n. 1931), di cui citiamo Anna (1981), Napló gyermekeimnek (1984, "Diario per i miei figli"), Napló szerelmeimnek (1987, "Diario per i miei amori") e Napló apámnak, anyáminak (1989, "Diario per mio padre e mia madre") e J. Elek (n. 1937), autrice fra l'altro di Egyszerú tőrténet (1974, "Una storia semplice"), Márai-nap (1983, "La festa di Maria"), Tutajosok (1988, "I canottieri del fiume"), Ébredes ("Risveglio", 1994). Attraverso il loro cinema, vibrante e problematico, traspare con lucidità e al tempo stesso con sofferenza il difficile rapporto tra pubblico e privato in un paese agitato da profondi travagli politici.
Un posto di rilievo nella storia del cinema ungherese occupa l'attività dello Studio Béla Balázs, dove − a partire dagli anni Sessanta − più generazioni di cineasti hanno avuto la possibilità di realizzare in relativa libertà ideologica ed economica cortometraggi a soggetto (i più famosi sono quelli di I. Szabó), documentari (le opere di I. Dárday, B. Tarr e altri, conosciuti anche come fondatori della cosiddetta Scuola di Budapest) o film sperimentali (il personaggio più noto in questo campo è G. Bédy, suicidatosi nel 1985).
A partire dalla fine degli anni Settanta sono venuti in luce alcuni talenti nuovi, per es. A. Jeles, il cui A kis Valentino ("Piccolo Valentino", 1979) dà una diagnosi precisa dello stato d'animo di un giovane emarginato nella società magiara di allora; P. Gothár soprattutto per Megáll az idó ("Il tempo sospeso", 1981), che rievoca i ricordi agrodolci della propria generazione maturata in U. dopo il 1956; e inoltre B. Tarr, i cui lungometraggi (tra di essi Kárhozat, "Dannazione", 1987) esprimono la profonda crisi esistenziale e morale dei cittadini di un regime in agonia. Una Settimana del cinema magiaro, organizzata ogni anno a Budapest, consente di misurare l'impegno degli autori che con sempre crescente difficoltà riescono ad affermare l'identità nazionale.
Bibl.: G. Petrio, History must answer to man (the contemporary Hungarian cinema), Budapest 1978; AA.VV., Il cinema magiaro. L'uomo e la storia, Venezia 1982; S. Micheli, Cinema ungherese. Tradizione, idee, forme, Roma 1982; AA.VV., Esteuropa '80. Opacità e trasparenze, Venezia 1987; J.-P. Joancolas, Miklós, István, Zoltán et les autres, Budapest 1989; Variety International Film Guide, a cura di P. Cowie, Londra 1990, 1994, 1995.