Ungheria
Geografia umana ed economica
Stato dell'Europa centrale. L'U., che al censimento del 2001 aveva registrato 10.197.119 ab., con una densità di 109 ab. per km2, sta sperimentando un sensibile decremento demografico, i cui segni hanno cominciato a manifestarsi già dai primi anni Ottanta del 20° sec. e che nel periodo dal 2000-2005 è stato pari allo 0,2%. Il tasso di natalità (9,7‰ nel 2006) è allineato alla media europea, mentre quello di mortalità è più elevato (13,1‰); poco significativo il saldo migratorio (0,86‰). Questa tendenza media presenta aspetti differenziati all'interno del territorio ungherese: processi di contrazione demografica sono in atto nei centri rurali minori e nelle realtà urbane più deboli. Anche Budapest, città in cui si concentra un quinto della popolazione complessiva (circa 1.700.000 ab. nel 2005), evidenzia processi di arresto dell'urbanizzazione e di deurbanizzazione con ridistribuzione degli abitanti al di fuori dell'area centrale, similmente a quanto avviene nelle grandi città europee. Sotto il profilo etnico l'U. offre caratteristiche prevalenti di omogeneità, e i magiari rappresentano il 92,3% (cens. 2001) della popolazione.
I progressi in campo economico raggiunti dall'U. nel corso degli anni Novanta del secolo scorso e nei primi sei anni del 21° sec. sono stati notevoli e hanno permesso al Paese di raggiungere i parametri richiesti per entrare a far parte dell'Unione Europea (1° maggio 2004). Nel periodo 1995-2004 l'incremento del PIL si è mantenuto attorno al 4% annuo, con un picco al 5% registrato nel 2000 grazie all'aumento delle esportazioni; anche nel 2005-06 la crescita è stata superiore al 4%, alimentata soprattutto dall'afflusso di capitale straniero, di provenienza prevalentemente austriaca e tedesca, e dai consumi, cresciuti in maggior misura rispetto a esportazioni e investimenti. Nonostante l'ingresso nell'Unione Europea abbia dato una notevole spinta all'economia ungherese, ripercussioni negative si sono andate manifestando nell'agricoltura e nella struttura produttiva regionale. Nel 1990 oltre il 95% dei terreni agricoli veniva lavorato dal 18% degli attivi all'interno di cooperative e fattorie statali: nel 2005 il settore agricolo costituiva il 2,8% del PIL con il 5,4% della manodopera complessiva. La privatizzazione delle terre ha creato circa 2 milioni di aziende, di cui 766.000 di piccola dimensione (4,5 ha in media), dove oltre il 60% di piccoli proprietari lavora su appezzamenti di meno di un ettaro e il cui livello minimo di autosufficienza li ha portati a ritirarsi progressivamente dal mercato. Viceversa le aziende di grandi dimensioni (circa 7800), completamente privatizzate, devono affrontare la competizione a livello comunitario potendo contare unicamente su un progressivo incremento dei rendimenti delle colture. Il patrimonio zootecnico risulta in diminuzione, con una prevalenza di suini, ovini e volatili. Inoltre, l'invecchiamento della popolazione rurale provoca crescenti difficoltà alla gestione dei fondi; tale situazione ha avuto più pesanti ripercussioni nelle regioni orientali, da sempre le più agricole del Paese, anche se l'entrata della Bulgaria e della Romania nell'Unione Europea (2007) le ha rese meno periferiche. In questo quadro gioca un ruolo importante anche la realizzazione dei programmi per lo sviluppo della rete stradale e ferroviaria, che prevedono la costruzione di nuove autostrade (600 km tra il 2005 e il 2010) e di vie di scorrimento veloce verso le frontiere ucraina, rumena e serba, nonché la costruzione di ponti sul Danubio e di porti sul Tibisco.
L'inflazione, che nei primi anni del 21° sec. si era mantenuta elevata con valori tra il 7 e il 10%, superiori a quelli degli altri Paesi europei, è scesa nel 2005 al 3,5%, con un tasso di disoccupazione stabilizzatosi attorno al 6-7%. L'incremento delle esportazioni (in particolare di beni strumentali) ha ridotto notevolmente il deficit della bilancia commerciale; rimane elevato il debito pubblico (oltre il 6% nel 2005) nonostante gli impegni decisi dal governo dopo l'avvio della procedura di infrazione da parte della Commissione europea. *
Storia
di Paola Salvatori
Nei primi anni del 21° sec. la vita politica dell'U. - che aveva intrapreso senza scosse traumatiche, nell'ultimo decennio del 20º sec., il faticoso processo di modernizzazione e di democratizzazione interna - fu ancora dominata in prevalenza dai temi economici, divenuti particolarmente rilevanti in vista dell'ingresso del Paese nell'Unione Europea (UE), nel 2004.
I governi di centrodestra e di centrosinistra, che negli anni Novanta si erano alternati al potere, avevano indirizzato gli sforzi nella creazione di un'economia di mercato e avevano promosso politiche liberiste e di riduzione di spesa, nel tentativo di sanare il deficit e di riequilibrare i conti dello Stato. La crescita degli investimenti stranieri che un tale indirizzo aveva comportato non si era tuttavia tradotta in un benessere diffuso, dal momento che le disparità sociali erano cresciute, il tasso di disoccupazione si era mantenuto alto e le condizioni di vita della popolazione avevano subito un drastico peggioramento in seguito alla riduzione dei servizi sociali offerti dall'amministrazione pubblica. Si erano inoltre accentuati gli squilibri regionali, a detrimento delle aree nord-orientali, ed erano rimasti ancora senza soluzione problemi antichi quali la corruzione, l'inefficienza della burocrazia e l'emarginazione delle minoranze interne, prime fra tutte la comunità Rom, una delle più cospicue del Paese.
Un freno alle politiche di austerità e quindi una maggiore attenzione ai problemi sociali sembrò prospettarsi con l'avvento al potere della coalizione di centrodestra formata dal Forum democratico (MDF, Magyar Demokrata Fórum) e dalla Federazione dei giovani democratici (FIDESz, Fiatal Demokraták Szövetsége), uscita vincitrice dalle elezioni del 1998. Il nuovo governo, presieduto da V. Orban, varò infatti un programma dai toni fortemente populisti (ossia riduzione delle tasse, freno alle privatizzazioni, scetticismo nei confronti delle istituzioni economiche internazionali) prospettando un più lento adeguamento ai parametri europei. In realtà la politica economica dell'esecutivo non si distaccò nelle sue linee fondamentali da quella dei governi precedenti, anche se il peggioramento dei conti pubblici verificatosi in quel periodo rischiò di rallentare effettivamente il processo di integrazione con gli altri Stati europei. Perso il consenso da parte dell'opinione pubblica, fortemente delusa dalla mancata realizzazione del programma elettorale, la coalizione di governo uscì sconfitta dalle elezioni legislative dell'aprile del 2002 vinte dal centrosinistra (Partito socialista, MSzP, Magyar Szocialista Párt, e Alleanza dei liberi democratici, SzDSz, Szabad Demokraták Szövetsége), alla quale andarono 198 seggi. Il nuovo governo, guidato dal leader socialista P. Medgyessy, rilanciò le riforme economiche: accelerò il processo di privatizzazione e varò nuove misure di austerità volte a sanare il deficit pubblico. Parallelamente vennero adottati provvedimenti in favore del ceto medio impiegatizio che prevedevano, anche, l'aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici, aiuti alle famiglie, maggiori stanziamenti per sanità e per istruzione. In vista dell'approssimarsi dell'ingresso nell'UE (avvenuto nel maggio 2004), le misure finanziarie restrittive vennero accentuate e ciò provocò contrasti all'interno della stessa maggioranza, culminati nelle dimissioni di Medgyessy (ag. 2004), al quale subentrò F. Gyurcsány. Socialista, imprenditore, divenuto miliardario in seguito alle privatizzazioni, il nuovo capo del governo mantenne inalterate le priorità dell'esecutivo in politica economica ma riuscì a sfruttare il proprio carisma per mantenere unita la coalizione e per guadagnare il consenso della popolazione. Presentatosi agli elettori, in vista delle consultazioni legislative dell'aprile 2006, presentando un programma che puntava al potenziamento dei servizi sociali, ma soprattutto al riassorbimento della disoccupazione attraverso il rilancio produttivo e gli investimenti infrastrutturali, da effettuarsi grazie ai finanziamenti garantiti dall'UE, Gyurcsány riuscì a contrastare l'euroscetticismo e il nazionalpopulismo di cui si era fatta portatrice la destra, divenuta assai critica nei confronti delle privatizzazioni, e a garantire alla propria coalizione la maggioranza dei seggi in Parlamento (210 deputati contro i 164 dell'opposizione di destra). In settembre, tuttavia, la popolarità del primo ministro subì un tracollo in seguito alla diffusione di una registrazione audio, raccolta in una riunione privata del suo partito, in cui ammetteva di aver mentito in campagna elettorale sul reale programma economico del governo.
In tema di politica estera il Paese ha puntato nel corso di questi anni a intensificare i rapporti con le nazioni occidentali, e ad accrescere il proprio ruolo regionale.
bibliografia
Transformations in Hungary: essays in economy and society, ed. P. Meusburger, H. Jöns, Heidelberg-New York 2001; J.W. Schiemann, The politics of pact-making. Hungary's negotiated transition to democracy in comparative perspective, Basingstoke-New York 2005.