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ZIMBABWE

di Paolo Graziosi - Enciclopedia Italiana (1937)
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ZIMBABWE

Paolo Graziosi

. Fin dal secolo XVI i missionarî portoghesi che penetrarono nell'attuale territorio della Rhodesia del sud notarono la presenza in quei luoghi di grandi rovine che assumevano la maggiore imponenza a Zimbabwe, allora capitale dell'impero del Monomotapa. Con la decadenza del dominio portoghese in quelle regioni le rovine della città caddero nell'oblio e soltanto verso la metà del sec. XIX esse attrassero di nuovo l'attenzione degli Europei. Da allora il problema delle rovine di Zimbabwe è andato sempre più appassionando gli archeologi e gli etnografi di ogni paese, ma tuttavia una grande incertezza e pareri assai contradittorî permangono al riguardo dei popoli che eressero quegli edifici.

Essi sono fatti con muri a secco composti di blocchi di granito di forma regolare, forma dovuta in generale non al lavoro dell'uomo, ma al particolare modo di sfaldatura del granito, di cui esistono grandi formazioni nella regione. In molti casi si tratta di costruzioni difensive: ubicazione in luoghi elevati e di difficile accesso, mura massicce, presenza di torri, ecc. Gli edifici di Zimbabwe sono privi di qualsiasi copertura e rivelano una tecnica di fabbricazione alquanto primitiva; ad esempio l'unione di due muri non viene mai fatta con un addentellato ciò che conferirebbe all'edificio maggiore stabilità, ma con il semplice appoggio di due superficie piane l'una accanto all'altra. Tuttavia quelle antiche rovine si presentano imponenti per lo sviluppo, talvolta di alcune miglia, che assumono le mura; ciò fa pensare che Zimbabwe sia il risultato del lavoro di veri eserciti di operai che dovevano compiere la loro fatica in seno ad un'organizzazione sociale potente e forse sotto una ferrea disciplina. Ad esempio la costruzione dell'acropoli e del cosiddetto tempio ellittico richiese uno sforzo collettivo non lieve, dovendosi trasportare tonnellate di materiale dalla pianura sottostante. Gli edifici di Zimbabwe non si presentano molto variati; si tratta di mura o di recinti che dovevano racchiudere delle capanne. Le strutture curve sono abbastanza frequenti: di tale struttura ci offre un bello esempio la ben nota torre conica. Gli ornamenti sono pure assai semplici e si riducono in generale a strisce alternate di vario colore ottenute con elementi di roccia diversa, generalmente basalto e granito.

Una caratteristica frequente delle antiche rovine della Rhodesia è di avere il suolo compreso tra le mura, rivestito di una sorta di cemento, formato da un impasto di polvere di granito e che viene a costituire il pavimento totale o parziale di quelle costruzioni. Al disotto di tali gettate di cemento furono trovate tombe e numerosi oggetti tra cui abbondantissimi quelli di metallo, specialmente d'oro.

Anzi l'oro vi esisteva in tale abbondanza da giustificare la costituzione, nel secolo XIX, di una compagnia per la ricerca dell'oro delle rovine, compagnia alla quale si deve, purtroppo, la distruzione di importantissimi documenti archeologici che avrebbero potuto gettare luce sul popolo che costruì la città. La costruzione di Zimbabwe sembra dunque coincidere con un periodo di intensa lavorazione di metalli e, di conseguenza, di un attivo sfruttamento minerario.

Circa l'origine di questa città e delle altre rovine sparse tra lo Zambesi e il Limpopo che fino ad oggi si calcolano a più di 500, sono sorte le più disparate teorie spesso in aperto contrasto l'una con l'altra. Qualcuno ha supposto che esse siano l'opera di popolazioni non africane giunte dal mare in epoche lontanissime: e la fantasia si è sbizzarita, indicandole come di origine araba, egiziana, indiana. L'importanza delle costruzioni dimostrerebbe che gli uomini che le elevarono erano in possesso di una civiltà superiore: anche l'interpretazione, del resto non troppo esatta, di certi oggetti venuti in luce tra le rovine, hanno fatto sorgere l'idea della loro origine extra-africana. La supposizione fino ad ora più attendibile è però quella che le costruzioni di Zimbabwe siano di epoca relativamente recente e che rappresentino l'opera di popolazioni indigene africane. La semplicità o meglio la primitività della tecnica edilizia, la struttura degli edifici e, in generale, il tipo dei materiali archeologici trovati tra le rovine, si addicono assai bene alla mentalità delle attuali genti che popolano la regione. Gli scheletri rinvenuti nelle tombe entro le rovine, e in altre dello stesso genere poste in grotte naturali, sono riferibili ad alcuni tipi umani, sia pure diversi l'uno dall'altro, ma sempre africani. È da supporsi quindi che Zimbabwe sia sorta durante il predominio, nel luogo, di una tribù africana che aveva raggiunto una potenza maggiore delle altre ed era in possesso di un'organizzazione sociale abbastanza complessa da permettere l'erezione di edifici così importanti.

Bibl.: D. R. Mac Iver, Mediaeval Rhodesia, Londra 1906; C. Thompson, The Zimbabwe Culture, Oxford, 1931; L. Frobenius, Erythräa, Berlino-Zurigo 1931; L. Cipriani, Le antiche rovine e miniere della Rhodesia, Firenze 1931.

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