Alessandro III
Il nome proprio di questo futuro pontefice era Rolando, figlio di un Ranuccio, senese. Il suo primo biografo, il cardinale Bosone, non dice nulla sulla famiglia; invece molto più tardi il Ciacconio parla della sua appartenenza alla nobile famiglia Bandinelli, che poi fu detta Paparona ricollegandola così con Roma. Circa la sua nascita non si può dare una data sicura, ma, tenendo presenti alcune tappe della sua vita, per le quali abbiamo riferimenti cronologici precisi, e ricordando che nel 1181 morì "per vecchiaia", si può ritenere con molta approssimazione ch'egli nacque nel primo decennio del sec. XII. Le prime informazioni riguardano un periodo di soggiorno bolognese, prima come studente e poi forse come lettore di diritto canonico. Risulta che egli fu buon conoscitore delle Sacre Scritture e del diritto civile ed ecclesiastico.
In seguito passò a Pisa dove divenne sacerdote di quella Chiesa ed ebbe occasione di conoscere il cisterciense Bernardo, il futuro papa Eugenio III; fu questi, con ogni probabilità, a chiamarlo a Roma, dove venne elevato al titolo di cardinale diacono dei SS. Cosma e Damiano (fine del 1150), per passare poi a quello presbiterale di S. Marco nel marzo successivo. Nel 1153 fu nominato cancelliere di Santa Romana Chiesa e da quel momento si mise sempre più in vista nella vita politica del suo tempo, prendendo decisamente partito per l'alleanza con i Normanni in antitesi c on la corrente favorevole all'imperatore Federico Barbarossa. Fu appunto in occasione di una missione di Rolando presso quest'ultimo, che si trovava a Besançon (ottobre 1157), che ebbe luogo il primo scontro violento tra le due tendenze: è possibile che sia stato il cancelliere, a commento di una lettera papale che rimproverava il sovrano di non aver adempiuto agli obblighi di principe cristiano, ad esclamare con disprezzo: "A quo ergo habet, si a domno papa non habet, imperium?". Questo, naturalmente, suscitò le reazioni dei presenti e il conte palatino Ottone cercò di colpire con la spada colui che aveva parlato, ma ne fu trattenuto dall'imperatore; il quale, però, rimandò immediatamente il legato, proibendogli d'avere qualsiasi contatto con il clero tedesco durante il viaggio. Il papa, che era allora Adriano IV, intervenne con una lettera in difesa dell'operato del cardinale.
Negli anni successivi la tensione s'inasprì ancora maggiormente, al punto che la scelta del successore di Adriano IV (morto ad Anagni il 1° settembre 1159) si presentò difficile per l'esistenza di due partiti ben organizzati e disposti a tutto, che si appoggiavano l'uno ai Normanni, l'altro all'imperatore; del primo era a capo il cancelliere, dell'altro un nobile romano, Ottaviano di Monticelli, cardinale di S. Cecilia. Risolta anzitutto la questione del luogo ove tenere il conclave (ad Anagni il primo partito si sarebbe sentito più a suo agio perché sotto la tutela normanna), si svolsero a S. Pietro in Vaticano delle trattative, durate tre giorni, per la designazione del nuovo papa; una soluzione di compromesso, tendente a portare al trono un cardinale estraneo alle due "congiure", Bernardo vescovo di Porto, fallì e la vittoria del cardinale di S. Marco, Rolando, si delineò abbastanza nettamente, avendo egli dalla sua dodici voti sicuri su ventitré (il Collegio si componeva allora di trentun cardinali, ma sei erano assenti e due erano i principali interessati, Rolando ed Ottaviano). Esitazioni dello stesso prescelto permisero agli avversari di proclamare eletto il loro candidato (7 settembre). Ottaviano assunse il nome di Vittore IV, trovando un discreto seguito, specialmente tra i senatori e l'aristocrazia romana, nonché tra il basso clero e l'ambiente laico della Corte pontificia. Il cardinale Rolando forse solo allora decise di farsi proclamare papa e di rivestire il manto papale; il nome assunto fu quello di Alessandro III. A. si chiuse nella fortezza del Vaticano, presso S. Pietro, restandovi nove giorni assediato, poi passò in una torre di Trastevere; il 17 settembre venne liberato dal popolo guidato da Ottone Frangipane; il giorno successivo fu ripetuta regolarmente la cerimonia dell'immantazione a Cisterna e il 20 fu consacrato a Ninfa dal vescovo di Ostia, come era richiesto dalle norme canoniche. Vittore fu consacrato a Farfa il 4 ottobre. Subito dopo essere stato consacrato, A. inviò varie lettere, comunicando l'accaduto, non risparmiando gli insulti all'avversario e accusando l'imperatore Federico di essere stato l'ispiratore dello scisma, ciò che, invece, non pare rispondente a verità, anche se, naturalmente, il sovrano sfruttò in seguito la situazione che si era determinata a sua insaputa e rese impossibile un accordo tra le parti, malgrado gli sforzi di un gruppo di cardinali, che, per prudenza politica e per evitare il peggio, tentarono per qualche tempo ancora di arrivare ad una composizione dello scisma.
Col passar dei mesi, l'opinione pubblica europea andò orientandosi in senso favorevole ad A., ed allora Federico, richiamandosi agli antichi diritti degli imperatori, convocò un concilio a Pavia per il febbraio del 1160; l'invito fu rivolto anche "al cancelliere Rolando ed agli altri cardinali che lo avevano eletto papa", ma, come era prevedibile, non fu accettato perché l'adunanza era troppo partigiana e perché (così scrisse A. nella lettera di risposta) la Sede romana era superiore ad ogni altro potere e non ammetteva di dover sottostare ad alcun giudizio; però non era respinta l'ipotesi della convocazione di un concilio che provvedesse a correggere quello che era difettoso nella procedura seguita nell'elezione. Ma non appena conobbe le decisioni del sinodo pavese, tutte favorevolissime a Vittore IV, il papa lanciò da Anagni la scomunica contro l'intruso, l'imperatore e tutti i suoi seguaci, sciogliendo anche i sudditi dall'obbligo di fedeltà (Giovedì santo, 24 marzo 1160). In seguito furono inviati vari nunzi presso i diversi Regni d'Europa, e infatti giunsero i riconoscimenti di Francia, Inghilterra, Spagna, Sicilia, Ungheria ed anche dell'imperatore di Costantinopoli; i tre principali centri economici e politici italiani, Venezia, Milano, Genova, erano anch'essi nettamente favorevoli ad A. e la diplomazia pontificia svolse presso di loro un'intensa opera di propaganda. Successivamente aderirono a lui i potenti ordini religiosi dei Cisterciensi e dei Certosini (Cluny, invece, fu con l'antipapa) e uomini eminenti del tempo come Enrico di Beauvais, Arnolfo di Lisieux, Giovanni di Salisbury.
Verso la metà dell'anno 1161 A. rientrò a Roma perché il Senato, rinnovato da qualche mese, era riuscito a lui favorevole e perché godeva della protezione dei Frangipane, l'unica delle famiglie nobili romane che stesse contro Vittore. Per quindici giorni poté mantenersi in città e consacrare anche la restaurata chiesa di S. Maria Nova - situata nella cerchia delle case dei Frangipane -, ma poi dovette di nuovo allontanarsi e soggiornare a Palestrina e a Ferentino; alla fine dello stesso anno si trasferì a Genova, lasciando come suo vicario nell'Urbe il cardinale Giulio, e di qui passò in Francia con un viaggio per mare assai avventuroso, ma coronato da grandiose accoglienze.
Uno dei mezzi di propaganda più frequentemente adoperato da A. fu quello di convocare concili nazionali ed assemblee regionali del clero per ripetere in ciascuna il lungo racconto della doppia elezione, portare le varie prove a favore della sua legittimità e far giungere ad un verdetto; tutto si concludeva con la rinnovazione della scomunica contro i fautori dello scisma. Tra le riunioni più importanti vanno ricordate quelle di Neufmarché, Beauvais, Montpellier, tra l'autunno del 1160 ed il maggio 1162; talvolta intervennero anche i due re di Francia e d'Inghilterra, Luigi VII ed Enrico II.
Essendo stato in parte convinto dalla contropropaganda di Federico, Luigi accettò d'avere con lui un colloquio per la fine dell'agosto del 1162, impegnandosi a portare con sé il papa e lasciare poi la decisione definitiva ad arbitri scelti dalle parti; ma A. rifiutò energicamente di sottostare a tali patti.
Andato a vuoto un primo incontro, ne fu fissato un altro per il 19 settembre, con la clausola che Luigi VII si sarebbe dato prigioniero se il suo papa non fosse stato presente; ma anche questa volta A. lo salvò, riuscendo ad ottenere rapidamente un forte aiuto militare inglese, mentre Federico, per conto suo, preveniva i tempi facendo proclamare Vittore unico papa legittimo da un concilio tenuto a Dôle. Pochi giorni dopo A. fu a sua volta solennemente accolto come vero pontefice e trovò aderenti anche nella Germania meridionale e nell'Austria. Nel maggio 1163 fu tenuto a Tours un nuovo, grande concilio con la partecipazione dei vescovi di tutta Europa e dei legati dell'imperatore bizantino; i difensori di Vittore riuscirono a controbattere le numerose prove a suo sfavore che vennero loro obiettate; il concilio prese anche varie disposizioni sui benefici ecclesiastici, le eresie, ecc. In seguito, però, A. fece una lunga permanenza a Sens, svolgendo un'instancabile attività, che dava i suoi frutti in maniera sempre più evidente. Così il messo del Barbarossa inviato nel Veneto doveva constatare che le defezioni aumentavano e che la "Rollandina cardinalitas, quae ibi habitare consuevit, laetata est".
La morte di Vittore IV (20 aprile 1164) non modificò la situazione perché l'antipapa venne subito sostituito da Guido di Crema (Pasquale III), ma il prestigio di A. cresceva, come dimostrano la visita che il re d'Inghilterra gli fece, il soggiorno del papa a Parigi e, soprattutto, l'invito che la città di Roma gli rivolse di rientrare in sede "per la salvezza della Chiesa di Roma e di tutti i popoli d'Italia"; così si legge nella lettera che il vicario del papa, il cardinale Giovanni del titolo dei SS. Giovanni e Paolo, fece scrivere dal clero e popolo romano dopo avere svolto un'abile azione diplomatica e sparso non poco denaro per controbilanciare i sistemi adoperati dall'inviato imperiale Cristiano di Magonza. A. chiese consiglio ai suoi alleati francesi ed inglesi e poi decise d'accettare, ma nel viaggio di ritorno per mare si spinse fino in Sicilia per stringere i rapporti con il re normanno Guglielmo; risalendo l'Italia meridionale a tappe e non senza qualche triste vicenda, giunse il 22 novembre 1165 alle foci del Tevere. All'indomani i senatori, i nobili, il popolo gli resero omaggio, quindi ebbe luogo l'ingresso solenne, al quale seguì una lunga permanenza in Roma, che fu utile al papa anche per rimettere in sesto finanziariamente il Patrimonio, per superare le gravi difficoltà economiche della Curia e per concedere esenzioni a monasteri e chiese, sottraendole ai loro ordinari ma ricevendone in cambio larghi introiti, in quel momento tanto necessari a scopi politici. Alla fine del 1166 Federico iniziò la sua quarta discesa in Italia, puntando sulle terre del Centro e del Meridione per colpire a morte il papa e, possibilmente, anche i suoi alleati normanni; l'episodio più importante fu la battaglia di Monteporzio (29 maggio 1167), che si risolse in una completa disfatta dell'esercito comunale romano. L'imperatore con il suo antipapa s'accampò sotto Monte Mario con molte truppe, ma A. provvide alla difesa della città chiedendo aiuto ai Normanni, con i quali riusciva a mantenere i contatti per via di mare e fluviale. Anche S. Pietro cadde in mano ai nemici ed ivi fu rinnovata la cerimonia dell'incoronazione imperiale. Si giunse al punto che la cittadinanza si lasciò convincere dalle lusinghe di Federico e chiese ad A. di deporre la carica, cosa che avrebbe fatto anche Pasquale, perché potesse essere eletto un terzo papa al loro posto, pur restando validi gli atti ecclesiastici che A. aveva compiuto negli anni precedenti; per il bene delle sue pecore - si disse - il pastore deve esser pronto a fare un grave sacrificio. Ma ancora una volta A. si dimostrò inflessibile nella tenace difesa delle sue prerogative e non ammise compromessi; per qualche tempo rimase presso i Frangipane e svolse la sua attività entro la solida difesa delle case poste tra il Colosseo, la "turris chartularia" e S. Maria Nova, poi, crescendo i pericoli, "evanuit", come dice il suo biografo; sappiamo che s'imbarcò clandestinamente presso S. Paolo e prese il largo. Tre giorni dopo fu visto presso il Circeo, quindi passò a Terracina, Gaeta e Benevento, dove lo raggiunsero i cardinali fuggiti da Roma alla spicciolata; la fortuna di Federico, frattanto, mutò all'improvviso ed in maniera radicale, per una peste sopravvenuta, che gli distrusse l'esercito e lo costrinse a ritirarsi.
Mentre le relazioni con l'imperatore restavano stazionarie per qualche anno, altre preoccupazioni gravarono su A.; sia il re Enrico d'Inghilterra sia i cittadini romani gli divennero ostili, mentre le trattative intraprese con l'imperatore greco non giungevano in porto. La lotta con il re inglese durò quasi dieci anni dal momento in cui con gli articoli di Clarendon (1164) Enrico modificò arbitrariamente le facoltà del clero circa gli appelli alla Santa Sede, i benefici ecclesiastici, ecc. Dapprima A. fu molto tollerante con lui - e le sue condizioni precarie rispetto all'imperatore spiegano questa apparente eccessiva debolezza -, ma quando si giunse all'assassinio dell'arcivescovo Tommaso Becket nella cattedrale di Canterbury (1170), il papa reagì ed impose al re una penitenza pubblica, che ebbe luogo nella chiesa d'Avranches il 22 maggio 1172 e che comportò la revoca degli articoli incriminati e il riconoscimento della dipendenza feudale del Regno dalla Chiesa di Roma. Con gli abitanti di quest'ultima città il dissidio scoppiò a proposito del contrastato possesso di Tuscolo, che era rivendicato da entrambe le parti; il 17 ottobre 1170 A. fece personalmente un solenne ingresso in quella località per riaffermare i suoi diritti, ma i Romani gli scrissero ordinandogli di abbandonare tutto e proferendo minacce se non ubbidiva subito. Non mancarono i gesti di forza e si andò avanti così per due anni, fin quando A. scese a patti, che non furono però mantenuti dal popolo romano; né egli poté per il momento far nulla contro tale insubordinazione e si ritirò a Segni (novembre 1172); anche in seguito continuò a soggiornare nel Lazio meridionale sotto la tutela normanna. Infine, per quanto concerne i rapporti con Bisanzio, basterà dire che, mentre nel 1170 era avvenuto a Veroli il matrimonio tra Oddone Frangipane e una nipote dell'imperatore Manuele Comneno, poi i contatti non ebbero altri sviluppi perché il sovrano greco vedeva di malocchio le varie spedizioni di crociati e invece il papa continuava a lanciare inviti ai signori cristiani perché prendessero la croce in difesa dei Luoghi Santi minacciati; inoltre, non appena mutò l'atteggiamento del Barbarossa, l'alleanza greca apparve superflua.
Non si è ancora detto che le varie città dell'Italia settentrionale, che conducevano un'eroica lotta di resistenza contro le pretese imperiali di Federico, avevano da tempo stabilito contatti con A. e ne avevano ricevuto aiuti; l'episodio più noto e significativo è senz'altro quello della fondazione di una nuova città, che formava un cuneo avanzato nei domini del marchese del Monferrato fedele al Barbarossa, alla quale fu dato il nome augurale di Alessandria. Ma quando, durante la quinta discesa in Italia, l'imperatore incominciò a deflettere dalla sua intransigenza verso A. (dal 1168 esisteva un terzo antipapa, Callisto III, al quale più nessuno dava ascolto), i Comuni italiani s'insospettirono, temendo che la lealtà del papa cedesse, né quell'ombra scomparve più dai rapporti tra le due forze, anche se a Ferrara i collegati dichiararono al papa di voler combattere "pro Romanae Ecclesiae dignitate servanda".
I primi approcci tra il pontefice e la parte imperiale ebbero luogo a Veroli ad opera di Eberardo di Bamberga, ma A., udito il parere dei cardinali, dichiarò che le proposte imperiali erano inaccettabili. Non si deve dimenticare che fin dal 1165, nella Dieta di Würzburg, molti esponenti del clero tedesco si erano dimostrati freddi, se non ostili, all'antipapa; che lo stesso Rainaldo di Dassel, cancelliere dell'Impero, non aveva voluto farsi consacrare da lui, temendo che l'atto fosse invalido; e che altri si erano dichiarati disposti a rinunziare ai loro benefici per non rendergli omaggio. Dopo la sconfitta di Federico a Legnano le trattative vennero riprese e il 4 novembre 1176 ebbero una felice conclusione con la stipulazione, ad Anagni, di alcuni preliminari, che regolavano i vari aspetti religiosi e politici della lunga questione. A. non può esser considerato reo di tradimento di fronte ai collegati, che in precedenza avevano rifiutato di trattare col vinto imperatore proprio per non abbandonare il papa, ma indubbiamente la mossa con la quale il Barbarossa riuscì a staccare i due alleati e turbare le loro buone relazioni fu molto abile.
Per chiarire la situazione generale fu convocato un congresso e, dopo molte discussioni, la scelta della località cadde su Venezia; A. mosse da Roma verso il Sud, s'imbarcò a Vieste (9 marzo 1177), ma puntò dapprima su Zara, ove venne accolto con grandissime feste. Le lunghe discussioni che si svolsero dal maggio al luglio in Venezia oltrepassano l'ambito della biografia di A., anche se egli fu di certo uno dei fulcri intorno ai quali ruotava il gioco politico delle diverse forze in contrasto (imperatore, Comuni, Normanni, Greci); basti dire che il 24 luglio fu stipulata la pace, ratificata il 15 agosto successivo, ma essa concerneva soltanto il papa e Federico, mentre con i Lombardi non si andò oltre una tregua sessennale; ed anche tra i due contraenti principali furono lasciate in sospeso la sorte dei sacerdoti scismatici e l'esatta delimitazione dei beni di pertinenza della Chiesa romana. Ad ogni modo, il successo di A. rimase indubbio e completo, a coronamento della sua tattica abile e prudente, senza tentennamenti e iattanze: lo scisma era chiuso definitivamente. Federico gli baciò il piede ed assolse il suo obbligo di staffiere. In tutta l'Europa il papa apparve il vincitore morale del duello ed il capo della cristianità, anche sul terreno temporale.
Anche il Comune di Roma dovette deporre tutte le sue velleità d'indipendenza quando venne meno la possibilità di giocare sul dualismo papa-imperatore e, di conseguenza, nel dicembre 1177, mentre A. si trovava di nuovo ad Anagni (dopo un lunghissimo viaggio di ritorno da Venezia, che lo aveva portato a Siponto, Troia, Benevento, San Germano), giunsero a lui ambasciatori del Senato e del clero romano a chiedergli di rientrare in sede. Le trattative furono difficili e durarono fino al marzo 1178, allorquando finalmente, dopo dieci anni d'esilio, il papa poté fare un ingresso solenne in Roma, accolto fuori delle mura dai vari magistrati, dall'esercito, dai nobili con i loro seguiti e da un'immensa folla, che fece tanta ressa da affaticare non poco l'ormai anziano Alessandro III.
Solo a sera egli giunse alla porta del Palazzo Lateranense, dove, dopo aver benedetto i fedeli, prese stanza. Non tutte le resistenze però erano cadute e il terzo antipapa, Callisto III, continuava nell'azione di disturbo da Viterbo, poi da Monte Albano (Mentana); ma Cristiano di Magonza, ormai ribenedetto, finì con l'averne ragione ed A., che si trovava a Tuscolo con la sua Corte, ricevette la sottomissione dell'antipapa pentito. Il papa provvide anche a rimborsare generosamente coloro che avevano subito danni per causa sua durante le guerre precedenti, a soddisfare i creditori che gli avevano prestato denaro nei momenti di maggiori necessità ed a cedere in feudo alcuni castelli con la promessa dei consueti servizi. Infine, nel marzo successivo (1179), ebbe luogo al Laterano un grandioso concilio, con la presenza di oltre trecento vescovi, che servì a consacrare i trionfi della Santa Sede, a riordinare l'amministrazione ecclesiastica e ad offrire al papa i mezzi per fronteggiare qualsiasi eventuale opposizione futura da parte imperiale; infatti tra le disposizioni principali vi fu quella relativa alla nomina dei nuovi pontefici, che stabiliva la necessità di almeno due terzi dei voti dei presenti in conclave per rendere legittima l'elezione. L'eco di quanto era avvenuto vent'anni prima doveva essere ancora assai viva nell'animo di Alessandro III.
Tra le disposizioni emanate dal papa, allora e in altre occasioni, conviene segnalare quelle che vietavano la pluralità dei benefici in un solo titolare, la simonia, la promozione a vescovo prima dei trent'anni; quelle contro gli eretici e le severissime condanne contro l'usura. Inoltre, riordinò tutta la materia relativa alle canonizzazioni, avocando al pontefice ogni giudizio in merito. Egli favorì pure in molti modi le università, insistendo sulla gratuità dell'istruzione e dispensando i chierici dall'obbligo di residenza in diocesi perché potessero frequentare i centri di studio. Né si può dimenticare il suo zelo per le missioni in Asia e le vaste relazioni mantenute con tutti i paesi della cristianità (la parte del suo epistolario pubblicata nella P.L. comprende oltre millecinquecento lettere); così nel 1179 riconobbe le conquiste di Alfonso del Portogallo contro gli infedeli e lo elevò al trono regio dietro pagamento di un censo alla Santa Sede; con i re di Svezia e di Scozia si dimostrò severo perché rispettavano troppo poco i diritti ecclesiastici; il re di Polonia gli sottomise il codice di leggi che stava per promulgare per averne il beneplacito. Nel 1164 elevò la sede di Uppsala a dignità metropolitica, approvò le regole dell'Ordine dei Certosini, elevò all'onore degli altari Bernardo di Chiaravalle e Tommaso Becket, emanò centinaia di decretali su vari argomenti (somministrazione del battesimo, scioglimento dei matrimoni allorquando gli sposi volevano entrare in religione, celebrazione della messa, ecc.), che entrarono poi nelle Decretali fatte raccogliere da Gregorio IX.
Nell'estate del 1179 A. si allontanò di nuovo da Roma perché i cittadini non gli si dimostravano sinceramente fedeli (fu anche creato un quarto antipapa, Innocenzo III, che si resse pochi mesi). La morte sopravvenne "per vecchiaia e malattia" il 30 agosto 1181 a Civita Castellana ed il trasporto della salma al Laterano diede luogo ad un'esplosione di violenza con lancio di pietre e sputi contro la bara da parte di alcuni "insipientes Romani, ei maledicentes"; ma s'ignorano i motivi contingenti del moto. La sepoltura era situata nella basilica lateranense sul lato destro davanti al pulpito, ma di essa è rimasta soltanto la trascrizione dell'epitaffio (in F. Gregorovius, Le tombe dei papi, Roma 1931, p. 50 n. 57). Un altro pontefice senese, Alessandro VII Chigi, volle ricordare il predecessore concittadino con un cenotafio e ne diede l'incarico al Borromini; questi costruì un'edicola, tuttora esistente nella basilica lateranense, con il ritratto e l'arme di A., cui fu aggiunta una lunga iscrizione laudativa.
Paolo Brezzi
Rolando Bandinelli non è più identificabile con il canonista bolognese Rolando autore dello Stroma e delle Sententiae, contrariamente a quanto sostenuto a lungo dalla storiografia (J.T. Noonan; R. Weigand). Si riducono, di conseguenza, le informazioni che possono essere riferite al Bandinelli prima della sua ascesa al soglio pontificio.
Di grande rilievo per la comprensione della sua opera di prelato è la vicenda dell'elezione nel 1159, complicata da una contrapposizione tra gruppi di cardinali e sfociata in uno scisma (W. Madertoner; B. Schimmelpfennig, p. 175): scisma che rivelò le debolezze strutturali del funzionamento del Collegio cardinalizio in quanto organismo garante dell'unità della Chiesa nel delicato momento della successione pontificia, e che aprì una duplice crisi, nelle strutture ecclesiastiche e nei rapporti tra "sacerdotium" e "regnum". Nei contrasti che seguirono A. si distinse affermando insistentemente la non giudicabilità del suo operato. Tale posizione di principio, se all'interno della Chiesa accentuava il primato del successore di Pietro, sul piano dei rapporti politici comprometteva la possibilità di un coordinamento paritario tra papato e Impero nella guida della cristianità nelle forme in cui esso si era delineato nella prima metà del secolo a seguito del concordato di Worms, nella prospettiva della superiorità dell'autorità papale rispetto ad ogni altro potere (O. Capitani, Federico Barbarossa; J. Laudage).
Per quanto concerne le relazioni con il "regnum", A. si preoccupò di bloccare il progetto federiciano di potenziamento imperiale in Italia. A questo fine egli agì con grande dinamismo, pronto ad ogni collegamento utile (G. Tabacco). Forte dell'appoggio del Regno di Sicilia (M. Pacaut, Papauté, Royauté et Épiscopat; J.-M. Martin), per estendere il sistema di alleanze tra le città della pianura padana contro il Barbarossa impiegò soprattutto il clero milanese, che gli era stato compagno negli anni di esilio in Francia: dapprima, fino al termine degli anni Sessanta, gli arcivescovi di Milano, quindi, nel decennio successivo, alcuni legati - cardinali o suddiaconi della Chiesa romana - comunque provenienti dal mondo ecclesiastico lombardo.
Nel corso del duro confronto con il Barbarossa A. riuscì a sottrarre le Chiese dell'Italia settentrionale al gioco delle contrapposizioni locali e ad avviare forme di coordinamento tra di esse. Ne risultarono accresciute la loro influenza politica e la loro capacità di iniziativa all'interno delle città, ciò che manifestò la vitalità delle istituzioni di Chiesa nell'interpretare le esigenze del mondo urbano (A. Ambrosioni, Alessandro III; Ead., Le città italiane). Fuori d'Italia, A. curò il collegamento con i Regni per completare l'accerchiamento del Barbarossa. I suoi rapporti con il sovrano francese Luigi VII passarono, negli anni Sessanta, attraverso Enrico, fratello del sovrano e vescovo di Beauvais, e, agli inizi degli anni Settanta, per il tramite di Étienne de la Chapelle, vescovo di Meaux, e quindi arcivescovo di Brouges (L. Falkenstein, Alexandre III et Henri de France; Id., Étienne de La Chapelle; Id., Leistungsersuchen Alexanders III.).
Le relazioni con l'Inghilterra furono complicate dalla rivendicazione di autorità di Enrico II Plantageneto sugli ecclesiastici del suo Regno e dalla vicenda di Tommaso Becket. Tuttavia fino all'assassinio dell'arcivescovo di Canterbury il pontefice fu attento a evitare rotture irreparabili con il sovrano e in seguito raggiunse rapidamente un accordo con lui (L. Morris; P. Aubé; R. Mortiner, pp. 112-24). All'interno della Chiesa A. rafforzò la supremazia del pontefice, interpretata in termini soprattutto giurisdizionali. Rivendicò il ruolo di giudice ultimo su qualsiasi questione: suo compito fu "bene iudicare". L'esercizio di tale funzione fu supportato da adeguati strumenti: nella produzione normativa ha un posto rilevante la definizione delle modalità di appello a Roma nei procedimenti giudiziari (A. Padoa Schioppa, La delega 'appellatione remota'; Id., I limiti all'appello), e delle competenze dei giudici delegati, mediante i quali la Curia romana faceva fronte alle cause sempre più numerose che le erano sottoposte.
Nell'esercizio della giurisdizione e, più in generale, nel governo della Chiesa, A. si avvalse in primo luogo dei cardinali, che spesso furono scelti tra esperti di diritto, e ai quali per la prima volta fu concessa la possibilità di conservare il titolo vescovile tenuto al momento dell'elezione e di risiedere sia in Curia che nella loro diocesi (W. Maleczek, pp. 240, 247-52). L'attività normativa di A. si esplicò in riferimento a questioni occasionali e trovò formulazione in lettere che furono in seguito raccolte e costituirono parte considerevole delle prime collezioni di decretali (Decretales ineditae saeculi XII; K. Pennington; i saggi di Ch. Duggan, L. Falkenstein, R. Foreville, Ch. Lefebvre, G. Lesage, R. Somerville, in Miscellanea Rolando Bandinelli, e, per la materia matrimoniale, i contributi di J.A. Brundage). Infine, essa raggiunse piena espressione nei canoni del III concilio Lateranense, che affrontarono in modo articolato il problema dell'ordinato funzionamento delle istituzioni ecclesiastiche, ribadendo la competenza della Chiesa romana su qualsiasi questione concernente le chiese locali e, a livello di queste ultime, la centralità delle incombenze pastorali dei vescovi (Le troisième concile de Latran [1179]). Nella medesima circostanza fu chiesto a tutti i cristiani di mobilitarsi, sotto la guida dei loro presuli, contro gli eretici ("Cathari, Patarini, Publicani") e contro le bande di armati ("Brabantiones, Aragonenses, Navarrii, Basculi, Coterelli, Triaverdini"): coloro che fossero intervenuti a difesa della fede e della pace sociale avrebbero beneficiato degli stessi privilegi accordati a chi visitava il sepolcro di Cristo (Conciliorum oecumenicorum decreta, pp. 200 s.; G.G. Merlo, pp. 12-4).
Il rilievo della legislazione contro la dissidenza religiosa sembra in relazione con il soggiorno di A. nella Francia meridionale e con l'attività, in quella regione, di legati pontifici a salvaguardia dell'ortodossia. Il papa non mancò di sensibilità nei confronti di esperienze religiose di tipo pauperistico-evangelico. Proprio al concilio egli ricevette con favore alcuni Poveri di Lione, tra i quali forse Valdesio, approvandone il voto di povertà ed esortandoli ad agire in modo disciplinato all'interno della Chiesa (M. Rubellin), e acconsentì al proposito di vita degli Umiliati (R. Orioli; M.P. Alberzoni). Nell'uno e nell'altro caso A., pur dimostrandosi preoccupato per l'aspirazione di questi laici a predicare, riguardo alla quale era ancora aperto il dibattito teologico (Ph. Buc), svolse un attivo ruolo di accoglienza e incoraggiamento.
Andrea Piazza
fonti e bibliografia
La principale fonte per la vita di A. è la biografia che di lui compose il cardinale Bosone nella sua continuazione del Liber pontificalis. Bosone era un inglese, canonico regolare di S. Maria in Reno a Bologna, scrittore papale sotto Eugenio III, camerario e poi cardinale dal 1156; morì nel 1178 e quindi non poté dare le ultime notizie sul pontificato del nostro (edito in Le Liber pontificalis, a cura di L. Duches-ne, II, Paris 1892, pp. 397-446; in Pontificum romanorum [...] vitae ab aequalibus conscriptae, a cura di I.M.B. Watterich, II, Lipsiae 1862, pp. 377-451; in R.I.S., III, 1, 1723, coll. 448-75).
Altre importanti notizie sulla vita e l'opera di A. in: Romualdi Salernitani Chronicon, in R.I.S.², VII, 1, a cura di C.A. Garufi, 1935, ad indicem; Ottonis episcopi Frisingensis et Rahewini Gesta Frederici seu rectius Cronica, a cura di F.-J. Schmale, Darmstadt 1965.
Per quanto concerne la vicenda di Tommaso Becket, cfr. J.C. Robertson, Materials for the History of Thomas Becket, I-VII, London 1875-85; Opera S. Thomae Cantuariensis, I-VIII, Oxford 1845-46, passim.
Materiale per la biografia di A. è fornito dalle sue lettere, in P.L., CC; v. anche: Regesta Pontificum Romanorum, aa. 1159-81, a cura di Ph. Jaffé-G. Wattenbach-S. Loewenfeld-F. Kaltenbrunner-P. Ewald, I, Lipsiae 1885; Acta Pontificum Romanorum inedita, I, a cura di J. von Pflugck-Harttung, Tübingen 1881, pp. 228-84; P.F. Kehr, Papsturkunden delle varie regioni d'Italia, nelle Nachrichten dell'Accademia di Göttingen; Decretales ineditae saeculi XII, from the Papers of the Late Walther Holtzmann, a cura di S. Chodorow-Ch. Duggan, Città del Vaticano 1982.
I canoni del III concilio Lateranense sono editi in Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di J. Alberigo-P.-P. Joannou-C. Leonardi-P. Prodi, Freiburgi 1962², pp. 181-201.
In generale su A., oltre che al vecchio H. Reuter, Geschichte Alexanders III. und die Kirche seiner Zeit, I-III, Leipzig 1860-64, si rimanda a M. Pacaut, Alexandre III. Étude sur la conception du pouvoir pontifical dans sa pensée et dans son œuvre, Paris 1956, e ai più recenti volumi collettanei Atti del Convegno di studi su Alessandro III nell'VIII centenario della morte, a cura di P.F. Palumbo, Viterbo 1985, e Miscellanea Rolando Bandinelli papa Alessandro III, a cura di F. Liotta, Siena 1986.
Sul problema dell'identificazione del canonista Rolando con il Bandinelli cfr. J.T. Noonan, Who was Rolandus?, in Law, Church and Society. Essays in Honor of S. Kuttner, a cura di K. Pennington-R. Somerville, Philadelphia 1977, pp. 21-48; R. Weigand, Magister Rolandus und Papst Alexander III., "Archiv für Katholisches Kirchenrecht", 149, 1980, pp. 3-44.
Riguardo alla contrastata elezione del senese al soglio pontificio: M. Meyer, Die Wahl Alexanders III. und Victors IV. (1159). Ein Beitrag zur Geschichte der Kirchenspaltung unter Kaiser Friedrich I., Göttingen 1871; W. Madertoner, Die zwiespältige Papstwahl des Jahres 1159, Wien 1978; B. Schimmelpfennig, Papst- und Bischofswahlen seit dem 12. Jahrhundert, in Wahlen und Wählen im Mittelalter, a cura di R. Schneider-H. Zimmermann, Sigmaringen 1990, pp. 173-95.
Per i rapporti tra il pontefice e l'imperatore v.: P. Brezzi, Lo scisma 'inter regnum et sacerdotium' al tempo di Federico Barbarossa, "Archivio della R. Deputazione Romana di Storia Patria", 63, 1940, pp. 1-98; O. Capitani, Federico Barbarossa davanti allo scisma: problemi e orientamenti, in Federico Barbarossa nel dibattito storiografico in Italia e Germania, a cura di R. Manselli-J. Riedmann, Bologna 1982, pp. 83-130; G. Tabacco, Empirismo politico e flessibilità ideologica nelle relazioni fra Alessandro III e i due imperi, "Bollettino Storico-bibliografico Subalpino", 81, 1983, pp. 239-46; J. Laudage, Alexander III. und Friedrich Barbarossa, Köln-Weimar-Wien 1997.
Con particolare riferimento all'Italia settentrionale: O. Capitani, Alessandro III, lo scisma e le diocesi dell'Italia settentrionale, in Popolo e stato in Italia nell'età di Federico Barbarossa, Torino 1970, pp. 221-38; A. Ambrosioni, Alessandro III e la chiesa ambrosiana, in Miscellanea Rolando Bandinelli, pp. 1-41; Ead., Le città italiane fra papato e impero dalla pace di Venezia alla pace di Costanza, in La pace di Costanza. 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero, Bologna 1984, pp. 35-57.
Per i rapporti tra il papa e i Regni europei v.: R. Foreville, L'Église et la Royauté en Angleterre sous Henri II Plantagenet (1154-1189), Paris 1943; M. Pacaut, Louis VII et Alexandre III (1159-1180), "Revue d'Histoire de l'Église de France", 39, 1953, pp. 5-45; P. Classen, Das Konzil von Toulouse 1160: eine Fiktion, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 29, 1973, pp. 220-23; M. Pacaut, Papauté, Royauté et Épiscopat dans le Royame de Sicile (deuxième moitié du XIIe siècle), in Potere, società e popolo nell'età dei due Guglielmi, Bari 1981, pp. 31-61; A. García y García, Alejandro III y los reinos ibéricos, in Miscellanea Rolando Bandinelli, pp. 237-57; P. Aubé, Thomas Becket, Paris 1988 (trad. it., Milano 1990); L. Falkenstein, Étienne de La Chapelle als Vertrauter Ludwigs VII. und Delegat Alexanders III., "Archivum Historiae Pontificiae", 26, 1988, pp. 375-92; Id., Leistungsersuchen Alexanders III. aus dem ersten Jahrzehnt seines Pontifikates, "Zeitschrift für Kirchengeschichte", 102, 1991, pp. 45-75, 175-208; Id., Alexandre III et Henri de France. Conformités et conflits, in L'Église de France et la papauté (Xe-XIIIe siècle), a cura di R. Grosse, Bonn 1993, pp. 103-76; R. Mortiner, Angevin England, 1154-1258, Oxford-Cambridge 1994; J.-M. Martin, Quelques réflexions sur les relations d'Alexandre III avec l'Italie méridionale, in Papauté, Monachisme et Théories politiques. Études d'histoire médiévale offertes a Marcel Pacaut, Lyon 1994, pp. 111-21.
Sull'indirizzo dato da A. al governo della Chiesa: W. Ohnsorge, Die Legaten Alexanders III. im ersten Jahrzehnt seines Pontifikats, Berlin 1928; Le troisième concile de Latran (1179). Sa place dans l'histoire, a cura di J. Longère, Paris 1982; G. Constable, The Abbots and Antiabbot of Cluny during the Papal Schism of 1159, "Revue Bénédictine", 94, 1984, pp. 370-400; W. Maleczek, Papst und Kardinalskolleg von 1191 bis 1216. Die Kardinäle unter Coelestin III. und Innocenz III., Wien 1984: cfr. Register; A. Padoa Schioppa, La delega "appellatione remota" nelle decretali di Alessandro III, in Renaissance du pouvoir législatif et genèse de l'État, a cura di A. Gouron-A. Rigaudiere, Montpellier 1988, pp. 179-88; C. Morris, The Papal Monarchy. The Western Church from 1050 to 1250, Oxford 1989; A. Padoa Schioppa, I limiti all'appello nelle decretali di Alessandro III, in Proceedings of the Eighth International Congress of Medieval Canon Law, a cura di S. Chodorow, Città del Vaticano 1992, pp. 387-406.
Per il contributo di A. al diritto ecclesiastico: nella Miscellanea Rolando Bandinelli i saggi di Ch. Duggan (Decretals of Alexander III to England, pp. 85-151), L. Falkenstein (Decretalia Remensia. Zu Datum und Inhalt einiger Dekretalen Alexanders III. für Empfänger in der Kirchenprovinz Reims, pp. 153-216), R. Foreville (Alexandre III et la canonisation des Saints, pp. 217-36), Ch. Lefebvre (Alexandre III et ses décrétales insérées dans les 'Compilationes antiquae' ou récemment éditées, pp. 289-300), G. Lesage (La nature du droit canonique d'après Alexandre III, pp. 301-35), R. Somerville (The Beginning of Alexander III's Pontificate. 'Aeterna et incommutabilis', and Scotland, pp. 355-68); K. Pennington, "Epistolae Alexandrinae": A Collection of Pope Alexander III's Letters, in Id., Popes, Canonists and Texts, 1150-1550, Aldershot 1993; J.A. Brundage, Sex, Law and Marriage in the Middle Ages, ivi 1993.
Per quanto concerne i movimenti religiosi di ispirazione pauperistica nei loro rapporti con A. nuove prospettive in: R. Orioli, Le correnti spirituali nel regno d'Italia, in Federico I Barbarossa e l'Italia nell'ottocentesimo anniversario della sua morte, a cura di I. Lori Sanfilippo, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano", 96, 1990, pp. 283-302; M.P. Alberzoni, Gli inizi degli Umiliati: una riconsiderazione, in La conversione alla povertà nell'Italia dei secoli XII-XIV, Spoleto 1991, pp. 187-237; Ph. Buc, 'Vox clamantis in deserto'? Pierre le Chantre et la prédication laïque, "Revue Mabillon", n. ser., 4, 1993, pp. 5-47; G.G. Merlo, 'Militare per Cristo' contro gli eretici, in Id., Contro gli eretici. La coercizione all'ortodossia prima dell'Inquisizione, Bologna 1996, pp. 11-49 (già in 'Militia Christi' e crociata nei secoli XI-XIII, Milano 1992, pp. 355-84); M. Rubellin, Au temps ou Valdès n'était pas hérétique, in Inventer l'Hérésie? Discours polémiques et pouvoirs avant l'Inquisition, a cura di M. Zerner, Nice 1998, pp. 193-217.