Pittore (m. forse a Siena nella pestilenza del 1348). In un complesso rapporto con l'eredità di Duccio e con la forte personalità di S. Martini, L. operò nell'ambito della pittura senese, insieme al fratello Pietro, quella che può essere definita una rivoluzione formale grazie alla presa di coscienza dell'arte di Giotto. L'elemento architettonico e quello spaziale sono infatti notevolissimi nella sua opera, accanto a una vena narrativa e realisticamente descrittiva. Tra le opere si ricordano gli affreschi della sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena.
Ambrogio e Pietro, sebbene fratelli, si presentano tuttavia come personalità autonome e stilisticamente differenziate e la loro relazione di parentela, attestata dagli affreschi perduti dello Spedale della Scala a Siena che firmarono insieme nel 1335, è stata definitivamente acquisita solo alla fine del 18º sec. (Ghiberti parla entusiasticamente solo di Ambrogio; Vasari, sbagliando il cognome, dedica una vita separata a Pietro Laurati). La scarsezza documentaria e le numerose e controverse attribuzioni hanno poi creato problemi di critica non del tutto risolti. La Madonna di S. Angelo a Vico l'Abate (1319) chiarifica il peso della conoscenza di Giotto da parte di Ambrogio, testimoniando un suo primo soggiorno fiorentino (un secondo va probabilmente dal 1327 al 1332: Ambrogio risulta immatricolato nell'Arte dei medici e speziali di Firenze e, nel 1332, dipinge il trittico per la chiesa di S. Procolo, ora agli Uffizi). Più sganciato del fratello dai modi dell'arte senese, ne prosegue le ricerche relative al colore e alla linea che diviene costruttrice del volume, e l'esperienza giottesca implica in lui una più consapevole chiarificazione spaziale, in un'abilità compositiva percepibile negli affreschi della chiesa di S. Francesco a Siena (S. Ludovico davanti a Bonifacio VIII e Martirio dei francescani a Ceuta, 1331), nella Presentazione al Tempio (1342, Uffizi) e nell'Annunciazione (1344, Siena, Pinacoteca). La sottile tensione speculativa, caratteristica di Ambrogio, arricchita di significati teologici nella Maestà (1330, Massa Marittima, Palazzo Pubblico), in cui l'armonia cromatica è altrettanto complessa e originale della struttura compositiva, si esplica compiutamente, strettamente connessa con il felice realismo descrittivo, negli affreschi della sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena con le allegorie del Buono e Cattivo governo (1337-39). Il grande programma secolare offre in una visione unitaria e ottimistica, densa di significati filosofici e politici, il panorama di una natura onnicomprensiva, rivelando anche un L. attento e appassionato studioso dei fenomeni naturali. Attribuite a L. sono anche le due tavole Città in riva al mare e Castello sul lago (Siena, Pinacoteca), considerati i primi paesaggi autonomi dell'arte occidentale ma forse frammenti di più vaste composizioni perdute.