Poeta satirico latino (Volterra 34 d. C. - Roma 62). Di rigorosa moralità, visse solo 28 anni, unito da profondi legami ai familiari e al maestro, il filosofo stoico Anneo Cornuto. Scrisse sei satire, precedute da un proemio di 14 versi. Nobile, ricco, colto, impeccabile di costumi, P.F. è una figura interessante: ciò che contribuisce, al pari della sua fine immatura, a spiegarci il favore con cui la sua opera fu apprezzata dai contemporanei; ma la ragione vera non è esteriore e sta nel valore etico della satira e nella stretta aderenza ai tempi (senza volere troppo precisare si può bene ammettere che ne fosse colpita la società neroniana e lo stesso Nerone) e nei consensi spirituali che la posizione assunta da P. F. trovava. E, oltre che nella tradizione grammaticale, lo studio di P. F. ha trovato seguito e sviluppo nuovo negli scrittori cristiani, fino da Lattanzio; e per tutto il Medioevo P. è stato considerato come aureus auctor, letto, diffuso, trascritto, commentato.
P. perdette il padre a sei anni e appena dodicenne si recò dalla natia Volterra a Roma, studiò col grammatico Remmio Palemone e poi col filosofo stoico Anneo Cornuto, di cui in seguito rimase amico. Conobbe Seneca ma non ne subì l'influsso. Di moralità impeccabile, P. F. amò teneramente i familiari e il maestro e morì a 28 anni in una sua villa sulla Via Appia lasciando a Cornuto i suoi libri (possedeva fra l'altro i 700 e più libri di Crisippo) e una somma. Il filosofo accettò solo i libri e, ritoccato il testo delle Satire di P. F., ne affidò l'edizione al poeta Cesio Basso, amicissimo anch'egli di Persio.
Le sei satire di P. F. sono precedute da un proemio di 14 versi coliambi sulla cui autenticità si è a torto dubitato. La prima satira, di argomento letterario e d'intento etico, dimostra quale genere di poesia il secolo corrotto preferisse alla musa cara al poeta. Tutte le altre satire trattano argomenti di dottrina etica secondo la Stoa: la seconda tratta del falso culto dei voti; la terza è contro le malattie morali della gioventù; la quarta è sul tema «nosce te ipsum»; la quinta, epistola, al modo oraziano, a Cornuto, tratta della vera libertà; nella sesta, a Cesio Basso, il poeta, dopo notizie sulla sua vita tranquilla a Luni, si rivolge contro gli avari. La satira di P. F. è, al modo di Lucilio e di Orazio, satira del costume della società neroniana. Ma P. F. manca d'immaginazione e di concezione poetica originale; perciò spesso è oscuro e faticoso. Tuttavia la sua opera non è priva d'interesse letterario e storico, essendo il poeta l'interprete del contrasto fra la comune vita esteriore del suo tempo e il neostoicismo. L'opera di P. F., molto apprezzata già dai contemporanei per il suo valore etico, andò crescendo in fama nei secoli successivi sino al Rinascimento: tuttavia oggi si giudica negativamente il poeta, che, nella sua inesperienza della vita, rimase oppresso dalla retorica e dalla severa disciplina del neostoicismo.