L’uso di cibarsi di carne umana (anche detto antropofagia). Abbastanza diffuso presso varie società primitive (Africa centrale e centro-meridionale, alcune zone dell’Asia sud-orientale e insulare, Oceania, Amazzonia ecc.), almeno nelle sue forme di massima intensità è fenomeno relativamente tardo, ma non si può escludere che sia stato praticato in una certa misura anche dai popoli della preistoria: alcuni reperti assegnati al Paleolitico superiore sembrano offrirne la prova, per quanto discussa. Si suole distinguere una forma endocannibalica da una esocannibalica, a seconda che le vittime siano scelte nell’ambito del gruppo sociale (individui morti per cause naturali, bambini indesiderati, parenti uccisi nell’età senile ecc.), oppure al di fuori di esso (nemici uccisi in battaglia, stranieri catturati, schiavi ecc.). Riguardo ai moventi del c., si distinguono il c. bellico, teso all’annientamento totale del nemico ma praticato anche per impadronirsi della sua forza, per aggiungere al proprio nome – o a quello dei propri figli – il nome dei nemici uccisi; il c. profano (o gastronomico), in cui la carne umana viene appetita per necessità alimentare, per fame o per ghiottoneria; il c. giudiziario, a spese degli individui condannati a morte per delitti o altri motivi; il c. rituale, in cui si consumano le carni delle vittime sacrificate in relazione a riti religiosi; e infine, forma forse più diffusa, il c. magico, in cui la carne, il grasso o determinati organi (cuore, fegato ecc.) vengono mangiati per appropriarsi magicamente del coraggio e della forza del defunto o di altre sue facoltà. Queste, comunque, sono solo distinzioni di metodo: nella realtà è difficile stabilire esatti confini tra i diversi moventi del c. che, in effetti, si fondono e confondono.
Per errori derivati da falsa interpretazione di alcuni riti, furono accusati di c. gli iniziati ai Baccanali (senatoconsulto del 186 a.C., che venne comunicato a tutti i federati italici), e più tardi i cristiani (cene tiestee).
Si parla di c. quando individui di una specie animale aggrediscono e divorano membri della stessa specie. Il fenomeno insorge generalmente a causa di condizioni ambientali sfavorevoli (cattività, sovraffollamento ecc.), ma in molte specie è normale consuetudine, fungendo da fattore limitante la densità di popolazione. Per esempio, alcuni imenotteri parassiti (famiglie Icneumonidi, Trigonolidi, Serfidi ecc.), che depongono le uova nelle larve di altri insetti (Ortotteri, Lepidotteri) presentano un particolare stadio larvale, detto forma combattente, che uccide e divora le altre larve conspecifiche che occupano lo stesso insetto ospite: ciò riduce il numero dei parassiti e i superstiti, avendo a disposizione maggiori quantità di cibo, raggiungono più facilmente lo stadio adulto. Molto diffuso tra gli insetti (termiti, formiche) e i pesci (guppy) è l’uso di divorare la prole in eccesso. Negli Anfibi del genere Amblystoma il sovraffollamento induce il c. tra le larve acquatiche: ciò consente una maggiore crescita delle superstiti. Tra i vertebrati si registrano casi di c. nei leoni (combattimenti tra maschi), nelle iene e anche nei macachi (lotte per la supremazia).