Nome comune della pianta perenne (Cynara scolymus) delle Asteracee e del suo capolino fiorale immaturo, commestibile, di cui si mangiano il ricettacolo e la base delle brattee fiorali.
Il c. è noto solo allo stato coltivato e si crede derivato con la coltura dal c. selvatico, Cynara cardunculus (v. fig.), comunemente diffusa nelle terre più calde del bacino Mediterraneo. Ha breve e grosso rizoma; fusto alto fino a 1 m e mezzo, solcato longitudinalmente, semplice o ramoso; foglie oblunghe, di solito pennatopartite, a segmenti lanceolati o lineari, bianco-tomentose di sotto, con picciolo e costola grossi e carnosi, inermi o con spine marginali rade e brevi; fiori azzurri o lilla, raccolti in un capolino ovato-globoso, grosso fino a 10 cm, con involucro di molte brattee ovate, carnose alla base, coriacee nel resto, inermi o con breve spina apicale. Si conoscono molte razze di c., distinte per la forma del capolino, rotondo o ovato-allungato, per le squame, spinose all’apice o inermi, verdi o violette, per la precocità ecc.
Il c. è coltivato in quasi tutta l’Europa meridionale e in America, richiede terreni profondi e soffici, non umidi, e clima mite; si moltiplica piantando in autunno i germogli basali, che vengono staccati dalla pianta vecchia, lasciando a ciascuno un pezzo del rizoma e 4-5 foglie. In certi paesi la coltura si rinnova ogni anno, in altri si continua per 3-5 anni, raramente di più. I capolini si raccolgono molto prima della fioritura e in più tempi: dapprima i capolini terminali, che sono i primi a svilupparsi (mamme o cimaroli), quindi quelli laterali e infine quelli che si sviluppano alla base della pianta. Le foglie del c. costituiscono un buon foraggio.
In farmacologia, si utilizzano le foglie del c. che contengono, oltre a inulina e altri enzimi (inulasi, ossidasi, invertasi), un principio attivo, la cinarina, che esplica azione blandamente diuretica e favorisce la biligenesi.