L’incompetenza del giudice adito si verifica allorché, nel proporre la domanda, la parte attrice abbia violato i criteri di competenza previsti dalla legge. Di norma, il difetto di competenza è rilevabile anche d’ufficio, salvi i casi di competenza per territorio derogabile (art. 38 c.p.c.), rispetto ai quali la questione deve essere tempestivamente eccepita dalla parte convenuta. Quando il giudice adito dichiara la propria incompetenza, indica alle parti il giudice innanzi al quale riassumere il giudizio (translatio iudicii); il conflitto di competenza sorge, virtualmente, laddove anche quest’ultimo giudice ritenga di non essere competente, e quindi che l’indicazione fornita dal primo giudice adito non sia corretta.
Il codice di rito si è preoccupato di evitare un conflitto di competenza reale, impedendo al secondo giudice di emanare una sentenza dichiarativa della propria incompetenza: egli è vincolato a decidere la controversia, a meno che siano stati violati i criteri di competenza per materia o territorio inderogabile, nel qual caso ha la possibilità di chiedere una pronuncia della Corte di cassazione (art. 45 c.p.c.). In tal caso il procedimento in corso viene sospeso in attesa dell’ordinanza della Cassazione sulla questione di competenza (art. 48 e 375 c.p.c.). Perché il giudizio riprenda il suo corso le parti devono provvedere a riassumerlo entro tre mesi innanzi al giudice indicato come competente dalla suprema Corte. In caso di mancata riassunzione nel suddetto termine, il processo si estingue (Estinzione del processo), ma la decisione della Cassazione continua a vincolare le parti in caso di riproposizione ex novo della domanda giudiziale (art. 310, co. 1 e 2, c.p.c.).
Competenza. Diritto processuale civile