La Costituzione italiana distingue, nell’ambito delle situazioni giuridiche protette (art. 24), tra diritti soggettivi e interessi legittimi, assegnando, di regola, la giurisdizione sui primi al giudice ordinario e quella sui secondi alla giustizia amministrativa (art. 103 e 113). In particolari materie il giudice amministrativo può conoscere anche i diritti soggettivi (giurisdizione esclusiva). Questo discrimine era già presente nel nostro ordinamento in epoca anteriore all’entrata in vigore della Costituzione; e al riguardo va ricordato che l’art. 37 c.p.c. disciplina i limiti della giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione e dei giudici amministrativi. La l. n. 218/95, inoltre, sostituendo il secondo comma dell’art. 37, ha disciplinato i rapporti della giurisdizione italiana con i cittadini stranieri e con i giudici stranieri, nell’ambito dell’Unione Europea e al di fuori di essa. In questo contesto, l’art. 362 c.p.c., precisando che i conflitti di giurisdizione, sia positivi sia negativi, possono essere pronunciati in ogni fase del giudizio, ne demanda la risoluzione alla Cassazione. Da questo articolo, e da quanto è scritto nell’art. 134 Cost., risulta che all’attenzione della Corte di cassazione devono essere portati esclusivamente i conflitti negativi, essendo quelli positivi attribuiti alla competenza della Corte costituzionale. La risoluzione del conflitto di giurisdizione deve necessariamente chiudersi con l’indicazione dell’organo giurisdizionale chiamato a rendere giustizia. L’art. 362 c.p.c. deve essere inoltre coordinato con il secondo comma dell’art. 41 c.p.c., che prevede per la pubblica amministrazione, laddove non sia parte in causa, la possibilità di sollevare un c. di giurisdizione negativo, al fine di sottrarre al giudice la decisione della lite.
Giurisdizione. Diritto processuale civile