CORPORATIVISMO
. Questo termine è usato, sia per designare l'organizzazione corporativa dello stato, qual è attuata in Italia e si viene attuando, sull'esempio italiano, in altri paesi, sia il complesso di quelle correnti di pensiero, che affermano la necessità di costituire l'organizzazione statale sulla base di corporazioni e secondo uno spirito corporativo. Tale movimento, promosso dalle idealità della rivoluzione fascista, ha portato, in Italia, alla costituzione dell'ordinamento giuridico e politico corporativo e all'elaborazione dottrinale di nuovi concetti intorno allo stato nei suoi varî aspetti, politici, sociali, economici, giuridici. Con minore nettezza e decisione di conclusioni e di risultati il movimento s'è poi manifestato in altri paesi, specie d'Europa.
La parola può indurre, e induce, in effetti, a incomprensioni e deviazioni, per i riferimenti molteplici all'organizzazione corporativa medievale (v. corporazione, XI, p. 459 segg.), ch'essa, inevitabilmente, suggerisce. Appunto per questo è necessario distinguere e fissare con chiarezza i caratteri del corporativismo moderno nei confronti dell'antico.
Quando vediamo, dalla metà del sec. XVIII, il movimento di abolizione delle corporazioni procedere dall'Inghilterra verso tutti i paesi del continente europeo più aperti a nuove correnti di pensiero, fino a culminare, in Francia, quindici anni dopo il vano tentativo del Turgot, nella legge Le Chapelier, del 17 giugno 1791, non possiamo non sentirne la giustificazione storica. A un uomo moderno il pensiero solo di quelle corporazioni, basate sul privilegio e sul monopolio, postulanti una collaborazione interna, di mestiere, chiusa ed esclusivistica, appare insopportabile. L'enfasi giacobina ha esagerato nelle conclusioni, com'era inevitabile, aprendo, tra l'individuo e lo stato, non più collegati da organi intermedî, la crisi della società moderna; ma non si vorrebbe che un'enfasi, altrettanto sconsiderata, gettasse negli animi e nelle menti germi d'un'involuzione, insiti in ogni organizzazione di mestiere e professionale, per la società moderna non meno pericolosa.
Per riassumerli e metterli in evidenza si può dire che i caratteri fondamentali della corporazione medievale sono: organizzazione integrale del mestiere, i cui attori (imprenditori, dirigenti, operai) sono insieme associati, per quanto divisi in classì gerarchiche; rigida regolamentazione del mestiere, che si chiude ermeticamente; monopolizzazione del mercato; limitazione della concorrenza tra aziende; tendenza al livellamento tecnico delle imprese.
Il raccostamento, da operare con le dovute cautele, mette in piena evidenza, che quanto sopravviva dell'antico corporativismo nelle associazioni professionali odierne è una forza contraria alla loro sistemazione nello stato contemporaneo: è il mestiere chiuso, che eleva il proprio interesse a norma, è la casta economica, che domina con la forza del suo stesso egoismo. Lo stato, sia che si limiti a riconoscere alle associazioni il diritto d'esistere, sia che le accolga, con più ampio disegno giuridico, nella loro funzione, non può lasciare che si traccino, entro il confine del territorio su cui la sua potestà si esercita, altri confini, che sotto qualunque pretesto, o economico o sociale, favoriscano il nascere o il crescere di poteri al suo estranei o avversi, che gli contendano perfino la protezione e la disciplina dei singoli, avocandola esclusivamente a sé medesimi. Lo stato moderno è unità; il corporativismo medievale è particolarità. Nessuna conciliazione era ed è possibile tra i due termini. Il corporativismo, che uno stato moderno può considerare non incompatibile con la propria struttura, è in crudo contrasto col corporativismo medievale, morto con lo scomparire delle condizioni che ne resero possibile il sorgere e il prosperare.
Il fascismo, dovendo scegliere tra la formazione professionale chiusa e quella aperta, caratteristica del nostro tempo, s'è attenuto a questa, poiché contiene in sé le maggiori possibilità di aderire alle esigenze dell'apparato produttivo moderno. Viva antitesi del corporativismo medievale è, dunque, quello fascista, i cui istituti, i due fondamentali in specie, il sindacato e la corporazione, sono la negazione d'ogni particolarismo e l'affermazione, nel seno stesso dei gruppi, che inquadrano e disciplinano, dell'unità della società nazionale nell'ambito dello stato. Le sue origini vanno ricercate nel sindacalismo moderno, il cui svolgimento si accompagna alla trasformazione capitalistica dell'economia, al perfezionamento della tecnica, alla formazione dei grandi stati nazionali. Anche là dove quel sindacalismo, nelle sue molteplici incarnazioni, si colora di particolari ideologie, dal fascismo lontanissime, in sé stesso accogliendo riflessi e bagliori della lotta politica, il fondo dei problemi appare lo stesso. "Il fascismo - dice Benito Mussolini - è contro il socialismo che irrigidisce il movimento storico nella lotta di classe e ignora l'unità statale che le classi fonde in una sola realtà economica e morale; e analogamente, è contro il sindacalismo classista. Ma nell'orbita dello stato ordinatore le reali esigenze da cui trassero origine il movimento socialista e il sindacalista, il fascismo le vuole riconosciute e le fa valere nel sistema corporativo degl'interessi conciliati nell'unità dello stato" (cfr. fascismo, XIV, p. 848).
Nella formazione del corporativismo moderno infatti concorrono motivi critici diversi, scaturiti dall'elaborazione del pensiero negli ultimi decennî del sec. XIX e nel primo del XX, ed esigenze politiche di organizzazione sociale, affiorate già nel corso del sec. XIX e diventate urgenti negli anni dalla fine della guerra mondiale alla crisi economica mondiale. I motivi critici e le esigenze politiche hanno, in gran parte, la loro origine nel fenomeno che ha dominato il sec. XIX: il rapido e immenso sviluppo dell'economia. La rivoluzione industriale, con i nuovi processi di fabbricazione, e la produzione per grandi masse, da una parte, e, dall'altra, il regime liberale, che lascia ogni possibilità allo sfrenarsi dello spirito individuale di traffico e di lucro, consentono il massimo espandersi alla vita economica della produzione e degli scambî, sì che questa diviene la vita stessa delle masse, di tutti i cittadini, e pervade tutto il tessuto della vita sociale.
L'organizzazione giuridica e politica dello stato, che, fino alla riforma corporativa fascista, è quella liberale-democratica, conforme ai principî affermati dalla rivoluzione francese, si propone, tuttavia, di lasciare la massima possibile sfera all'azione del privato cittadino, limitando lo stato alle funzioni di garante dell'ordine giuridico, cioè del libero godimento di beni nella sfera privata, entro la quale l'individuo è arbitro. Lo stato liberale, quindi, si propone di non intervenire nella materia economico-sociale. Il suo proponimento assurge nella dottrina a una vera e propria ragione di principio; si pone, anzi, tra i fini stessi dello stato. Quest'atteggiamento, contrastando con la reale invadenza dell'attività economica in ogni ordine e grado della vita sociale e statale, fa sorgere una serie di problemi, pratici e teorici. I primi nascono dal disordine provocato dal fatto, che nell'ambito dell'organizzazione statale tanta parte, e così importante, della vita individuale sia fuori dell'ordinamento giuridico, non essendovi considerata e regolata; i secondi, dalla insostenibilità d'una concezione dello stato che non assume tra i proprî elementi costitutivi l'aspetto economico della vita umana sociale. Si parla, quindi, nella dottrina, di "crisi dello stato", e s'imposta il problema della posizione giuridica e politica del sindacato, mentre la vita sociale è turbata dal movimento socialista, dalle agitazioni operaie, dal prepotere delle concentrazioni economiche (trusts, cartelli, consorzî, ecc.).
Il fascismo ha visto chiaramente il problema, anche prima che la crisi economica mondiale, dal 1929, lo ponesse in tragica evidenza; e ha affermato che il sistema capitalistico, l'economia classica, lo stato liberale - tre aspetti d'una stessa concezione della vita sociale e politica - sono in crisi, crisi d'ordine costituzionale, non superficiale e momentanea. La crisi ha la sua radice prima nell'eccessivo dominio consentito all'arbitrio dell'individuo, che considera l'economia cosa sua particolare; si sviluppa, conseguentemente, col lasciare la vita economica sprovvista d'un qualunque organamento in vista delle necessità collettive; ed è, senza dubbio, aggravata dai provvedimenti parziali e casuali, che lo stato prende quando è costretto, come avviene nella pratica dello stato liberale, a interventi occasionali e improvvisi, che aggravano gli squilibrî, anziché risolverli.
La crisi dello stato moderno consiste, in sostanza, nel distacco delle forze sociali dalla costituzione statale, nell'impossibilità ideale e pratica, per lo stato liberale-democratico, di assumere, entro la sua suprema potestà sovrana, la nuova realtà sociale prodottasi nell'età contemporanea. Il corporativismo, affrontando il problema nella sua essenza, sostiene la necessità d'un'organizzazione delle forze economiche sociali, del loro riconoscimento e inquadramento nell'ordinamento giuridico-politico dello stato. Il corporativismo constata che la vita dello stato risulta, in gran parte, dalla vita economica; che la vita politica è intessuta con i fili della vita economica; e viceversa. Nella comunità statale l'individuo esprime e realizza tutto sé stesso; l'unità indivisibile della personalità umana conduce necessariamente a dare una qualifica morale e politica a ogni determinazione economica. Non è concepibile atto economico, che non rechi modificazioni che si propagano come onde, mutando tutta la realtà; non è concepibile atto economico, che non abbia, per mille connessioni, un valore politico. Politica ed economia sono due aspetti d'una stessa realtà, manifestazioni coessenziali del fenomeno sociale. Il corporativismo parte dalla coscienza di questa coessenzialità per costruire una nuova concezione dello stato.
Lo stato, nella concezione del corporativismo, assume nella sfera della propria essenza etico-politica tutta la vita sociale, tutte le forze sociali ed economiche espresse e realizzate dai cittadini, dando loro il battesimo della sua eticità e politicità, ordinandole e regolandole secondo i suoi supremi fini. Per ciò, alle forze economiche, alle categorie sociali, viene conferita una personalità morale, giuridica, politica; agl'interessi economici viene riconosciuta una legittima capacità d'agire. Ordinare le categorie sociali in associazioni con la personalità giuridíca di diritto pubblico, come fa l'ordinamento corporativo italiano, significa riconoscere il valore che la vita delle categorie stesse ha nella vita della comunità statale; considerare come un interesse pubblico gl'interessi delle categorie; sollevare la vita economica dei cittadini sopra un piano, che è quello stesso della vita politica dello stato. Il principio fondamentale del corporativismo, dunque, è il principio dell'organizzazione e personificazione delle forze economiche, perché partecipino coscientemente alla vita della comunità politica, rendendo possibile la loro disciplina unitaria da parte dello stato.
Questa è la soluzione che il corporativismo offre alla crisi, in cui si dibattono lo stato moderno e l'economia contemporanea. La ricostruzione dello stato, infatti, non può prendere le mosse se non dall'eliminazione dell'interno dissidio che lo travaglia e dall'ordine delle forze economiche che ne minano l'esistenza. Soltanto il corporativismo, che afferma la preminenza della volontà etico-politica dello stato e, insieme, la dignità politica degl'interessi economici, può ispirare questa ricostruzione; giacché tale preminenza non è l'inerte gravare d'un'autorità esterna, astratta, che si fa forte d'un suo potere giuridico, ma è il valore della volontà etica che non considera le forze sociali dal di fuori, ma penetra in esse, le porta dentro di sé, in una compenetrazione che dà concretezza e verità tanto allo stato quanto a quelle forze, così alla politica come all'economia.
La legge italiana sulla "costituzione e funzionamento delle corporazioni", del 5 febbraio 1934, sviluppando i principî posti dalla Carta del lavoro (v. carta: Carta del lavoro, IX, p. 206 segg.) e dalle precedenti leggi, dà al movimento corporativo una sempre più concreta e vasta, per quanto non ancora definitiva, attuazione di norme e di istituti; arricchisce la corporazione di nuove attribuzioni; stabilisce un'organizzazione autonoma e indipendente delle corporazioni. Queste sono organi dello stato, nel cui ambito e nella cui autorità i ceti produttori si autodisciplinano per coordinare e regolare ogni specie di rapporto economico, che interessi le aziende nella loro propria struttura e nelle reciproche relazioni. Autogoverno delle categorie e intervento dello stato trovano nel corporativismo italiano un contemperamento suscettibile di originali sviluppi.
Dopo la legge istitutiva delle corporazioni, l'ordinamento corporativo ha continuato a perfezionarsi, al centro con la rinnovata costituzione del comitato corporativo centrale, organo coordinatore della politica economica nazionale, e le nuove attribuzioni conferitegli, le quali garantiscono, oltre che tempestività di intervento da parte dell'istituto, un coordinamento fra attività di questo e attività delle corporazioni, specie per quanto riguarda la funzione normativa in materia economica; alla periferia con la nuova attrezzatura dei consigli provinciali delle corporazioni cui è stata attribuita maggiore capacità funzionale. Siffatto ordinamento, in tale fase di sviluppo, corrisponde alle necessità dell'economia nazionale, e a queste, praticamente, soddisfa, come viene dimostrato da quanto esso realizza, fra l'altro, con la predisposizione dei piani autarchici, con lo studio dei costi di produzione e il controllo e la disciplina dei prezzi, con il controllo e la disciplina della produzione agricola e dell'attrezzatura industriale, risolvendo in tal modo i problemi della produzione e della distribuzione della ricchezza nel quadro del superiore interesse della nazione.
Anche fuori d'Italia si sono manifestate tendenze verso il corporativismo, più o meno direttamente influenzate dall'esempio italiano. In Inghilterra e in Francia, pur essendo viva la preoccupazione di non menomare i vecchi principî dell'individualismo liberale in politica e in economia, s'è molto discusso in linea teorica intorno ai concetti di stato organico, di economia diretta o controllata o concertata o organizzata. In America si cerca di attuare un'economia regolata in base a criterî che si vorrebbe fossero unitarî, ma i risultati sono ostacolati dall'esistenza di un ordinamento politico a base individualista, non essendo possibile un compromesso fra individualismo politico e intervento organico e permanente nell'economia.
In altri paesi, invece, dove lo stato è organizzato su basi unitarie, è dato rilevare concrete affermazioni dei principî corporativi. Nella nuova costituzione politica del Portogallo, entrata in vigore l'11 aprile 1933, lo stato è definito "unitario e corporativo" e si riconosce e consacra la partecipazione di "tutti gli elementi strutturali" della nazione alla vita amministrativa e all'elaborazione delle leggi. Nello Statuto del lavoro nazionale, emanato il 23 settembre 1933, con un evidente riferimento alla Carta del lavoro italiana, dopo l'esplicita affermazione che "lo stato portoghese è una repubblica unitaria e corporativa" (art. 3), si dichiara che "lo stato riconosce nell'iniziativa privata lo strumento più fecondo del progresso e dell'economia della nazione" (art. 4); e delle corporazioni è detto che "costituiscono l'organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi" (art. 41). Molti dei principî fondamentali dell'ordinamento italiano trovano riscontro nella legislazione portoghese: così la proibizione dello sciopero e della serrata, il conferimento della personalità giuridica alle associazioni professionali, alle quali viene riconosciuta la rappresentanza di tutti gli appartenenti alla categoria anche se non iscritti, la non obbligatorietà dell'organizzazione sindacale (salvo, però, per determinate attività essenziali all'economia nazionale), l'ordinamento e il coordinamento in senso verticale dei sindacati, l'attribuzione di un'efficacia obbligatoria generale ai contratti collettivi stipulati dalle associazioni riconosciute, l'istituzione di una magistratura del lavoro; l'affermazione che l'attività sindacale può esplicarsi soltanto nel rispetto a quelle che sono le superiori necessità della nazione; la disciplina delle attività agricole della nazione a mezzo di speciali organismi corporativi (gremios del lavoro) che rappresentano tutti i produttori della zona ed hanno personalità giuridica, l'estensione delle colonie, con opportuni criterî di elasticità, dell'ordinamento corporativo. Sempre in riferimento all'ordinamento corporativo italiano sono da ricordare, come elementi costitutivi dell'ordinamento portoghese, una Camera corporativa (con funzioni prevalentemente consultive) costituita nel 1934 e disciplinata definitivamente nel 1936; un Consiglio corporativo (istituito nel 1934) organo superiore di orientamento dell'organizzazione corporativa nazionale, e altri organi speciali di natura corporativa, di particolare importanza politica, sociale ed economica (Consiglio tecnico corporativo del commercio e dell'industria, organi corporativi degli enti padronali).
In Germania, dall'avvento della rivoluzione nazionalsocialista si è affermato il proposito d'una trasformazione dell'ordinamento dello stato in senso corporativo. Come in Italia, si è sentito il bisogno di purificare le organizzazioni operaie dall'ideologia marxista per inquadrarle poi nell'ordinamento politico-giuridico nazionole. Il primo passo, nel senso di una rieducazione spirituale alle idealità nazionali, fu fatto con la costituzione del Fronte del lavoro, che comprende tutti i produttori, datori di lavoro e lavoratori, ad eccezione degli agricoltori e dei pubblici funzionarî ed ha lo scopo principale di formare i lavoratori tedeschi secondo lo spirito nazionalsocialista. Sono state anche costituite una Camera di cultura del Reich, che è un'organizzazione corporativa delle attività culturali e artistiche (novembre 1933) e una Corporazione delle attività agricole (settembre 1933), che ha scopi eminentemente economici e realizza per l'agricoltura tedesca una forma d'economia regolata e diretta dallo stato. Il 20 gennaio 1934 è stata poi emanata la legge sull'ordinamento del lavoro nazionale (entrata in vigore il 1° maggio successivo) che ha dato una nuova e completa disciplina ai rapporti di lavoro, seguendo speciali criterî non del tutto in armonia con le iniziali proclamazioni corporative. Il fenomeno associativo è del tutto ignorato; si assume l'impresa, o l'azienda, a base dell'ordinamento; si dà all'imprenditore riconoscimento di "capo" o "condottiero" che decide di tutte le questioni riguardanti l'impresa e vigila sul benessere dei suoi dipendenti, che tutti insieme formano il suo "seguito" (si noti la differenza dal sistema italiano in cui fra datori, lavoratori e tecnici si ha una posizione di parità pur avendo l'imprenditore i diritti e i doveri di comando che gli derivano dalla sua posizione); in ogni impresa che occupi almeno venti persone, il capo è coadiuvato da un "consiglio di fiducia" reclutato nel personale con il compito di corroborare e approfondire la mutua fiducia della comunità, di dare pareri e dirimere divergenze; speciali "tribunali d'onore" giudicano d'ogni infrazione ai doveri sociali fondati sulle necessità e sugl'interessi dell'impresa. Provvedimenti nei quali può rilevarsi un carattere corporativo sono quelli contenuti nella legge 27 febbraio 1934 sulla costruzione organica dell'economia tedesca e nell'ordinanza emanata per la sua esecuzione: l'economia industriale viene ordinata in gruppi cui è preposto un presidente che deve dirigere il gruppo nel senso dello stato nazionalsocialista ed espletare gli affari del gruppo e dei suoi membri, avendo riguardo all'interesse comune dell'economia industriale e salvaguardando l'interesse dello stato. Un'azione totalitaria diretta a regolare e organizzare l'economia ha avuto inizio nel 1936 (ottobre) quando fu stabilito di procedere all'attuazione del piano quadriennale che ha per scopo lo sviluppo della produzione e l'indipendenza economica.
Principi corporativi che si ispirano principalmente all'ordinamento italiano sono stati posti a base della nuova costituzione brasiliana (10 novembre 1937); in essa infatti si dichiara che "la ricchezza e la prosperità nazionale hanno per base l'iniziativa individuale, il potere di creazione, organizzazione e invenzione degl'individui, esercitato nei limiti del bene pubblico", e si afferma il principio dell'intervento dello stato legittimo soltanto per supplire alle deficienze dell'iniziativa individuale e coordinare i fattori della produzione in maniera da evitare o risolvere i conflitti e introdurre nel giuoco delle competizioni individuali la considerazione degli interessi della nazione rappresentata dallo stato; intervento che potrà essere indiretto e diretto, e rivestire la forma del controllo, dello stimolo o della gestione diretta (art. 135). Altri punti fondamentali, di cui è evidente la fonte, sono l'affermazione che il lavoro è un dovere sociale (art. 136); il principio che solo il sindacato regolarmente riconosciuto dallo stato "ha diritto di rappresentare legalmente coloro che appartengono alla categoria di produzione per la quale è stato istituito", "di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatorî per tutti gli associati, di imporre contributi ed esercitare, in relazione a questi, le funzioni a esso delegate dal potere pubblico"; l'obbligo del salario minimo; l'istituzione della Magistratura del lavoro; il ritenere lo sciopero e la serrata espedienti antisociali "nocivi al lavoro e al capitale e incompatibili con gli interessi superiori della produzione nazionale"; la produzione organizzata in corporazioni che, in quanto entità rappresentative del lavoro nazionale, sono collocate sotto la tutela e la protezione dello stato e ne sono quindi organi ed esercitano funzioni delegate dal potere pubblico, ecc. Un consiglio dell'economia nazionale, composto dalla rappresentanza paritetica dei varî rami della produzione nazionale, designata dalle associazioni sindacali, e diviso in cinque sezioni corrispondenti alle grandi branche dell'economia ha funzioni consultive, propulsive, normative e assistenziali in ordine all'organizzazione delle forze produttive nazionali e collabora al potere legislativo demandato dalla costituzione al Parlamento nazionale.
Fra gli altri paesi in cui i principî corporativi trovano applicazione, generalmente però parziale, sono da ricordare: la Lettonia, dove fin dal 1935 sono state poste le basi per un'organizzazione statale a sistema corporativo che segna una profonda trasformazione di tutti i rami economici più importanti e della rappresentanza di tali rami nelle organizzazioni statali e comunali; la Grecia, per certe riforme nel campo sociale basate sul principio della solidarietà delle classi, e anche la Cecoslovacchia, per quanto riguarda il principio dell'obbligatorietà dei contratti collettivi, ivi recentemente sancito.
Per quanto è dato rilevare finora dal programma del partito che sta a base del movimento rivoluzionario, l'orientamento dello stato nazionale spagnolo è corporativo. Lo statuto della Falange spagnola propugna infatti un regime economico superatore degl'interessi degl'individui, dei gruppi, delle classi per la moltiplicazione dei beni al servizio del potere dello stato, per la giustizia sociale e la libertà cristiana della persona (art.1); concepisce la Spagna come un gigantesco sindacato di produttori, e propugna un'organizzazione corporativa attuata mediante un sistema di sindacati verticali per rami di produzione al servizio dell'integrità economica nazionale, specie di sindacati misti, che escluderebbero quindi la necessità di organi di collegamento. Ciò fa prevedere un regime politico somigliante all'italiano per quanto si riferisce al ristabilimento del principio gerarchico, all'esaltazione dell'amor di patria, alla pratica della giustizia sociale, alla cura del benessere delle classi produttive, ma che nello stesso tempo avrà caratteristiche sue proprie. Questi principî hanno trovato espressione, di recente, nel Fuero del trabajo (Carta del lavoro), approvato dal Consiglio nazionale della Falange spagnola sotto la presidenza del capo dello stato. Il Fuero del trabajo afferma infatti, fra l'altro, la concezione unitaria e totalitaria dello stato nazionale spagnolo, e la sua natura sindacalista reagente contro il capitalismo liberale e il materialismo marxista. Sottolinea, inoltre, la volontà di mettere la ricchezza al servizio del popolo, subordinando l'economia alla politica, e afferma il proposito che la produzione spagnola, attraverso la collaborazione e la solidarietà delle categorie, sia un'unità che serva di sostegno alla potenza della patria. Il lavoro è considerato dovere sociale, e il sindacato verticale una corporazione di diritto pubblico costituita dall'incorporazione in un unico organismo di tutti gli elementi che dedicano le loro attività al compimento del processo economico entro un determinato settore o ramo della produzione organizzata gerarchicamente sotto la protezione dello stato.
Poiché è dato di rilevare che anche in altri stati si manifestano con sempre maggiore successo tendenze corporative si ha ragione di ritenere che siamo dinnanzi a un moto di corporativizzazione delle costituzioni moderne.
Bibl.: V. l'estratto della rivista Sindacato e corporazione, (vol. LX, n. 5, novembre 1933, edito a cura del Ministero delle corporazioni), che sotto il titolo di Istituzione delle corporazioni, contiene le relazioni, le discussioni, i voti e il discorso del capo del governo al Consiglio nazionale delle corporazioni, e la relazione del Ministero delle corporazioni al disegno di legge sulla "Costituzione e funzionamento delle corporazioni" presentato al Senato del regno l'8 gennaio 1934; la relazione e i discorsi che ne seguirono dal 10 al 13 gennaio e in particolar modo il discorso del capo del governo del 13 gennaio; la relazione Rocco sul medesimo disegno di legge presentata alla Camera dei deputati il 16 gennaio 1934. Si potranno inoltre utilmente consultare le bibliografie apposte al volume di G. Bottai, Il Consiglio nazionale delle coporazioni, Milano 1933, e alle opere edite a cura della Scuola di scienza corporative della R. Università di Pisa (La crisi del capitalismo e L'economia programmatica, Firenze 1933).