corteggiamento e cure parentali
Ogni amore ha una sua ragion d’essere
La riproduzione rappresenta uno degli eventi fondamentali della vita degli esseri viventi. L’esigenza di trasmettere i propri geni alle generazioni successive guida l’intero ciclo biologico delle specie. La selezione naturale opera costantemente nella direzione di garantire la sopravvivenza del maggior numero di figli. Per questo tutto ciò che riguarda il comportamento legato alla riproduzione non è mai casuale, ma frutto di precise strategie messe a punto nei corso di milioni di anni. Queste strategie possono essere comprese considerando alcune caratteristiche primarie dei fenomeni riproduttivi
Innanzitutto bisogna considerare che esistono modi diversi per avere discendenza. Un nuovo individuo può nascere per riproduzione sessuata, che richiede l’unione di due cellule sessuali (spermatozoi e uova) provenienti da individui diversi, un maschio e una femmina. Questo tipo di riproduzione, pur essendo molto complicato, possiede l’enorme vantaggio di generare una grande variabilità di combinazioni genetiche: i figli mostreranno, variamente mescolati, i caratteri dei propri genitori.
C’è poi la partenogenesi, grazie alla quale da una sola cellula sessuale, l’uovo, e senza l’intervento di un maschio, potranno nascere figli molto simili alla madre. Infine c’è la riproduzione agamica o asessuata, che si realizza quando parti del proprio corpo si staccano (gemmazione) e formano nuovi individui: in questo caso si tratterà di figli che saranno copie identiche del genitore.
La riproduzione sessuale, benché più complessa e dispendiosa dal punto di vista energetico, è quella che si è maggiormente affermata nel regno animale, in quanto costituisce il meccanismo chiave per l’evoluzione.
Dato che le cellule uovo sono più grandi poiché contengono, generalmente, il tuorlo per assicurare lo sviluppo dell’embrione, la femmina deve investire molte più energie di quante non ne servano a un maschio per produrre gli spermatozoi. Per questo le cellule uovo sono in numero sempre minore rispetto agli spermatozoi; e le femmine devono stare bene attente a far sì che ciascun uovo, costato così tanta fatica, dia origine a un embrione forte e vitale. Ciò genera un conflitto di interessi tra i due sessi che deve essere compreso per poter capire le strategie riproduttive degli animali.
Le difficoltà legate alla riproduzione sessuale riguardano diversi aspetti e fasi di questo processo. Innanzitutto devono essere prodotte cellule adeguate, diverse dalle cellule che compongono il resto del corpo. Infatti una cellula che debba unirsi a un’altra dovrà possedere un corredo di cromosomi dimezzato, cosicché dalla fusione con un’altra cellula si possa ricostituire un corredo completo. Ma questo comporta la necessità di passare attraverso un processo di dimezzamento, la meiosi. Tale processo di divisione cellulare conduce alla formazione di cellule, in special modo di gameti (uova e spermatozoi). Una volta formati i gameti i problemi non finiscono. Dato che nella gran parte degli animali i gameti maschili e femminili sono portati da individui diversi, perché avvenga la riproduzione è importante che due individui di sesso diverso, un maschio e una femmina, si incontrino, si riconoscano e si piacciano al punto di stabilire un contatto fisico che porterà all’unione dei loro gameti.
Spesso sono le femmine a scegliere il maschio, ovvero il migliore padre per i propri figli. Perciò i maschi di molte specie cercano di mostrare il meglio di sé, esibendo forme e colori sgargianti, cantando a squarciagola per delimitare e difendere i territori migliori: tutti segni di forza e vigore.
Questo diverso ruolo ha portato in molte specie al fenomeno del dimorfismo sessuale, ovvero a un aspetto molto diverso dei maschi e delle femmine. Così i maschi degli uccelli lira, delle vedove africane, dei pavoni (galli, fagiani, pavoni) o dei quetzal possiedono code, colori e forme incredibili, la cui lunghezza mette a volte a rischio la loro stessa sopravvivenza. Il quetzal, per esempio, è costretto a lanciarsi all’indietro dal posatoio per evitare di danneggiare la lunga coda quando prende il volo. I maschi delle fregate gonfiano la gola rossa, mentre gli uccelli giardinieri impiegano fino a dieci mesi per costruire lunghi tunnel decorati di oggetti luminosi e colorati che servono ad attrarre le femmine. I maschi di molti mammiferi mettono in mostra folte criniere (i leoni), lunghe corna (i cervi) o dentature possenti (cinghiali, lupi, scimmie), mentre numerosi pesci sfoggiano colori attraenti.
Per poter accedere ai favori delle loro aspiranti ‘mogli’, i maschi eseguono lunghi corteggiamenti, costituiti da odori, danze e canti, attraverso i quali le femmine li riconoscono come individui della propria specie, evitando così sprechi inutili di gameti in incroci sterili. Il corteggiamento serve anche a vincere le difese che sempre si scatenano all’avvicinamento di un estraneo, ed è spesso accompagnato dall’offerta di cibo, che serve ad acquietare l’istinto aggressivo della femmina verso gli estranei.
Un altro stratagemma utilizzato per vincere le resistenze delle femmine consiste nell’assumere l’atteggiamento di un pulcino o di un cucciolo, così da scatenare l’istinto alla protezione e all’accoglienza. Il corteggiamento segue una precisa coreografia, dove ciascuna sequenza viene eseguita da uno dei due partner in risposta a un’altrettanto precisa sequenza eseguita dall’altro. La precisione della risposta aumenta la garanzia di un successo dell’accoppiamento. Esempi di sequenze spettacolari si osservano negli svassi, nelle cicogne, nelle anatre, nelle gru (gru e folaghe) e in molti falchi. Questi lunghi ed estenuanti rituali servono anche alle femmine per saggiare la pazienza e la resistenza del maschio. Queste funzioni vengono ‘lette’ grazie a un insieme di segnali visivi, chimici e sonori. Esistono due obiettivi diversi legati all’emissione di questi segnali. Il primo è farsi scegliere e accettare dal proprio partner, convincendolo di essere il migliore donatore di buoni geni; il secondo, che spesso convive con il primo, è vincere e battere gli eventuali altri pretendenti.
La domanda non è banale e ciascuna scelta è dettata dalle caratteristiche delle specie e dalle condizioni ambientali in cui si riproducono. Gli animali si trovano di fronte a una scelta fondamentale: fare pochi figli e accudirli, proteggerli, nutrirli in modo da garantire a tutti un’elevata probabilità di sopravvivere, oppure produrre tantissimi figli affidando al caso la possibilità che almeno una parte di essi giunga al completo sviluppo? Ciò che differisce tra queste due strategie è la quantità di cure parentali – cura e protezione dei piccoli – che entrambi i genitori, o solo uno dei due, offrono ai propri figli. Naturalmente tutto ciò ha costi diversi. Una coppia di uccelli o una femmina di mammifero devono spendere un’enorme quantità di energie nel covare, scaldare e nutrire i propri pulcini o cuccioli. Al contrario un pesce, un gambero o una spugna che producono migliaia di uova che verranno fecondate dagli spermatozoi in acqua, e quindi affidate alla buona sorte, investono molte energie nella produzione di uova e spermi, ma il loro ruolo si esaurisce con la deposizione.
Alcune specie animali, dunque, scelgono la strategia di fare pochi figli ma seguirli a lungo, proteggerli, nutrirli e accudirli fino a quando non saranno in grado di farlo da soli. Sono questi gli animali in cui si osservano le cure parentali, ossia un numero vario e grandissimo di accorgimenti e comportamenti che hanno proprio lo scopo di garantire la sopravvivenza ai propri figli. Tuttavia, maggiori e più protratte nel tempo sono le cure, minore è il numero di figli a cui possono essere dedicate e di conseguenza il numero di uova prodotte.
Le cure parentali sono prodigate con maggiore frequenza dalle femmine, che producono le uova, forniscono loro il nutrimento e sono incaricate della loro deposizione dopo la fecondazione. Esistono differenze importanti nelle modalità e nella durata delle cure. In molti animali le femmine scelgono accuratamente i luoghi dove deporre le uova, sia in acqua sia sulla terra. Questi luoghi devono essere protetti dalla miriade di altri animali per i quali le uova rappresentano una importante fonte di nutrimento (anche noi mangiamo quelle delle galline): le uova devono essere protette dall’essiccamento, trovarsi in luoghi ossigenati e possibilmente in cui i piccoli appena nati possano trovare immediato nutrimento. In questi animali le cure parentali si limitano a garantire che le uova possano arrivare alla schiusa senza il pericolo di perdite eccessive. Così molte femmine di animali terrestri sotterrano le uova in buche nel terreno: è il caso della grande maggioranza degli insetti, delle lucertole, dei serpenti e delle tartarughe. Le tartarughe marine compiono lunghi viaggi per tornare a deporre le uova nei luoghi dove sono nate, approdando di notte sulle spiagge e scavando grandi buche nella sabbia in cui deporle prima di tornare al mare.
In diversi casi la femmina accudisce le uova fino alla nascita dei piccoli, proteggendole e controllandole attivamente. I calamari, per esempio, depongono le uova in anfratti tra gli scogli e trascorrono molto tempo a ventilarle e ripulirle fino alla loro schiusa, come fanno anche le femmine dei coccodrilli.
Altre specie, invece, abbandonano le uova ma si premurano di lasciare loro scorte di cibo per i piccoli nascituri. Così le femmine delle vespe della famiglia Crisidi scelgono con cura una bella larva matura di un altro insetto (spesso un altro imenottero), la paralizzano e al suo interno depongono le proprie uova. Così le larve una volta sgusciate troveranno una preda viva di cui nutrirsi fino alla metamorfosi.
Vi sono poi molte specie in cui le femmine accudiscono i piccoli anche dopo la schiusa delle uova. Tra queste, molte di uccelli, pesci, insetti – basti pensare alle api, alle formiche o alle termiti – ragni e scorpioni. Negli scorpioni, le uova sono fecondate con gli spermatozoi contenuti in una spermatofora (contenitore di spermi) che i maschi convincono le femmine ad accettare dopo una lunga danza di corteggiamento. I piccoli si sviluppano all’intero del corpo materno, con una gestazione che può durare fino a 18 mesi. Alla nascita la madre forma un cestino con il primo o il secondo paio di zampe (o con tutte e due le paia), all’interno del quale accoglie i piccoli scorpioni, che poi si spostano sul suo dorso dove resteranno fino alla prima muta. Le femmine di molti pesci della famiglia Ciclidi, le comuni tilapie, accolgono gli avannotti (i pesciolini appena nati) dentro la bocca, e non si alimentano fino a quando questi non diverranno autonomi. Questo comportamento è comune anche ai coccodrilli, le cui femmine, oltre a costruire veri e propri nidi in cui sotterrano le uova, restano nei dintorni del nido fino alla schiusa e quando i piccoli sgusciano dall’uovo li accolgono in bocca, li portano all’acqua e restano con la bocca aperta per fornire loro un luogo sicuro in cui rifugiarsi al minimo pericolo, una sorta di isola sicura che li segue durante il nuoto. Una delle rare eccezioni alla regola, che vuole la femmina protagonista delle cure, è rappresentata dai cavallucci di mare, in cui è il padre a occuparsi dell’allevamento dei figli. Possiede a questo scopo addirittura un marsupio, in cui le femmine depongono le uova ancora non fecondate. Il maschio le feconderà e le proteggerà fino alla schiusa.
L’insieme più complesso di strutture e comportamenti dedicati alle cure parentali si ritrova negli uccelli e nei mammiferi placentati. Nei mammiferi il ruolo delle femmine non si esaurisce con la produzione di cellule uovo, in quanto la madre nutre e fa crescere l’embrione nel suo utero fino alla nascita. Non solo, una volta nati i piccoli, questi verranno nutriti direttamente dal latte secreto dalle ghiandole mammarie della femmina, fino a quando non saranno abbastanza grandi da procurarsi il cibo da soli. In questi animali la femmina è quindi impegnata per un lungo periodo con la gravidanza e l’allattamento, mentre il ruolo dei maschi si limita per lo più alla fecondazione dell’uovo. In questi casi l’obiettivo del maschio sarà quello di fecondare il maggior numero di femmine possibile, dato che ogni uovo fecondato garantirà quasi certamente lo sviluppo di un cucciolo che porterà i suoi geni. Per questo motivo nei mammiferi è comune la poligamia o, meglio, la poliginia, ovvero un sistema riproduttivo in cui un maschio si accoppia con molte femmine e non collabora all’allevamento dei cuccioli. Esistono naturalmente eccezioni, legate soprattutto alle condizioni ambientali in cui vivono gli animali. Se le risorse sono scarse ed esiste un serio pericolo che la femmina da sola non abbia abbastanza energie per tirare su i piccoli, si osserva una collaborazione dei maschi, che si attua soprattutto nel procacciare il cibo, nella difesa della tana, dei territori di caccia e dei piccoli.
Negli uccelli le uova prodotte dalla femmina devono essere deposte in luoghi sicuri e covate a temperatura costante fino alla schiusa. Inoltre in molte specie i pulcini nascono nudi e ciechi, e devono essere protetti e nutriti fino al momento in cui sono in grado di volare. In questi casi si parla di prole inetta, per distinguerla dalla prole atta, per esempio gli anatroccoli o i pulcini delle galline, in cui i piccoli sono autonomi fin dalla nascita. Negli uccelli, quindi, i maschi possono fornire un contributo importante, costruendo il nido, covando o portando da mangiare alla femmina in cova, nonché aiutando la femmina a procacciare il cibo per i piccoli affamati. Questo vuol dire che se i maschi vogliono garantirsi una discendenza è utile che aiutino la femmina nella cura e nell’allevamento dei piccoli, che forniscano cioè cure parentali in misura molto maggiore rispetto ai mammiferi. Per questo motivo negli uccelli è molto più frequente la monogamia, in cui un maschio si accoppia con una sola femmina. La monogamia comporta spesso la formazione di coppie che possono restare unite anche tutta la vita, come avviene per esempio nelle aquile e negli albatri.
In queste specie è facile distinguere il contributo del maschio alla cova. Quando entrambi i sessi hanno colori molto simili vuol dire che entrambi i genitori si dedicano alle cure parentali. Se il maschio possiede un piumaggio molto appariscente mentre la femmina ha colori smorti ed è facilmente confondibile con l’ambiente circostante (colorazioni criptiche) siamo in presenza di una specie in cui la femmina cova e il maschio no. Infatti, la colorazione criptica della femmina serve a evitare di essere avvistata dai predatori durante la cova, che la costringe a rimanere immobile lunghe ore. Questo accade spesso con gli uccelli che nidificano a terra, come i fagiani e le anatre.
Oltre alla monogamia e alla poliginia esiste, anche se più rara, un’altra strategia riproduttiva, chiamata poliandria. In alcune specie di uccelli, ragni e insetti, le femmine si accoppiano con molti maschi, a volte delegando a questi anche la cura della prole. In questi casi sono le femmine a doversi conquistare il maggior numero possibile di maschi: gli uccelli che adottano la poliandria sono riconoscibili perché sono le femmine ad avere in genere una livrea, un piumaggio più colorato dei maschi. È il caso, per esempio, dei falaropi, uccelli di palude in cui il maschio costruisce il nido, cova le uova e alleva i piccoli dopo la schiusa.