L’ultima fase del regime imperiale nella realtà giuridico-politica di Roma antica, quella in cui il potere dell’imperator non incontrava più alcun limite di tipo costituzionale, essendo stata ormai ridotta a nulla l’eredità delle residue istituzioni repubblicane. Se, infatti, dal compromesso fra queste e la nuova monarchia imperiale era scaturito, per opera di Augusto, il regime del principato (➔), dall’affermazione dell’imperatore come monarca assoluto, dominus et deus, e unica fonte del diritto, derivò l’assetto che Roma si diede, per sopravvivere, a partire dalla fine del 3° sec. d.C., dopo 50 anni di anarchia militare.
La riorganizzazione dell’impero su nuove basi fu soprattutto opera di Diocleziano, sebbene anche altri imperatori, quali Costantino e Teodosio, portarono a termine le riforme da lui impostate. Esse consistettero: a) nella condivisione, o divisione, del potere, pur di per sé assoluto, fra due o più Imperatori, cui erano solitamente attribuiti ambiti territoriali diversi (il che divenne irreversibile alla fine del 4° sec., con la definitiva spaccatura fra Impero d’Oriente e d’Occidente); b) nella creazione di una forte burocrazia centralizzata, con a capo 4 nuovi ministri; c) nella erezione di circoscrizioni periferiche strutturate a cerchi concentrici (prefetture, suddivise in diocesi, e queste a loro volta in province), per favorire l’amministrazione locale; d) nella riorganizzazione dell’esercito in un nucleo mobile, a sostegno continuo dell’imperatore durante i suoi spostamenti, e in nuclei stabili posti a presidio dei confini; e) nella organizzazione di un apparato fiscale particolarmente esoso, volto soprattutto alla riscossione dell’imposta fondiaria (annona); f) nell’articolazione dell’intero corpo produttivo in corporazioni di mestieri, necessariamente ereditari. Pur con diversi aggiustamenti e difficoltà, il d. si protrasse, anche dopo la caduta dell’Impero d’Occidente (476 d.C.), fino alla morte di Giustiniano (565 d.C.).