Il governo esercitato da un principe; il territorio soggetto alla giurisdizione di un principe o di un sovrano assoluto.
Con riferimento all’esperienza giuridico-politica di Roma antica, il termine p. indica la prima fase dell’età imperiale, sorta dal compromesso che, alla fine del 1° sec. a.C., Augusto seppe attuare fra l’assetto costituzionale tradizionale, proprio della Repubblica, e le nuove istanze, di tipo monarchico, che ne avevano segnato la crisi. Fino alla seconda metà del 3° sec. d.C. Roma fu, dunque, retta da un princeps che, pur lasciando formalmente intatte le strutture ereditate dal passato, si sovrappose progressivamente a esse, fino quasi a svuotarle del loro contenuto di potere, governando, di fatto, in prima persona e tramite i suoi funzionari, l’intera compagine imperiale.
I mutamenti portati da Augusto alla Costituzione romana, e quindi consolidati dai suoi successori, possono sintetizzarsi nei seguenti punti: a) attribuzione a un’unica, carismatica figura, l’imperatore, del potere militare (imperium), senza limiti spaziali, della potestà tribunizia (e quindi del diritto di veto sull’attività di qualsiasi altro organo), nonché della carica di pontefice massimo; b) creazione di un apparato burocratico di funzionari (legati, prefetti, procuratori, curatori), non soggetti in alcun modo al Senato, per il controllo dell’amministrazione di Roma, dell’Italia e di gran parte delle province (cosiddette provinciae Caesaris, distinte dalle provinciae populi); c) istituzione, anche nell’Urbe, di un corpus di milizie scelte, le coorti pretorie, guardia personale dell’imperatore, con a capo un prefetto del pretorio; d) affermazione, in campo civile e penale, di un nuovo tipo di processo, la cognitio extra ordinem, destinato a prevalere, con il passare del tempo, su quello ordinario. Problema mai completamente risolto fu quello della successione imperiale, che formalmente si attuava con una lex de imperio, ma che nella sostanza – per la natura non dinastica, ma costituzionale delle prerogative riconosciute al princeps – fu sempre sottoposta ai più imprevedibili giochi di potere. Nonostante l’instabilità che questo comportava, i tre secoli del p. furono tra i più prosperi nella storia dell’impero: specialmente per le periferie, le cui realtà locali vennero per lo più rispettate e non assoggettate a una fiscalità esosa.
Negli studi sul Medioevo, con il termine p. gli storici sono soliti indicare due realtà molto differenti fra di loro. La prima concerne le maggiori entità territoriali in cui si articolarono i regni di Francia e Germania a partire dall’età postcarolingia; il rapporto tra il ‘principe’ (nome generico dato a signori che in realtà erano duchi, conti, marchesi, per indicare il loro ruolo, inferiore solo a quello del sovrano) e il re era un rapporto complesso, in parte pubblico, in parte di tipo feudo-vassallatico; la base del potere dei principi, però, consisteva nella somma consistente di poteri signorili che era radunata nelle loro mani. In particolar modo, il termine p. è applicato alle formazioni politico-territoriali createsi, a partire dal 9° sec., in seguito al frazionamento del regno dei Franchi occidentali (poi regno di Francia), a sua volta emerso come realtà politica dallo sbriciolamento dell’impero carolingio. Tali realtà, a carattere regionale, furono a loro volta colpite dal fenomeno della dispersione dei poteri centrali, tipico di tutto il periodo dell’anarchia politica (9°-11° sec.): i principi, di fatto indipendenti dal re, ebbero difficoltà a far valere la propria autorità nei confronti dei loro vassalli e castellani, perdendo così parte dei diritti di banno a favore della minore aristocrazia dei castellani e dei milites. Grazie anche al Movimento della pace di Dio, si mise però in moto (10°-11° sec.) un processo di ricomposizione dei poteri centrali, che permise ai principi di riassumere il potere nelle loro mani, strutturando delle entità territoriali solide. Queste ultime furono, dal 12° sec. in poi, inglobate nel regno di Francia, senza perdere però i loro connotati regionali distintivi.
La seconda realtà, in relazione al Basso Medioevo e all’età moderna, concerne la storia italiana e indica la costruzione, da parte delle signorie cittadine, di organismi politici che andavano al di là del semplice territorio cittadino. L’esigenza di coordinamenti politico-territoriali più ampi del semplice comune cittadino e del suo contado, si era fatta sentire acutamente già nel corso degli intensi conflitti intercittadini che avevano caratterizzato il 13° secolo. Tali coordinamenti si erano inizialmente realizzati mediante la strutturazione di fazioni, allargate a più città. I vincoli di alleanza e di schieramento fra le diverse città di aree territoriali vicine divennero (14° sec.) la base per i primi tentativi di costruzione di poteri sovracittadini, spesso con l’intervento di signori stranieri. Ma furono soprattutto i più grandi Comuni, insieme ai principali Stati extracittadini già esistenti, che semplificarono la carta politica italiana con un processo di selezione e riorganizzazione territoriale che interessò tutto il 14° sec. e oltre. All’epoca della Pace di Lodi del 1454, i grandi p. che si suddividevano l’Italia erano ormai quelli che la caratterizzeranno poi durante l’età moderna: Venezia, Milano, gli Estensi, i Savoia, Firenze, lo Stato pontificio e il Regno di Napoli. Si designano come p. però anche quegli Stati, come Venezia e Firenze, dove rimase formalmente in piedi un apparato politico repubblicano. Dappertutto si verificò un’accentuazione del peso del potere centrale in senso burocratico, accompagnato dallo sviluppo di una corte. L’imposizione dell’autorità del principe o della città dominante avvenne attraverso una serie di concessioni che finirono per riconoscere privilegi e autorità di città soggette, signori e comunità rurali, ai quali furono concessi ampi poteri di governo su scala locale.
Per i principi che procedevano all’elezione dell’imperatore nel Sacro Romano Impero ➔ elettori, principi.