ebrei
Il nome e., di origine incerta ma di probabile derivazione dall’ebraico ivri (da ever, «dall’altra parte») fu usato per la prima volta a definire Abramo, «colui che sta dall’altra parte», ed è usato nell’Antico Testamento già prima della cattività babilonese. Il termine «israelita» deriva invece dal regno d’Israele, a Nord, mentre «giudeo» deriva dal regno di Giuda, il regno meridionale superstite alla dominazione assira (722). I termini sono poi divenuti sinonimi, anche se in molte lingue, come il francese, l’inglese e il tedesco, il termine «ebraico» è rimasto solo in riferimento alla lingua, a differenza che in italiano, dove però il termine «giudeo», riferito al periodo moderno, ha assunto una connotazione negativa.
Secondo la Bibbia, e più precisamente la parte iniziale di essa, il Pentateuco, il patriarca Abramo, movendo da Ur dei caldei, si diresse lungo il corso dell’Eufrate fino a Harran, donde piegò in Palestina, terra promessagli dal suo Dio. Il patto tra Dio e Abramo è il fondamento della concezione storica d’Israele e si rinnova nel tempo, creando un vincolo particolare. Un discendente di Abramo, Giuseppe, si trasferì in Egitto, e qui fu raggiunto dalla sua famiglia: cominciò così il soggiorno in terra straniera, che si chiuse quando gli e., oppressi da un faraone crudele (si pensa a Ramses II, circa 1279-1212 a.C.), vennero liberati da un grande condottiero, Mosè. Questi li condusse fuori dal Paese; attraversò il Mar Rosso e arrivò nei pressi del monte Sinai, dove Dio gli si rivelò col suo nome Yahweh e gli diede la Legge. Quindi, con faticosa marcia e costanti lotte contro popolazioni ostili, gli e. giunsero in vista della Palestina, dove Mosè morì, lasciando il comando a Giosuè. In questa fase più antica la critica, non disponendo come fonte che del racconto biblico, riconosce con difficoltà fondamenti storici e preferisce parlare di leggende e tradizioni popolari, discutendo la consistenza dei gruppi ebraici impegnati nelle varie vicende e il rapporto di queste con la tradizione letteraria che se ne fece riflesso attraverso i secoli. La conquista della Palestina, in cui possono ravvisarsi fasi diverse, si compì sul finire del 13° sec. a.C., salvo il permanere di città-Stato cananee isolate e di una striscia costiera in mano ai Filistei. Oggi tuttavia la maggioranza dei critici sulla base dei reperti archeologici afferma che gli e. si sono formati in Canaan e non provengono dal di fuori. Le narrazioni di Genesi, Esodo, dell’insediamento e dei Giudici sarebbero quindi leggendarie, originate forse alla fine dell’esilio babilonese per legittimare la riconquista della Terra promessa. Gli e. erano organizzati in tribù, che si raggruppavano intorno a un santuario centrale, con sede in Silo: il sistema è stato paragonato alle anfizionie greche, ed è con questo sistema che l’unità di Israele come popolo emerge appieno. Nei momenti di pericolo, dei capi locali si levavano a guidare le tribù: erano i Giudici, tra cui spiccano Barac, Gedeone, Sansone. Il sistema, tuttavia, non poteva reggere di fronte alla pressione dei vicini. Sorse così la monarchia. Anche questa ricostruzione appare però dubbia a una lettura critica dei testi. Il primo re fu Saul (ca. 1020-1000 a.C.), che riunì le tribù e le guidò alla vittoria sui filistei. Ma l’ostilità degli ambienti religiosi gli fu fatale: egli morì sul campo di battaglia e gli succedette David (ca. 1000-961 a.C.), che, già capo di un piccolo Stato vassallo dei filistei, riuscì a riorganizzare e potenziare il regno. La capitale venne portata a Gerusalemme e anche il sacerdozio vi si trasferì, riunendo così, sia pure per breve tempo, i contrastanti interessi del potere politico e di quello religioso. Il regno di David fu l’apogeo del potere politico ebraico, che si estendeva alla Palestina e a parte della Siria. Il successore Salomone (960-922 a.C.) mantenne questo potere; ma la forte pressione fiscale, l’accentuarsi dell’assolutismo regio, la decadenza religiosa preparavano la crisi. Alla morte di Salomone il regno si divide: Israele al Nord, con capitale Samaria (dal 9° sec.), e il regno di Giuda al Sud, con capitale Gerusalemme. In Israele, più forte militarmente, la crisi religiosa fu più intensa: si restaurarono santuari pagani, si accettarono e si introdussero culti stranieri. A difesa del puro yahwismo si levarono allora i profeti; e la storia del regno fu storia di una lotta costante, in cui i sovrani, espressione del potere temporale, furono spesso in contrasto con le forze della tradizione religiosa. Una riforma yahwistica avvenne a opera del re Iehu (ca. 842-815); al tempo stesso, la pressione dell’Assiria costrinse questo re a prostrarsi ai piedi di Salmanassar III. Un ultimo splendore conobbe Israele sotto Geroboamo II (ca. 786-746); poi la crisi esterna riprese e nel 722 Samaria cadde sotto i colpi di Sargon II. Anche nel regno di Giuda si svolse la lotta tra forze politiche e profetismo. La tendenza paganeggiante raggiunse il culmine sotto il re Manasse; poi Giosia (ca. 640-609) purificò radicalmente il culto. Tuttavia anche in questo periodo la pressione esterna non diede requie: nel 586 il re babilonese Nabucodonosor occupò e distrusse Gerusalemme, deportando gli alti strati della popolazione in Babilonia. Nell’esilio, la coesione degli e. non venne meno: e così, quando nel 538 a.C. Ciro conquistò Babilonia, essi ottennero un editto che li autorizzava al ritorno. La comunità fu riorganizzata, sotto l’alta autorità persiana, da Esdra e Neemia. Tuttavia, l’indipendenza politica era finita. Solo una breve ripresa si ebbe, dopo il dominio di Alessandro e l’avvento dei suoi successori prima tolomei e poi seleucidi, con i Maccabei, che reagirono all’ellenizzazione del Paese, e gli Asmonei. Ma le lotte intestine tra le fazioni religiose minarono lo Stato: i romani intervennero e nel 63 a.C. Pompeo conquistò Gerusalemme, sottoponendo a tributo la Giudea. Dopo un periodo di notevole decadenza, a causa dello sfruttamento esercitato dai procuratori romani, l’idumeo Erode riuscì a farsi eleggere re come vassallo dei romani. Ma alla sua morte (4 a.C.) il Paese fu nuovamente travagliato dalle lotte fra i pretendenti alla successione, dai saccheggi e dalle violenze dei procuratori romani, tra cui Ponzio Pilato, sotto il quale ebbero luogo il processo e la condanna di Gesù. Un’insurrezione provocò l’intervento militare romano nel 66 d.C.; e Tito nel 70 prese e bruciò Gerusalemme. Una nuova rivolta, scoppiata nel 132 e guidata da Bar Kokeba, portò alla distruzione definitiva della città (135) da parte di Adriano, che la sostituì con la romana Aelia Capitolina vietando agli e. di risiedervi. La fine di un’entità politica ebraica in Palestina e la distruzione del tempio di Gerusalemme accentuarono il fenomeno della diaspora (già sviluppatosi da secoli attraverso la costituzione di importanti comunità in Babilonia, in Egitto e, in generale, nel bacino del Mediterraneo), privando quest’ultima di un punto di riferimento territoriale. Nei secoli successivi la comunità palestinese perse sempre più importanza (anche in seguito a successive conversioni al cristianesimo e all’islamismo), mentre le principali sedi di elaborazione della cultura ebraica sarebbero diventate dapprima Babilonia, poi la Spagna musulmana, infine l’Europa centrorientale.
Nell’impero bizantino, fino alla conquista di Costantinopoli (1453), gli e., soggetti fin dall’epoca giustinianea a persecuzioni e restrizioni, costretti spesso, nel corso della storia, ad abbracciare con la forza il cristianesimo, parteciparono tuttavia alla vita economica dello Stato (specialmente nell’industria della seta e della porpora). In Italia, dove per la persistenza del diritto romano gli ebrei godevano di una sorta di cittadinanza, anche se dimidiata, la condizione degli ebrei peggiorò, sia pur senza gravi persecuzioni, nel corso del 13° secolo. Il Concilio lateranense del 1215 impose loro di portare un segno distintivo e numerose altre discriminazioni. Alla fine del Duecento, gli e., presenti nei secoli precedenti soprattutto nell’Italia meridionale e a Roma, cominciarono a spostarsi verso il Centro-Nord, chiamati ad esercitare il prestito in decine di città e comuni dell’Italia centrosettentrionale. Intanto, le persecuzioni scatenate dagli Angiò nel 1292 avevano già parzialmente distrutto il mondo ebraico meridionale: una distruzione completata, alla fine del Quattrocento, dalla dominazione spagnola. Gli e. siciliani e sardi condivisero nel 1492 l’espulsione dalla Spagna. Più graduale fu l’espulsione dal regno di Napoli, dove dopo il 1541 non vi furono più ebrei. In Francia, dove gli e. avevano goduto di una notevole stabilità e prosperità durante il periodo carolingio, la nascita della monarchia portò a vaste persecuzioni e poi all’espulsione degli e., prima, e provvisoriamente, nel 1306 e nel 1322, poi definitivamente nel 1394. Più tarda, fra il 1498 e il 1501, l’espulsione dalla Provenza. In Inghilterra, l’altra grande monarchia nazionale europea, gli e. erano stati espulsi già nel 1290. Nell’impero, dove si erano stanziati fin dal 9° secolo, gli e., che godevano dello status giuridico di servi della cancelleria imperiale, godevano in una certa misura della protezione imperiale. Nel 1096, però, le comunità renane furono distrutte da bande marginali della prima crociata e da allora in avanti la loro condizione continuò a precipitare, attraverso i massacri legati alla peste nera del 1348, e poi all’ondata di espulsioni e violenze tra Quattrocento e Cinquecento. È in questo periodo che la predicazione dell’italiano Giovanni da Capestrano suscitò violenze e massacri, e che molte città imperiali, tra cui Vienna nel 1421, si decisero a espellere gli ebrei. Nella Penisola Iberica, dove la presenza ebraica era antica e radicata, gli e. subirono violenze e persecuzioni forzate sotto i visigoti, e vissero in uno stato di relativo equilibrio sotto i musulmani fino al 12° secolo, quando la conversione forzata imposta tanto a loro che ai cristiani dalla nuova dinastia degli Almohadi li spinse a sostenere la Reconquista cristiana. Sotto i re cristiani godettero di relativa tranquillità e rappresentarono una presenza non marginale, in particolare nelle città. La svolta avvenne nel 14° secolo, facilitata dai conflitti civili sorti all’interno dei regni spagnoli. Nel 1391 un’ondata di massacri e di violenze provenienti dal basso distrusse buona parte del mondo ebraico spagnolo, e successivamente la pressione conversionistica spinse al battesimo migliaia e migliaia di ebrei. Nel corso del Quattrocento, mentre il mondo ebraico spagnolo cominciava a recuperare, furono i conversos a essere messi sotto accusa, sospettati di essere dei marrani, cioè di giudaizzare nascostamente. Nel 1478, per vegliare sulla loro ortodossia, fu creata l’Inquisizione spagnola. Nel 1492, subito dopo la presa del regno di Granada e l’unificazione cristiana della Spagna, fu emanato da Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia il decreto che intimava a tutti gli e. che non accettassero il cristianesimo l’espulsione. Poco dopo essi furono banditi anche dal Portogallo (1496). Nell’Europa orientale, la presenza ebraica divenne significativa solo a partire dal 16° secolo, se si eccettua l’episodio, fortemente permeato di leggenda, della conversione all’ebraismo, fra l’8° e il 9° secolo, dei Cuzari, popolazione di origine turca stanziata nella Russia meridionale. Le persecuzioni in Germania, nel corso del Trecento e Quattrocento, spinsero molti e. in Polonia. Iniziava così nel Cinquecento la crescita dell’ebraismo polacco, e più tardi russo, che avrebbe reso gli e. dell’Europa orientale, a partire dal 18° secolo, la presenza ebraica più numerosa in Europa. Nei Paesi islamici, la condizione degli e. fu in complesso migliore che nei paesi cristiani anche se gli e., come del resto i cristiani, furono assoggettati a una tassa speciale e a numerose restrizioni.
In età controriformistica, la situazione degli e. peggiorò anche in Italia, in particolare nei territori soggetti alla Chiesa, dove pure non c’erano state, e non vi saranno, espulsioni. Tipicamente italiano, anche se con precedenti in Germania e in Spagna, è il fenomeno del ghetto, un quartiere speciale in cui gli e. vivevano chiusi da mura e portoni, liberi di uscirne solo durante il giorno, sottoposti a forti pressioni conversionistiche. Iniziato a Venezia nel 1516, poi a Roma nel 1555, il ghetto si estese presto a tutte o quasi le località italiane dove vivevano ebrei. Una delle poche eccezioni fu Livorno, dove nel 1590 e. di origine conversa, cioè marrani, furono chiamati a formare una comunità e a dar vita al porto franco di Livorno. In Inghilterra, gli e. furono riammessi durante la Restaurazione, sotto Carlo II, dopo che Cromwell non era riuscito a farne accettare il ritorno. In Olanda, dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Spagna, gli e. portoghesi, tutti marrani, formarono all’inizio del Seicento importanti comunità. Quella di Amsterdam si segnalò in particolare per il suo ruolo economico e culturale. In Polonia dove gli e. godettero fino alla metà del Settecento di notevoli autonomie amministrative, con il cosiddetto Consiglio delle Quattro Terre, creato a Lublino nel 1580, si verificarono nel 1648 terribili massacri ad opera dei cosacchi in rivolta contro i polacchi. L’esplosione messianica di Sabbatai Zevi, un e. di Smirne che nel 1665 si proclamò Messia e finì per convertirsi all’islam, toccò più il mondo sefardita, di origine spagnola, che quello askenazita, tedesco e polacco, ma il fallimento del progetto messianico non è senza rapporti con il crescere in molta parte della Polonia, nei primi decenni del Settecento, del movimento hassidico, tradizionalista ma fortemente innovatore di quella stessa tradizione. Un movimento europeo tendente all’emancipazione, cioè al raggiungimento per gli e. dei diritti civili e politici, si ebbe soltanto nel 18° sec., nella scia delle discussioni sulla tolleranza e la religione naturale, e soprattutto col diffondersi dell’Illuminismo. La Dichiarazione d’indipendenza (1776) e la Costituzione americana (1787) riconobbero i diritti degli e. alla pari di quelli degli altri cittadini. Nel 1781 l’imperatore Giuseppe II emanò per gli e. l’editto di tolleranza; la parità piena dei diritti degli e. fu riconosciuta nel 1791 nella Francia rivoluzionaria. Nel 1848 ottennero l’emancipazione gli e. dello Stato sabaudo e successivamente, con il progredire del processo unitario, quelli delle altre regioni italiane. Dopo il 1870 in tutti gli Stati dell’Europa occidentale (dove rappresentavano minoranze più o meno cospicue) gli e. godevano ormai della piena emancipazione, sia pur con gravi resistenze (➔ ). Ben diversa rimase a lungo la situazione delle comunità ebraiche, di gran lunga più numerose, viventi nei Paesi dell’Europa orientale: in Russia l’emancipazione fu decretata soltanto nel 1917, allorché, con l’avvento del bolscevismo, gli e., che vi avevano sofferto persecuzioni e massacri (pogrom), ottennero l’uguaglianza civile e politica; in Polonia e negli altri Stati dell’Europa centrorientale, dopo la Prima guerra mondiale. L’avvento del nazismo, con il suo particolare odio antiebraico, portò a leggi di esclusione, persecuzioni, e al tentativo di sterminare completamente l’ebraismo in tutta Europa, che causò, nella Shoah, l’uccisione di circa sei milioni di e., tra massacri e campi di sterminio. In Polonia fu sterminato quasi il 90 % degli ebrei. La convinzione che solo la nascita di uno Stato ebraico indipendente avrebbe potuto risolvere il problema ebraico e proteggere gli e. dall’antisemitismo, espressa da T. Herzl in Der Judenstaat (1896), insieme con il nascere di aspirazioni nazionali anche da parte del popolo ebraico, fu alla base del movimento sionista che, a partire dalla fine del sec. 19°, e soprattutto durante l’occupazione britannica della Palestina (1917-48; dal 1922 mandato della Società delle nazioni), promosse la creazione di colonie ebraiche nel Paese ponendo le premesse per la fondazione (15 maggio 1948) dello Stato di Israele.