eguaglianza
Valore fondamentale di ogni democrazia
L'eguaglianza di tutti davanti alla legge è, assieme alla libertà, un diritto fondamentale dell'uomo e una delle regole-base di una convivenza democratica. Nel nostro paese l'eguaglianza è garantita dall'articolo 3 della Costituzione. Le costituzioni democratiche assicurano inoltre l'eguaglianza dei cittadini attraverso la libera partecipazione alla vita politica e mirano a garantire pari opportunità nella vita sociale, cioè a offrire a tutti le stesse possibilità di crescita e di affermazione personale e professionale
Di eguaglianza si parla in molti sensi: innanzi tutto come eguaglianza formale e politica. La prima consiste nel fatto che tutti i membri della società sono assolutamente uguali nei diritti e doveri senza distinzione di sesso, origine, razza, ricchezza, convinzioni religiose o politiche, e non devono subire discriminazioni. L'eguaglianza politica, invece, sta nel fatto che ogni cittadino ha uguale diritto di voto e può a sua volta essere eletto.
Questi ideali di libertà e di eguaglianza si sono venuti affermando in Europa e negli Stati Uniti alla fine del Settecento, dopo una lunga lotta contro i regimi monarchici e assolutistici (e contro la Gran Bretagna per le colonie americane) che riconoscevano, tra l'altro, privilegi e differenze di status giuridico alle classi aristocratiche. Essi hanno trovato espressione nelle dichiarazioni dei diritti della storia inglese (a cominciare dalla Magna charta libertatum, 1215) e soprattutto nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino approvata dall'Assemblea costituente francese nel 1789, in cui l'enunciazione di tali principi gettava le basi di un nuovo ordine politico (Rivoluzione francese).
Aristotele afferma nella Politica il principio dell'eguaglianza distributiva: essa consiste nell'attribuire parti uguali a soggetti uguali; cioè tutti coloro che sono uguali rispetto a qualche caratteristica specifica (per esempio sono maschi e adulti) devono ricevere parti uguali. Nella vita della pòlis (la città-Stato dell'antica Grecia), al momento della distribuzione di benefici, o dell'assegnazione di compiti e oneri, tutti i cittadini contano per uno e nessuno conta di più degli altri.
Ma l'egualitarismo, secondo Aristotele, può essere inteso anche come eguaglianza proporzionale, o eguaglianza dei rapporti.
Si fa qui riferimento a una giustizia che regola l'attribuzione dei beni in base a un criterio dato, distribuendo quindi parti differenti in base alla proporzione per cui i soggetti differiscono tra loro. Per fare un esempio, se utilizziamo il criterio ‒ o proporzione ‒ del merito, daremo di più ai più meritevoli e di meno a coloro che lo sono stati meno (è questo il criterio dell'attribuzione dei voti a scuola).
Quanto più una persona merita, tanto maggiore sarà la sua ricompensa; ma è pur sempre una regola egualitaria, perché parti uguali vanno a persone di meriti uguali.
Parlando di eguaglianza proporzionale, possiamo tuttavia utilizzare anche altri criteri e istituire, per esempio, una proporzione sulla base del bisogno: in questo caso avremo che chi ha più bisogno, riceverà di più.
Questo criterio di eguaglianza proporzionale è quello che negli Stati moderni si applica ai sistemi di tassazione: i cittadini non pagano le tasse in parti uguali, bensì in base al reddito, e i più ricchi sono chiamati a dare una somma maggiore rispetto ai meno ricchi.
Per Aristotele gli uomini non sono uguali tra loro per natura, bensì alcuni nascono con particolari doti e abilità e si rivelano adatti a comandare, altri, meno capaci, sono invece idonei a lavorare come servi.
È nello stoicismo, e poi soprattutto con il cristianesimo, che si afferma l'idea che tutti gli uomini sono uguali per dignità.
Il cristianesimo, proclamando tutti gli uomini fratelli in quanto figli di Dio, ha posto il principio che davanti a Dio non vi sono differenze né di stirpe aristocratica, né di sesso, né di classe sociale: l'ebreo e il greco, lo schiavo e il libero, l'uomo e la donna sono tutti uguali.
Con il passare dei secoli questi ideali hanno subito un processo di secolarizzazione (si sono cioè spogliati dei loro significati religiosi), trovando un solido ancoraggio nel concetto di ragione. Si è messo così in risalto che determinate situazioni di disuguaglianza, storicamente e socialmente determinate, sono in contrasto con le esigenze della ragione, cioè non sono razionalmente giustificabili.
Il grande teorico moderno dell'eguaglianza è Jean-Jacques Rousseau. Questi, nel Discorso sull'origine della disuguaglianza (1755), teorizza che tutti gli uomini nascono uguali per natura e sono poi la società, la storia e il progresso che li rendono disuguali. A partire da un originario stato di natura, descritto come condizione primitiva, asociale e poco più che animalesca, si sono poi venuti a creare rapporti di disuguaglianza, ma non a causa di differenze naturali e originarie, bensì in seguito a eventi casuali che hanno permesso ad alcuni di accaparrare beni e di occupare terre, costringendo gli altri a vendere il proprio lavoro per sopravvivere. Su questa base iniqua è stato costruito lo Stato, che ha sanzionato disuguaglianza e sopraffazione.
Alla moderna società civile, così costituitasi, Rousseau oppone la Repubblica che nascerà da un contratto sociale equo e che porterà all'instaurazione di un'eguaglianza giuridico-politica basata sull'autogoverno, cioè sul governo diretto di tutti i cittadini che così si trovano ad esercitare il potere sovrano senza delegarlo a rappresentanti.
Queste idee si ritrovano in Karl Marx, che intende l'eguaglianza come una conseguenza dell'autogoverno dei produttori (cioè della classe operaia). È questa infatti la vera democrazia sostanziale che, con l'aggiunta dell'abolizione della proprietà privata, crea le condizioni dell'eguaglianza. Rousseau invece prevedeva un regime di proprietà limitata, con piccoli proprietari che producono in vista del solo soddisfacimento dei bisogni in un'economia che non conosce sviluppo. Nella produzione del superfluo, che crea falsi bisogni e una continua espansione della domanda, Rousseau vede infatti il principale nemico dell'eguaglianza e della libertà degli uomini.
Alla concezione di eguaglianza sviluppata nell'ambito del pensiero politico liberale sono state poste importanti obiezioni; in particolare, pensatori anarchici e socialisti hanno sostenuto che tale eguaglianza è soltanto formale e si scontra con la disuguaglianza sostanziale (dei beni e nella distribuzione delle ricchezze), caratteristica delle moderne società: la vera eguaglianza è invece l'eguaglianza delle condizioni economiche. La conseguenza è quella di mettere in discussione il diritto di proprietà, in quanto tale diritto finisce per creare inevitabilmente condizioni di dominio e di schiavitù.
L'ideale egualitario proposto in alternativa da Marx è il principio di dare "a ciascuno secondo il proprio bisogno", che dovrà sostituire il principio, ancora meritocratico, di dare "a ciascuno secondo il proprio lavoro".
Nel 20° secolo teorici del comunismo hanno sostenuto la necessità, per creare le condizioni di una società realmente egualitaria, di un uguale trattamento di tutti i cittadini sotto svariati aspetti della vita personale e sociale: l'eguaglianza di occupazione (la partecipazione degli intellettuali ai lavori manuali), di consumi (mangiare e vestirsi tutti in maniera simile) e di educazione nelle scuole di Stato avrebbe eliminato le disuguaglianze delle caratteristiche personali e avrebbe prodotto infine una vera comunità di eguali.
Oggi si ritiene che lo Stato dovrebbe garantire ai cittadini anche un'eguaglianza delle opportunità, rimuovendo quegli ostacoli che possono impedire lo sviluppo di una personalità autonoma dal punto di vista culturale e professionale. La società, cioè, dovrebbe garantire a tutti le stesse condizioni di partenza; pertanto se qualcuno parte svantaggiato (socialmente, culturalmente, geograficamente) dovrebbero intervenire correttivi.
È per questo che, per esempio, lo Stato cura l'educazione scolastica dei ragazzi, con l'obbligo di frequentare la scuola primaria e secondaria fino a una certa età e con un sistema di borse di studio per aiutare chi voglia proseguire gli studi a livello universitario.
Il principio dell'eguaglianza delle opportunità si occupa quindi della redistribuzione dell'accesso a varie posizioni nella società: se a tutti è dato un punto di partenza uguale, il ruolo e i guadagni che ciascuno otterrà dipenderanno il più possibile dalle doti naturali e dall'impegno personale dei singoli, e il meno possibile da privilegi o vantaggi su base familiare o sociale.