Originariamente, presso i Latini, la parola, il detto della divinità, quindi il destino irrevocabile fissato fin dal principio e a cui nessuno si può sottrarre, e perciò la morte; al plurale, i detti del veggente che indicava il futuro e le personificazioni del destino, le Moire, le Parche, chiamate appunto anche Fata o tria Fata.
Storicamente, i vari modi di intendere il f. si intersecano e si confondono, collegandosi, nel mondo antico, anche alla concezione della causalità dei cieli nel corso degli eventi terrestri.
Fatalismo è in generale, ogni concezione che consideri il mondo come governato da un f. irrevocabile.
Nella storia, il fatalismo ha assunto diverse forme, presentandosi in rapporti diversi con la religione e la morale, secondo la concezione stessa del f., inteso anche come legge irrazionale. Strettamente connesso è il problema del rapporto tra f. e libertà umana, ora contrapposta al f., ora, all’opposto, identificata con la piena accettazione della suprema legge di razionalità che si presume regoli il corso degli eventi. Nel mondo ellenistico il f. fu oggetto di ampia discussione fra gli aristotelici, gli stoici, gli gnostici, i neoplatonici e nelle religioni soteriologiche, con una ricca fioritura di trattati De fato (come quello di Alessandro di Afrodisiade). Le religioni monoteistiche escludono l’idea di un f. e alcuni scrittori cristiani si opposero all’uso del termine; in s. Tommaso tuttavia esso sta a significare il complesso delle cause finite preordinate, per il conseguimento di un dato effetto, da Dio che nella sua onnipotenza è però libero di agire quando e come alla sua sapienza paia opportuno. Il problema, trasformato in quello della predestinazione, è stato lungamente discusso dai teologi del cristianesimo e dell’islamismo.