(gr. Φαίδρα, lat. Phaedra) Figlia di Minosse e di Pasifae, sorella di Arianna, diviene moglie di Teseo che l'aveva portata con sé nella fuga da Creta. Secondo l'elaborazione del mito fatta da Euripide in due tragedie (un Ippolito velato, non giunto a noi, e poi l'Ippolito coronato) F., presa da folle amore per il figliastro Ippolito, casto seguace di Artemide, e da lui respinta, si uccide accusando Ippolito di aver tentato di sedurla, provocandone così la morte. Sembra che nell'Ippolito velato la confessione del proprio amore fosse fatta da F. stessa, in una scena che spiacque agli Ateniesi per la sua crudezza; nell'Ippolito coronato è la nutrice che svela al giovane l'amore di F., ispirato del resto da Afrodite che con quella passione intende punire il disdegno di Ippolito. Nell'insieme della tradizione antica a lei relativa, F. appare strettamente connessa con altre figure femminili che si presentano quali mogli o amanti di Teseo (Arianna, Egle, Antiope), tutte caratterizzate nel nome dall'attributo della luminosità e della visibilità; ciò ha indotto gli interpreti a ravvisare in esse una grande divinità lunare. Il tema dell'amore respinto, che determina la vendetta in forma di calunnia, interpretato come motivo novellistico, è invece profondamente radicato in un terreno autenticamente mitologico (lo stesso avviene nel mito di Antea o Stenebea, moglie di Preto, per Bellerofonte) anche fuori del mondo greco.
Oltre Euripide, trattarono di F. Sofocle, Licofrone, Seneca, e, in età moderna, R. Garnier nella tragedia Phèdre et Hippolyte (1573), J. Racine in Phèdre (1677), A. Ch. Swinburne nel poemetto drammatico Phaedra (1866), e G. D'Annunzio nella tragedia omonima (1909). Tra le opere musicali ispirate a F. si ricordano quelle di Ch. W. Gluck (1745), di G. Paisiello (1787), di G. S. Mayr (1820), di I. Pizzetti (dalla F. del D'Annunzio, 1915); e le musiche di scena di J. Massenet (1900) e di A. Honegger (1926).