D'Annunzio, Gabriele
Scrittore e politico (Pescara 1863-Gardone Riviera, Brescia, 1938). Fu uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo. Dotato di una vasta cultura, mostrò una notevole capacità di assimilare le nuove tendenze letterarie e filosofiche, rielaborandole in un suo stile peculiare. Tra i molti generi letterari da lui praticati, ebbe una predilezione per la poesia lirica (Primo vere, 1879; Canto novo, 1882). Nel 1888 si trasferì a Roma, dove a contatto con l’aristocrazia capitolina trovò ispirazione per il romanzo Il piacere (1889). Durante un soggiorno a Napoli (1891) si interessò alle opere di F. Nietzsche e R. Wagner. L’influenza di Nietzsche traspare nei romanzo Trionfo della morte (1894) e Le vergini delle rocce (1896). L’adesione al modello del superuomo nietzschiano, alimentata dalle affinità psicologiche e culturali, risultò decisiva nella successiva produzione dannunziana. L’incoraggiamento a scrivere per il teatro gli venne dalla grande attrice E. Duse, con cui ebbe una tormentata relazione. In pochi anni D’A. compose le sue opere principali, dal romanzo Il fuoco (1900), alla tragedia pastorale La figlia di Iorio (1904). Nel 1897 fu eletto deputato, passando con clamore dalle file della destra a quelle dell’estrema sinistra; ma nel 1910 tornò a destra, aderendo all’Associazione nazionalistica italiana di E. Corradini. Dopo essere riparato in Francia per sottrarsi ai creditori (1910), tornò in Italia e nel 1915, invitato a Quarto per inaugurare il monumento ai Mille, avviò un’accesa campagna interventista. Si arruolò quindi volontario, distinguendosi in alcune audaci azioni, tra cui la «beffa di Buccari» (1918) o il volo su Vienna, che gli costò la perdita di un occhio. Dopo la fine della guerra, fu tra i principali propagandisti del mito della «vittoria mutilata». Nel 1919 guidò una spedizione di reduci, partendo da Ronchi (poi detta «dei Legionari») e giungendo a Fiume (che era sotto controllo alleato e di cui si chiedeva l’assegnazione all’Italia); occupata la città con un colpo di mano paramilitare, istituì la Reggenza italiana del Carnaro, tenendone il controllo per più di un anno e redigendo con A. De Ambris una Carta del Carnaro a sfondo corporativista. Nel dic. 1920 fu infine sgomberato dall’esercito italiano. Ritiratosi nella villa Cargnacco, in quello che poi avrebbe chiamato il «Vittoriale degli Italiani», sul Lago di Garda, fu colto alla sprovvista dal colpo di mano di Mussolini, che aveva appoggiato l’impresa fiumana e a essa probabilmente si era ispirato. Con il dittatore fascista D’A. intrattenne un rapporto difficile, apparentemente amichevole e di reciproca ammirazione, ma in realtà minato dal sospetto; D’A. si vide quindi confinato nel Vittoriale e dissuaso da qualsiasi interferenza politica, in cambio del massimo riguardo formale e di non poche concessioni (nel 1924 fu creato principe di Montenevoso; poté sovrintendere all’edizione nazionale delle sue opere; nel 1937 divenne presidente dell’Accademia d’Italia).