GERMANIA
(XVI, p. 667; App. I, p. 650; II, I, p. 1031; III, I, p. 729; IV, II, p. 40)
La crisi dei governi di tutta l'Europa orientale ha reso possibile la riunificazione delle due G. in un solo stato con una rapidità stupefacente: nessuno dei 100.000 manifestanti di Lipsia del 9 ottobre 1989 pensava che il 18 marzo successivo i Tedeschi dell'Est avrebbero votato per decidere sull'unificazione, che il 3 ottobre 1990 sarebbe stata proclamata la nascita della nuova G. e che il 2 dicembre 1990 avrebbero votato insieme gli abitanti della G. occidentale e quelli della G. orientale per eleggere un Parlamento unificato. Nel nuovo assetto la G. ha una superficie di 356.953 km2. La popolazione ammontava all'inizio del 1990 (secondo le stime) a 79.070.000 ab., un valore superato nel continente solo dalla Russia. La densità, pari a 222 ab./km2, è più che doppia rispetto alla media continentale. Per valutare appieno il dato va considerato che la popolazione tedesca ha registrato una diminuzione di circa 300.000 ab. rispetto al decennio precedente. Osservando analiticamente i due settori, la parte occidentale, con 60.505.000 ab., assomma l'intero decremento. La densità per km2 è naturalmente diminuita anch'essa, pur rimanendo nettamente superiore alla media europea. Attualmente si contano circa 240 ab./km2 nella G. occidentale e 172 nell'orientale. La dinamica demografica, tuttavia, è migliore di quanto appaia da queste cifre, dato che la tendenza alla diminuzione, durata per oltre un decennio, si è arrestata nella seconda metà degli anni Ottanta: dal 1986 la popolazione è risultata stazionaria nel settore orientale e in leggero aumento in quello occidentale.
Fino al momento della decisione di riunirsi in un unico stato, la popolazione si era spostata in prevalenza a breve raggio, principalmente nell'ambito delle rispettive ripartizioni amministrative. Il flusso città-campagna ha prevalso su quello inverso e il fenomeno ha assunto connotati particolarmente evidenti nella parte occidentale, la cui economia ha imboccato la fase ''post-industriale''. Hanno registrato diminuzioni di popolazione tutte le città maggiori (Berlino, Monaco, Colonia, Amburgo, Brema, Lipsia), con la sola eccezione del settore orientale di Berlino. La popolazione è giunta qui a 1.271.300 ab., quasi 195.000 unità in più del decennio precedente. Riguardo alla densità di popolazione a livello di Länder risultano nel settore occidentale fortissime diminuzioni per Brema, Amburgo e Berlino. Il fenomeno ha connotati meno vistosi di quanto non possa apparire perché le aree metropolitane travalicano, a volte, i confini dei tre Länder (la cui superficie complessiva raggiunge appena l'area del comune di Roma) e un semplice spostamento di residenza dal centro alla periferia può comportare il trasferimento in Bassa Sassonia o nello Schleswig-Holstein.
Nell'insieme della G. occidentale un lieve spostamento di popolazione si è verificato in direzione del Baden-Württemberg e della Baviera, cioè verso sud-est, a partire dai tre quinti più settentrionali del territorio, nei quali si è registrata una lieve diminuzione. Nella G. orientale invece la leggera diminuizione di densità è avvenuta in misura pressoché omogenea, avendo interessato un po' tutte le regioni. Nella G. orientale, inoltre, va segnalato l'avvio di una profonda ristrutturazione amministrativa del territorio. I precedenti 14 Bezirke sono stati raggruppati in 5 Länder: Meclemburgo-Pomerania Anteriore, Brandeburgo, Sassonia-Anhalt, Sassonia e Turingia; il Bezirk di Berlino è stato riunito con Berlino occidentale, costituendo il sedicesimo Land del nuovo stato. Un passaggio di persone dall'Est all'Ovest proseguì ininterrotto, pur se fortemente diminuito, in virtù di taciti accordi intercorsi tra i due settori. Con il processo di riunificazione avviato e concluso in modo tanto imprevisto quanto accelerato, le proiezioni relative a variazioni e spostamenti di popolazione nel prossimo futuro sfuggono alle previsioni demografiche in senso stretto, diventando piuttosto materia di studio e congetture di sociologi, politologi ed economisti. Al momento della riapertura dei confini si è registrato, secondo le previsioni, un movimento in senso est-ovest di grandi proporzioni; tale movimento, però, è diminuito con altrettanta rapidità, sotto l'influsso di due fenomeni: dopo l'entusiasmo etnonazionalistico dei primi momenti, la popolazione occidentale ha cominciato a vedere i nuovi arrivati come possibili competitori sul piano lavorativo e professionale; i potenziali emigranti dell'Est hanno constatato come la vita nei paesi a economia di mercato offra grandi possibilità, ma comporti ritmi più sostenuti e una competitività molto più accesa di quella alla quale erano abituati.
Nella seconda parte degli anni Ottanta gli indici demografici vedevano la parte occidentale attestata su una natalità dell'11ı con una mortalità pari all'11,2ı, mentre nel settore orientale la natalità, circa 13ı, si manteneva superiore alla mortalità, che non giungeva al 13ı. La popolazione avrebbe dovuto, di conseguenza, diminuire a Ovest e aumentare a Est; è accaduto però il contrario, dato il perdurante flusso verso le regioni occidentali. Dal punto di vista strettamente demografico, all'Ovest viene valutato con favore il perdurare del flusso dall'Est, in quanto questo potrebbe riportare il segno positivo nel movimento naturale. Da tempo, infatti, si vedeva con timore non tanto la progressiva diminuzione, quanto l'inesorabile invecchiamento della popolazione. Chi invece teme maggiormente una nuova forte immissione di Tedeschi dall'Est, preoccupandosi legittimamente per il proprio posto di lavoro, è la numerosissima colonia dei Gastarbeiter stranieri, che nel 1989 erano 5.037.072. Un terzo di questi sono Turchi, cui si aggiungono 600.000 Iugoslavi, 550.000 Italiani e 300.000 Greci. L'imponente colonia straniera, un tempo costituita quasi esclusivamente da maschi, è ormai composta in buona parte da famiglie, e con una dinamica demografica ben più vivace di quella tedesca.
Condizioni economiche. - Il processo di assimilazione dell'ex DDR (Deutsche Demokratische Republik) da parte della G. occidentale appare destinato, nel lungo periodo, a dare risultati positivi, facendo leva sul connubio ottimale fra capitale e tecnologie occidentali, da un lato, e forza lavoro e ampio spazio di mercato dall'altro. Ma i costi sociali ed economici di breve periodo sono risultati ancora più ingenti del previsto, dato l'enorme divario delle due realtà da integrare. All'inizio dell'esperimento, a un'economia occidentale florida e in piena crescita si contrapponeva a Est un'economia dissestata come poche altre, i cui tratti distintivi erano: livelli di produttività pari al 30÷35% di quelli occidentali; salari medi lordi pari a un terzo e redditi familiari pari alla metà; una struttura dei prezzi e dei salari distorta, abbinata a politiche interventiste e assistenziali; imprese fortemente indebitate e con capitale obsoleto; enormi problemi ambientali (soprattutto con riferimento ai settori chimico e dell'energia); storiche carenze nella distribuzione dei prodotti, con totale assenza dei beni voluttuari; più della metà del volume degli scambi commerciali realizzata nell'intelaiatura dirigistica del Comecon; un debito estero superiore ai 16 miliardi di dollari.
La strategia adottata dal governo tedesco in tale quadro ha puntato a forzare le tappe dell'integrazione, convogliando capitali a Est prima che la manodopera affluisse tutta all'Ovest in cerca di fortuna, e imponendo anche ai Länder orientali quella Ordnungspolitik (libero gioco del mercato in un quadro finanziario e istituzionale stabile e certo) su cui si era fondata la miracolosa espansione dell'economia della G. federale dopo il 1945.
In questo contesto un ruolo centrale è stato assegnato all'azione di privatizzazione della Treuhandstalt che con il suo patrimonio di quasi 11.000 imprese (7 milioni di dipendenti) è la maggiore agenzia industriale del mondo. Nel novembre 1991, nel territorio dell'ex DDR era già stata ridefinita la posizione di 4125 imprese, delle quali 2467 vendute al settore privato (223 a stranieri), 463 restituite ai proprietari precedenti, 250 trasferite ad autorità locali e 636 chiuse perché improduttive e prive di prospettive di recupero, senza concessioni a logiche assistenziali.
Le difficoltà nel processo di ristrutturazione e riconversione industriale possono sintetizzarsi in un aumento del tasso di disoccupazione e in uno straordinario impegno finanziario che si è tradotto in un disavanzo pubblico del 4% nel 1991.
In quello stesso anno, mentre nella G. occidentale la produzione cresceva del 2%, nell'Est diminuiva del 20%. Nella G. occidentale risultavano disoccupati o occupati a orario ridotto 1.850.000 lavoratori (6,3% della popolazione attiva), a Est 2.750.000 (39%). I Länder orientali incidevano per il 22% della popolazione, ma solo per il 13% degli occupati a tempo pieno e per il 7% del prodotto nazionale. Nella G. unificata gli occupati ammontavano a 36 milioni: 2,3 milioni in agricoltura (6%), 12,4 milioni nell'industria (34%), 2,5 milioni nell'edilizia (7%) e 18,8 milioni nei servizi e nella pubblica amministrazione (53%).
A una fase di transizione difficile, in cui si dovrà far fronte agli enormi problemi posti dall'unificazione di uno spazio economico dualistico e di due società assai diverse, è prevedibile che seguirà una fase di costruzione di una solida economia di mercato che dovrebbe consolidarsi alla fine degli anni Novanta. Previsioni economiche attendibili attribuiscono alle regioni orientali una crescita economica annua del 7%, a partire dal 1993, sufficiente a portare la crescita tendenziale dell'intera G. dal 3 al 4% annuo. I primi effetti trainanti sull'economia dell'Est potranno venire dall'ammodernamento delle infrastrutture, a cominciare dai sistemi delle vie di comunicazione (strade, ferrovie e idrovie), che si prestano a essere interconnessi con quelli dell'Europa orientale, favorendo in prospettiva l'integrazione dello spazio economico tedesco in un più ampio contesto geografico. I dati relativi alla vita economica del nuovo stato non sono ancora disponibili, si riportano quindi quelli relativi ai due settori nella fase immediatamente precedente la riunificazione.
Repubblica Federale di Germania. - Agricoltura. Nella G. occidentale il tentativo di rendere più razionale l'agricoltura aumentando la dimensione media delle aziende è proseguito, portandone il totale da un milione negli anni Settanta a 700.000 alla fine del decennio successivo; nel frattempo, peraltro, diminuiva anche il numero di agricoltori, che oggi superano appena 1,2 milioni di unità (4% della popolazione attiva). La superficie media di terreno arativo per azienda, su un totale di 7,2 milioni di ha, è quindi attualmente superiore a 10 ha. Il risultato è molto rilevante, considerando che nello stesso periodo saliva anche (per la diminuzione degli agricoltori) la superficie territoriale incolta e improduttiva, dal 16% al 22% del territorio complessivo. Questa tendenza ad aumentare le superfici medie, unita a una forte spinta per una razionale meccanizzazione, ha portato a conseguire in agricoltura risultati impensabili per quello che era il territorio più industrializzato del più industriale paese europeo. Nel contempo va rimarcata l'azione dei rappresentanti tedeschi in ambito CEE, che hanno saputo ben proteggere le produzioni per le quali il territorio aveva le migliori vocazioni, indirizzando contestualmente l'attività degli agricoltori verso quei settori che permettono i maggiori profitti. Il risultato, indubbiamente negativo in un'ottica europeistica, vede la G. occidentale produrre grandi quantità di prodotti notoriamente eccedenti da conservare in qualche modo nei magazzini comunitari, particolarmente nel settore dell'allevamento.
Oltre metà dell'area coltivata è suddivisa tra frumento e orzo, assolutamente prevalenti in tutta la parte meridionale; la produzione di orzo è inferiore ai 100 milioni di q, mentre quella del frumento li supera, il che ha portato la G. alla condizione assolutamente nuova di esportatrice di cereali. All'aumento della produzione di mais (circa 16 milioni di q) fanno riscontro le diminuzioni relative alla segale (scesa sotto i 18 milioni di q e limitata alle regioni settentrionali) e all'avena (circa 15,5). In forte diminuzione è la coltura delle patate (78 milioni di q), pur mantenendo sempre il primato nell'Europa occidentale, in aumento quella della barbabietola (oltre 3 milioni di t di zucchero; al secondo posto dopo la Francia). Aumenta pure la produzione del luppolo, collegata a quella dell'orzo per la birra, e tra le oleaginose predomina la colza; il tabacco è ridotto a poche aree nel Baden e nel Palatinato. Dopo un breve periodo di stasi la produzione di vino è salita oltre gli 11 milioni di hl, migliorando nel contempo la qualità: i vini bianchi delle valli dei fiumi meridionali (Mosella, Meno e Neckar, oltre al Reno) sono sempre più diffusamente venduti sui mercati internazionali. Il settore ortofrutticolo conserva i suoi primati continentali relativi a cavoli, mele, ciliege, susine.
Il patrimonio zootecnico ha registrato aumenti consistenti e i bovini sono prossimi ai 15 milioni, mentre i suini superano i 22,5; dopo un lungo periodo di diminuzione, sono oggi in aumento gli ovini e, fatto più sorprendente nel mondo d'oggi, gli equini. Diminuisce, invece, il numero di animali da cortile e, parallelamente, la produzione di uova. La produzione di carni (circa 54 milioni di q) è per due terzi di origine suina; pur se questo tipo di alimentazione è tradizionale, il dato fa comprendere come gran parte dei bovini sia destinata alla produzione di latte, burro e formaggi. Siamo, come nel caso del frumento, nel settore delle produzioni eccedentarie della CEE. In tema di produzione di alimenti proteici va invece registrata la forte diminuzione dell'attività peschereccia: per quella costiera la flottiglia è diminuita di un quinto, mentre i pescherecci oceanici sono scesi da 110 unità negli anni Settanta a 15 alla fine degli anni Ottanta (e sovvenzionati dal governo). Brema e Cuxhaven sono i principali porti pescherecci, ma il pescato, già sceso a 180.000 t, sta ancora diminuendo. Dai boschi (circa 7,4 milioni di ha, per oltre metà demaniali) si ricavano 35 milioni di m3 di legname.
Produzione mineraria e di energia. Due produzioni, quali quelle dei sali di potassio (2,7 milioni di t) e di sodio (7,2), mantengono i rispettivi primati per l'Europa occidentale, tuttavia non sono molto rilevanti sul piano mondiale, e ancor meno contano le produzioni di piombo, zinco, ferro. La produzione mineraria di maggiore rilevanza rimane sempre quella dei carboni fossili, con 71,5 milioni di t di antracite e 110 di lignite, ma l'evoluzione nel tempo non è certamente positiva: se la lignite registra una diminuzione lieve, per l'antracite il calo è stato di oltre il 20% in una dozzina di anni. Il bacino principale rimane quello della Ruhr, favorito anche dalla qualità, ottima per gli usi siderurgici, e dalla sviluppata rete di collegamenti per via d'acqua; ancor più a settentrione sono ubicati i principali giacimenti di lignite, in genere superficiali, il che rende l'estrazione abbastanza agevole. Il piano del governo prevede una risistemazione ambientale dei giacimenti sfruttati e, di norma, il fondo degli estesi sbancamenti viene in parte impermeabilizzato per poter ospitare specchi d'acqua, rimboschendo le rive. I giacimenti di idrocarburi del Mare del Nord non hanno rispettato le previsioni degli anni Settanta, evidentemente troppo ottimistiche, soprattutto per il petrolio; la produzione di questo non giunge a 4 milioni di t, quella di metano è scesa sotto i 15 miliardi di m3: principale zona produttiva è quella della foce dell'Ems. L'importazione di idrocarburi rimane quindi essenziale; un ruolo importante viene svolto dagli oleodotti del Mediterraneo (da Marsiglia per Karlsruhe e da Genova e Trieste per Ingolstadt), che hanno contribuito a decongestionare l'asse del Reno.
I gruppi ecologisti ''verdi'', sempre più diffusi nei Parlamenti europei, si sono sviluppati inizialmente proprio in opposizione alle centrali nucleari: il governo persegue un programma per la loro realizzazione, tentando di garantire la massima sicurezza. Le maggiori centrali, quali Biblis e Gudremmingen, sono diventate celebri per le contestazioni ambientalistiche. Le centrali in esercizio sono già 21 (e 4 in costruzione), con una potenza 3 volte superiore a quella idrica (sempre meno utilizzata) e una produzione 8 volte superiore (un terzo dell'elettricità totale). Il dato non è da poco, considerando che il consumo di energia pro capite dei Tedeschi è il più alto d'Europa. A Monaco ha sede uno dei più avanzati centri per le ricerche nel campo della fusione nucleare, il Max Planck Institute.
Attività industriali. Continuando una tradizione ormai più che secolare, la G. è sempre rappresentata ai massimi livelli in tutte le produzioni della grande industria; nonostante l'alto grado di automazione dei processi produttivi, il settore secondario vede impegnato tuttora il 40% della popolazione attiva. Se per quanto concerne le produzioni non si sono avute in pratica modifiche, si sono avuti mutamenti nella distribuzione delle attività (e di conseguenza dei redditi) tra i vari Länder. Si è già rilevato come le città settentrionali registrino diminuzioni di popolazione più accentuate di quelle meridionali, e anche gli oleodotti dal Mediterraneo testimoniano di una crescente attività in Baviera. La disoccupazione è oggi presente in molte aree carbonifere tradizionalmente ''forti'' della zona centrale (Mittelgebirge), dato che negli anni Ottanta il prezzo internazionale degli idrocarburi è stato stabile, se non in diminuzione. Simbolo di questi problemi e di una loro possibile soluzione è un progetto della città di Colonia che mira a installare nell'area di una vecchia industria ferroviaria un'ultramoderna tecnopoli: lo stesso territorio passerebbe dall'uso secondario addirittura al quaternario più avanzato. La crisi siderurgica a livello mondiale ha fortemente condizionato la Ruhr e le città del medio Reno, mentre la grande area carbo-chimica sulla confluenza Meno-Reno è costretta a minori riconversioni. Il costante progresso della produzione automobilistica nella seconda metà degli anni Ottanta ha portato a floridezza economica la regione tra il Neckar e le Alpi, tradizionalmente povera; le previsioni nel settore per il prossimo decennio, però, non sono troppo favorevoli. In minor misura questo è valido anche per le industrie elettriche e dell'elettronica, localizzate principalmente in Baviera. Alle produzioni affermate ormai da decenni (radio, televisori, strumenti ad alta fedeltà) si affiancano quelle di elaboratori elettronici, radar e tutti gli strumenti del genere, con gli altissimi livelli di precisione e affidabilità da tutti riconosciuti. Pur non potendo organizzare un esercito di tipo tradizionale (ma il non aver avuto spese militari è senza dubbio uno dei fattori della grande ripresa postbellica), il paese produce, soprattutto nella sezione meridionale, tutto il necessario per i più perfezionati sistemi d'arma.
Lo squilibrio regionale vede invertiti i termini dell'ultimo secolo: l'area meridionale è quella nettamente più vivace, il Centro-Nord è in crisi. Lo dimostra la Länderfinanzausgleich, cioè la compensazione finanziaria tra i vari Länder: ormai da qualche anno Baden-Württemberg, Baviera e Assia contribuiscono al risanamento dei bilanci di Renania settentrionale-Westfalia, Bassa Sassonia e delle altre regioni dalle quali avevano ricevuto contributi per decenni. Immutata, fino alla riunificazione, era la situazione di crisi della Zonenrandgebiet, il territorio al confine con il settore orientale. Analogamente in crisi era il Land di Berlino occidentale, come dimostra il primato negativo relativo alla diminuzione di abitanti; l'area edificata copre i sei decimi del territorio, meno del 2% è coltivato e la proibizione d'intaccare il verde è assoluta.
Comunicazioni. La rete ferroviaria si è ridotta di circa un decimo e misura circa 30.100 km, mentre quella stradale ha avuto un certo incremento, da 165.000 a 173.600 km; le autostrade sviluppano 8721 km, per un parco autoveicoli di oltre 34 milioni. Gli autocarri sono solo 2 milioni, dato il considerevole traffico espletato dalle chiatte nelle acque interne. Francoforte, sede della Lufthansa (compagnia aerea di bandiera), è uno dei maggiori nodi aeroportuali europei per le comunicazioni intercontinentali. La flotta commerciale conta circa 1180 navi, con una stazza complessiva di 4,3 milioni di t.
Repubblica Democratica Tedesca. - Agricoltura. L'importanza del settore è andata progressivamente diminuendo, tanto che la sua quota alla formazione del prodotto nazionale è scesa dal 14% all'8% (e analoga è stata la diminuzione dell'investimento nel settore). Anche il numero di aziende è diminuito, da quasi 7 milioni a 4,6 milioni. L'arativo è stato incrementato di circa 100.000 ha ed è ora appena inferiore ai 5 milioni di ha, ma ben maggiori sono stati gli aumenti di produzione, stante la grande diffusione nell'uso dei diserbanti. Tra i cereali l'orzo, con oltre 46 milioni di q, supera il frumento (35), mentre diminuisce la coltura più tradizionale della segale (21); diminuisce anche l'altra coltura tradizionale, quella delle patate, che con 91,7 milioni di q rimane pur sempre quella fondamentale. La produzione ortofrutticola non ha avuto grandi variazioni, salvo l'aumento delle mele (che, sempre astraendo dall'ex URSS, rafforzerà il primato continentale tedesco); tra le colture industriali prevalgono le barbabietole (62 milioni di q), per le quali la G. toglie il primato alla Francia. Grande attenzione ha avuto l'allevamento, con aumenti rilevanti nel settore dei suini, degli ovini e dei volatili (che contano rispettivamente oltre 12 milioni i primi, 2,6 i secondi e 49 i terzi); minore l'aumento dei bovini (5,7), ma curato qualitativamente, di modo che ben più sostanziali sono risultati gli incrementi nelle produzioni di latte, burro e formaggi. La pesca, altra fonte di proteine, ha una produzione che oscilla tra le 150.000 e le 200.000 t di pescato. L'utilizzazione delle foreste si mantiene costantemente superiore ai 10 milioni di m3 di legname.
Produzione mineraria ed energetica. Il settore minerario si basa sempre su due sole risorse, presenti tuttavia in forti quantità. Vengono estratti circa 310 milioni di t di lignite, un primato che nessun paese può avvicinare: la G. unificata produrrà il 30% del totale mondiale.
I bacini principali sono sempre quello centrale di Lipsia e quello meridionale di Senftberg. Per i sali potassici la produzione è giunta a 3,5 milioni di t, di modo che la G. supera il Canada come secondo produttore, con un quinto del totale mondiale: i distretti produttivi sono quelli di Bleicherode, Halle e Stassfurt (dove sono associati i sali di sodio). Modeste sono, come quelle del settore occidentale, le produzioni di ferro, zinco, rame, petrolio; sconosciute quelle di minerali radioattivi dei Monti Metalliferi, che però diventano sicuramente interessanti se sommate a quelle occidentali di Menzenschwand. A Rheinsberg è in funzione una centrale nucleare da 1,8 GW, ma le centrali termoelettriche del paese sono sempre basate sulle tecniche locali di cokerizzazione della lignite: la potenza installata è di 23 GW e la maggiore centrale è a Lübbenau.
Attività industriali. Con circa metà della popolazione attiva addetta al settore, le industrie forniscono i tre quarti del prodotto nazionale e delle esportazioni (includendo nel primo caso le costruzioni). La siderurgia, basata sulla lignite e su ferro importato, negli anni Ottanta ha avuto un forte incremento, giungendo a produrre 2,7 milioni di t di ghisa e 7,8 di acciaio nel 1989. Non si era risentita minimamente la crisi della siderurgia del mondo occidentale, le cui ripercussioni sono invece prevedibili nell'immediato futuro. La disponibilità di elettricità ha favorito lo sviluppo dell'elettrometallurgia dell'alluminio (53.900 t a Bitterfeld) e del rame. Le industrie meccaniche sono giunte a esportare anche nel mondo occidentale, e i vari piani economici hanno avuto come scopo lo sviluppo di Berlino, dove si può dire siano oggi fiorenti tutti i settori industriali, mentre altre città si distinguono per la presenza di limitate tipologie produttive. Potsdam è il centro di produzione delle locomotive; Brandeburgo e Turingia producono trattori e macchine agricole; Lipsia, Dresda ed Erfurt sono gli altri centri dell'elettrotecnica; Dresda, inoltre, si è affiancata a Jena per la produzione di impianti ottici, apparecchi fotografici e meccanica di precisione. Associata a queste produzioni è la vetreria, presente con lunga tradizione in Sassonia e Turingia, dove si affianca a un'altrettanto famosa industria della ceramica. Halle e Magdeburgo sono i principali centri della chimica di base, dei fertilizzanti e delle materie plastiche, mentre Suhl è il principale centro delle armi da fuoco (altro prodotto largamente esportato). Rostock è il porto di maggior movimento e ospita i principali cantieri navali.
La bilancia economica della G. orientale al momento dell'unificazione era leggermente attiva grazie alle esportazioni industriali e l'interscambio con l'Occidente era in progressivo aumento; anche in questo settore sono prevedibili ulteriori progressi. Nell'immediato futuro si nutre il timore di un forte aumento della disoccupazione, dati i ritmi produttivi ben più sostenuti che l'economia di mercato richiede sui posti di lavoro.
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Politica economica e finanziaria. - Repubblica Federale di Germania. - Dopo la recessione del 1981-82, l'economia della Repubblica Federale tedesca ha registrato una lunga fase di crescita accompagnata da tassi d'inflazione assai ridotti. La crescita è, tuttavia, risultata meno stabile che in occasione di precedenti fasi di espansione, e inferiore a quella conseguita da altri importanti paesi industriali.
In parte a causa di alcune rigidità strutturali nel mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione è rimasto intorno al 6,5% nel periodo 1983-88; nello stesso periodo la capacità utilizzata è stata elevata. Sull'andamento favorevole del tasso d'inflazione hanno influito i guadagni nelle ragioni di scambio, che, per il solo 1986 (in cui i prezzi al consumo sono diminuiti dello 0,5%), sono ammontati a circa il 3% del PNL.
Con l'eccezione del biennio 1986-87, periodo durante il quale la domanda interna ha fatto registrare tassi di aumento mediamente superiori di oltre un punto percentuale rispetto al PNL, negli anni Ottanta la crescita dell'economia è stata trainata dallo sviluppo delle esportazioni.
Dopo aver conseguito un tasso di sviluppo medio del 2% circa nel triennio 1984-86, nel 1987 il PNL, a causa della crescita più lenta di tutte le componenti della domanda interna, è aumentato di appena l'1,5%. Nel 1988, anche in seguito a una politica fiscale maggiormente espansiva, il tasso di sviluppo del PNL ha superato il 3,5%, mentre l'ampio avanzo di parte corrente è rimasto in valore intorno al 3% del PNL. La crescita è rimasta sostenuta anche nel 1989-91, con una punta del 4,5% nel 1990. Parallelamente è diminuito il tasso di disoccupazione .
Politica economica e riforme strutturali. - Mentre nella prima metà degli anni Ottanta l'espansione della moneta della Banca centrale è rimasta all'interno della fascia annuale fissata dalle autorità, a partire dal 1985 essa ha invece ecceduto, e in alcuni periodi in misura significativa, la fascia-obiettivo. Negli ultimi anni gli aggregati monetari hanno così registrato incrementi superiori a quelli del reddito in termini nominali. Questa evoluzione ha rispecchiato da un lato il cospicuo aumento delle attività sull'estero della Bundesbank e dall'altro la riduzione dei tassi d'interesse.
Anche la politica fiscale è stata indirizzata all'obiettivo di rafforzare la domanda interna e l'aggiustamento monetario esterno. A partire dal 1986, il governo tedesco ha infatti moderato la politica di progressivo ''consolidamento'' fiscale, che aveva ridotto il disavanzo pubblico in rapporto al PNL dal 3,7% nel 1981 all'1,1% nel 1985. All'inizio del 1987 le autorità hanno deciso di aumentare i tagli fiscali per il 1988, anticipando parte delle riduzioni d'imposta originariamente previste per il 1990. Alla fine dello stesso anno, inoltre, in seguito al crollo delle principali borse mondiali il governo tedesco ha deciso di aumentare il disavanzo pubblico per il 1988, introducendo al contempo alcune misure fiscali volte a stimolare gli investimenti nel medio periodo e a promuovere una crescita più elevata.
Nel corso degli anni Ottanta le autorità hanno anche adottato misure per rafforzare l'importanza della G. federale quale piazza finanziaria mondiale. In particolare, l'abolizione nell'agosto del 1984 della ritenuta alla fonte (withholding tax), pari al 25%, sugli interessi derivanti da titoli obbligazionari emessi da residenti sul mercato interno e detenuti da non residenti, ha eliminato l'ultimo significativo ostacolo all'afflusso di capitali. Le autorità hanno inoltre assunto negli ultimi anni provvedimenti di liberalizzazione riguardanti, soprattutto, le emissioni di obbligazioni estere sul mercato interno; al riguardo è stato abolito il monopolio di fatto esercitato dalle principali banche tedesche e sono state autorizzate le emissioni a tasso variabile e quelle legate a operazioni di swap. Sono state infine ammesse anche alcune banche estere al consorzio per il collocamento di titoli pubblici. L'azione di politica economica, tuttavia, non è sempre stata accompagnata da adeguate riforme strutturali. In particolare la politica commerciale e quella industriale, insieme ad alcune rigidità del mercato del lavoro, hanno, in taluni casi, rallentato il processo di aggiustamento.
Nel 1990 l'economia tedesca ha subito profondi mutamenti in seguito alla riunificazione con la Repubblica Democratica. L'unione economica, monetaria e sociale tra le due G. rende più incerto il quadro di riferimento per i prossimi anni. A una crescita sostenuta dell'economia della parte occidentale fa infatti riscontro una situazione di marcato rallentamento produttivo e di forte aumento della disoccupazione nei cinque nuovi Länder. Queste disparità potrebbero accentuarsi prima che vengano create le condizioni per uno sviluppo equilibrato e duraturo in tutto il paese. La riunificazione ha infine avuto un impatto significativo sui conti pubblici, che, dopo aver fatto registrare un leggero avanzo nel 1989, hanno presentato nel 1990 un disavanzo dell'1,8% del PNL. Anche l'avanzo di parte corrente ha subito una sensibile contrazione scendendo dai 57,4 miliardi di dollari del 1989 a 47 miliardi di dollari nel 1990.
Il 1991 e il 1992 sono stati dominati dagli effetti dell'unificazione. Il sostegno pubblico (trasferimenti e crediti alle esportazioni) alla ex DDR, pur non producendo ancora risultati apprezzabili, ha determinato nel 1991 un peggioramento del disavanzo pubblico (il 2,9% del PNL), un disavanzo di parte corrente di circa 20 miliardi di dollari, e un'inflazione del 3,6%. Soprattutto il timore dell'inflazione ha indotto la Bundesbank a mantenere elevati i tassi di interesse, provocando in tal modo un notevole apprezzamento del marco nei confronti del dollaro e di altre valute europee, e forti tensioni sui mercati valutari. L'acuirsi di tali tensioni nel settembre 1992 ha infine indotto la G. a rivalutare il marco e ad abbassare i tassi seppure in misura molto contenuta.
Repubblica Democratica Tedesca. - Nel periodo 1981-84, nella DDR si è avuta una crescita sostenuta del reddito in termini reali e un miglioramento dei conti con l'estero. La bilancia dei pagamenti in valute convertibili ha infatti mostrato saldi correnti annui positivi di oltre un miliardo di dollari a partire dal 1982, il che ha consentito di ridurre sensibilmente il debito estero e il rapporto tra servizio del debito ed esportazioni, sceso al 41% nel 1984. Queste tendenze si sono invertite nel periodo 1985-89, in cui si è avuto un progressivo rallentamento della crescita economica e un deterioramento della bilancia dei pagamenti, accompagnato da una crescita del debito estero.
Tali dati non mettono tuttavia in evidenza il progressivo indebolimento della struttura economica della DDR, venuto alla luce a seguito dell'unificazione con la Repubblica Federale di Germania. In particolare, quella della DDR è stata un'economia rigidamente pianificata che ha ridotto la concorrenza all'interno del sistema economico, ostacolando un'efficiente allocazione delle risorse. Nell'ambito dei piani economici, gli investimenti sono stati concentrati in pochi settori ritenuti strategici, a scapito del resto del sistema produttivo che ha utilizzato tecnologie ormai obsolete. Ulteriori difficoltà sono derivate da una struttura dei prezzi distorta, nella quale i prezzi dei prodotti di prima necessità risultavano eccessivamente bassi.
Questi problemi sono stati acuiti dalla politica di chiusura agli scambi con l'estero, che ha precluso l'identificazione e lo sviluppo delle industrie più competitive. Al riguardo, nel 1989 solo circa un quarto degli scambi commerciali erano con paesi OCSE; di questi ultimi, oltre la metà erano con la Repubblica Federale di Germania. Gli scambi commerciali erano concentrati sui beni d'investimento e i prodotti di base. Risultava in particolare molto bassa la quota-parte dei beni di consumo rispetto alle importazioni complessive (il 6% circa).
Forti rigidità sono state causate anche dalla stretta regolamentazione del mercato del lavoro, nel quale esisteva una scarsissima differenziazione tra i salari percepiti nei vari settori e a vari livelli di professionalità, che ha diminuito la mobilità della manodopera.
A partire dalla seconda metà del 1990, con l'avvio del processo di unificazione, la DDR ha introdotto una serie di riforme per passare a un sistema di economia di mercato e per liberalizzare gli scambi con l'estero. In questo periodo si sono verificati forti flussi migratori verso la ex G. Federale e un aggravamento della situazione economica. Nella prima metà del 1990 si è registrata una contrazione del 7% del PNL e un rapido aumento della disoccupazione.
Nel luglio 1990 è entrato in vigore il Trattato sull'unione economica, monetaria e sociale, che prevedeva anche la conversione della maggior parte dei risparmi dei cittadini della DDR e dei loro salari al tasso di cambio di 1 DM per ogni marco della DDR. Con l'unione monetaria, la situazione si è ulteriormente aggravata, evidenziando le inefficienze accumulate durante gli anni di economia pianificata. In alcuni settori industriali, quali il metallurgico, l'alimentare e il tessile, nel luglio 1990 la produzione si è dimezzata rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, con pesanti ripercussioni sui livelli occupazionali. Complessivamente si stima che nella seconda met'a dell'anno il prodotto lordo sia diminuito di circa il 30%, mentre la disoccupazione si avvicinava a un milione di persone.
Alla mezzanotte del 2 ottobre 1990, il processo di unificazione è stato ultimato e la DDR ha cessato di esistere come entità statale, e dunque, come entità economica autonoma.
Storia. - Repubblica Federale di Germania. - Dall'avvento del governo H. Schmidt-H.-D. Genscher all'unificazione della G., la linea di fondo della vita politica della BRD (Bundesrepublik Deutschland) si è confermata − malgrado l'emergere di forze centrifughe di varia estrazione − essenzialmente centrista; del complesso di scelte politiche che costituiscono la base del consenso centrista era entrata a far parte − accanto alla democrazia parlamentare, così come stabilita dalla Legge Fondamentale, all'economia sociale di mercato, alla collocazione atlantica e all'integrazione europea − ormai anche l'Ostpolitik: il responso delle urne dal 1976 al 1990, l'operato dei governi, socialliberale prima, liberal-conservatore poi, la stessa Wende ("svolta") del 1982 rivestono un significato di continuità centrista, espressa a livello parlamentare dalla permanenza al governo dei liberali.
L'era Schmidt: apogeo e crisi. - Raccogliendo i frutti della sua coerente politica atlantica, dell'impegno europeistico come pure della normalizzazione operata a Est, forte della sua economia relativamente rigogliosa, nonché del prestigio che godeva il cancelliere per la sua competenza in politica internazionale, economia e difesa, la BRD vide consacrato, al vertice di Guadalupa (gennaio 1979), il suo nuovo status di membro del direttorio ufficioso dell'Occidente, accanto agli USA, al Regno Unito e alla Francia. Nel quadro della NATO, la BRD andava assumendo gradualmente impegni maggiori, come nell'assistenza economica e militare alla Turchia, integrati pure da analoghi interventi fuori del quadro atlantico. La preoccupazione centrale della politica di difesa era però dettata dal crescente divario fra il potenziamento e la modernizzazione dell'armamento sovietico e il potenziale NATO sul continente europeo, tenuto conto anche delle difficoltà incontrate in materia di controllo di armamenti (MBFR, Mutual and Balanced Force Reductions, ecc.): in vista della parità strategica fra le due superpotenze, in seguito ai SALT (Strategic Arms Limitation Talks), occorreva creare un equilibrio in Europa sia per le forze convenzionali che per le armi nucleari tattiche e a medio raggio. Naufragata l'ipotesi della bomba al neutrone, dall'iniziativa di Schmidt sarebbe infine scaturita la cosiddetta doppia risoluzione della NATO (v. sicurezza europea, in questa Appendice) del dicembre 1979, che univa a un programma di modernizzazione dell'armamento nucleare in Europa, particolarmente con l'impianto dei cosiddetti euro-missili (a medio raggio aumentato, capaci di raggiungere l'URSS), un'offerta di trattative per la limitazione degli armamenti, ponendo cioè l'URSS davanti alla scelta fra una riduzione negoziata dei missili a medio raggio oppure il dispiegamento, entro breve termine, degli euro-missili, intesi a ristabilire l'equilibrio violato.
Delusione per la gestione della politica estera statunitense e preoccupazioni per il disordine del commercio internazionale − in seguito all'abbandono della parità fissa dollaro-oro nel 1971, accresciuto dalla rapida svalutazione del dollaro nel 1977 e dalle ripercussioni del caro-petrolio − spinsero il governo federale a sviluppare al massimo l'intesa con la Francia, che, dal canto suo, aveva iniziato, sotto la presidenza di V. Giscard d'Estaing, un ammorbidimento filo-atlantico della sua politica di difesa e accentuato il nuovo orientamento impresso alla politica europea fin dalla presidenza di G. Pompidou. Si parlava allora di "un condominio franco-tedesco sempre più importante" in un'"Europa semi-gaullista" (F. Stern). Il maggior risultato della politica europeistica del cancelliere Schmidt, imperniata sulla stretta intesa franco-tedesca, fu la creazione dello SME. Pragmatismo, insistenza sulle economie da realizzare e liberismo, ma anche una decisa priorità accordata, nella questione del secondo allargamento della CEE, agli imperativi di stabilità politica e di democratizzazione dell'Europa mediterranea rispetto ai criteri puramente economici, caratterizzavano questa politica europeistica, dalla quale la Repubblica Federale continuava a raccogliere un'accresciuta sicurezza e un prezioso sostegno per le sue posizioni in materia di politica tedesca. Posizione contestata dagli stati comunisti, mentre lo SME creava una zona di stabilità intorno al marco. Tale contesto veniva però sempre meno apprezzato dall'opinione pubblica, sensibile al cliché dello Zahlmeister Deutschland, cioè di una G. che avrebbe pagato per tutti e più del dovuto; questo stato d'animo, in netto contrasto con l'originario entusiasmo, si tradusse in una partecipazione modesta alle prime elezioni dirette al Parlamento europeo, destinata a calare ulteriormente nel 1984 (v. tab. 1). Rispetto all'insistenza del cancelliere sull'intesa franco-tedesca e al suo pragmatico intergovernativismo, il ministro degli Esteri Genscher lavorava maggiormente per un approfondimento della costruzione dell'Europa integrata e sovranazionale. Nel 1981 Genscher rilanciò il disegno dell'Unione Europea, che, sostenuto quasi solo dall'Italia (piano Genscher-Colombo) e notevolmente ridimensionato (Dichiarazione di Stoccarda, 1983), sarebbe stato nondimeno l'origine dell'Atto Unico Europeo (1986), la cui redazione avrebbe comunque largamente seguito le proposte tedesche.
Nei rapporti Est-Ovest, la politica del governo Schmidt-Genscher mirava a circoscrivere le ripercussioni della crisi di fondo della distensione, provocata dall'invasione sovietica dell'Afghānistān, sull'Europa e in particolare sulla G., al punto da far parlare di un'''europeizzazione della distensione'', che avrebbe comportato il rischio, secondo alcuni critici d'oltreoceano, di un'''auto-finlandizzazione''. Qualche ulteriore limitato progresso nei rapporti con la DDR nel settore dei trasporti e per i rifornimenti elettrici di Berlino Ovest, si ottenne ancora nel 1980, prima del colpo d'arresto imposto da Mosca. L'incontro del cancelliere Schmidt con E. Honecker a Werbellin (dicembre 1981) non produsse miglioramenti sostanziali, al contrario mise il governo federale in una posizione delicata per la sopravvenuta introduzione della legge marziale in Polonia.
Dimensione internazionale e politica interna s'intrecciavano nella lotta al terrorismo, condotta anche con inasprimenti, controversi per l'opinione interna ed estera, del codice penale. Il terrorismo aveva colpito in modo particolarmente duro la BRD; però la liberazione degli ostaggi, compiuta da un'unità specializzata della milizia frontaliera tedesca a Mogadiscio (ottobre 1977), inferse un colpo decisivo al terrorismo tedesco: privi ormai di prospettiva, alcuni dei suoi massimi esponenti si suicidarono lo stesso giorno nella prigione di Stammheim.
Nelle elezioni federali del 1980, gli elettori riconfermarono la fiducia alla coalizione social-liberale e soprattutto al cancelliere Schmidt, infliggendo una severa sconfitta all'opposizione democristiana, logorata al suo interno dal conflitto endemico tra una linea oltranzista, impersonata da F. J. Strauss, leader della CSU (Christlich-Soziale Union) e presidente del consiglio della Baviera, e una strategia moderata sostenuta dal leader della CDU (Christlich - Demokratische Union) e capo-gruppo al Bundestag, Kohl. Premiando sostanzialmente i liberali, il voto del 1980 dette una precisa indicazione centrista, che rappresentava dunque un'indicazione di continuità nei riguardi dell'insieme delle scelte di fondo, compresa l'Ostpolitik, e contraria sia a spinte socialiste, quali erano da tempo emerse nella SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands), sia a ogni alternativa conservatrice.
Ma già le elezioni al Parlamento europeo del 1979, che avevano visto i democristiani rasentare la maggioranza assoluta dei voti (v. tab. 1), e l'elezione del democristiano K. Carstens alla presidenza federale (1979), come pure una serie di elezioni in vari Länder nel triennio 1978-80, avevano rivelato un'erosione del consenso, che se colpiva soprattutto la SPD, investiva progressivamente anche l'alleato liberale. L'opinione pubblica aveva infatti subito crescenti spinte centrifughe.
Venivano contestate l'eredità delle riforme social-liberali e, ancor più, la gestione socialdemocratica della cosa pubblica nei Länder e nei comuni, dove clamorosi casi di spregiudicato sottogoverno e la sclerosi della dirigenza locale avrebbero fatto perdere alla SPD storiche roccheforti nelle grandi città quali Berlino, Monaco e Francoforte. Per di più, alcuni obiettivi e criteri che erano stati fin allora comuni alla classe politica e, in una prospettiva più vasta, certi assunti e certe mete propri della società civile, specie quelli legati alla crescita economica, venivano sempre più radicalmente messi in discussione da movimenti eterogenei, chiamati in seguito ''nuovi movimenti societari'': movimenti ecologisti, pacifisti, femministi, alternativi.
Il più importante fu quello dei Verdi, alla cui origine c'erano preoccupazioni di difesa dell'ambiente e paura tanto dei pericoli insiti nell'uso civile dell'energia atomica quanto della prospettiva di un conflitto nucleare. È del 1972 la costituzione del Bundesverband Bürgerinitiativen Umweltschutz che raggruppò organizzazioni ambientalistiche regionali e locali; nel 1976 si hanno manifestazioni contro la centrale nucleare di Brokdorf e la costituzione del primo partito ecologico, promosso dal deputato CDU Gruhl, Grüne Aktion Zukunft. Nel partito Die Grünen, costituitosi nel 1980, sarebbero però confluite, oltre a quella ecologico-antinucleare, molte altre tendenze: pacifisti di varia origine, gruppi di ultra-sinistra di derivazione comunista eterodossa ed eredi del 1968, ma anche organizzazioni femministe e omosessuali che propugnavano modelli alternativi in economia e agricoltura, occupatori di case sfitte, più tardi associazioni di anziani (''pantere grigie''). Un apporto importante veniva anche da un diffuso scontento per la realtà partitica e da aspirazioni a una democrazia diretta o ''di base'' e, sul piano elettorale, da un voto di protesta.
Al diffondersi di queste tendenze, la SPD, sotto la presidenza di W. Brandt, non rimaneva insensibile. La polemica di E. Bahr, ex segretario di stato e allora segretario amministrativo del partito, nel 1977, contro la bomba al neutrone quale "simbolo della perversione del pensiero" umano, ma soprattutto l'accanita opposizione, con sempre più forti venature antiamericane, contro la Nachrüstung e la doppia risoluzione, sotto la guida di O. Lafontaine, futuro candidato alla cancelleria nel 1990, rivelavano un crescente divario fra buona parte del partito e il cancelliere, costretto a impegnare tutto il suo prestigio al congresso di Berlino del dicembre 1979 per imporre la sua linea, e nuovamente nel maggio 1981, fino a minacciare le dimissioni.
Questo divario si veniva allargando ulteriormente sotto la pressione della crisi economica scatenata dalla seconda crisi del petrolio, che, con la mancata crescita economica, faceva venir meno una premessa tacita della coalizione social-liberale, fondata sull'economia liberale di mercato e sul contestuale allargamento del welfare state. Il tasso di crescita si stava azzerando, la moneta subiva, con uno sproporzionato aumento della spesa pubblica (30% nel 1978-80), un forte processo inflattivo (7%); i fallimenti toccavano un record e la disoccupazione saliva a oltre un milione di unità nel 1981. In questa situazione si scontrarono da una parte il rinato tradizionalismo socialista, l'abbandono del cosiddetto ''neo-corporativismo liberale'' iniziato alla fine degli anni Sessanta con la Konzertierte Aktion (la concertazione triangolare fra governo, organizzazioni imprenditoriali e sindacato, in materia di politica economica e sociale, in particolare di politica dei redditi) da parte dei sindacati e le nuove tendenze anti-crescita dei Verdi, e dall'altra, il sostanziale liberismo del cancelliere e della FDP (Freie Demokratische Partei), che fin dal 1977 aveva spostato l'accento dal social-liberalismo delle tesi di Friburgo a una ritrovata impostazione classica, con le tesi di Kiel: da una parte dirigismo, inasprimenti fiscali e assistenzialismo, dall'altra alleggerimento strutturale della situazione delle imprese, riduzione della quota pubblica e revisione degli eccessi del welfare state.
La prima incrinatura della coalizione social-liberale era tuttavia sorta improvvisamente con la crisi del governo berlinese, provocata da uno scandalo edilizio e sfociata nel 1981 in elezioni anticipate. Nel 1981-82 il calo drammatico di stima e consenso che aveva investito la SPD dal campo economico a quello della moralità pubblica (con lo scandalo della gigantesca cooperativa di edilizia popolare Neue Heimat), provocò dure sconfitte elettorali socialdemocratiche in vari Länder e, nell'indagine demoscopica nella primavera del 1982, fece scendere il partito a un tasso di solo 33% d'intenzioni di voto. Nel contesto della crisi economica, ciò minacciava di travolgere anche i liberali, la cui posizione strategica come forza decisiva per la formazione di governi veniva peraltro indebolita dall'ingresso dei Verdi in varie diete. Rivendicando con durezza il ruolo svolto nel consolidamento del bilancio e la revisione della politica economica e sociale, nell'agosto 1981 il leader liberale Genscher aveva ancora mirato a una revisione all'interno della coalizione. Fra la coalizione con un partito in vistoso declino, guidata da un cancelliere tuttora stimato ma sistematicamente contestato dal suo stesso partito, e un'opinione che proprio nelle élites economiche e sociali reclamava la Wende- cioè una ''svolta'' sostanziale della politica economica, finanziaria e sociale, e a tal fine anche un cambiamento di governo −, lo spazio per la FDP si faceva stretto. Tuttavia, se da un lato la permanenza nella coalizione faceva intravvedere un grave pericolo, uno sganciamento si presentava anch'esso difficile, anzitutto per la decisa resistenza dell'ala socialliberale della FDP ma anche, paradossalmente, per il perdurante accordo di fondo col cancelliere sulla politica economica, nucleare, estera e militare. Soltanto nel giugno la tesi del cambiamento di coalizione, propugnata dal ministro dell'Economia O. F. W. Lambsdorff, cominciava a guadagnare terreno, con la scelta in favore di un'alleanza con la CDU per le elezioni alla dieta dell'Assia.
Sebbene abbandonato e sconfessato dal suo partito su tutte le questioni chiave, dalla politica economica e fiscale a quella nucleare a quella estera e di difesa, contrastato ormai con durezza pure dai sindacati, il socialdemocratico Schmidt, malgrado la sostanziale convergenza sulla politica da adottare con la FDP, scelse paradossalmente, al momento del crollo del suo governo, di salvare l'immagine del suo partito: avrebbe gestito la crisi in modo da addossarne la responsabilità ai liberali. Un documento di politica economica del ministro Lambsdorff, del 9 settembre, che reclamava la creazione di premesse per una vasta ripresa degli investimenti con una severa politica di risanamento e forti tagli della spesa sociale, venne largamente interpretato come ''il manifesto della separazione''. Il 17 settembre il cancelliere provocò le dimissioni dei ministri liberali, per gettare sulla FDP l'onta del ''tradimento'', ricompattando e galvanizzando il suo partito con un brillante discorso al Parlamento.
Il governo Kohl-Genscher. - In un clima di ostracismo quasi unanime, con un gruppo parlamentare diviso e un partito disorientato e lacerato, Genscher e Lambsdorff avviarono i negoziati per formare un governo di coalizione con la CDU/CSU. Mentre molti, con alla testa Strauss, puntavano a immediate elezioni nella speranza di eliminare una volta per sempre la FDP, il leader Kohl scorgeva una prospettiva duratura soltanto in una coalizione cristiano-liberale. Essa venne costituita, in seguito all'elezione di Kohl a cancelliere, con soli 7 voti di maggioranza, il 1° ottobre 1982.
Lo scotto che la FDP dovette pagare per il cambiamento di coalizione fu altissimo: un'ostilità quasi unanime dell'opinione pubblica che, accusando la FDP di aver ''tradito'' il voto del 1980, implicitamente mostrava di non condividere o di non comprendere la logica di alternanza nelle forme di un sistema a tre partiti (in cui il ruolo che il floating vote ha in un sistema bipartitico, viene assunto dal cambio di alleanze del terzo partito); un margine di manovra politico ridotto di molto (illustrato anche dalla perdita del ministero dell'Interno); ma soprattutto una crisi interna che pareva minacciare la stessa sopravvivenza del partito, vista la barriera del 5% dei voti per l'ingresso al Bundestag. Buona parte dell'ala cosiddetta social-liberale, particolarmente sensibile ai problemi dei diritti civili, al riformismo, all'ecologia, ecc., lasciava il partito, che perse un quarto dei suoi 81.000 iscritti.
La campagna per le elezioni federali anticipate era stata impostata da una SPD in rapido spostamento verso sinistra dopo il ritiro di Schmidt. Essa fu impostata come attacco frontale al nuovo governo, tanto sul piano della politica estera (con il no alla doppia risoluzione e alla Nachrüstung e dipingendo la CDU di Kohl come contraria alla distensione e refrattaria all'Ostpolitik), quanto su quello della politica economico-sociale, agitando lo spettro di uno smantellamento dello stato sociale e di un brutale neo-manchesterismo. Su questa impostazione s'innestavano i Verdi, con le loro tematiche specifiche e puntando, con buon risultato, sul diffuso discredito che lo scandalo dei finanziamenti ai partiti aveva gettato sui partiti classici. Ma proprio sul fronte delle questioni economiche, assurte a temi centrali (dalla lotta alla disoccupazione a quella per il risanamento del bilancio), l'opinione pubblica dava ormai molto maggior credito alla CDU/CSU che alla SPD, stimata di più solo nel campo dei rapporti con l'Est: ma qui v'era la rassicurante presenza del ministro Genscher.
È da questo quadro d'insieme che scaturisce l'esito delle elezioni del 6 marzo 1983: una decisa conferma del nuovo governo cristianoliberale, con un inatteso ritorno, sia pure ridimensionato, della FDP e un calo notevole dei socialdemocratici. Questi ultimi registrarono il loro peggiore risultato dopo il 1957, perdendo a beneficio tanto dei democristiani quanto dei Verdi, i quali, entrando nel Bundestag, conquistarono il ruolo di quarta forza politica della BRD.
La netta indicazione centrista e di continuità data dal suffragio popolare avrebbe trovato corrispondenza nell'operato complessivo del governo Kohl, ricostituito con pochi ritocchi: la Wende radicale e complessiva che molti conservatori avevano auspicata, nei valori non meno che nella politica quotidiana, non ebbe luogo. Ciò non si verificò nella politica interna, dove la FDP, pur dovendo fare qualche concessione in materia di polizia, di procedure penali, ecc., oppose una resistenza complessivamente vittoriosa contro le iniziative dei conservatori più decisi (specie della CSU) anzitutto nel campo dell'immigrazione che, nel contesto di una legislazione particolarmente liberale in materia di asilo politico e sotto i colpi della seconda crisi del petrolio, era divenuta causa di violente polemiche e di diffuse paure sociali. L'aumento rapido della popolazione straniera (da 4% nel 1970 a 6,8% nel 1987), le difficoltà di assimilazione di un'immigrazione caratterizzata da crescenti componenti turca ed extra-europee e, soprattutto, i timori dilaganti negli strati popolari per la competizione sul mercato del lavoro, avevano favorito un clima potenzialmente xenofobo, col quale la classe politica avrebbe dovuto confrontarsi anche in seguito.
Tantomeno una radicale Wende ebbe luogo nella politica estera, Ostpolitik compresa. Il cancelliere Kohl mise in evidenza la sua volontà di migliorare i rapporti con gli USA e di dissipare i malumori e le diffidenze statunitensi nei confronti della politica estera federale, che si erano accumulati fra le due capitali, specie per la continua insistenza sulla distensione anche dopo l'invasione dell'Afghānistān e gli eventi della Polonia. Centrale, nei primi anni, era la politica di sicurezza: spirato senza risultato il periodo di negoziato previsto dalla doppia risoluzione, alla fine del 1983 la NATO passò alla Nachrüstung. Nonostante la massiccia mobilitazione pacifista, spesso violenta, e l'opposizione di ormai quasi tutta la SPD e dei Verdi, sul territorio federale come su quello della Gran Bretagna, dell'Italia e del Belgio vennero collocati missili Cruise, nonché Pershing ii. Successivamente, furono il progetto della SDI (Strategic Defense Initiative) e le questioni di controllo e riduzione degli armamenti a dividere profondamente l'opinione pubblica tedesco-occidentale. Negli ambienti governativi, specie agli Esteri, non fu soltanto la retorica della Reagan-administration a suscitare perplessità: incidevano anche la diversità tra la vastità degli interessi di una potenza globale e quelli circoscritti di uno stato continentale, tuttora particolarmente vulnerabile sulla linea di confronto Est-Ovest.
Ispirata a continuità era anche la politica nei riguardi della Francia, ulteriormente intensificata e allargata, a cominciare dal rilancio, nell'ottobre 1982, del trattato franco-tedesco del 1963: sostegno al progetto EUREKA (programma di cooperazione europea in settori di punta di alta tecnologia) del presidente Mitterrand, sviluppo della cooperazione in materia di politica estera e di difesa (in particolare l'accordo del febbraio 1986) fino all'istituzione d'un consiglio di difesa e sicurezza franco-tedesco nel 1988 e alla costituzione di una brigata mista franco-tedesca, cooperazioni in campo spaziale.
L'intesa franco-tedesca continuava altresì a costituire la solida base della politica europeistica dei governi Kohl-Genscher, rivolta a un graduale processo di unificazione. La redazione dell'Atto unico europeo, la creazione del Mercato unico nel 1992 e la prospettiva dell'Unione europea ne rimangono i punti salienti. Impegno non contraddetto dalla gelosa difesa del ruolo della Bundesbank e della priorità della stabilità del marco nel contesto della discussione sull'unione monetaria europea e su un'eventuale banca europea. Crescente attenzione era rivolta agli altri partners della Comunità, in particolare al ruolo dell'Italia; maggiori impegni vengono assunti nel settore mediterraneo.
Solidarietà atlantica e costruzione europea costituiscono così la base per l'ininterrotta continuità anche nel settore, più controverso, dei rapporti con l'Est. Continuità garantita dal ministro degli Esteri Genscher, il cui impegno rivolto a mantenere i fili della distensione in Europa (anche nei momenti più agitati delle relazioni globali Est-Ovest) e la cui insistenza in favore della politica di riduzione degli armamenti, avrebbero incontrato talvolta critica e diffidenza nella BRD, ma più ancora presso alcuni alleati. Alla fine degli anni Ottanta, questi attriti erano superati da tempo, mentre le iniziali tensioni con l'URSS erano state gradualmente ridotte e poi eliminate dalla diplomazia tedesco-occidentale. Gli sforzi intrapresi dalla diplomazia federale in favore dell'espatrio nella BRD dei Tedeschi rimasti nei territori a est dell'Oder-Neisse e delle residue antiche minoranze tedesche nell'URSS e in altri paesi dell'Europa orientale e sud-orientale, ottennero crescenti successi specie dal 1987 in poi.
La più clamorosa manifestazione di continuità si ebbe però nei rapporti intertedeschi. Pur con differenza di linguaggio, Kohl proseguiva la politica dei precedenti governi social-liberali, volta a intensificare al massimo i rapporti fra i due stati, concedendo aiuti economici in cambio di miglioramenti umanitari e di un incremento dei contatti. Coinvolgendo quello che fino ad allora era stato campione di una linea dura, cioè il presidente del Consiglio della Baviera, Strauss, Kohl seppe coprire sulla sua destra questa politica, culminata in due grossi prestiti per un ammontare di quasi 2 miliardi di DM, nel 1983 e 1984: a cui corrispose, come contropartita della DDR, lo smantellamento degli impianti a sparo automatico sulla frontiera, facilitazioni nel settore dei trasporti, il permesso a circa 35.000 persone di emigrare legalmente dalla DDR verso la BRD nel 1984, e un accresciuto flusso di viaggi. La politica di porre i rapporti intertedeschi il più possibile al riparo dalle ripercussioni dei rapporti Est-Ovest veniva perseguita da una parte e dall'altra. Politica che, nonostante qualche colpo d'arresto come la cancellazione della visita di Honecker nella BRD, nello stesso 1984, sarebbe continuata fino alla fine del decennio. Accordi in altri settori sarebbero seguiti negli anni successivi, fino a quelli relativi ai trasporti e alla tutela dell'ambiente, con un forte contributo finanziario da parte occidentale, nello stesso 1989. Un limite preciso era però posto dalla solidarietà atlantica.
Se una correzione di rotta ci fu, venne compiuta nella politica economica e finanziaria, seppure non come inversione radicale: né reaganomics né thatcherism si sarebbero affermati sul Reno. Ma furono realizzati quel risanamento delle finanze pubbliche e un contesto favorevole alla ripresa dell'attività imprenditoriale, che erano state le richieste decisive per la Wende. Favorito anche da fattori di economia internazionale, il nuovo corso di risanamento pose le premesse per un lungo boom, proseguito nei primi anni Novanta.
Tuttavia, l'opinione pubblica tedesca veniva scossa da una serie di avvenimenti, dalle ulteriori fasi dello scandalo dei finanziamenti di partito alle violente manifestazioni antinucleari specie a seguito del disastro di Černobyl. Però, tanto la ripresa economica quanto il dileguarsi degli allarmanti scenari internazionali e intertedeschi prospettati dalle opposizioni contribuirono a una riconferma della coalizione cristiano-liberale nelle elezioni del gennaio 1987, con perdite democristiane e una netta ripresa liberale, mentre la SPD, oscillante nei confronti dei Verdi e degli altri ''nuovi movimenti societari'', accusò un ulteriore calo, particolarmente nei centri economicamente più moderni e dinamici. D'altra parte, la ridotta partecipazione alle urne e l'incremento dei Verdi, con punte intorno al 20% dei suffragi in alcune piccole città sedi d'università, tradivano una persistente estraniazione politica di importanti settori della società, soprattutto giovanili.
Un tema che, nonostante il perdurare della favorevole congiuntura economica, andava occupando uno spazio crescente nel dibattito, suscitando emozioni fortissime, è stato quello dell'immigrazione. Il numero degli stranieri nella BRD raggiunse i 4,8 milioni, pari ormai al 7,7% della popolazione residente, a forte concentrazione nelle grandi città, con punte fino al 25% (Francoforte).
Alla pressione immigratoria non contribuiva soltanto l'arrivo dal Terzo Mondo e dai paesi dell'Est (100.000 nel 1985) dei lavoratori stranieri, delle relative famiglie e degli Asylanten (persone che chiedevano asilo politico, in larga parte spinte da drammatiche condizioni economiche nei paesi d'origine, di cui meno di un decimo venivano riconosciute come esuli politici dalle autorità tedesche), ma altresì incideva in misura crescente il rimpatrio di Tedeschi e di persone d'origine tedesca dall'URSS e da paesi dell'Europa orientale e sudorientale (Aussiedler: 86.000 nel 1987; 202.000 nel 1988) e l'arrivo di Tedeschi dalla DDR (Umsiedler e profughi), complessivamente 110.000 negli anni 1985-88. Tutto ciò faceva emergere, nel caso soprattutto dell'immigrazione turca ed extraeuropea, l'urto di forme di vita assai diverse, reso più aspro dall'impreparazione degli strati popolari più direttamente coinvolti, dalla mancanza di una tradizione in materia d'immigrazione, ma soprattutto da una diffusa paura mista a invidia, nelle zone di crisi economica, determinata da incertezza e risentimento verso gli immigrati, stranieri o Tedeschi rimpatriati (con i loro problemi di adattamento alla società occidentale), quali presunti concorrenti per il posto di lavoro o per l'abitazione.
Da questa reazione, punteggiata da episodi di violenza e di razzismo, trasse alimento l'agitazione del nuovo partito dei Republikaner, sorto da una piccola dissidenza dalla CSU e in seguito trasformatosi, sotto la guida del giornalista destrorso F. Schönhuber, in un movimento di protesta a livello nazionale a carattere populista, autoritario e soprattutto xenofobo. Nel gennaio 1989 i Republikaner raccolsero un clamoroso successo nelle elezioni a Berlino Ovest (7,5% dei voti e 11 seggi), mietendo voti soprattutto nei quartieri più popolari. Essi si rivelarono capaci di raggiungere, oltre ad ambienti tradizionalmente sensibili a una protesta di destra o nazionalista, anche parti dell'elettorato socialdemocratico. Ne dettero una conferma nelle elezioni al Parlamento europeo nel giugno 1989, raccogliendo le più disparate proteste, da quella nazionalista a quella contadina a quella anti-immigrati, conquistando 6 seggi; i loro maggiori successi li ottennero però nel prospero Sud (14,6% nella Baviera). Il tema dell'immigrazione rimane altamente controverso: contro tentativi di facilitare l'integrazione, col riconoscimento delle diverse culture, e con le prime misure di allargamento dei diritti di partecipazione (concessione del diritto di voto comunale nello Schleswig-Holstein a residenti di certe nazionalità, e del voto per i consigli di quartiere di Amburgo agli stranieri in genere, nel 1989), esiste una vivace reazione, con richieste reiterate di limitazioni all'immigrazione (da parte soprattutto cristiano-sociale) e di revisione del disposto costituzionale sul diritto d'asilo, cui si è associato nell'estate 1989 il candidato socialdemocratico alla cancelleria Lafontaine.
Contrariamente alle prime due, le terze elezioni europee furono caratterizzate da un più marcato contrasto in materia d'integrazione europea, intorno alla prospettiva del 1992: contrari, per opposti motivi, da una parte i Republikaner e la DVU (Deutsche Volksunion, che raccolse, all'insegna dello slogan "Prima la Germania, poi l'Europa", un altro 1,7%) e dall'altra i Verdi; decisamente favorevoli invece, anche a sostanziali progressi nell'unificazione politica, furono i liberali (che riuscirono a ritornare a Strasburgo) e i democristiani, mentre la SPD mise l'accento tutto sulla richiesta di correttivi sociali al Mercato unico e sulla Charta sociale. Tuttavia, al pari degli altri stati, le elezioni europee valsero anche nella BRD come termometro del clima politico interno. Il pessimo risultato di CDU e CSU era da interpretarsi come indice di una seria crisi di fiducia nella guida democristiana, aggravata particolarmente dallo scandalo per illegalità commesse nella campagna elettorale regionale del 1987 dalla cancelleria del governo uscente (CDU) dello Schleswig-Holstein, cui avrebbe fatto seguito il suicidio dell'ex presidente del consiglio U. Barschel e una clamorosa vittoria della SPD nelle elezioni anticipate del 1988.
Ma neppure il principale partito d'opposizione, la SPD, una volta abbandonato il retaggio programmatico e quello politico personale di Schmidt subito dopo il 1982, riuscì a ricuperare in maniera decisiva in quegli anni: il grande esperimento di un governo regionale ''rossoverde'' nell'Assia, impostato come modello antitetico a quello federale a Bonn, s'era infranto sullo scoglio del nucleare nel 1987, per sfociare nel passaggio di questo Land, dopo 42 anni di governo socialdemocratico, a una coalizione cristiano-liberale; né la socialdemocrazia era riuscita a riassorbire i Verdi. Per di più la geografia delle sue roccheforti tendeva sempre più a coincidere con le zone economicamente meno dinamiche della BRD. Un certo ritocco di linea in senso centrista, sottolineato dalla formazione di un governo SPD-FDP ad Amburgo (il primo dopo il trauma del 1982), non ha avuto finora particolari conseguenze. In questa situazione veniva riproposto, nel 1989, l'interrogativo se il sistema tedesco-occidentale a tre partiti, centripeto ed efficiente, stesse per disgregarsi, con l'emergere di opposizioni consistenti ed estreme, neutral-pacifiste e alternative da una parte, nazional-populiste dall'altra. Il rapido declino dei Republikaner, alle prese con questioni personali e influenze neo-naziste, nel 1990, ma anche i sempre più frequenti segni di crisi interna dei Verdi, divisi fra ''fondamentalisti'' e ''realisti'', fra aspirazioni movimentiste e prassi parlamentare, ridimensionano di molto la portata delle loro sfide al sistema politico e all'orientamento centrista della BRD.
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Repubblica Democratica Tedesca. - Alla metà degli anni Settanta, la DDR presentava un quadro di consolidamento e di relativo progresso economico, dopo il critico biennio 1969-70. L'allineamento con l'URSS, sia diplomatico (ratificato dal nuovo patto di amicizia e di assistenza del 1974) sia ideologico, era pienamente ristabilito una volta eliminata l'eredità dell'ultimo Ulbricht; la SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands) rigettava tanto le posizioni del Partito comunista cinese quanto quelle dell'eurocomunismo, e tuttavia riuscì a riunire 29 Partiti comunisti europei alla conferenza a Berlino Est del 1976. A livello internazionale, la DDR godeva di quello status formale cui la sua dirigenza aveva agognato da sempre; contestualmente, tendeva a recidere gli ultimi legami di una comune nazionalità, con l'eliminazione di ogni riferimento all'unità tedesca dal nuovo programma della SED nel 1976, postulando al contrario una DDR ''nazione socialista'' e preconizzando con la BRD niente di più che meri rapporti di coesistenza pacifica. All'interno, la sovietizzazione della società era ulteriormente accentuata con il passaggio, nel 1972, delle aziende a partecipazione statale alla proprietà statale e con la statizzazione delle ultime aziende private industriali ed edilizie, nonché di moltissime cooperative artigiane: ormai il 99% della produzione industriale era statale.
Proprio i risultati dell'Ostpolitik, i nuovi rapporti con la BRD e la partecipazione alla CSCE (Conference on Security and Cooperation in Europe) erano destinati a provocare ripercussioni sostanziali, anche se all'inizio soltanto in parte percepibili, sulla DDR: l'atto di Helsinki suscitava speranze e prospettava un minimo di tutela per alcuni diritti elementari fino a quel momento non suscettibili di discussione in uno stato comunista. Voci isolate di opposizione, influenzate anche da idee eurocomuniste, come quelle di R. Havemann e R. Bahro (Die Alternative, pubblicato in Occidente nel 1977), si levarono per reclamare una democratizzazione del comunismo e alcuni elementi basilari dello stato di diritto. Numerosi cittadini si valsero invece delle nuove possibilità per chiedere l'espatrio legale. Il regime ricorse presto a una politica di repressione del dissenso, con il carcere, angherie di ogni genere oppure, specie nei confronti di intellettuali e artisti dissidenti noti anche all'estero, con l'espulsione (per es. N. Biermann e R. Kunze).
In questo contesto veniva riattivata la politica dell'Abgrenzung, con misure miranti a ridurre il flusso di visite di Tedeschi occidentali, e con le ''richieste di Gera'', in Turingia (ottobre 1980), consistenti nel riconoscimento di una cittadinanza DDR, nella trasformazione delle rappresentanze permanenti in ambasciate, nella revisione della frontiera sull'Elba e nella soppressione dell'istituto di Salzgitter, incaricato di documentare gli atti di violenza e le sentenze disumane nella DDR. Al tempo stesso, la dirigenza SED si faceva, almeno inizialmente, sostenitrice di un intervento militare in Polonia.
Tuttavia, Honecker (che fece nel 1981 un sorprendente cenno a eventuali prospettive unitarie tedesche in un futuro quadro ''socialista'', mentre non poteva passare inosservata la rivalorizzazione di molti momenti e personaggi della storia tedesca e dello stesso retaggio prussiano) manifestava un crescente desiderio di salvaguardare una certa distensione intertedesca anche nella crisi dei rapporti Est-Ovest, in seguito all'invasione dell'Afghānistān e del successivo stato d'assedio in Polonia. Egli infatti parlava di un'opportuna "limitazione dei danni" e di una "comunità della ragione" fra i due stati tedeschi. Un motivo essenziale di quest'impostazione era una preoccupazione di carattere economico: stretto nella tenaglia fra un crescente indebitamento esterno e una drastica riduzione dei consumi per ridurre il debito, un compromesso con Bonn − come quelli del 1983-84 (v. sopra) − apriva la via non soltanto all'ingresso di valuta pregiata e a un ripristino del credito sulle piazze occidentali, ma altresì a un'iniezione di beni d'investimento e di consumo, indispensabili i primi per l'ammodernamento dell'economia tedesco-orientale e utili i secondi anche per il clima politico interno. In cambio, la dirigenza SED acconsentiva a smantellare alcuni fra i dispositivi più disumani lungo il muro e lungo la frontiera, quali i campi minati (1985), a facilitare i trasporti intertedeschi e con Berlino, ad aumentare gli scambi culturali (accordo culturale del 1985) e i contatti in genere (primo gemellaggio fra città nel 1986), e ad allentare le limitazioni poste alle visite in ambedue le direzioni. Nel 1986 il movimento di queste visite raggiunse un primo culmine con 1,6 milioni di permessi di viaggio nella BRD, a cittadini pensionati, e altri 200.000 a persone al di sotto dell'età di pensione, concessi dalle autorità tedesco-orientali.
All'insegna di questa relativa ''normalizzazione'' e di una certa moderazione della sua politica, la dirigenza SED e personalmente Honecker, capo incontrastato della DDR dal 1971, riuscivano a migliorare l'immagine della DDR a Occidente; in particolare, poté raccogliere alcuni successi di prestigio su terreni delicati, con un accordo di ''principi'' concluso nel 1986 con la SPD, relativo a una zona denuclearizzata nell'Europa centrale, con l'istituzione di un gruppo di lavoro comune in materia di politica di sicurezza e successivamente con un documento ideologico ("La lotta delle ideologie e la sicurezza comune") concordato fra i due partiti (1987). Il maggior successo diplomatico fu però la solenne visita di Honecker a Bonn nel 1987.
Il raffronto con gli altri stati dell'allora COMECON, assai lusinghiero per la DDR, nascondeva a molti osservatori la sostanziale arretratezza dell'economia tedesco-orientale. Ciò valeva anche, e particolarmente, per le nuove tecnologie: benché fin dai tardi anni Settanta queste avessero ricevuto crescente attenzione e il piano quinquennale 1986-90 avesse assegnato la priorità ai computer, ai robot e alla microelettronica, la dirigenza SED non riuscì a ricuperare il ritardo tecnologico, calcolabile, già intorno al 1985, in circa 5÷6 anni rispetto ai paesi occidentali più avanzati. Alla fine del decennio, la gara economica era palesemente persa nei settori chiave; e nel 1988 risultati inferiori agli obiettivi previsti dal piano furono ufficialmente ammessi per quasi tutti i settori dell'economia. Lo stato effettivo dell'economia e l'acuta crisi di solvibilità internazionale della DDR vennero però rivelati soltanto dopo il crollo del regime.
Tuttavia il movimento di esodo, fra espatriati legalmente, profughi e prigionieri politici riscattati dal governo federale, aveva raggiunto un primo culmine con i 41.000 nel 1984, per oscillare fra i 19 e i 40.000 negli anni successivi. Ciò indicava il persistente dissenso di una grande parte della popolazione nei confronti del regime: dal 1949 fino all'erezione del muro (agosto 1961) 2,7 milioni erano espatriati, mentre altri 616.000 erano espatriati dal 1961 alla fine del 1988, sommando assieme espatri legali, fughe attraverso paesi terzi o attraverso il muro, e i circa 30.000 prigionieri politici riscattati dal governo federale.
Negli ultimi anni, una diffusa protesta cominciava a manifestarsi anche pubblicamente, in particolare con le dimostrazioni svoltesi al centro di Berlino nel giugno 1987, per la demolizione del muro, e poi nel gennaio 1988 in occasione del 69° anniversario dell'assassinio di R. Luxemburg e K. Liebknecht, all'insegna del detto luxemburghiano "la libertà è sempre la libertà di chi la pensa diversamente". Nel frattempo si veniva assistendo al costituirsi, specie all'interno del cristianesimo protestante, di circoli di discussione e di gruppi di orientamento pacifista, antinucleare ed ecologista (Umweltbibliothek), femminista e terzomondista. Se questi nuclei di dissenso trovavano un certo riparo, senza discriminazione confessionale, nelle Chiese, la sola istituzione che potesse godere di qualche autonomia nella DDR, tuttavia le correnti più decisamente impegnate per i diritti umani o nel rivendicare forme non fittizie di partecipazione politica (quali l'Initiative Frieden und Menschenrechte, sorta fin dal 1985, e Kirche von unten) si scontrarono anche con gli esponenti più cauti della gerarchia protestante la quale, fin dal sinodo del 1971, aveva definito la posizione della Chiesa "non contro, non accanto, bensì nel socialismo".
A questa pressione interna che, in virtù del processo CSCE, aveva il vantaggio di potersi avvalere anche del sostegno dell'opinione esterna, il governo rispondeva con parziali allentamenti del sistema oppressivo: nel 1987 per la prima volta un'amnistia comprese anche i prigionieri politici, e la pena di morte, in vigore in tutti gli stati del Patto di Varsavia, venne abolita. Con un nuovo regolamento del 28 marzo 1989, vennero revocate alcune limitazioni stabilite nel dicembre 1988 e ampliate le categorie per i permessi di viaggio in Occidente (specie per i gradi di consanguineità). Infine, il 1° luglio, nella DDR, priva di una giustizia amministrativa nel suo ordinamento giuridico, venne creata la possibilità di ricorso in tribunale contro le decisioni amministrative in materia di permessi di viaggio.
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Dal collasso del regime comunista all'unificazione della Germania. - Ancora il 7 ottobre 1989, la dirigenza SED aveva celebrato con grandi sfilate militari terrestri e navali il 40° anniversario della fondazione della DDR indicandola come necessario portato della storia e come "svolta nella storia del popolo tedesco": un mese dopo sarebbe stata costretta ad aprire il muro di Berlino (cui lo stesso Honecker aveva preconizzato, ancora nel gennaio, un secolo d'esistenza), senza tuttavia riuscire a salvarsi dal crollo generale del comunismo in Europa. Sei mesi dopo, le prime elezioni libere avrebbero consacrato l'avvento della democrazia e aperto la via all'unificazione, dapprima economica, compiuta il 2 luglio, e poi statale, realizzata il 3 ottobre 1990.
Contesto e premessa fondamentale del collasso del regime sono stati i processi di riforma e di trasformazione democratica e liberale avvenuti nell'Europa centro-orientale e, soprattutto, il nuovo corso dell'URSS: non più, dunque, movimenti di riforma e di democratizzazione in un solo stato satellite, o in due, come nel 1953, 1956, 1968 e 1980, bensì un movimento generale che trovava il suo fulcro proprio nello ''stato-guida''. Ma a queste tendenze la dirigenza SED intendeva fermamente opporsi − costituendo con la Cecoslovacchia, la Romania (e anche la Bulgaria) uno schieramento di fronda contro la linea di Gorbačëv − forte del gigantesco apparato di polizia segreta (Stasi) che, organizzata sotto il ministro generale E. Mielke in un apposito ministero (Ministerium für Staatssicherheit, MfS), contava su 85.000 dipendenti a tempo pieno (con unità a struttura ed equipaggiamento militari, con centrali per il controllo dell'intera rete telefonica, ecc.) e su un numero ancora più elevato di spie e di infiltrati in ogni istituzione e in ogni ambiente come gli Offiziere im besonderen Einsatz ("ufficiali in missione speciale"). La dirigenza SED credeva in tal modo di poter resistere. In giugno, prima il Neues Deutschland, organo della SED, e poi la Volkskammer avevano espresso plauso alla sanguinosa repressione di Pechino, e in un vertice del MfS, il 31 agosto 1989, alla domanda semibeffarda del ministro se fosse imminente "lo scoppio del 17 giugno" (data dell'insurrezione del 1953), proprio il comandante di Lipsia aveva assicurato di tenere "saldamente in mano" la situazione. Ancora in occasione delle stesse celebrazioni del 40° anniversario della DDR, il duro monito pubblicamente espresso dal leader sovietico, "chi arriva troppo tardi, sarà punito dalla vita", rimase inascoltato da Honecker.
L'azione che scardinò il regime fu duplice: l'ondata travolgente di profughi e la crescente pressione di correnti di opposizione interna.
Temendo di rimanere rinchiusi in una delle ultime roccheforti del socialismo reale; sempre più insofferenti della realtà quotidiana di un regime di partito, poliziesco, burocratico e onnipresente; depressi dallo sfacelo ormai irreparabile dell'economia, un numero rapidamente crescente di Tedeschi orientali era deciso a far di tutto pur di andare in Occidente. A dar origine a questo movimento di fuga, che avrebbe presto superato di molto i 40.000 fra emigrati legali, profughi e riscattati del 1988, per diventare poi valanga, fu lo smantellamento, da parte del governo ungherese, del filo spinato lungo la frontiera con l'Austria iniziato nel maggio 1989. Profughi tedesco-orientali si rifugiarono nelle ambasciate della BRD a Budapest e a Praga e nella Rappresentanza permanente a Berlino Est; ma fu il passaggio di circa 3000 profughi verso l'Austria, tollerato dalle autorità ungheresi e aiutato dalla popolazione, in agosto, a costituire il vero avvio delle fughe di massa. L'apertura delle frontiere con l'Austria, operata l'11 settembre dal governo magiaro contro la violenta opposizione della DDR, permise in soli tre giorni a 15.000 Tedeschi orientali di passare nella BRD. Nei primi dieci mesi dell'anno, il movimento di fuga e di emigrazione raggiunse il numero di circa 225.000 persone.
Questa valanga di profughi non rimase senza effetto sull'opinione interna della DDR, e non solo per la quasi onnipresenza della televisione e della radio occidentali: essa agì da catalizzatore sull'opposizione che si era andata formando; già un mese prima manifestazioni a Lipsia avevano rivendicato la libertà di viaggiare. Tale richiesta, oltre a un diffuso rigetto, largamente prepolitico, della realtà quotidiana della DDR (che sembrava precludere ogni speranza di una gestione più autonoma della vita, grazie a qualche elementare libertà personale) comprendeva fermenti di opposizione più specificamente politica.
Nel settembre e ottobre si ripeterono manifestazioni, con crescente partecipazione di massa, a Lipsia, Berlino Est, Dresda, Magdeburgo e numerose altre città, sfidando la brutalità dell'apparato poliziesco. Di fronte alle più grandi manifestazioni mai viste dall'insurrezione del 17 giugno 1953 in poi, si arrivò a sfiorare il 9 ottobre 1989 a Lipsia una sanguinosa repressione scongiurata all'ultimo momento per la mediazione del direttore dell'orchestra del Gewandhaus, K. Masur.
Una delle prime manifestazioni di protesta nel settembre, a Berlino Est, era stata diretta contro i brogli delle elezioni comunali del 17 maggio 1989. Benché si fosse trattato, come al solito, di elezioni a lista unica e palesemente fittizie, un numero insolitamente più elevato di cittadini aveva segnalato il suo dissenso; ma pur di raggiungere il solito 98,85% di voti favorevoli, il governo non aveva esitato a far ricorso generalizzato a falsi, scatenando un'imprevista reazione avversa, con proteste di elettori e richieste di indagini, appoggiate anche dalle Chiese. Le manifestazioni, al grido di "noi siamo il popolo", avevano ben presto visto prevalere le richieste di riforme democratiche e delle libertà fondamentali (come la libertà di riunione e di opposizione), passando poi alla richiesta di legalizzazione delle opposizioni.
A parte l'Initiative Frieden und Menschenrechte e i gruppi già operanti nell'ambito delle Chiese, i futuri protagonisti della rivoluzione tedesca, i movimenti per i diritti civili (Bürgerrechtsbewegungen), si andavano raggruppando tra l'estate e l'inizio d'autunno del 1989, procedendo ormai alla loro formale costituzione. Il Demokratischer Aufbruch (DA) da nucleo d'origine protestante si costituì in partito il 30 ottobre; in settembre si costituirono Demokratie Jetzt, movimento civico sorto dalla protesta contro la frode sistematica nelle elezioni comunali del maggio, e il maggiore dei movimenti, il Neues Forum (NF), forte di una rete di gruppi locali, con circa 100.000 aderenti. All'estrema sinistra, invece, si raggruppava la Vereinigte Linke (Sinistra unita), decisamente marxista, che attraeva comunisti dissidenti. Pur con le loro diversità ideologiche e filosofiche, questi movimenti si muovevano tutti in una prospettiva di riforma e di democratizzazione della DDR, senza per questo metterne in questione l'esistenza come stato e senza rifiutare (forse con una parziale eccezione del NF, più aperto anche su questo punto) il ''socialismo'', rispetto a cui, con l'eccezione della Vereinigte Linke, reclamavano tuttavia riforme economiche, nella logica della deburocratizzazione e del mercato, e con l'aggiunta di tematiche ecologiche. Essi, comunque, intendevano muoversi sul piano della legalità e all'interno della Costituzione. Un elemento nuovo, qualitativamente diverso e di particolare rilievo − per l'implicita contestazione dell'unificazione coatta di KPD (Kommunistische Partei Deutschlands) e SPD nel 1946 e del monopolio di rappresentanza della ''classe operaia'' preteso da allora dalla SED − fu la ricostituzione della socialdemocrazia, promossa fin dall'agosto 1989, e nel cui manifesto del 26 settembre si rivendicava una "democrazia sociale ecologicamente orientata", lo stato di diritto, la democrazia parlamentare, il pluralismo dei partiti, il ripristino dei Länder e dell'autonomia locale, l'economia sociale di mercato.
Congiuntamente alla sempre più aperta presa di posizione delle Chiese in difesa del dissenso e della libertà di viaggio, e contro una linea di mera repressione; ai primi segni di sganciamento da parte di alcuni partiti satellizzati; alla marcata presa di distanza di Gorbačëv in occasione del 40° della DDR, la duplice crescente pressione delle fughe di massa e delle manifestazioni (16 ottobre: più di 100.000 a Lipsia, 10.000 a Dresda) provocò il 18 ottobre le dimissioni di Honecker, sostituito come segretario generale del Comitato centrale della SED dal suo delfino E. Krenz. Il tentativo di un cambio della guardia al vertice, sostenuto da esponenti del partito conosciuti come riformatori, e dunque di un allineamento su posizioni gorbaceviane, si scontrava con la richiesta di elezioni libere e della libertà di stampa, di riunione, ecc. (sostenuta giorno dopo giorno da impressionanti manifestazioni: 23 ottobre, 300.000 a Lipsia; 4 novembre, 1 milione a Berlino) e con la profonda diffidenza della popolazione nei confronti dei Wendehälse (voltagabbana) e in opposizione al continuismo rappresentato da Krenz. Né il sacrificio di buona parte della nomenklatura (dal massimo dirigente dell'economia, G. Mittag, alla moglie di Honecker, ministro della Pubblica Istruzione da 26 anni, al ministro Mielke, capo della polizia segreta dal 1957), né gli annunci di amnistia e di radicali riforme e di una nuova regolamentazione dei viaggi in Occidente valsero ad arrestare la disgregazione del regime.
La sera del 9 novembre 1989 il muro a Berlino e tutte le frontiere con la BRD vennero aperti, pare in seguito a un equivoco (l'intenzione del nuovo segretario generale sarebbe stata in realtà solo di liberalizzare i viaggi, ma nessuno osò opporsi con la forza all'imponente movimento di massa): fin dalla notte milioni di Berlinesi dell'Est e di Tedeschi orientali cominciarono a riversarsi a Berlino Ovest e nella Repubblica federale, accolti con emozionanti scene di gioia.
Il 13 novembre la Volkskammer elesse un noto esponente dell'ala riformatrice della SED, H. Modrow, a presidente del consiglio. Il 1° dicembre venne cancellata dalla Costituzione la disposizione relativa al ruolo guida della SED. Nonostante ciò lo sdegno dell'opinione pubblica, che cominciava a intravvedere tanto le effettive dimensioni della corruzione della nomenklatura, quanto il grado d'infiltrazione della Stasi in ogni settore della vita, aumentava, ispirando gigantesche dimostrazioni. La stessa SED, parte dei cui iscritti chiedeva ormai epurazioni e riforme, veniva messa in crisi da un massiccio esodo, al punto che al suo stesso interno sorgeva impetuosa la richiesta di un autoscioglimento. Il 6 dicembre Krenz dovette dimettersi dalla carica.
Fino ad allora il governo e i principali esponenti politici della Repubblica federale si erano limitati a chiedere riforme incisive nella DDR, offrendo aiuto, dopo l'apertura del muro. Il 28 novembre il cancelliere Kohl prese l'iniziativa, all'insaputa non solo della pubblica opinione ma anche degli stessi alleati occidentali, proponendo a sorpresa un programma in 10 punti. Il programma non solo offriva aiuti a condizione di un cambiamento duraturo, bensì, andando oltre la "comunità contrattuale" prospettata da Modrow, prevedeva la creazione di "strutture confederali" fra i due stati tedeschi, prospettando, a lunga scadenza, la nascita di uno stato federale tedesco. Tale processo graduale avrebbe dovuto avvenire nel contesto della CSCE e senza pregiudizio dell'integrazione nella CEE. La reazione del governo sovietico fu apertamente contraria; quella degli alleati occidentali, al di là del riconoscimento di principio del diritto del popolo tedesco all'autodeterminazione, rimase piuttosto fredda, soprattutto quella dei governi britannico e francese. Anche la CEE si mostrò inizialmente poco incline a prendere in esame un'adesione della DDR a tempi brevi.
La rivoluzione nella DDR aveva di colpo conferito attualità al problema dell'unità della G., anzitutto agli occhi degli stessi Tedeschi. Dopo la prima fase, tutta rivolta alle riforme e alla democratizzazione della DDR, a partire dai primi di dicembre la questione dell'unificazione, e a breve scadenza, andava acquistando rilievo nell'opinione tedesco-orientale. Nelle manifestazioni il grido Wir sind das Volk ("noi siamo il popolo") veniva gradualmente sostituito da quello Wir sind ein Volk ("noi siamo un popolo") e bandiere tricolori nerorosso-oro, improvvisate tagliando via il simbolo comunista da quelle ufficiali, apparivano dappertutto, accanto a quelle degli storici Länder, fino allora bandite. Una rapida unificazione cominciava ad apparire la sola via, non solo per la ricostruzione dell'economia, ma al contempo per scongiurare il pericolo di un ritorno delle forze del regime crollato, che mostravano di possedere comunque ancora molte risorse. Lo storico binomio di unità e libertà, spesso interpretato in passato come implicante una scelta, acquistò invece il significato di unità nazionale a garanzia della libertà, appena conquistata, dei 16 milioni di Tedeschi orientali.
Sotto il governo Modrow la DDR si trovava in bilico tra due situazioni contrastanti. Da una parte la progressiva eliminazione dei vertici della vecchia dirigenza, con la messa in istato d'accusa dei suoi principali esponenti, lo sfaldamento del Block (l'organizzazione che legava alla SED i partiti satelliti) e soprattutto la costituzione di una ''tavola rotonda'' che vedeva la SED, i vecchi partiti e le ''organizzazioni di massa'' finora satelliti della SED, riuniti assieme ai nuovi movimenti e ai partiti d'opposizione (Bürgerrechtsbewegungen, Verdi, SDP, DA, ecc.) con i rappresentanti delle Chiese che fungevano da moderatori (già dalla prima riunione del 7 dicembre emerse la raccomandazione di elezioni libere da tenersi il 6 maggio 1990). Dall'altra parte l'alta burocrazia, la macchina amministrativa, i comuni, la giustizia, l'apparato economico, la televisione, la radio, e le università che continuavano a essere nelle mani degli uomini del vecchio regime SED. Al congresso straordinario tenutosi nel dicembre 1989 la SED, scongiurando il rischio di una completa disgregazione, rinnovò la sua dirigenza, eleggendo presidente G. Gysi (personalmente non compromesso con i delitti del regime, anzi con un passato di avvocato difensore di dissidenti), rinnovò lo statuto e le strutture e adottò un orientamento programmatico che, rompendo con lo stalinismo, l'allineava con i partiti comunisti dell'Est in via di riforma; l'aggiunta della dizione Partei des demokratischen Sozialismus (PDS) alla vecchia sigla sarebbe stata adottata quale unico nome nel febbraio 1990 per sottolineare la rottura col passato e il carattere di partito nuovo.
Fino alla metà del gennaio 1990, la ''tavola rotonda'' (cui il NF non era riuscito a far riconoscere un formale diritto di veto, ma che, di fronte alla mancanza di legittimazione democratica della Volkskammer, aveva subito conquistato notevoli funzioni di controllo e di preparazione legislativa) fu teatro di una tenace lotta delle nuove opposizioni per smantellare l'apparato monopolistico di potere SED-Stasi: la sorte dell'ex MfS e dell'organico della Stasi (rivelatosi più del quadruplo delle cifre prima stimate) era infatti al centro dello scontro decisivo. Appoggiate da imponenti manifestazioni, che culminarono il 15 gennaio nell'occupazione della sede centrale della Stasi, le nuove opposizioni prevalsero; la ''tavola rotonda'' acquistò un ruolo centrale nel processo decisionale, e Modrow si vide obbligato a chiedere la partecipazione delle nuove opposizioni al gabinetto.
L'azione forse più gravida di conseguenze fu quella svolta dal governo e dalla burocrazia nel ritardare la conversione dell'economia della DDR in un sistema di mercato. Mentre contro il permanere del potere SED-PDS si rinnovavano imponenti manifestazioni, che insistevano peraltro nel rivendicare una rapida unificazione della G., l'incerta situazione politica ed economica provocava una forte ripresa dell'emigrazione verso la Repubblica federale. Da questa dinamica nacque la proposta di un'Unione monetaria ed economica, poi diventata anche sociale (WWSU, Wirtschafts-, Währungs- und Sozialunion), avanzata dapprima da esponenti socialdemocratici e poi fatta propria dal governo federale, con una rapida introduzione del DM nella DDR. Ardita terapia d'urto, che avrebbe fatto precedere l'unificazione monetaria al risanamento economico, la WWSU corrispondeva anche all'impossibilità de facto di mantenere due aree a fortissimo dislivello economico-sociale, unite però da una comune lingua e molteplici legami che favorirono le migrazioni.
La dinamica della disgregazione della DDR aveva rapidamente reso obsoleto non solo il programma gradualistico proposto dal cancelliere Kohl il 28 novembre 1989, ma la stessa ''comunità contrattuale'' concordata da lui col presidente del consiglio Modrow il 19 dicembre. Nel febbraio 1990 vennero stabilite le premesse internazionali per l'unificazione della G.: il presidente statunitense Bush aveva da tempo adottato una linea di sostegno all'unificazione, fatto salvo l'''impegno'' tedesco nella NATO e nella CEE, condizionato soltanto dalla viva preoccupazione di non indebolire la posizione di Gorbačëv. In febbraio, ormai, gli USA tacitamente appoggiavano la politica di accelerazione del processo di unificazione perseguita dal governo federale. Più delicata si rivelava la questione per Regno Unito e Francia che, con la soluzione della questione tedesca, avrebbero perso elementi di status internazionale preziosi. I due governi, dopo qualche esitazione, si allinearono. Pieno di contrasti era il quadro dell'opinione pubblica in Europa, divisa fra la soddisfazione di fondo per il crollo del muro e l'accettazione dell'unificazione (come rivelavano nella maggior parte dei paesi europei le inchieste d'opinione), e i ricordi tuttora vivi del Terzo Reich, che suscitavano paure, diffuse dai mass media, per un ritorno di un ''Quarto Reich''. Di grande importanza fu l'iniziativa presa dal presidente della Commissione della CEE, J. Delors, il 17 gennaio 1990: egli sostenne che la DDR, visto il suo particolare status nel contesto tedesco, avrebbe potuto trovare rapidamente posto nella CEE e con modalità da decidersi principalmente dagli stessi Tedeschi. La Commissione l'avrebbe poi tradotto in un programma per un rapido inserimento della DDR, presentato il 20 aprile.
Rimaneva un ostacolo essenziale, quello dell'URSS. La posizione tradizionale sovietica, che insisteva sull'esistenza di due stati tedeschi con due sistemi sociali ed economici contrastanti, rifiutava la tesi della BRD di una questione tedesca aperta e negava ogni prospettiva di superamento della divisione, giacché questa non avrebbe potuto risultare se non nell'"annessione della DDR da parte della BRD capitalista e nella liquidazione per tappe dell'ordinamento socialista in altri paesi dell'Europa orientale" (Sovietskaja Rossija, 1985). Tale posizione era stata duramente ribadita ancora nel 1987 a Mosca al presidente federale R. von Weizsäcker e nel 1988 al cancelliere Kohl: riaprire la questione tedesca sarebbe stata "un'impresa incalcolabile e perfino pericolosa". Inoltre, Gorbačëv aveva ormai fatto capire di considerare le sorti della perestrojka legate alla sopravvivenza della DDR. Tuttavia, l'inarrestabile destabilizzazione di quest'ultima, nel contesto non solo della disgregazione dell'impero sovietico in Europa orientale, ma altresì dell'accelerazione della crisi interna alla stessa URSS (drammaticamente accentuata dagli avvenimenti nel Caucaso e dal movimento d'indipendenza nei paesi baltici) condusse il leader sovietico all'abbandono graduale della posizione tradizionale sovietica, in favore di una visione formulata fin dall'aprile 1989 dall'Istituto per l'Economia del sistema socialista mondiale a Mosca, secondo la quale soltanto il superamento della divisione della G. avrebbe dato stabilità all'Europa. Il 10 febbraio 1990, a conclusione dei colloqui con Kohl e Genscher a Mosca, Gorbačëv convenne essere "diritto esclusivo del popolo tedesco" la decisione sulla sua unità o meno. Restava comunque un consistente scoglio: la collocazione internazionale di una G. unita. Qui, l'opzione atlantica sostenuta tanto dagli USA quanto dal governo federale urtava contro le richieste di neutralità o di uno status ''singolarizzato'', cioè differenziato − per limitazioni − rispetto ai membri 'normali' della NATO. La soluzione preconizzata dal ministro Genscher − l'appartenenza cioè della G. unita al Patto Atlantico, ma nessuna estensione sul territorio ex DDR dell'apparato integrato militare della NATO − delineava un punto d'incontro fra gli interessi atlantici, la sicurezza della G. futura, la tranquillità dei paesi vicini, che preferivano una G. saldamente inserita in strutture europee, atlantiche e internazionali, e le esigenze di sicurezza dell'URSS. Il 14 febbraio 1990 venne stabilita la procedura di negoziati ''2+4'', cioè fra i ministri degli Esteri dei Quattro e quelli dei due stati tedeschi sugli aspetti internazionali e di sicurezza dell'unificazione tedesca, i cui risultati sarebbero stati comunicati alla CSCE.
Dopo più di cinque decenni di dittatura, prima nazista poi comunista, interrotta soltanto da un paio d'anni di semilibertà e semilegalità dopo la fine della seconda guerra mondiale, i Tedeschi nella DDR votarono per la prima volta liberamente il 18 marzo 1990, eleggendo il loro Parlamento, la Volkskammer (v. tab. 3).
Tutto si era dovuto creare in poche settimane, dalle norme giuridiche a rudimentali apparati di partito, ai mezzi di comunicazione. La SED-PDS subiva, sì, una nuova forte emorragia, ma, grazie alla scelta del rinnovamento programmatico e della continuità istituzionale, aveva conservato il suo ingente patrimonio e il controllo di tante posizioni di potere. Gli stessi partiti dell'ex Block si trovavano in una situazione d'incolmabile inferiorità; mentre assolutamente prive di strutture e mezzi (dalla carta ai telefoni, alle automobili) erano le nuove forze di opposizione. Tuttavia, grande favorita in partenza era parsa la socialdemocrazia (SDP: Sozial Demokratische Partei, poi SPD: Sozialdemokratische Partei Deutschlands), non soltanto perché non compromessa col regime crollato, ma altresì in ragione della sua tradizionale forza in gran parte del territorio della DDR ai tempi dell'Impero e della Repubblica di Weimar. Difficile e confusa invece la situazione in quei settori che normalmente si usa chiamare di centro e centro-destra: sui partiti dell'ex Block gravava l'ipoteca di un pluridecennale assoggettamento alla SED.
Nell'area conservatrice e cristiana, una serie di piccole organizzazioni costituirono a Lipsia (20 gennaio 1990) la Deutsche Soziale Union (DSU), presto sostenuta dalla CSU bavarese. Dalle Bürgerrechtsbewegungen si venivano staccando gruppi consistenti che si riconoscevano piuttosto nei modelli politici della Repubblica federale e nelle forme di partito parlamentare: è il caso della Deutsche Forumspartei (DFP) staccatasi dal NF, mentre il DA si trasformò da movimento civico in partito dell'area conservatrice-cristiana (per fondersi più tardi nella CDU). All'inizio di febbraio nacque una FDP-Est, in aperto contrasto con la LDPD (Liberal-Demokratische Partei Deutschlands), per il passato di Blockpartei che quest'ultima aveva avuto.
Democristiani e liberali occidentali si trovavano in una situazione imbarazzante, posti com'erano fra i loro omologhi ex Blockparteien, che soli disponevano di un apparato ma sui quali gravava il passato, e le nuove formazioni improvvisate, la cui sola forza era quella morale. CDU e FDP scelsero di non rinunciare all'apporto organizzativo dei primi e di valorizzare il credito morale dei secondi, puntando su questi ultimi anche per stimolare il processo di rinnovamento dei loro omologhi orientali. In periferia, peraltro, le Blockparteien avevano offerto un limitato e precario riparo a chi non era perfettamente allineato al regime, e la stessa iscrizione a uno di essi, anziché alla SED, veniva già considerata indizio di un possibile spirito di fronda.
Il partito nel quale più rapidamente era iniziato il rinnovamento dalla base, accelerato anche dall'ambiente religioso, era la CDU-Est, col nuovo leader L. de Maizière. Benché avesse preso per prima posizioni critiche, la LDPD tardava nella sua opera di rigenerazione, fino a che le pressioni della FDP e la concorrenza di nuove forze liberali non fecero prevalere le tendenze per un radicale rinnovamento, che si espresse nell'elezione alla guida del partito dello scienziato R. Ortleb, nella richiesta di una rapida unificazione e nella conclusione, sotto gli auspici della FDP occidentale, di un'alleanza elettorale con la nuova FDP-Est e la DFP nel Bund freier Demokraten (BfD). Dopo molta esitazione, il cancelliere Kohl promosse un'intesa fra CDU-Est, DA e DSU (Allianz für Deutschland), dandole un deciso appoggio nella campagna elettorale. I due Blockparteien creati artificiosamente dalla SED nel 1948, cioè la NDPD e il DBD (il partito contadino, in realtà l'organizzazione dei salariati delle cooperative, chiamato la ''SED di campagna''), rimasero isolati. Le principali Bürgerrechtsbewegungen costituirono l'alleanza elettorale Bündnis '90.
La campagna elettorale fu intensissima, caratterizzata da una fortissima partecipazione popolare e da un'incisiva presenza dei partiti democristiani, socialdemocratico e liberale occidentali. Essa venne condotta senza esclusione di colpi: con tentativi d'identificare anche il socialismo della socialdemocrazia con quello SED; con attacchi sia della SPD sia del Bündnis '90 contro i partiti ex Block; con tentativi d'inganno da parte del PDS, per es. con manifesti democristiani contraffatti allo scopo d'indurre gli elettori a dare un voto valido.
Il risultato, tra la sorpresa generale, fu un'impressionante vittoria del cartello democristiano, che rasentò la maggioranza assoluta. Il voto, più che ai partiti locali, venne dato guardando ai partiti e ai leaders della BRD, e fu anzitutto un voto per una rapida unificazione, ma anche contro ogni nuovo esperimento socialista; perciò la SPD pagò lo scotto della sua incertezza, offrendo un'immagine ormai irriconoscibile fra la linea ''patriottica'' di Brandt e l'impostazione di Lafontaine, tutta incentrata sui timori per i ''costi'' dell'unificazione. Altri risultati significativi furono il deludente consenso raccolto dai liberali, la netta sconfitta del Bündnis '90 e la relativa ripresa del PDS che, unendo al voto dei fedeli e dei privilegiati del vecchio regime, consensi di comunisti riformatori, aveva puntato con successo sulle paure di disoccupazione e di crisi sociale. Nelle ultime due settimane si era verificato un vero e proprio ribaltamento nell'orientamento degli elettori, in vista di una rapida unificazione e in un clima nuovo di grande ottimismo, decisivo per il trionfo democristiano. Il Sud industrializzato, che già era stato all'avanguardia della rivoluzione nell'autunno, dette, con il suo massiccio voto operaio, la vittoria decisiva a CDU e DSU (fra 58 e 60% all'Allianz für Deutschland) e inferse la più cocente sconfitta al PDS (fra 11 e 13%), senza per questo rinnovare l'antica fiducia alla SPD. Questa resse meglio nel Nord agricolo e a Berlino Est, dove pure, come in altri centri a forte presenza burocratica, il PDS ottenne i suoi migliori risultati (fra 20 e 30%).
Fu costituito un governo di coalizione fra democristiani, liberali e socialdemocratici, che disponeva della maggioranza dei 2/3 necessaria per ogni revisione della Costituzione. La guida fu data al democristiano L. de Maizière, con un chiaro triplice mandato: unificazione rapida, democratizzazione, economia di mercato.
Si trattava di un compito per il quale non esistevano precedenti esperienze storiche (specie per una rapida conversione di un'economia totalmente pianificata in un'economia di mercato, e nell'imminente prospettiva di una fusione con quella tanto più forte tedesco-occidentale e dell'inserimento nella CEE) ed estremamente arduo per la nuova classe politica democratica, priva d'ogni esperienza in materia di economia e di politica estera, in buona parte formatasi in ambienti di chiesa, e peraltro costretta a servirsi largamente dei vecchi apparati.
Il 6 maggio 1990 le elezioni comunali crearono le premesse per amministrazioni locali democratiche; il PDS, in regresso e isolato, finì con essere escluso dappertutto dalle nuove giunte. I distretti (Bezirke), istituiti nel 1952, furono soppressi e furono ricostituiti gli storici Länder, rimasti vivi nella coscienza popolare: Meclemburgo-Pomerania Anteriore, Brandeburgo, Sassonia-Anhalt, Turingia e Sassonia.
Uno dei maggiori problemi era quello della Costituzione. Un progetto elaborato ancora dalla ''tavola rotonda'' venne scartato dalla Volkskammer. Nel frattempo era infatti prevalsa l'idea di limitarsi temporaneamente a indispensabili revisioni della vecchia Costituzione, fino a quando la DDR non avesse aderito alla Legge Fondamentale secondo l'art. 23, che era la via prescelta in conformità con il responso delle urne del 18 marzo, e in alternativa all'art. 146 che prevedeva l'elaborazione di una Costituzione per la G. unita. Furono così introdotti alcuni elementi essenziali dell'ordinamento della giustizia della BRD (tribunali amministrativi, del lavoro e sociali) e furono poste alcune essenziali premesse per l'economia di mercato, quali lo smantellamento dei grandi complessi di stato (Kombinate: 85% dell'industria) affidato a un nuovo ente (Treuhandstelle) in vista della loro privatizzazione, e l'introduzione del diritto alla proprietà privata.
Centrale fu l'unificazione economica, con la sollecita introduzione della moneta BRD nella DDR (promessa che era stata uno dei punti di forza della campagna elettorale del 18 marzo). Il 18 maggio 1990 fu firmato il trattato sull'Unione monetaria, economica e sociale (WWSU) che entrò in vigore il 2 luglio successivo. Il trattato stabiliva appunto l'introduzione del marco occidentale, con un cambio molto superiore al valore del marco-DDR (1:1 per stipendi, pensioni, ecc., e per buona parte dei risparmi privati; 2:1 per il resto) e indicava la Banca federale come unica banca di emissione; stabiliva in 23 miliardi per il 1990 e in 35 per il 1991 i sussidi della BRD al bilancio della DDR, fissando un limite all'indebitamento di quest'ultima; definiva gli elementi costitutivi dell'economia di mercato come base dell'unione economica, prevedendo la creazione di un complesso sistema previdenziale (fra i vari provvedimenti, l'introduzione dell'assicurazione per la disoccupazione) sempre in corrispondenza con le istituzioni della BRD. In maggio era stata inoltre decisa la creazione di un fondo speciale ''Unità tedesca'', fuori del bilancio federale, di 115 miliardi di DM, 95 dei quali da finanziarsi con prestiti.
La rapida unione monetaria in realtà era stata oggetto di controversie nella Repubblica federale. Rientrate le iniziali perplessità della Banca federale in nome dell'obiettivo politico, venuta meno nella popolazione l'emozione per l'apertura del muro e poi, a Natale, della porta di Brandenburgo, c'era un diffuso timore per la stabilità della moneta e in genere per i possibili costi economici e sociali dell'unificazione. Questa stessa tematica era stata al centro dell'opposizione al trattato manifestata da Lafontaine, futuro candidato socialdemocratico alla cancelleria della SPD, ma che tuttavia, alla fine di un tenace scontro, risultò in posizione minoritaria nel partito. Il trattato fu approvato dal Bundestag a grande maggioranza, con l'opposizione dei Verdi e di una ventina di socialdemocratici.
L'improvviso riproporsi, e così concreto, della questione tedesca aveva di fatto sorpreso non solo le potenze straniere, ma anche − e non meno fortemente − gli stessi Tedeschi: a lungo essa era parsa teorica; nel migliore dei casi, anche per chi, come lo stesso Schmidt, non si rassegnava a considerare definitiva la divisione, il suo superamento era oggetto di lontana speranza ("forse soltanto nel xxi secolo", disse nel 1979). La questione nazionale era stata largamente rimossa e spesso la realtà della DDR veniva presentata in maniera apologetica. Il precipitare degli avvenimenti rivelò l'esistenza, nell'opinione pubblica e nella classe politica, di atteggiamenti profondamente divergenti. A un deciso impegno per l'unificazione facevano riscontro indifferenza e diffidenza, fino all'aperta opposizione da parte dell'ultrasinistra e dei Verdi (al cui congresso si era levato il grido "Germania, mai più"); tra le forze di estrema sinistra, collocate fra la sinistra SPD e i comunisti, c'era chi aveva perso il grande finanziatore dell'Est (DKP: Deutsche Kommunistische Partei, e fiancheggiatori) e chi la speranza di un'alternativa ''socialista'' alla ''capitalista'' Repubblica federale. La SPD era nettamente scissa fra la linea ''nazionale'' di Brandt e del capogruppo H.-J. Vogel, e l'atteggiamento reticente di Lafontaine. Quest'ultimo, fattosi interprete dapprima dell'indifferenza, poi della paura di sacrifici diffusa all'Ovest, aveva infine impostato la campagna elettorale con l'obiettivo di smentire la scommessa del governo federale di portare l'ex DDR a una rapida ripresa economica, senza per questo chiedere sacrifici al contribuente nella BRD. Particolarmente decisi nel chiedere l'accelerazione del processo di unificazione erano stati invece i liberali, che erano stati anche i primi a realizzare la fusione con i partiti omologhi dell'Est in un unico Partito liberale tedesco (agosto 1989). Le differenze nell'opinione pubblica, peraltro, erano di origine non solo ideologica, ma anche generazionale e geografica, come avrebbe mostrato per es. il dibattito intorno al ripristino di Berlino quale capitale della G. unita, secondo la promessa solenne e reiterata per ben quattro decenni. Erano infatti insorte le più svariate opposizioni: da parte di chi temeva una restaurazione della G. bismarckiana; di chi paventava i costi economici del trasferimento della capitale; delle lobbies a difesa degli interessi regionali della Renania-Westfalia; di ambienti tuttora sensibili al richiamo di vecchi risentimenti anti-prussiani, di stampo particolaristico e confessionale (renano o bavarese); infine di chi preferiva mantenere la capitale sul Reno quale simbolo della validità immutata delle scelte interne e internazionali della democrazia di Bonn.
Contemporaneamente il lavoro della diplomazia federale ormai procedeva in stretta sintonia specie con quella statunitense. Sollecita, sotto la direzione di Genscher, a fornire un massimo d'informazione e consultazione sia in sede comunitaria che atlantica, nonché a rassicurare i vicini paesi dell'Est, essa operava per definire la cornice internazionale del processo di unificazione. Il 5 maggio presero avvio i colloqui ''2+4''. Il delicato problema del definitivo riconoscimento della frontiera polacca venne eliminato grazie a due risoluzioni solenni dei parlamenti tedeschi, come anticipazione del futuro trattato.
Il problema dell'inserimento della DDR nella CEE (assai semplificato dall'adozione della procedura di unificazione secondo l'art. 23) fu impostato dal Consiglio europeo di Dublino del 28 aprile 1990 sulla falsariga delle proposte di Delors. L'unificazione statale avrebbe automaticamente comportato l'inclusione nella CEE del territorio della ex DDR, con l'entrata in vigore del diritto comunitario, mediante una serie di norme transitorie. Al tempo stesso il governo federale, di concerto con quello francese, proponeva l'avvio di una conferenza di governo per la realizzazione in parallelo dell'unione economico-monetaria e dell'unione politica, da compiersi ambedue entro il gennaio 1993, quasi a sottolineare che la politica di unificazione nazionale non avrebbe diminuito l'impegno comunitario della Germania.
Il 16 luglio 1990 il cancelliere Kohl riuscì a rimuovere l'ultimo e maggiore ostacolo, cioè l'opposizione sovietica all'appartenenza di tutta la G. alla NATO. Negli stessi giorni in cui l'Ucraina emulava la RSFSR (Russian Soviet Federated Socialist Republic) nel dichiararsi sovrana, Gorbačëv accettò la posizione USA-BRD. Il compromesso previde la riduzione delle truppe della G. unita a 370.000 uomini (rispetto ai 480.000 della sola Bundeswehr) e il ritiro entro il 1994 di quelle sovietiche dalla G. federale (rientro che sarebbe stato sovvenzionato con 12 miliardi di DM), e persino la futura presenza sul territorio ex DDR di truppe tedesche integrate nella NATO. Un nuovo credito, di 5 miliardi di DM, veniva accordato all'URSS. Sulla base di quest'intesa, successivamente recepita e integrata da altri quattro trattati tedesco-sovietici sulla cooperazione e sull'aiuto economico (ottobre e novembre 1990), venne concluso il negoziato ''2+4'', col trattato del 12 settembre 1990. Esso, ponendo fine ai residui diritti delle 4 potenze vincitrici, restituiva la completa sovranità alla G., unificata entro i confini post-bellici. Successivamente, due trattati tedesco-polacchi hanno confermato la frontiera dell'Oder-Neisse (14 novembre 1990) e definito la protezione della minoranza tedesca in Polonia, tracciando le linee di una futura cooperazione (17 giugno 1991).
Firmato il 31 agosto 1990 il trattato di unificazione, il 3 ottobre la DDR aderiva, sulla base dell'art. 23 della Legge Fondamentale, alla BRD, recependone, con una serie di norme transitorie, istituzioni e diritto. Il primo Parlamento della G. unita fu eletto il 2 dicembre 1990, secondo una legge elettorale speciale che, in seguito a una sentenza della Corte costituzionale, aveva stabilito la barriera del 5% separatamente per l'ex BRD e l'ex DDR. Il voto segnò un duplice plebiscito per l'unità e per la coalizione di Bonn, con un ulteriore calo del PDS e il mancato rientro dei Verdi occidentali nel Bundestag (v. tab. 4). Il 20 giugno 1991, dopo accesa controversia, Berlino fu scelta quale sede del governo e del parlamento della G. unificata.
Economicamente, la BRD si è trovata in condizioni particolarmente favorevoli per affrontare la sfida dell'unificazione. Grazie a un periodo di boom prolungato, aveva raggiunto il record dell'occupazione, con circa 2 milioni di nuovi posti di lavoro creati dal 1983, e un tasso di disoccupazione calato finalmente intorno al 6,5%. Il volume dell'economia tedescoorientale non superava invece 1/8 di quella federale.
L'avvio economico dell'unificazione, se ha smentito gli allarmisti a Occidente, si è rivelato però assai più arduo del previsto a Est. La permanenza di molto personale burocratico vecchio; l'inaspettato grado di distruzione dell'ambiente; l'irrisolta questione delle proprietà in vario modo espropriate, soprattutto sotto il regime DDR, ma anche precedentemente, sotto il regime nazista e poi sotto l'amministrazione sovietica (1945-49), e ora da restituire agli ex proprietari, oppure da compensare (il che impediva acquisti e fitti di immobili indispensabili per investimenti); i livelli stabiliti dai nuovi contratti salariali e, soprattutto, le indiscriminate garanzie d'occupazione, hanno considerevolmente ostacolato nel 1990-92 l'auspicata rapida ripresa dell'economia a seguito della sperata ondata d'investimenti. Le nuove condizioni interne ed esterne hanno inoltre cominciato a trasformare la vecchia disoccupazione latente (camuffata secondo la prassi delle economie socialiste in una manodopera pletorica, poco produttiva, sottoutilizzata quando non fittiziamente occupata) in disoccupazione palese. Il tasso di disoccupazione infatti, malgrado l'impiego di molteplici interventi sul mercato del lavoro − dalla riqualificazione, al prepensionamento, al lavoro a orario ridotto − è salito già nel 1992 al 15% nei nuovi Länder. Istituita originariamente dal governo transitorio Modrow per gestire l'impero dell'economia pubblica, la Treuhandstelle seguì invece il nuovo indirizzo impressole dal suo secondo presidente D. Rohwedder (assassinato nell'aprile 1991), e cioè di privatizzazione delle aziende con ampio intervento di risanamento. Tale indirizzo fu in seguito decisamente accentuato dal successore di Rohwedder, B. Breuel, in favore della priorità di una privatizzazione completa e più sollecita possibile, contro vivaci opposizioni a Est come a Ovest, preoccupate soprattutto del mantenimento dei posti di lavoro nell'immediato. Dopo un lento avvio, la Treuhandstelle è riuscita a vendere, entro il novembre 1991, quasi il 25% delle aziende e a restituirne ai proprietari originari un altro 4,3%, chiudendone soltanto il 5,8%; nel 1992 era prevista la privatizzazione di circa metà dell'intero patrimonio, che aveva rappresentato poco meno del totale dell'economia dell'ex DDR. I costi sociali, anzitutto l'esperienza di massiccia disoccupazione − specie nei rami classici dell'industria e con drammatiche accentuazioni nel Nord del paese − pur risultando alti, non hanno provocato un collasso sociale. Nonostante i primi segni di ripresa economica, soprattutto nel commercio, nell'artigianato, nell'edilizia e in alcune libere professioni, e i segni indicanti una rapida e profonda modernizzazione dell'apparato produttivo, la produzione industriale nel 1992 era ancora inferiore a quella del 1989. La ricostruzione economica non ha ancora sviluppato una dinamica autopropulsiva, continuando a richiedere un gigantesco trasferimento di risorse dall'Ovest, impiegate non solo negli investimenti, bensì per circa la metà negli stessi consumi (in particolare spese sociali, amministrazione pubblica, trasporti). Le spese di trasferimento ammontavano nel 1991 a 140 miliardi di marchi, per salire nel 1992 a 180 miliardi; un quarto del bilancio federale (i Länder e i comuni partecipano in misura minima al finanziamento della ricostruzione dell'ex DDR) è stato consacrato, sempre nel 1992, ai nuovi Länder. Queste esigenze di fronte all'incapacità politica d'imporre una consistente riduzione della spesa pubblica nell'Ovest, hanno richiesto, oltre a modesti inasprimenti fiscali, un forte indebitamento pubblico; il precedente quasipareggio ha dato luogo a un nuovo indebitamento corrente pari al 6% del PIL. L'ammontare complessivo del debito pubblico, cui concorrono in grande misura anche Länder e comuni e ora anche nuovi enti creati per la ricostruzione dell'Est, già salito nel 1991 al 42,2%, è stimato crescere entro il 1995 al 51% del PIL; l'inflazione ha raggiunto tassi preoccupanti per i criteri di valutazione tedeschi con il 3,6%.
Però, a medio termine più gravi appaiono i problemi sociali e di assai più difficile soluzione quelli riguardanti il risanamento istituzionale, dalla magistratura all'università, all'inquinante onnipresenza della Stasi, la cui scoperta, oltre a produrre l'accantonamento di numerosi uomini politici che, pur protagonisti della Wende, sono o risultati compromessi con la polizia segreta o per lo meno sospetti, ha dato luogo a un lacerante processo di ricerca della verità e di autoepurazione. La difficile ridefinizione della propria identità e i rapporti, spesso delicati, fra Tedeschi ex occidentali ed ex orientali; i gravi problemi sociali che nell'ex DDR accompagnano il passaggio dall'economia comunista a un'economia di mercato e la crescente disoccupazione; i timori di cospicui settori della società dell'ex G. occidentale, disorientati per le oscillazioni della condotta del governo dopo l'unificazione e preoccupati delle prospettive economiche: tutto ciò ha creato nel 1991-92, in ambedue le parti del paese, un clima di irrequietudine e di precarietà nell'opinione pubblica, in cui il tema degli Asylanten (profughi e immigrati dall'Est europeo e dai paesi afro-asiatici) ha coagulato ogni sorta di timori e risentimenti, economici, sociali, culturali, politici, dando luogo prima a esplosioni di xenofobia e poi, nelle elezioni alle diete dello Schleswig-Holstein e del BadenWürttemberg (5 aprile 1992) a un clamoroso voto di protesta, che si è espresso, oltre che in una dura sconfitta sia della CDU che della SPD, in una spettacolare affermazione dell'estrema destra (i Republikaner 11% nel Baden-Württemberg, DVU 6% nello SchleswigHolstein), che si riteneva ormai avviata definitivamente all'esaurimento. In parte diverso l'esito delle elezioni tenutesi a Berlino nel maggio 1992 dove la SPD conservava il risultato del dicembre 1990 migliorandolo leggermente (31,8), mentre si registrava una netta sconfitta della CDU, passata dal 40 al 27,5% dei voti. Non si verificava invece il temuto sfondamento dell'estrema destra, ferma all'8,3% dei suffragi.
Assorbita dai suoi problemi interni, la nuova G. fu posta dalla guerra del Golfo bruscamente e inaspettatamente davanti al problema delle sue future responsabilità internazionali. La politica di basso profilo adottata in questo caso dal governo federale, se non valse a placare l'apprensione di vasti settori dell'opinione pubblica, non soddisfece neppure gli alleati, i quali erano delusi per la limitatezza dell'impegno tedesco. D'altra parte, nel 1991 il sostegno dato dalla diplomazia federale prima ai paesi baltici, poi (dopo un'iniziale esitazione) alla Slovenia e alla Croazia nella loro lotta per l'autodeterminazione, suscitò vive preoccupazioni per il suo dinamismo, esponendo la G. a momenti di quasi isolamento fra i suoi alleati principali. Né valse sempre a calmarle quella che pure fu la linea essenziale della politica estera della nuova G. unita, cioè l'impegno europeistico ancora rafforzato, se possibile, rispetto al passato: dal sostegno all'unificazione politica − a cominciare dalla rivendicazione di maggiori competenze per il Parlamento europeo − al sì, dato contro molte opposizioni e perplessità, anche dagli ambienti della Banca federale, al Consiglio europeo di Maastricht (dicembre 1991) e al progetto dell'Unione economica e monetaria, con la creazione di una Banca centrale europea, con conseguente sacrificio del marco in favore dell'ECU.
Dopo diciotto anni di permanenza al ministero degli Esteri caratterizzati da grandi successi politici, il 27 aprile 1992 il leader liberale H.D. Genscher annunciò le sue dimissioni e fu sostituito nella carica da K. Kinkel (ministro della Giustizia dal gennaio 1991). Nel maggio 1992 è stato istituito un corpo d'armata franco-tedesco che dovrebbe divenire operativo il 1° ottobre 1995. I compiti previsti per questo corpo sono: la difesa comune degli alleati (nel quadro della NATO), missioni di ristabilimento della pace, azioni umanitarie. Nella primavera 1992 la ex G. federale fu a più riprese paralizzata da una serie di imponenti scioperi del pubblico impiego. Il governo, accusato di voler far pagare solo al lavoro dipendente i costi dell'unificazione, dopo un lungo braccio di ferro con i sindacati, si dovette piegare (7 maggio), concedendo ai dipendenti pubblici un aumento del 5,4%.
Il problema dell'aggressione agli Asylanten da parte di gruppi giovanili di estrema destra sempre più inclini alla violenza si è andato aggravando nell'estate 1992. Numerose manifestazioni xenofobe, con violenze contro gli immigrati e distruzione delle residenze loro concesse dai poteri pubblici, si sono avute soprattutto in alcune città dell'ex DDR, dando luogo a duri scontri fra neonazisti e forze dell'ordine.
Bibl.: Annate 1989-91 del Deutschland Archiv e dell'Europa Archiv; AA.VV., Der Vertrag zur deutschen Einheit. Ausgewählte Texte... Mit einer Chronik..., FrancoforteLipsia 1990; AA.VV., Der Fischer Weltalmanach Sonderband DDR, Francoforte/M. 1990; Zeitschrift für Parlamentsfragen, 21, 1 (1990); ''Wir sind das Volk!''. Flugschriften, Aufrufe und Texte einer deutschen Revolution, a cura di Ch. Schüddekopf, Reinbek 1990; Ich liebe euch doch alle! Befehle und Lageberichte des MfS Januar-November 1989, a cura di A. Mitter e S. Wolle, Berlino (Est) 1990; G.E. Rusconi, Capire la Germania. Un diario ragionato sulla questione tedesca, Bologna 1990; U. Thaysen, Der Runde Tisch. Oder: Wo blieb das Volk? Der Weg der DDR in die Demokratie, Opladen 1990; W. Schäuble, Der Vertrag. Wie ich über die deutsche Einheit verhandelte, a cura di D. Koch e K. Wirtgen, Stoccarda 1991; A. Missiroli, La questione tedesca. Le due Germanie dalla divisione all'unità 1945-1990, Firenze 1991; K. Kaiser, Deutschlands Vereinigung. Die institutionellen Aspekte. Mit wichtigen Dokumenten, Bergisch-Gladbach 1991; Die Osterweiterung der EG. Die Einbeziehung der ehemaligen DDR in die Gemeinschaft, a cura di B. Kohler-Koch, Baden-Baden 1991; Politique étrangère, 56, 4 (inverno 1991): numero speciale, L'Allemagne après l'unité; U. Albrecht, Die Abwicklung der DDR. Die ''2+4 - Verhandlungen'', Opladen-Wiesbaden 1992; D. Vernet, La renaissance allemande, Parigi 1992; Handwörterbuch zur deutschen Einheit, a cura di W. Weidenfeld e K.-R. Korte, Francoforte 1992.
Letteratura. - Non è solo frutto di artificio la distinzione fra G. Est e Ovest, fatta di solito negli ultimi decenni in base a criteri geopolitici, tanto diversi essendo i condizionamenti di fondo per coloro che hanno operato nel campo delle lettere. Ma, anche prima della riunificazione, scindere è diventato sempre meno linearmente consentito, specie da quando in numero sempre maggiore scrittori dell'Est sono stati costretti a scegliere (fra i casi più clamorosi quello del poeta e cantautore W. Biermann, espulso dalla DDR nel 1976) o hanno scelto di trasferirsi all'Ovest, provocando situazioni nuove che hanno comportato alternative o convergenze trasversali alle barriere segnate da una fittizia frontiera inter-tedesca. In generale le radici ideologiche o le scelte di campo non vengono rinnegate da nessuno; l'appartenenza d'origine all'una o all'altra comunità culturale è ancora avvertibile; meno che prima, però, in base a questi parametri è lecito tentare, sia pur solo a fini espositivi di comodo, di rinvenire delle coordinate in un quadro d'assieme che rimane assai composito. Ciò che ha accomunato e continua ad accomunare scrittori, e intellettuali in genere, degli ultimi anni Settanta e degli anni Ottanta, al di qua e al di là della frontiera repentinamente e imprevedibilmente dissoltasi agli albori degli anni Novanta, è l'incombere, anche fortemente diversificato ma mai del tutto dimenticato, degli agenti sociali o almeno ambientali, che nel diffuso disagio di anni di ristagno o di scadimento, se non addirittura di sfacelo, può tramutarsi in motivo di riduttività tematica o di criticità in vari gradi espressa, molto meno di prima, in motivo di rabbiosa protesta o di evasione.
Un autore affermato come B. Strauss (n. 1944) tenta la grande prova poetica nel poemetto Diese Erinnerung an einen, der nur einen Tag zu Gast war (1985), senza disporre di mezzi adeguati all'impegno assunto, che è quello di dare risposta organica, e non distruttiva, ai grandi quesiti della vita; Jürgen Becker (n. 1932), anch'egli ben noto, nel ciclico Das Gedicht von der wiedervereinigten Landschaft (1988) mira a offrire una specie di grande mappa della sua Renania, nel tempo e oggi, sempre riferita a un soggetto attento e addolorato; P. Hacks (n. 1928), uno dei drammaturghi più apprezzati, in Historien und Romanzen (1986) teorizza sulla ballata e ne compone anche, con esiti almeno dubbi. H. M. Enzensberger (n. 1929) rimane lontano dai suoi primi messaggi (Die Furie des Verschwindens, 1980, trad. it., 1987), sempre intelligentemente provocatorio in coerenza con la sua concezione della poesia come già immanentemente politica.
E sono questi alcuni fra i nomi più accreditati nel campo della lirica, nel quale, del resto, non sembra contino tanto i temi, per lo più tradizionali o almeno consueti anche se adattati alla situazione di oggi, quanto piuttosto i toni, nei confronti col mondo e con se stessi, con chiara prevalenza di quelli tenui o medi.
Fra le rare eccezioni, il non più giovane C. Geissler (n. 1928), il quale però passa, anch'egli sintomaticamente, dalla rabbia aggressiva, in chiave politica ovviamente, di Im Vorfeld einer schussverletzung (1980) alla riflessione su temi esistenziali di fondo con l'animo mortificato d'un quasi sconfitto in Spiel auf ungeheuer (1983). Lo stesso W. Biermann (n. 1936), uno dei migliori poeti in senso brechtiano, in Affenfels und Barrikade (1986) passa a moduli meno dirompenti, facendosi attento alle problematiche del linguaggio. Lungo una parabola che viene da lontano, il poliedrico e noto V. Braun (n. 1939), uno degli autori rimasti vincolati, e non solo ideologicamente, alla DDR a onta delle tante difficoltà, in Training des aufrechten Gangs (1979) fa uso della metafora per significare e colpire gli ostacoli che si contrappongono al libero esercizio del pensiero, mentre privilegia il tono idilliaco, fuori ormai da ogni utopia, in Langsamer knirschender Morgen (1987). Sia pure legato a una sua stagionata maniera, il vecchio maestro K. Krolow (n. 1915) non decade mai ai livelli dell'epigonalità, confermandosi gradevole e amaramente elegante (Zwischen Null und Unendlich, 1982; Schönen Dank und vorüber, 1984; Die andere Seite der Welt, 1987; Als es soweit war, 1988, accanto al sensibile libro di memorie Nacht-Leben oder geschonte Kindheit, 1985). Stancamente ripetitivi, i vecchi maestri dello sperimentalismo lirico, H. Heissenbüttel (n. 1921; Textbuch 8, 1985; Textbuch 9 e Textbuch 10, 1986; Textbuch 11, 1987) e O. Pastior (n. 1927; Anagrammgedichte, 1985; Lesungen mit Tinnitus, 1986). E non aggiunge molto, sulla linea della sua lirica magica riversata sul politico, l'ultima testimonianza (Die neunte Stunde, 1979) di P. Huchel (1903-1981).
Una ripresa poetica, dettata dall'amore per la sua città nell'anno celebrativo della sua fondazione, è Berlin beizeiten (1987) di G. Kunert (n. 1929), che prende le distanze dalle iniziali illusioni politiche per rifugiarsi nel recupero del senso dell'individualità, fattasi consapevole di vivere in un tempo privo di prospettive. E verso il soggettivo propendono anche due fra le più squisite poetesse, S. Kirsch (n. 1946; Erdreich, 1982; Katzenleben, 1984) e U. Hahn (n. 1935; Herz über Kopf, 1981; Spielende, 1983; Freudenfeuer, 1985; Unerhörte Nähe, 1988).
Pochi i nomi nuovi o relativamente tali degni di attenzione, e nessuno fra i più giovani. Da ricordare l'attivissimo H. Czechowski (n. 1935; Ich beispielweise, 1982; An Freund und Feind, 1983; Ich und die Folgen, 1987; Sanft gehen wie Tiere die Berge neben dem Fluss, 1989), P. Hamm (n. 1937; Die Balken, 1981; Die verschwindende Welt, 1985), R. Haufs (n. 1935; Die Geschwindigkeit eines einzigen Tages, 1977; Juniabschied, 1984; Felderland, 1986), W. Kirsten, (n. 1934; die erde bei Meissen, 1987), tutti riconducibili sotto la comune cifra della preoccupata malinconia.
Nella prosa, parte notevole del quadro generale è occupata da ulteriori testimonianze di autori che già hanno acquisito, talora anche ad alto livello e fuori comunque dalle strette della cronaca, una loro collocazione; quasi mai, però, ne vengono arricchiti i singoli profili, al contrario di solito ne risultano prove di secondario rilievo o deludenti. È questo il caso, fra tutti il più vistoso data la celebrità dell'autore, del premio Nobel H. Böll, morto nel 1985, zelante sino in fondo ma con opere chiaramente epigonali o solo estrinsecamente innovative (fra l'altro i romanzi Fürsorgliche Belagerung, 1979, trad. it., 1989; e il postumo Frauen vor Flusslandschaft, 1985, trad. it., 1988).
È anche il caso di un maestro del realismo come M. Walser (n. 1927), anch'egli molto attivo (fra i romanzi, Das Schwanenhaus, 1980; Brief an Lord Liszt, 1982; Brandung, 1985; Jagd, 1988), ma di rado ormai all'altezza dei suoi migliori precedenti; di S. Lenz (n. 1926; Der Verlust, 1981; Exerzierplatz, 1985), sempre buon narratore dall'ampio respiro ma insolitamente artificioso.
Per lo meno dubbio, data la pretesa di affidarvi un messaggio in chiave apocalittica, il romanzo-incubo di G. Grass Die Rättin (1985, trad. it., 1987). Inadeguati all'ambizioso disegno di un'epica ciclicità risultano i vasti frammenti postumi di una Geschichte der Empfindlichkeit cui dall'ottica particolare del ''diverso'' stava da anni lavorando H. Fichte, morto nel 1986 (Hotel Garni, 1987; Der kleine Hauptbahnhof e Eine glückliche Liebe, 1988). E poco più che una curiosità possono costituire le varie prose raccolte dal sempre elegante W. Hildesheimer (n. 1916), in Nachlese (1987).
Sempre fra gli autori di consolidato prestigio, l'anziano S. Hermlin (n.1915) con il racconto Abendlicht (1979) e con le raccolte Lebensfrist (1980) e Bestimmungsorte (1985), si è confermato grande mediatore infra-ideologico, giungendo fra l'altro a un progressivo interesse per i più vari tipi di linguaggio; P. Weiss (1916-1982) col terzo volume pubblicato nel 1981 ha concluso la sua grandiosa Die Ästhetik des Widerstands, linea paradigmatica dell'evolversi d'una coscienza in dimensione politica anzitutto per il tramite dell'arte; e ugualmente valore di chiusura ciclica ha acquistato per E. Strittmatter (n. 1912) il mastodontico romanzo a sfondo autobiografico Der Laden (1983), con prospettive di armonizzazione nel sociale sulla base dell'acquisita coscienza d'una più comprensiva armonia cosmica.
Intanto a più riprese è tornato a farsi sentire anche l'ultranovantenne E. Jünger, nato nel 1895 (Eine gefährliche Begegnung, 1985, trad. it., 19862; e il diaristico Zwei Mal Halley, 1987), vigile agli eventi del tempo, preoccupato per le agghiaccianti minacce che gravano sul futuro dell'umanità. E non è Jünger il solo a gettare simili gridi d'allarme, anzi, è questo uno dei pochi tratti più volte ricorrenti, sia pure su una gamma che va dall'apprensione al terrore. Una vera scossa, al riguardo, è stata data dalla tragedia di Černobyl, ricordata da una scrittrice autorevole come C. Wolf (n. 1929) in Störfall (1987, trad. it., 1987), che fa seguito a una delle sue migliori prove, il romanzo Kassandra (1983, trad. it., 1984), che coerentemente non costituisce una fuga nel mito bensì la ricerca, in un modello classico, delle radici dell'attuale degenerazione, che proietta, oggi come allora, lo spettro d'una vita senza alternative.
Černobyl è anche sullo sfondo del romanzo Der Flötenton (1987) della scrittrice G. Wohmann (n. 1932) anche qui, come già in precedenza nella raccolta di racconti dal sintomatico titolo Einsamkeit (1982), rattristata senza pathos al cospetto di un'umanità ridotta in orizzonti circoscritti. E Černobyl è chiamata in causa anche da H. J. Schädlich (n. 1935) in Ostwestberlin (1987), che amaramente ironizza sulla città divisa, dopo avere stigmatizzato, ricorrendo ai paradossi del precedente Tollhover (1986), la figura tipica del suddito tedesco nel corso di due secoli.
Non c'è, comunque, serenità nella narrativa di un decennio di grigiore o, per gli autori dell'Est, di sbiadimento o addirittura di tracollo di troppe certezze tradite nei fatti. Ne emerge quasi ovunque la centralità di un ''io'' che non si sente agevolato a ritrovarsi e, tanto meno, a rinvenire partendo da sé un senso attendibile della vita e delle cose.
Sintomaticamente, cioè ossessivamente, R. Gernhardt (n. 1937) intitola uno dei suoi romanzi Ich ich ich (1982); B. Strauss (Paare, Passanten, 1981, trad. it., 1984; Der junge Mann, 1984, trad. it., 1990; Niemand anderes, 1987), al solito provocatorio, rimprovera alla società sociocentrica, da cui pure non riesce a svincolarsi, di avere annullato l'individuo; C. Enzensberger (n. 1931), al suo tardivo esordio nella grande narrativa col romanzo Was ist Was (1987), uno dei pochi rilevanti nel periodo, compie un tentativo, paragonabile nel suo respiro alla Ästhetik des Widerstands di P. Weiss, di muovere dall'individualità relegata nel quotidiano non gratificante per risalire a un significato delle relazioni storiche e sociali e più indietro ancora del reale; B. Kronauer (n. 1940) in Berittener Bogenschütze (1986) fornisce un intelligente studio sul veleno che può venire anche dalla poesia in un'epoca epigonale; C. Hein (n. 1944; Nachtfahrt und früher Morgen, 1982; Drachenblert, 1982; Horns Ende, 1985; Der Tangospieler, 1989) riversa tutta la sua amarezza di esule della DDR nel presentarne a tutto campo le miserie e l'ottusità ideologica; G.-P. Eigner (n. 1942; Golli, 1978; Brandig, 1985; Mitten entzwei, 1988) cerca rifugio nella memoria per una dubbia collocazione esistenziale; E. Loest (n. 1926; Zwiebelmuster, 1985) tocca con la possibile levità il particolare disagio odierno dell'intellettuale; Jurek Becker (n. 1937), non ancora ripetutosi ai livelli dei suoi eccellenti esordi (Jakob der Lügner, 1968, trad. it., 1976), oscilla fra l'inerzia della vita non programmabile del protagonista di Aller Welt Freund (1982) e l'assillo non rimosso delle atrocità della guerra generatrici ancora di mostruosità morali (Bronsteins Kinder, 1986); anche V. Braun, che pure non concede spazi a querele di maniera, in Hinze-Kunze-Roman (1985) traspone dal teatro alla narrativa i suoi personaggi prediletti cogliendone occasione per combattere dogmatismi e slogan d'una società, quella della DDR, mal evolutasi.
In un diverso spirito, si nota una ricorrente predilezione per la biografia, più o meno apertamente integrata con apporti di fantasia ma, in genere, ben narrata.
Così H. P. Piwitt (n. 1935) in Der Granatapfel (1986) fornisce una biografia di D'Annunzio problematizzandone il rischioso fascino; G. Fuchs (n. 1932) in Schinderhannes (1986) ricostruisce la vita d'un brigante gentiluomo tedesco, fra l'altro mai assassino, una specie di ''Passator cortese'' ghigliottinato dai Francesi a Magonza nel 1803; H. M. Enzensberger torna anch'egli alla biografia con Requiem für eine romantische Frau (1988); D. Kühn (n. 1935) propone addirittura una trilogia fra storia e leggenda medievale con Ich Wolkenstein (1977), Der Parzival von Wolfram von Eschenbach (1986) e Neidhard aus dem Reuental (1988); H. Stern (n. 1922) in Mann aus Apulien (1986) ricostruisce, nella singolare forma d'una documentata autobiografia, la vita di Federico ii di Svevia. Più isolate le voci del già ricordato C. Geissler, il quale nel romanzo kamalatta (1988), sottotitolato, nonostante la sua mole, ''frammento romantico'' per la sua forma frantumata e volutamente nebulosa, ripercorre gli anni di piombo tedeschi ricercandone le scaturigini; e di K. Theweleit, il quale nell'Orpheus und Eurydike (1988), primo dei quattro volumi previsti per dar corpo al Buch der Könige, riprende il vecchio mito per teorizzare sulla letteratura.
Assumono ormai quasi esclusivamente una funzione documentaria i libri postumi, pubblicati con tanto ritardo, di R. D. Brinkmann (1940-1975), campione di quella letteratura ''arrabbiata'', che ebbe seguito fra gli anni Sessanta e Settanta, ma che ormai, almeno nella narrativa, trova pochi cultori e seguaci. Fra i giovani l'unico che può essere considerato in qualche modo suo erede è L. Fels (n. 1946), autore di Heimatbilder (1985) e di Rosen für Afrika (1987), in cui ambiente e linguaggio sono quelli dei trasgressori e degli emarginati.
Per il resto, fra i più giovani, ancora toni apocalittici, col ricorso a virtuosismi espressivi inconsueti, in S. Schütz (n. 1944; col ponderoso romanzo Medusa, 1986); problematiche esistenziali in J. Walser (n. 1957; Die Unterwerfung, 1986); estraniazione dalla vita di provincia in B. Burmeister (Anders oder Vom Aufenthalt in der Fremde, 1987); estraniazione nella stessa vita di provincia sotto il giogo del socialismo reale in Herta Müller (n. 1940; Niederungen, 1984, trad. it., 1987; Der Mensch ist ein grosser Fasan auf der Welt, 1987); problematiche interne allo stesso far letteratura in K. Modick (n. 1951, Weg war weg, 1988) e I. von Kieseritzky (n. 1944, Das Buch der Desaster, 1988); rivisitazione criticamente dettata o ideologicamente condizionata di anni cruciali della recente storia tedesca in G. Köpf (n. 1948, Die Erbengemeinschaft, 1987), P.-J. Boock (n. 1951, Abgang, 1988) e R. Goetz (Kontrolliert, 1988); dichiarato nihilismo in M. Krüger (n. 1938; Wieso ich?, 1987); e sono tutte prove valide, che però esigono conferme.
Interessanti sono apparse le prove fornite al loro esordio da P. Süskind e da Th. Becker. Ma Süskind, dopo il clamoroso successo, in realtà più di pubblico che di critica, del suo Das Parfum (1985, trad. it., 1985), romanzo storico abilmente costruito e fluidamente narrato, ha subito deluso nel successivo Die Taube (1987, trad. it., 1987); e Th. Becker, che in Die Bürgschaft (1985) ha saputo addirittura ironizzare sui problemi della più pressante attualità berlinese, in Die Nase (1987) ha ripreso la medesima tematica ma senza saper ritrovare appieno la stessa felice tonalità.
Poco di nuovo anche nel teatro, fra l'altro più agevolmente sottoposto, all'Est, a controlli e censure anche totalmente preclusive, da cui anche il recupero in chiave classicistica che appunto all'Est per un certo tratto ha caratterizzato in particolare proprio il teatro, alla disagiata ricerca di un suo spazio, non però ai fini d'una comoda evasione bensì d'una schermata assunzione di responsabilità nel sociale.
È stato il caso, per es., di P. Hacks (n. 1928), uno dei grandi del momento, il quale però più di recente ha preferito non esibirsi o battere altre strade. Accanto a lui alle origini, e poi sempre più diversificato, Heiner Müller (n. 1929) propone un dramma paradigmatico d'un pessimismo non tanto radicale quanto contingente ma non per questo meno opprimente sulla coscienza in crisi, recuperando più volte temi storici o classici profondamente rielaborati (Leben Gundlings Friedrich von Preussen Lessings Schlaf Traum Schrei, titolo assurdo per una ''favola'' che demitizza la figura del gran re, 1979; Hamletmaschine, 1980, trad. it., 1988; Anatomie Titus, 1985), o cogliendo direttamente tematiche d'attualità (Quartett, 1982; Verkommenes Ufer, 1983; Wolokolamsker Chaussee, 1989). Il terzo dei ''grandi'' dell'Est, V. Braun, mira anch'egli a rintracciare una dimensione umanistica, avversando le riemergenti tentazioni romanticheggianti, pur nella riconosciuta rovinosità del momento (per es., in Übergangsgesellschaft, 1987), e si conferma, fra i tre, il meno insicuro ideologicamente.
Anche all'Ovest, in un'atmosfera di massimo anche se spesso improduttivo permissivismo, ci sono state più conferme che novità.
Fra gli altri, G. Reinshagen (n. 1926) continua a proporre la sua ''piccola'' gente travolta dagli eventi della ''grande'' storia (Eisenherz, 1982; Die Feuerblume, 1988); T. Dorst (n. 1925), campione del teatro antibrechtiano, va dalla saga familiare (conclusa nel 1985 con Heinrich oder Die Schmerzen der Phantasie) al recupero del teatro baroccheggiante (Korbes, 1988); B. Strauss si conferma anch'egli in veste di grande virtuosista nel trattare la varia gamma, dal dubbio alla disperazione, della crisi esistenziale d'un io smarrito (Kalldewey Farce, 1982; Der Park, 1984; Die Fremdenführerin, 1986; Besucher, 1988, trad. it., 1989; Die Zeit und das Zimmer, 1989; Schlusschor, 1991).
C'è poi il nucleo dei dichiarati realisti, che con toni più o meno apertamente provocatori pongono marcatamente l'accento sulle storture d'una società che, nella sua appagata opulenza, mira a dimenticare. Non a caso i più affermati e insistenti sono meridionali, per lo più anzi di Monaco, cioè d'una provincia che più di altre si è repentinamente arricchita e quindi altrettanto repentinamente preferirebbe ignorare quanto rimane fuori del quadro di nuovo decoro che s'è dato.
Con ampio ricorso al dialetto, H. Achternbusch (n. 1938) propone una specie di saga familiare della sua campagna con Mein Herbst (1983) e Weg (1985), cadendo in eccessi che più dello stesso voluto alterano la linea d'un discorso altrimenti interessante e non ovvio. Tanto più cade in eccessi, tutti voluti, F. X. Kroetz (n. 1946), trasgressivo fino alla dissacrazione blasfema, triviale fino al ricercato disgusto, avverso come nessuno a una società corruttrice e falsa (Bauern sterben, 1985; Der Nusser, 1986; Heimat, 1987). L. Fels sfoga anche nel teatro tutta la sua rabbia antiborghese (Lieblieb, 1986); ed è, il suo, uno dei pochi nomi nuovi degni d'attenzione, accanto a quello di F. Roth (Das Ganze ein Stück, 1986, una specie di sensibile polifonia di voci sul tema dell'amore), e a quello del più giovane dei realisti, R. Goetz, che nella trilogia Krieg (1987-88) grida confusamente il suo orrore radicale sul tanto di marcio che colposamente minaccia l'esistente, dalla realtà planetaria al sociale fino all'individualità rovinosamente compromessa.
Bibl.: Deutsche Literatur. Jahresüberblick, a cura di V. Hage, Stoccarda, annualmente dal 1981; M. Jurgensen, Deutsche Frauenautoren der Gegenwart, Berna 1983; Tendenzen der deutschen Gegenwartsliteratur, a cura di Th. Koebner, Stoccarda 19842; Literatur aus dem Leben. Autobiographische Tendenzen in der deutschsprachigen Gegenwartsliteratur, a cura di H. Heckmann, Monaco di B. 1984; R. Köhler Hausmann, Literaturbetrieb in der DDR, Stoccarda 1984; P. Mertz, Und das wurde nicht ihr Staat. Erfahrungen emigrierter Schriftsteller mit Westdeutschland, Monaco di B. 1985; F. Cambi, La narrativa della DDR degli anni Ottanta: eredità, tendenze e prospettive, Pisa 1985; B. Meyer, Satire und politische Bedeutung. Die literarische Satire in der DDR, Bonn 1985; K. Rothmann, Deutschsprachige Schriftsteller seit 1945 in Einzeldarstellungen, Stoccarda 1986; T. Scamardi, Teatro della quotidianità in Germania, Bari 1987; P. K. Kurz, Apokalyptische Zeit. Zur Literatur der mittleren 80er Jahre, Francoforte s.m. 1987; Die Literatur der DDR 1976-1986, a cura di A. Chiarloni, G. Sartori e F. Cambi, Pisa 1988; Der Romanführer, voll. 18-19: Inhalte erzählender deutscher Prosa aus den Jahren 1974 bis 1985, a cura di B. e J. Graif, Stoccarda 1987-88; Tendenzen des Gegenwartstheaters, a cura di W. Floeck, Tubinga 1988; Bestandsaufnahme Gegenwartsliteratur, a cura di H. L. Arnold, Monaco di B. 1988; H. Jost, Die Kultur der Bundesrepublik Deutschland 1965-1985, ivi 1988; B. Balzer, Die deutschsprachige Literatur in der Bundesrepublik Deutschland, ivi 1988; W. Emmerich, Kleine Literaturgeschichte der DDR 1945-1988, Francoforte s.M. 19895; Die andere Sprache. Neue DDR - Literatur der 80.er Jahre, a cura di H.L. Arnold, Monaco di B. 1990.
Archeologia. - In G. l'attività archeologica dell'ultimo decennio è stata ricca di iniziative. Anche l'applicazione di nuove tecnologie ha consentito il raggiungimento di risultati significativi. Nel campo della protostoria nuovi dati relativi al panorama della cultura celtica sono emersi a seguito degli scavi compiuti nel villaggio di Manching e della scoperta di tumuli funerari, primo fra tutti quello di Hochdorf. Le novità offerte da questo sepolcro sono decisamente notevoli, se si considerano le sue dimensioni (circa m 60 × 6) e la fortuna, assai rara, di averne trovato integro il ricchissimo corredo funebre: tra i numerosi reperti, una kline sepolcrale in bronzo dorato e un grande recipiente bronzeo d'importazione magno-greca favoriscono la comprensione della portata dei commerci arcaici.
Per l'età romana sono continuate le indagini sul limes, in siti già parzialmente noti e in stanziamenti di nuova identificazione. Di particolare rilievo è stato l'ausilio dell'aereofotogrammetria che ha consentito la localizzazione e l'esatta delimitazione degli insediamenti. Il quadro generale che emerge dai dati recentemente acquisiti definisce una sempre maggiore presenza romana, attestata non solo da strutture militari e difensive, ma anche da numerosi complessi civili. Tra i singoli interventi vanno segnalati i casi di Kleindeinbach (sito posto all'inizio del limes retico, per il quale le ricerche dendrologiche hanno consentito una datazione certa al 164 d.C.), Murrhardt (individuazione dei principia), Aalen (completamento dello scavo dei principia e datazione dendrologica al 160 d.C.), Dettingen unter Teck e Rainau-Buch per gli insediamenti militari. Villae rusticae sono venute alla luce a Holheim, Weinsberg e Bondorf, mentre una statio è stata individuata a Friesenheim.
Questa nuova documentazione permette di confermare l'uso quasi esclusivo del legno come materiale da costruzione per il primo periodo romano (età flavia-inizi 2° secolo d.C.); si constata inoltre la massiccia presenza di insediamenti civili (canabae e vici) presso i castra e i castella limitanei (come per es. a Weissenburg e Osterburken), con edifici civili, impianti termali e templi dedicati ai culti privilegiati dall'esercito (per es. quello di Mitra a Dieburg) o a culti locali (Diana Abnoba a Hechingen-Stein).
Un'ulteriore conferma venuta dai recenti scavi è quella degli effetti devastanti dell'invasione alemannica della prima metà del 3° secolo d.C., quando molti centri furono distrutti o definitivamente abbandonati. Studi e ricerche sono proseguiti anche nelle grandi e già note città antiche, come Treviri e Colonia. A Colonia, tra le recenti acquisizioni si segnala la scoperta di un mercato, mentre buoni risultati ha dato la ricerca sistematica del percorso e delle strutture superstiti dell'acquedotto. Particolarmente valorizzato dall'archeologia tedesca è stato, in questi anni, l'aspetto della ''fruizione'' del patrimonio archeologico, con interventi finalizzati al restauro, alla ricostruzione (basti, fra tutti, il caso di Xanten, antica Colonia Ulpia Traiana) e alla musealizzazione all'aperto e non. La conoscenza della cultura artistica della G. in età romana si è arricchita con la raccolta e le edizioni del materiale scultoreo: il quadro d'insieme conferma il carattere peculiare della produzione locale, distante dalla coeva tradizione artistica urbana e volta a privilegiare le esigenze espressionistiche piuttosto che la resa organica delle raffigurazioni.
Bibl.: G. Bauchhenss, Deutschland III.1. Germania Inferior. Bonn und Umgebung. Militärische Grabdenkmäler [C.S.I.R.], Bonn 1978; Id., Deutschland III.2. Germania Inferior. Bonn und Umgebung. Zivile Grabdenkmäler [C.S.I.R.], ivi 1979; D. Baatz, F. R. Herrmann, Die Römer in Hessen, Stoccarda 1982; G. Bauchhenss, Deutschland II.3. Die grosse Iuppitersäule aus Mainz [C.S.I.R.], Magonza 1984; K. Grewe, Atlas der römischen Wasserleitungen nach Köln, Colonia 1986; P. Filtzinger, D. Planck, B. Cämmerer, Die Römer in Baden-Württemberg, Stoccarda 1986; M. Klee, Ara Flaviae III. Der Nordvicus von Arae Flaviae, ivi 1986; D. Planck, W. Beck, Der Limes in Süwestdeutschland, ivi 1987; C. Stribrny, Deutschland II.8. Die Herkunft der römischen Werksteine aus Mainz und Umgebung [C.S.I.R.], Magonza 1987; S. Rinaldi Tufi, Militari romani sul Reno, Roma 1988.
Arte. - Repubblica Federale di Germania. - Nell'attività artistica della Repubblica Federale di G. degli anni Settanta prosegue la differenziazione di quell'arte che si pone concettualmente al di là della pittura e della scultura tradizionali. La molteplicità delle tecniche si sviluppa in stretto contatto con l'arte concettuale internazionale, soprattutto quella degli Stati Uniti. J. Beuys, W. Vostell, S. Polke, G. Richter, H. Haacke, U. Rückriem sono i principali ispiratori della generazione emersa in questo decennio.
Al centro di quest'arte, che nel 1969 − e dunque in immediata vicinanza storica al risveglio politico del 1968 − divenne nota al pubblico attraverso grandi mostre tematiche (a Berna, Live in your head. Wenn Attitüden Form werden. Werke-Prozesse-Situationen-Informationen; ad Amsterdam, Op Losse Schroeven. Situatiës en cryptostructuren), si colloca l'opera di J. Beuys.
A partire dagli anni Cinquanta Beuys aveva sviluppato il proprio ''concetto allargato di arte'' in modo completamente indipendente dagli influssi statunitensi. La sua scultura, le sue azioni artistiche, nonché la sua attività d'insegnante all'Accademia d'arte di Düsseldorf costituirono una violenta provocazione anche per quanti si consideravano aperti all'arte moderna. La sua opera suscita associazioni opprimenti e angosciose, e la sua trasposizione della teoria plastica, del modello artistico nella società, nella politica e nell'economia pone nel modo più radicale la questione del ''senso dell'arte''. L'interesse dell'artista si sposta dalla creazione di un'opera autosufficiente all'indagine e alla visualizzazione di realtà di fatto. L'''autonomia'' dell'opera d'arte viene messa in discussione e assume nuove funzioni. Essa deve creare connessioni con ciò che è ''al di fuori dell'arte'', con la natura, la storia, il mito, la filosofia, la politica. L'arte si orienta verso un ampliamento delle possibilità di esperienza e di vita dell'uomo. La ''ricerca artistica di base'' deve mettere alla prova il fondamento dell'attività artistica, indagando attorno alla sua capacità di trasmettere messaggi. La prassi artistica riflette sulla sua identità teorica.
Particolarmente importante si rivela, nei primi anni Settanta, l'aspetto politico. Il problema della rilevanza sociale dell'arte, portato alle estreme conseguenze, induce a metterne in discussione lo stesso status. Il coinvolgimento politico dell'arte determina nei generi figurativi tradizionali una rinascita della discussione sul realismo (mostre Prinzip Realismus, 1972; Mit Kamera, Pinsel und Spritzpistole, 1973). Nell'arte di tendenza concettuale K. Staeck (n. 1938) e H. Haacke (n. 1936) trovano forme espressive tese alla presa di coscienza politica. Il culmine di un'arte socialmente attiva, teoricamente fondata, emerge in documenta 6 (Kassel 1977), che evidenzia però anche i limiti di tali procedimenti.
In questi anni anche altri artisti, come F. E. Walther (n. 1939), K. Rinke (n. 1939), U. Rückriem (n. 1938), G. Richter (n. 1932), G. Graubner (n. 1930), R. Girke (n. 1930), sottopongono il loro approccio figurativo degli anni Cinquanta a una depurazione concettuale, che conduce tra l'altro al ''minimalismo'' nella pittura e nella scultura, e comporta altresì riferimenti all'''arte povera'' italiana. Artisti come R. Ruthenbeck (n. 1937) e I. Knoebel (n. 1940), entrambi allievi di Beuys, continuano coerentemente a lavorare in questa direzione anche negli anni Ottanta. Come l'amico B. Palermo (1943-1977), Knoebel elabora environments concettualmente complessi a partire da un'estrema riduzione pittorica dei mezzi, ma sulla base di un concetto d'arte − ispirato da Malevič − più rigoroso del linguaggio poetico di Palermo. In un modo che si avvicina all'''opera d'arte totale'', Knoebel realizza così quel ''nuovo standard della visione'', postulato negli anni Settanta. Ruthenbeck costruisce oggetti quieti e meditativi con teli di stoffa, lastre di vetro e supporti di ferro, la cui estetica è definita dall'interazione dei materiali cui si accompagna una riduzione dell'intervento pittorico.
Ancor più del movimento Fluxus, la generale diffusione dell'orientamento concettuale apre ad altri media - in particolare fotografia, performance e video − uno spazio nel paesaggio tradizionale dell'arte. Fotografia e video divengono ora non solo mezzi ideali di documentazione per ''azioni'' e performances, ma anche mezzi artistici per eccellenza.
J. Klauke (n. 1943), R. Horn (n. 1944) e U. Rosenbach (n. 1943) sono tra i rappresentanti della video art e della performance negli anni Settanta. K. Sieverding (n. 1944) e A. e B. J. Blume (nati 1937) sfruttano le qualit'a alienanti della fotografia. Sieverding crea monumentali gigantografie con dissolvenze, nelle quali indaga il condizionamento culturale ed etnico dei modelli di comportamento. Le serie fotografiche dei Blume mostrano oggetti e persone di un mondo quotidiano piccolo borghese trasportati in una situazione traumaticoironica e che si connettono l'un l'altro in costellazioni grottesche. Importante qui è l'infrangersi delle verità del pensiero e dell'esperienza. Le installazioni fotografiche di J. Gerz (n. 1940) si servono dell'apparente obiettività della fotografia per poi distruggerla nel confronto con i testi.
La video art, a partire dai suoi inizi d'ispirazione soprattutto politica negli anni Sessanta, è andata specializzando i suoi mezzi tecnici ed espressivi in svariate direzioni. I ''gesti di rifiuto'', diretti a sovvertire con lo shock le abitudini visive e uditive e a creare una gamma differenziata di modalità percettive, soprattutto in ambito sociale, vengono svincolati da un riferimento a contenuti individuali e dall'impiego concettuale del mezzo artistico. W. Kahlen (n. 1940) e B. Hamann (n. 1945) possono essere definiti artisti videoconcettuali. M. Odenbach (n. 1953) e K. vom Bruch (n. 1952) sono tra gli artisti più giovani che dalla fine degli anni Settanta soggettivizzano nel video la critica sociale attraverso un approccio autobiografico. U. Rosenbach sviluppa, negli anni Settanta, un complesso linguaggio in cui s'intrecciano performance, video e fotografia; allieva di Beuys, questa artista ne riprende il ''concetto allargato di arte'' in lavori di orientamento femminista, fondando nel 1976 una scuola di femminismo creativo.
Nell'ambito dell'arte concettuale si possono annoverare procedimenti designati come ''mitologie individuali'' (documenta 5, Kassel 1972) e ''fissazione di tracce'', nonché i metodi di analisi artistica della politica e della società di K. Staeck e H. Haacke.
Ispiratore delle ''mitologie individuali'' è Beuys. Gli artisti si collocano in un universo di significati individuali che non vengono oggettivati formalmente. Elementi scenici sono inseriti in montaggi provenienti da varie culture, filosofie e religioni. In queste costruzioni di miti individuali viene riproposta una concezione ciclica del tempo. Il dibattito sulla natura, sulla storia e sull'ecologia emerge nelle varie forme espressive di questo orientamento, che spesso adotta il metodo del work in progress. I collages di materiali diversi di M. Buthe (n. 1944), associato anche alla corrente della cosiddetta Neue Prächtigkeit ("nuovo sfarzo"), incorporano soprattutto elementi della cultura nordafricana. Estremamente povere, ma emananti un'aura speciale in virtù del materiale impiegato, sono le composizioni con il polline dei fiori di W. Laib (n. 1950). La raccolta e la fissazione delle tracce del passato, sia esso individuale o collettivo, è al centro dell'attività di N. Lang (n. 1941) e di R. Rheinsberg (n. 1943). D. von Windheim (n. 1945) tematizza la tensione tra immagine e riproduzione, staccando e fissando frammenti di mura e pareti.
K. Staeck e H. Haacke, partendo da un'analisi dei meccanismi del mercato artistico e del capitale, hanno elaborato metodi e strategie artistiche che, in base al ''principio dell'affermazione'' straniante, sfruttano e nel contempo eludono le strutture del mercato artistico. Nei suoi manifesti e nelle sue cartoline Staeck impiega le tecniche del fotomontaggio politico (J. Heartfield) e della pubblicità, per rivelare di colpo le intrinseche contraddizioni che sono proprie delle strutture occulte di dominio e d'interesse, nonché del rapporto con il passato nazista della Germania. La produzione in serie di questi lavori intende sfuggire al concetto dell'arte ancorato al principio dell'''originale'', sul quale peraltro si basa il mercato artistico.
Haacke nelle sue opere parte da analoghi presupposti, ma inasprisce ulteriormente la situazione smascherando l'intreccio di arte e capitale − in particolare il contraddittorio ricorso all'arte degli imprenditori in vesti di sponsor - nel luogo stesso in cui questo opera: nei musei e nelle esposizioni. Con l'analisi del tema l'autore stabilisce i mezzi visivi per questo scopo: fotografie, testi, pitture, manifesti, assemblati in installazioni rigorose e ben calcolate.
Nel 1977, ossia quando, con documenta 6, il raggio d'influenza dell'arte concettuale ha raggiunto il suo culmine, alcuni giovani pittori guidati da K. H. Hödicke (n. 1938) fondano la ''Galerie am Moritzplatz'' di Berlino, che può essere considerata il nucleo di quella che negli anni Ottanta viene conosciuta in ambito internazionale come Wilde Malerei ("pittura selvaggia"). È l'inizio di un rivolgimento, dacché si era creduto che l'arte concettuale avesse decretato la fine dei generi artistici tradizionali. Soprattutto pittori figurativi come G. Baselitz (n. 1938), B. Koberling (n. 1938) e J. Grützke (n. 1937) sembrano rappresentare posizioni storicamente superate.
Il ritorno della pittura non è un fenomeno solamente tedesco, ma ha dei paralleli soprattutto in Italia, per diffondersi poi a livello internazionale. Proprio in G., tuttavia, si sono invocate per questo ritorno tradizioni specificamente tedesche, in particolare quella dell'espressionismo. Sotto l'etichetta di ''neoespressionismo'' vengono classificate tendenze assai diverse della nuova pittura degli anni Ottanta, sebbene in alcuni pittori (come per es. in Baselitz quando capovolge i suoi quadri) emerga un approccio di tipo concettuale.
Secondo un'opinione presto divenuta corrente, alla fine degli anni Settanta al freddo intellettualismo dell'arte concettuale subentra una Hunger nach Bildern ("fame di immagini"; titolo di un libro di W. M. Faust e G. de Vries, 1982). La mostra Zeitgeist, allestita a Berlino ovest nel 1982, rafforza questo orientamento, che trova rispondenza anche nel mercato artistico.
La nuova ondata di ''pittura spontanea'' è rappresentata da una generazione di artisti che, per quanto possano ricollegarsi alla pittura degli outsiders degli anni Settanta come Baselitz, J. Immendorf (n. 1945), M. Lüpertz (n. 1941), Hödicke, Koberling e S. Polke (n. 1941), rifiutano in modo assai più radicale di questi l'''imperativo avanguardistico'' in favore del gusto figurativo. Centri di questa pittura sono Berlino e Colonia. A Berlino sono gli studenti di Hödicke, con la loro ''Galerie am Moritzplatz'', a svilupparne lo stile decorativo sciolto, ad ampie superfici, e la tematica della grande metropoli. Attraverso tale identità tematica e stilistica questi artisti si riallacciano alla tradizione degli espressionisti berlinesi. All'interno di questo contesto, ciascun autore individua un proprio ambito specifico. Salomé (n. 1954) tematizza il senso del corpo dell'omosessuale; H. Middendorf (n. 1953) l'estasi del cantante rock; R. Fetting (n. 1949) trova formule romantiche per esprimere l'alienazione della grande città e la nostalgia della natura.
A differenza di quanto accade a Berlino, il gruppo di Colonia Mülheimer Freiheit proviene non dalla pittura, ma dall'arte concettuale, con maestri quali Beuys, H. Haacke e J. Kosuth. In W. Dahn (n. 1954) e G. J. Dokoupil (n. 1954) l'aggressività selvaggia dello stile è simulata, l'approccio è freddamente razionale. Gli artisti non sono interessati alla gestualità del dipingere, ma alla trasposizione delle esperienze dell'arte concettuale nella pittura. Questa ha la funzione di medium nel quale si può riflettere, confrontare o confondere figurativamente il contenuto speculativo dei campi più diversi, dal linguaggio alla psicologia, alla politica, all'arte. Sulla base di una concezione figurativa nasce dunque una sorta di pittura concettuale, priva però del coerente senso quasi missionario proprio dell'arte concettuale degli anni Sessanta e Settanta. Prevale in questo caso l'ironica distanza del commentatore.
La pittura di questa generazione, tuttavia, ha poco a che fare con quella di Baselitz o Lüpertz, considerati spesso come suoi ''padri''. Per questi ultimi si tratta di esplorare il mezzo pittorico e di potenziarne le possibilità, mentre per gli artisti più giovani il problema è quello dei contenuti e della loro trasmissione attraverso immagini.
Il nuovo carattere ''selvaggio'' ha un parallelo nella scultura, che nella lavorazione grezza del materiale e nella policromia − di grande effetto dopo il periodo della ''povertà'' minimalistica − travalica i limiti rigorosamente concettuali del medium. Gli scultori A. Höckelmann (n. 1937), E. Wortelkampf (n. 1938), ma anche i pittori Baselitz, A. R. Penck e Lüpertz, che soprattutto dagli anni Ottanta hanno operato anche nella scultura, sono i principali esponenti di questo orientamento, che trova seguito tra gli artisti più giovani.
Un altro allievo di Beuys, A. Kiefer (n. 1945), viene spesso annoverato tra gli esponenti della pittura neofigurativa, anche se la sua opera non s'iscrive nelle tendenze delineate in precedenza, né si limita all'ambito della pittura. Nei suoi dipinti di paesaggi e spazi cultuali Kiefer si concentra su simboli, miti, temi letterari e autori di chiara connotazione nazionalsocialista. In questo modo egli mette in luce la tabuizzazione verificatasi nei confronti di questo intero contesto in conseguenza della mancata rielaborazione del passato nazista della Germania. I suoi quadri mostrano fitte tracce di procedimenti di lavoro che si sovrappongono e intersecano, cosicché l'opera sembra esibire dal suo stesso corpo gli strati della memoria umana. Kiefer tematizza questo processo della memoria anche in fotografie e in sculture.
Un'altra figura solitaria della pittura figurativa è J. Immendorf (n. 1945) che, rifacendosi al Caffé Greco di Guttuso, mostra nelle sue versioni del Café Deutschland (1977-83) un panorama di realtà politiche e di sogni, rappresentando, attraverso uno stile naïf che riprende quello della pittura dell'Agit-Prop, la situazione delle due G. come segnata dal trauma del passato nazista.
Una nuova forma di concettualismo postmoderno caratterizza una serie di artisti che, contemporaneamente al boom della nuova pittura e quasi all'ombra di essa, operano con i mezzi più diversi. Si tratta in questo caso della rielaborazione eclettica di forme e motivi provenienti sia dalla storia che da altri ambiti culturali. La storia, al pari del presente, diventa il mezzo linguistico di una nuova arte concettuale.
A. Klein (n. 1951) manipola, per le sue grandi foto in bianco e nero, immagini fotografiche e televisive che si presentano non come un collage, ma fuse in un'unità di superficie omogenea. La struttura dell'immagine è priva di un centro; ciò che viene mostrato suggerisce visioni angosciose. Tra i motivi figurano anche fotografie dell'epoca nazista. Anche G. Merz (n. 1947) si confronta con i motivi e l'estetica del fascismo, filtrando immagini ''fruste'' dell'ambiente, della cultura e della storia dell'arte, attraverso un'elaborazione estraniante che le liberi dal gravame delle loro connotazioni. Con esse Merz costruisce installazioni stilizzate eppure sobrie, che evocano un'impressione di preziosità classica. Le immagini acquistano così un'''aura'' ambigua, che celebra e nel contempo demolisce il contesto richiamato.
Le sculture di S. Huber (n. 1952), H. Kiecol (n. 1950) e Th. Schütte (n. 1954) si presentano come riflessioni ironiche di uno spirito postmoderno. Gli oggetti e le installazioni di Huber si basano sul carattere feticistico, che sottrae gli elementi impiegati al loro contesto quotidiano, presentandosi come un commentario sarcastico della cultura in cui sono nati. Le sculture di Schütte e di Kiecol affrontano in modi diversi tematiche architettoniche.
L'ironia del riferimento all'ambiente sociale caratterizza spesso altri indirizzi della scultura degli anni Ottanta differenziandoli dai precursori degli anni Settanta, caratterizzati da un orientamento politico o sociale. Questa distanza ironica potrebbe essere definita il sintomo degli anni Ottanta, che collega queste opere alle contemporanee tendenze del ''postmoderno''. Scultori come H. Radermacher (n. 1953), con i suoi interventi di scultura minimalista nello spazio urbano, G. Rohling (n. 1946), con i suoi oggetti variopinti che commentano lo sgargiante mondo del consumismo, e O. Metzel (n. 1952), con le sue sculture grezze che, poste sul luogo di conflitti sociali impiegano il materiale ivi trovato, hanno in comune con la tradizione degli anni Settanta la caratteristica fondamentale dell'arte concettuale, con la sua presa sull'ambiente e sulle esplosive tensioni sociali.
Si può affermare che verso la fine degli anni Ottanta, con l'allentarsi del ruolo dominante della nuova pittura, che aveva una sua impronta specificamente tedesca, il linguaggio degli artisti della Repubblica Federale di G. si sviluppa nuovamente − o al pari di prima − in stretto contatto con le correnti internazionali. Un'importanza crescente assume la tendenza alla messa in scena, che muta la precedente concezione dell'installazione. Il materiale prodotto socialmente e l'oggetto artistico ''autonomo'' vengono ricondotti in uno spazio scenico di struttura figurativa. Un metodo, questo, che favorisce una sorta di revival della retorica figurativa e che si serve di mezzi quali la metafora, l'allegoria, il simbolo. Tra gli esponenti di questo indirizzo figurano K. Kumrow (n. 1959) e B. Prinz (n. 1953).
Bibl.: W.M. Faust, G. de Vries, Hunger nach Bildern. Deutsche Malerei der Gegenwart, Colonia 1982. Cataloghi di mostre: documenta 6, Kassel 1977; Die neuen Wilden, Aquisgrana 1980; Heftige Malerei, Berlino 1980; A new spirit in painting, Londra 1981; Bildwechsel. Neue Malerei aus Deutschland, Berlino 1981; Zwischen Plastik und Malerei, Berlino-Hannover 1982; Videokunst in Deutschland 1963-1982, Colonia 1982; documenta 7, Kassel 1982; Zeitgeist, Berlino 1982; Von hier aus. Zwei Monate neue deutsche Kunst in Düsseldorf, Colonia 1984; 1945-1985 − Kunst in der Bundesrepublik Deutschland, Berlino 1985; documenta 8, Kassel 1987; documenta 9, ivi 1992.
Repubblica Democratica Tedesca. - Lo sviluppo dell'arte nella DDR va visto in immediato rapporto con le direttive e le strategie della politica culturale di stato. Nel momento della sua fondazione, la DDR si vide imporre dall'esterno il modello artistico sovietico. Gli artisti dopo il 1948 avrebbero dovuto rompere ogni rapporto con l'arte del 20° secolo e ricominciare, dal punto di vista stilistico, da autori come per es. A. Menzel (1815-1905).
Dopo gli iniziali dibattiti sulla natura ''autonoma'' o ''popolare'' dell'arte nel 1948 (discussione Hofer-Nerlinger), venne rigorosamente affermata la dottrina del realismo socialista in contrapposizione al ''formalismo'' dell'arte decadente borghese-occidentale. Da allora gli artisti si trovarono nella critica situazione di dover scegliere tra l'allineamento a questa definizione dell'arte, sforzandosi d'innovare al suo interno, oppure la radicale opposizione, e venire di conseguenza esclusi dalla vita artistica del paese. I continui dibattiti che scaturirono intorno alla definizione ufficiale del realismo socialista a fronte del successivo sviluppo dell'attività artistica portarono nei decenni successivi a una formulazione meno rigida e all'ampliarsi delle possibilità sia estetiche che tematiche. Venne così riabilitato dapprima l'impressionismo, poi l'espressionismo; in seguito venne ammessa, con alcune limitazioni, l'arte astratta e infine, nel 1988, venne riconosciuto ufficialmente il superamento dei generi e delle tecniche tradizionali in pittura e scultura. Soprattutto alla pittura si richiedeva di esprimere in modo rappresentativo il ''carattere dell'epoca'', e principalmente a essa si rivolgeva l'interesse della politica culturale.
Il naturalismo, al quale era inizialmente circoscritta la concezione del realismo, alla fine degli anni Cinquanta era sentito come un ostacolo. Alcuni giovani, che negli anni Settanta diventeranno artisti di stato, vengono criticati perché si servono di alcuni elementi della scomposizione dei volumi (Rufende Frauen, "Donne che gridano" di W. Sitte, del 1957, mostra influssi di Picasso), considerata un attacco al carattere ''umanistico'' dell'immagine dell'uomo, che doveva essere posta al centro dell'arte socialista. Un ulteriore influsso è costituito dal richiamo all'espressionismo (B. Heisig, n. 1925, e altri).
Agli inizi degli anni Settanta, con lo slogan Weite und Vielfalt ("ampiezza e molteplicità"), la politica artistica socialista si allontana dall'orientamento restrittivo di W. Ulbricht. A dominare la scena è una nuova generazione di pittori ufficiali, la cui pittura rappresenta un concetto stilisticamente ampliato di realismo: W. Sitte (n. 1921); B. Heisig (n. 1925); W. Mattheuer (n. 1927); W. Tübke (n. 1929). Trovano spazio qui anche influssi del surrealismo e del fotorealismo. Se l'obbligo all'''ottimismo proletario'' nella rappresentazione della società socialista si allenta col crescere delle tendenze dissidenti, resta inalterata tuttavia la presa di posizione contro l'astrattismo, bollato ufficialmente come ''modernismo reazionario''. Picasso, ancora rifiutato negli anni Cinquanta, negli anni Settanta è considerato ''tutore del figurativismo''. Artisti come G. Altenbourg (n. 1926) e R. Winkler (n. 1939) restano come prima esclusi dal mercato artistico ufficiale.
I primi segni del costituirsi di un ambito artistico alternativo, ai margini di quello ufficiale, si hanno verso la fine degli anni Sessanta, a Dresda, con un gruppo di artisti che fa capo a Winkler (stabilitosi nel 1980 nella Repubblica Federale di G., noto al pubblico internazionale con lo pseudonimo di A. R. Penck). Da allora Dresda resta il centro più importante delle nuove tendenze, in particolare del cosiddetto neoespressionismo. Dal gruppo di artisti facenti capo a Winkler nascono in seguito altri gruppi, che, in opposizione all'organizzazione delle mostre ufficiali, lavorano e organizzano esposizioni di propria iniziativa. Cresce il numero delle piccole gallerie che appoggiano questi giovani artisti, esclusi dal mercato artistico ufficiale, ma che restano sempre esposte alla repressione.
Negli anni Settanta le principali correnti si concentrano in quattro città. Lipsia e Halle diventano i centri di una forma di Neue Sachlichkeit, Dresda e Berlino est di un orientamento più spiccatamente pittorico-espressivo. Nello stesso tempo l'immagine dell'arte della DDR è rappresentata anche all'estero essenzialmente dai ''maestri'' della generazione degli anni Venti. Il vitalismo proletario di W. Sitte, nonostante alcuni accenni di sperimentalismo formale, offre la desiderata immagine positiva della società. W. Mattheuer traspone immagini della realtà quotidiana ''socialista'', di un realismo quasi fotografico, in oscure metafore di contraddizioni sociali, quale quella tra sviluppo industriale e distruzione e impoverimento dell'ambiente. B. Heisig (n. 1925) e W. Tübke (n. 1929), elaborando temi storici, utilizzano il virtuosistico accertamento della storia a fini di legittimazione e autoriconoscimento. Il ciclo monumentale di W. Tübke sulla Frühbürgerlichen Revolution in Deutschland ("Prima rivoluzione borghese della Germania"), realizzato tra il 1977 e il 1987, può essere considerato la più importante opera su commissione statale dell'ultimo decennio. Sono questi gli artisti che vengono presentati in occasione della prima partecipazione della DDR a documenta 6 di Kassel nel 1977.
Per quanto già infranto nella pratica, e in più modi (criticamente e metaforicamente), resta ancora operante l'imperativo ideologico imposto all'arte dallo stato, come istanza moralistica a esercitare un'influenza sociale e a esprimere lo ''spirito'' socialista dominante. L'arte rimane incentrata sulla figura umana ed è caratterizzata dal predominio tematico del contenuto. La forma dev'essere subordinata alla comunicazione del messaggio. Lo sperimentalismo formale viene accettato solo lentamente, e solo nella misura in cui non ostacoli la comprensione del grande pubblico.
L'8ª mostra della DDR, allestita a Dresda nel 1977, presenta una varietà di indirizzi sino a quel momento mai vista, nella quale è rappresentata marginalmente persino l'arte astratta. La definizione dell'eredità artistica, attraverso un eclettico sfruttamento di tutta la storia dell'arte, risulta arricchita anche di elementi precedentemente esclusi dall'orientamento tradizionale dell'arte socialista. Vengono recuperati e rielaborati lo Jugendstil e M. Beckmann, il Quattrocento, gli antichi fiamminghi, il simbolismo e lo storicismo. Aumentano i temi di critica della società e dell'ambiente nonché i motivi erotici, mentre le formule retoriche dell'eroismo proletario hanno ormai scarsa rilevanza. A ciò si accompagna il tentativo di dare una formulazione storico-artistica nuova al realismo socialista che consenta d'integrare queste tendenze senza mutare la concezione teorica fondamentale dell'arte, con la quale si legittima la politica culturale di stato.
Alle aperture della politica culturale tuttavia fanno riscontro nuove limitazioni e restrizioni. Nel 1976 al cantante e poeta dissidente W. Biermann viene tolta la cittadinanza. L'ambiente artistico alternativo, sotto la guida di Penck, solidarizza. È il segno di una più forte ripresa dell'opposizione, anche nell'arte, che costringe i responsabili della cultura da un lato a riconsiderare l'inserimento della pittura astratta e a confrontarsi con l'arte d'azione occidentale (J. Beuys, W. Vostell), dall'altro però anche a far chiudere dalla polizia le mostre organizzate su iniziativa degli artisti. In questi ultimi si annunzia un nuovo impulso figurativo ed espressivo che, in opposizione alla richiesta di un oggettivismo di rilevanza sociale, pone la soggettività individuale come punto di partenza dell'attività artistica (H. Giebe, n. 1953; A. Hampe, n. 1956; W. Libuda, n. 1950; W. Scheffler, n. 1956; H. Leiberg, n. 1954; R. Kerbach, n. 1956; C. Schleime, n. 1953). Nascono per iniziativa personale le prime forme di land art e i primi progetti multimediali (E. Göschel, n. 1943; K. Hermann, n. 1938; L. Dammbeck, n. 1948). Questa generazione più giovane troverà negli anni Ottanta il suo riconoscimento ufficiale.
I principali ispiratori di questa generazione del risveglio sono artisti isolati come G. Altenbourg, C. Claus (n. 1930), H. Ebersbach (n. 1940) e soprattutto Penck a Dresda. L'arte di Penck − basata su un universo di segni ''sociografico'' che rielabora analiticamente i contrastanti sistemi sociali dell'Est e dell'Ovest, i loro modelli di comportamento e il loro potenziale di violenza, in modo ben lontano dal realismo descrittivo − viene conosciuta in Occidente ancor prima dell'espatrio dell'autore avvenuto nel 1980. Verso la fine degli anni Settanta un numero crescente di spazi culturali non ufficiali ospita forme artistiche ufficialmente bandite quali il collage, il frottage e l'assemblage. Le opere di Penck trovano un loro spazio espositivo in piccole gallerie, organizzate per lo più in abitazioni private. Lo slogan della politica culturale degli anni Settanta, Weite und Vielfalt, continua comunque a escludere Penck e i giovani artisti delle nuove tendenze ''violente''.
La prima apertura si delinea nel 1980, quando nell'esposizione Junge Künstler der DDR 1980 ("Giovani artisti della DDR 1980") allestita a Francoforte sull'Oder trova spazio per la prima volta la nuova pittura ''violenta'' di Dresda e Lipsia. Nello stesso anno, tuttavia, per reazione all'indebolirsi del consenso degli artisti più giovani, ma anche alla situazione politica in Polonia, l'Associazione degli artisti impone nuovamente un più rigido ritorno alle direttive della politica culturale, determinando l'espatrio di Penck e, successivamente, di un certo numero di artisti della generazione più giovane.
All'inizio degli anni Ottanta s'intensificano le iniziative artistiche in settori non riconosciuti dalla burocrazia culturale, e che segnano una rottura con le categorie figurative tradizionali: performances, azioni, installazioni. L'arte alternativa trova un proprio spazio anche nelle chiese, diventate il centro di aggregazione del dissenso sociale. Centri di queste attività sono Dresda, Lipsia e Berlino. Ancora nel 1984 l'Associazione degli artisti non riesce ad accettare i nuovi esperimenti compiuti nell'ambito dell'arte concettuale. La generazione di mezzo (Tübke, Metzkes, Gille, Sitte e altri) si riconosce tuttora nel realismo socialista. Allorché Beuys vuole organizzare un'''azione'' nella DDR assieme all'artista della G. orientale E. Monden (n. 1947), gli viene rifiutato il permesso d'ingresso. La mostra Junge Künstler der DDR 1984 accoglie bensì le opere di alcuni pittori ''violenti'', ma esclude come prima la produzione artistica sperimentale. Nel 1. Leipziger Herbstsalon, una mostra non autorizzata che la burocrazia culturale non può più impedire, un gruppo di artisti di Lipsia esibisce nel 1984 pittura ''violenta'', installazioni e azioni, strettamente collegate tra loro. Nel 1985 la mostra viene dichiarata controrivoluzionaria. Il conflitto tra burocrazia culturale e arte alternativa risulta talmente acuito che molti giovani artisti considerano la propria situazione senza via d'uscita e decidono di espatriare in Occidente.
Contemporaneamente a ciò si delineano i primi segni di mutamento. Nella mostra per il quarantesimo anniversario della distruzione di Dresda vengono esposti per la prima volta in una grande manifestazione ufficiale assemblaggi e installazioni, che per la loro forza di suggestione scenica vanno al di là della pittura tradizionale. Una mostra nell'Altes Museum di Berlino ufficializza anche la corrente neoespressionista, ponendola però in un rapporto d'immediata continuità con il realismo socialista. Un happening di due giorni, Intermedia I, organizzato a Dresda, con artisti, musicisti punk, film in super8 e performances, finisce, invece, con sanzioni penali per gli organizzatori. Ancora, a Dresda, la 10ª mostra d'arte della DDR del 1987 palesa una concezione conservatrice dietro cui traspare un irrigidimento quasi difensivo. Tuttavia il contrasto tra la vita artistica del paese e questa mostra ufficiale del realismo socialista è così grossolano che dalle stesse file dei critici d'arte allineati si levano voci fortemente critiche.
Nel 1988 viene organizzata a Berlino una mostra che presenta per la prima volta nella DDR le opere di Beuys, mentre la mostra Figur=Zeichen a Cottbus offre un panorama riassuntivo della scena artistica espressiva e sperimentale della G. orientale. Nello stesso anno l'arte sperimentale trova finalmente riconoscimento da parte dei responsabili della politica culturale. Il 10° congresso dell'Associazione degli artisti, in reazione alle critiche fatte alla 10ª mostra, stabilisce che le forme d'arte che oltrepassano i limiti delle categorie tradizionali dell'opera d'arte devono essere non solo tollerate, ma favorite in quanto espressioni rilevanti per lo sviluppo dell'arte socialista. Cresce il numero delle mostre che presentano l'arte della DDR in Occidente, in particolare a Berlino ovest (Zeitvergleich '88. 13 Maler aus der DDR, 1988; Zwischenspiele. Junge Künstler und Künstlerinnen aus der DDR, 1989). Ormai installazioni, composizioni fotografiche sperimentali, pittura astratta e ''violenta'' hanno una parte egemone.
Dopo l'apertura del muro di Berlino (9 novembre 1989), gli artisti della G. orientale cominciano a esporre nella G. occidentale e a Berlino ovest, entrando in contatto con l'ambiente artistico occidentale.
Sotto l'etichetta di ''neoespressionismo'' o di ''arte violenta'' vengono compresi diversi generi e linguaggi formali maturati nel corso degli anni Ottanta. Si tratta nel complesso di una rivolta della sensualità, dell'impegno dell'Io cosciente, affermatasi alla fine degli anni Settanta e non ancora conclusa. "La nostra pittura assume una significatività quasi estranea all'arte; ciò che le si richiede è di essere un terreno sostitutivo di discussione per le incertezze degli anni Ottanta... Essa rappresenta un'accentuazione spesso aggressiva del punto di vista soggettivo" (J. Heisig 1986). La produzione artistica sottesa a questo atteggiamento comporta una rottura delle convenzioni accademiche, una frammentazione in diverse concezioni formali e livelli di consapevolezza. Molte delle tecniche impiegate, come il dripping o la radicalizzazione del segno, non possono essere più classificate sotto l'etichetta del neoespressionismo. Si tratta tuttavia di un concetto utile per facilitare l'accesso alla politica culturale ufficiale, poiché con esso una ''eredità artistica'' specificamente nazionale, come appunto l'espressionismo, per es. del gruppo Die Brücke di Dresda, può venir incorporata nell'eredità artistica socialista, e dopo che proprio questo ''ismo'', in quanto borghese e decadente, era stato bandito per decenni dal canone ufficiale della tradizione culturale della DDR. Non mancano tuttavia anche punti di contatto diretto dei giovani con la generazione più anziana degli artisti della DDR: ciò avviene, per es., con l'accentuata cifra espressiva dei pittori di Dresda facenti capo a J. Böttcher (n. 1931) e a R. Winkler, con lo stile dinamicometaforico di B. Heisig, con la pittura di H. Ebersbach (n. 1940), con gli esperimenti del gruppo Clara Mosch di Karl-Marx-Stadt.
Nell'eredità storica dell'arte moderna è compreso, oltre al gruppo Die Brücke, anche P. Klee, G. Grosz, H. Matisse, M. Beckmann, W. De Kooning, F. Bacon, il gruppo COBRA, nonché certe suggestioni dell'espressionismo astratto, per es. di J. Pollock. Vengono rielaborati anche il tardo Picasso, l'art brut, la pop art e il disegno arcaizzante dell'arte africana. Un importante punto di riferimento è inoltre il movimento dadaista, che ha ispirato il superamento dei confini tradizionali della pittura con assemblaggi, performances e così via. All'esplosione di forme di soggettività espressiva si aggiunge in tal modo anche l'ironizzazione della consapevolezza di fondo.
Per le performances e le installazioni della fine del decennio è importante l'arte di Beuys, le cui tecniche tuttavia vengono adottate dai giovani artisti non tanto per il senso concettuale, quanto piuttosto quali veicoli di emozioni e messaggi, come nel gruppo di Autoperforationsartisten, in L. Dammbeck, E. Monden e altri. Tra i pittori che hanno dato impulso al neoespressionismo si devono ricordare tra gli altri H. Giebe, P. Kasten (n. 1958), J. Heisig (n. 1953), W. Libuda (n. 1950), e, tra gli artisti espatriati, W. Scheffler, C. Schleime, H. Leiberg, R. Kerbach. Il rigore formale, l'astrattismo misurato di artisti come H. Toppl (n. 1949) e B. Hahn (n. 1954), possono venir considerati come un correttivo delle esasperazioni dell'espressionismo.
Diversamente che nella pittura, nelle forme sperimentali e d'azione, la scultura della DDR resta sino alla metà degli anni Ottanta esente da ''scuotimenti''. Gli scultori, primo fra tutti il vecchio maestro F. Cremer (n. 1906), si sentono tenuti al tradizionale rispetto della figura umana tra rigore delle forme plastiche e vicinanza alla natura coscientemente perseguita. Il punto di riferimento più importante nell'eredità artistica è la concezione tettonica propria della scultura tedesca degli anni Venti, a cui si aggiunge il persistente influsso di A. Hildebrand, A. Rodin e A. Maillol.
Nuove tendenze compaiono per la prima volta alla fine degli anni Settanta con le figure modellate in materiale sintetico, emananti bagliori argentei, di H. Bonk (n. 1939). Le imponenti stele e i blocchi di legno duro, per lo più lasciati allo stato naturale, di H. Brockhage (n. 1925) mostrano un diverso approccio con il materiale. Materiale che se da un lato è rispettato nelle sue caratteristiche naturali, come fascino estetico e mitizzante, dall'altro è sottoposto a una lavorazione grezza in modo da mostrare le tracce sia della natura che del lavoro artistico, un trattamento che ha un precedente nelle sculture in pietra di W. Stötzer (n. 1931). Sulla stessa linea s'inseriscono le opere di F. Maasdorf (n. 1950). R. Görss e T. Wendisch (n. 1958) provengono dalla pittura. Görss associa una pittura di segni arcaizzanti, vicina a quella di Penck, con la scultura e l'elemento scenico dell'installazione. Wendisch mette in scena figure in legno rozzamente intagliate come gruppi in processione. Sul versante opposto a quello della lavorazione espressiva ed evocante di materiali grezzi, si pone la scultura in metallo, per es. di R. Biebl (n. 1951), che opera una denaturalizzazione dei corpi, esasperandone tematicamente determinate parti. Il carattere mediato della tecnica della fusione sposta la forza espressiva dalla ''materialità'' del materiale alla forma figurale iperdeterminata. Diversamente che nella pittura, nella scultura l'astrattismo ha scarsa rilevanza; esso tuttavia emerge sempre più come elemento di decorazione architettonica e urbanistica verso la fine degli anni Ottanta. Se all'astrattismo infatti veniva riconosciuta una possibile funzione decorativa nel configurare l'ambiente socialista, tuttavia esso era ancora considerato con diffidenza quale forma capace di esprimere l'elemento fino ad allora centrale dell'arte della DDR, cioè il contenuto o significato di stampo umanistico. Anche la nuova generazione sembra essere interessata più al contenuto espressivo − per quanto legato soggettivamente all'io − che non alle concezioni estetico-formali.
La riunificazione della G. ha cambiato le basi su cui si fondava la produzione artistica nella ex DDR. Non esistendo più un'arte di stato, gli artisti più vicini all'ufficialità sono rimasti senza punti di riferimento, mentre quelli dissidenti hanno invece dovuto scoprire le durezze del mercato artistico occidentale, nel quale solo pochissimi, finora, sono riusciti a inserirsi (tra questi, per es., il giovane artista concettuale Via Levandovsky). L'espressionismo tipico della pittura e delle performances dei giovani dissidenti non trova molto apprezzamento, come dimostrano anche gli inviti fatti da J. Hoet, commissario dell'8ª edizione di documenta a Kassel. Comunque, soprattutto a Berlino, nei quartieri orientali, fiorisce e tenta di affermarsi un vasto movimento di cultura autogestita costituito da circa cento associazioni culturali e gallerie condotte direttamente da gruppi di artisti. Tra queste, spesso assai effimere, ricordiamo, in maniera del tutto esemplificativa, Art Acker, che esibisce soprattutto arte concettuale, Brot Fabrik, i cui interessi sono incentrati sulla fotografia, il cinema e le azioni teatrali, nonché l'associazione Botschaft che allestisce performances e azioni nella città. La stessa fluidità e incertezza è riscontrabile nelle altre situazioni degli ex territori orientali, così come un difficile periodo di pesante ristrutturazione e unificazione − con esiti ancora incerti − attraversa i musei di Berlino. Vedi tav. f.t.
Bibl.: L. Lang, Malerei und Graphik in der DDR, Lipsia-Lucerna 1979 (19842); Bibliographie der Kataloge und Faltblätter der Galerien 1974-1985, Staatlicher Kunsthandel der DDR, Berlino 1986; Bibliographie Bildende Kunst. In der DDR erschienene Veröffentlichungen zur bildenden Kunst der DDR, Dresda 1987; Die Aktualität der Avantgarde nach dem Ende der Avantgarde (Avantgarde in der DDR), Berlino 1988; Kunstkombinat DDR - Eine Dokumentation 1945-1990, a cura di G. Feist ed E. Gillen, ivi 1990. Cataloghi di mostre: viii. Kunstausstellung der DDR, Dresda 1977; ix. Kunstausstellung der DDR, ivi 1982; x. Kunstausstellung der DDR, ivi 1987; Durchblick, Ludwig-Institut für Kunst der DDR, OberhausenBerlino 1984; Kunst der DDR in den 8oer Jahren, Stoccarda 1986; Durchblick 2, Oberhausen 1986; Zeitvergleich '88. 13 Maler aus der DDR, Berlino 1988; Zwischenspiele. Junge Künstler und Künstlerinnen aus der DDR, ivi 1989.
Architettura. - Repubblica Federale di Germania. - Negli anni Ottanta la Repubblica Federale ha costituito un campo di verifica eccezionale per la cultura architettonica internazionale. Nell'ambito di un notevole fervore di iniziative e di un vivace dibattito è emerso, in maniera evidente, il tema centrale della ricerca architettonica contemporanea: la ''revisione del moderno'' e il ripensamento critico del ruolo dell'architettura nella costruzione del paesaggio urbano. Alla crisi dei modelli funzionalisti e all'appiattimento dei codici derivati dall'International Style la G. occidentale ha reagito con una dinamica di interventi volti a recuperare la lezione del ''contesto'' e la memoria storica dei luoghi, alla ricerca di una continuità con l'architettura tradizionale che il Movimento Moderno aveva per assioma negato.
A Berlino la situazione urbanistica particolare, legata alla presenza di ampie zone centrali ancora distrutte, e la favorevole congiuntura amministrativa della città, hanno consentito, nella seconda metà degli anni Settanta, la formulazione di un vasto programma di ''ricostruzione critica della città'' imperniato sul tema del ''centro urbano come residenza''. Istituita nel febbraio 1979 la Bauausstellung Berlin GmbH, con l'incarico di curare un'esposizione internazionale di architettura per l'anno 1984 − poi spostata al 1987 in occasione del 750° anniversario della città − l'IBA 1987 (Internationale Bauausstellung Berlin) ha sviluppato l'idea di una mostra integrata legata ai problemi concreti del centro città (a parte la zona Tegel Hafen, tutte le realizzazioni dell'IBA ricadono in quartieri centrali: Südliche Tiergartenviertel, Südliche Friedrichstadt, Kreuzberg) attraverso progetti architettonici specifici elaborati sulle tracce e sulla memoria del passato e coordinati dai due direttori responsabili per la pianificazione: J. P. Kleihues e H. W. Hämer.
L'esigenza di una ''riparazione urbana'' ha trovato anche a Francoforte sul Meno − capitale economica della G. occidentale − la congiuntura favorevole per realizzare un ampio programma di investimenti culturali. La ricostruzione del Römerberg − quartiere medievale distrutto dalla guerra − con la progettazione del nuovo Kulturschirn, la realizzazione secondo i profili antichi delle quinte edilizie sulla Saalgasse e la riproposizione filologica dell'Ostzeile, deriva dal ripensamento critico degli interventi moderni che hanno stravolto l'''identità'' della città e, quindi, dalla volontà di un recupero della memoria (sebbene talora puramente retorico e scenografico) e più in generale di una cultura urbana cui hanno concorso anche altre operazioni recenti: in particolare l'ampliamento della Fiera di Francoforte e la realizzazione della ''Riva dei Musei''.
L'azione spettacolare dell'IBA nella ricostruzione di parti storiche di Berlino, la nuova politica d'investimento culturale conseguita da molte municipalità (basti ricordare gli oltre 80 musei costruiti negli ultimi vent'anni), il rifiorire dell'iniziativa pubblica attraverso l'istituto del concorso internazionale − che ha consentito il confronto continuo con architetti stranieri di fama mondiale (fra gli altri R. Krier, R. Meier, C. Moore, A. Rossi, A. Siza, J. Stirling) − e l'emergere riconosciuto di personaggi della statura teorica di O. M. Ungers, hanno contribuito a rendere la G. occidentale un vero laboratorio critico di architettura contemporanea favorendo, all'interno dell'attuale esigenza del ''recupero del passato'', un pluralismo di scelte tipico della presente produzione tedesca.
Accanto alle sperimentazioni di G. Böhm (n. 1920), tese a sondare una pluralit'a di forme architettoniche − dall'espressionismo degli anni Sessanta all'uso di tecnologie avanzate negli anni Ottanta (complesso di uffici per la Züblina, Stoccarda, 1985) − si trova, come punto di riferimento costante, la ricerca teorica e pratica di O. M. Ungers (n. 1926) che, partendo dalla critica del funzionalismo − e quindi dal suo assunto principale ''la forma segue la funzione'' −, ha sviluppato, fin dai primi anni Sessanta, un concetto di architettura come espressione di contenuti ideali, sostituendo alla generalità e universalità del linguaggio moderno l'unicità e l'individualità dell'espressione artistica indissolubilmente legata al genius loci.
Da queste premesse Ungers ha elaborato una metodologia progettuale basata sulla tematizzazione dell'architettura e ha sviluppato 5 idee-guida principali (il tema della trasformazione, il tema dell'assemblaggio, il tema dell'incorporazione, il tema dell'assimilazione, il tema dell'immaginazione) che costituiscono i codici di lettura di tutto il suo lavoro. Fra gli edifici recentemente realizzati: il complesso residenziale di Lützowplatz a Berlino (IBA), 1983; il museo tedesco dell'architettura a Francoforte, 1984; l'ampliamento della Fiera di Francoforte con il nuovo padiglione, la galleria 1983, e il grattacielo per uffici, 1984; il centro di ricerche polari a Brema, 1986; la biblioteca di Karlsruhe, 1987-91 (già realizzato il primo stralcio).
La ricerca di un rigore sistematico, legato all'analisi tipologica, impernia il lavoro di J. P. Kleihues (n. 1933) teso fra un'architettura logica e razionale, semplificata, a volte scarnificata, e l'adattamento al genius loci, alla specificità del contesto. Vanno a tal proposito ricordate realizzazioni quali il centro commerciale a Wulfen (1983); il museo di storia antica a Francoforte (1980-89); la trasformazione in museo e l'ampliamento dell'ex municipio di Sindelfingen (1986-90); la galleria civica di Kornwestheim (1987-89); il progetto per l'ampliamento e la trasformazione in museo dell'Hamburger Banhof a Berlino (1° premio del concorso a inviti, 1989).
Sostenuta dal dibattito e dall'investimento culturale per una nuova ''architettura della città'' e dal fondamentale apporto teorico di Ungers, la nuova generazione degli architetti tedeschi si è mossa, prevalentemente, verso il recupero di un'articolazione linguistica in grado di riscattare dal ''silenzio'' del moderno la complessa stratificazione e significazione delle architetture del passato. L'inoppugnabile ascesa di un nuovo modello progettuale, che attinge dalla struttura tradizionale gli elementi attivi e rigeneratori, non s'identifica esclusivamente con lo ''storicismo'' internazionale, ma si configura piuttosto come un ritrovato entusiasmo di espressione teso a recepire le radici storico-culturali dei singoli contesti.
Una rilettura critica della morfologia urbana e il recupero di un rapporto non puramente meccanico fra lotto e strada, antico e moderno, percorre il lavoro di J. J. Sawade (n. 1937) sui blocchi berlinesi (torre d'angolo per l'isolato Am Karlsbad [IBA], 1985; complesso residenziale a Berlino-Spandau, 1983-84); il compatto edificio d'angolo a Berlino-Wilmersdorf (1983) di R. Poly (n. 1942), K. D. Steinebach e F. Weber; le realizzazioni di H. Kollhoff e A. Ovaska nell'isolato residenziale ex Victoria a Berlino, 1986; l'opera di D. Frowein (n. 1938) e G. Spangenberg (n. 1940) nel medesimo isolato ex Victoria e soprattutto nella sistemazione della parrocchiale St. Jacobi a Berlino, 1979-82.
L'idea di un'architettura intesa, secondo la lezione ungersiana, come giustapposizione di tipologie edilizie diverse e come interpretazione del genius loci connota il lavoro dello studio D. Bangert (n. 1942), B. Jansen (n. 1943), S. J. Scholz (n. 1938) e A. Schultes (n. 1943) negli uffici centrali della chiesa evangelica tedesca ad Hannover (1980), e soprattutto nell'opera che li ha resi famosi: il Kulturschirn di Francoforte (1979-86), il nuovo centro culturale fra il duomo e il municipio. Qui l'obiettivo indicato dal concorso della ''identità storica'' del luogo si traduce nel rifiuto della riproposizione dei rapporti morfologici del tessuto medievale e nella rievocazione, invece, di memorie passate tramite l'uso di tipologie edilizie urbane (la galleria, la rotonda, il portico), di materiali locali e di frammenti di linguaggi eterogenei che interpretano, in forme moderne, espressioni tipiche dell'edilizia storica della città.
L'influenza della lezione ungersiana avvertibile nei motivi dell'interpenetrazione tra forme geometriche elementari e della giustapposizione di volumi trasparenti e opachi, caratterizza il lavoro di B. G. Faskel (n. 1943) e V. Nikolic (n. 1941) soprattutto nella casa a risparmio energetico di Berlino (IBA; 1985), e l'opera di A. Brandt (n. 1937) con il centro civico di Unna (1982) e la stazione della metropolitana magnetica di Berlino (1986), nei quali si ritrova, all'interno di precise logiche geometriche, la tesa dialettica fra massiccio e trasparente, fra portante e portato.
L'attenzione per gli svuotamenti del volume e per le compenetrazioni spaziali connota anche la ricerca di H. Bofinger (n. 1940) nella scuola secondaria a Friedland-Gross-Schneen/Gottinga (1979), nella casa a Kronberg (1982), e nel museo del cinema a Francoforte (1984), mentre raggiunge effetti particolari nelle proposte berlinesi di O. Steidle (n. 1943) soprattutto nel pensionato per anziani (IBA; 1982-87), dove l'incisione della sostanza scatolare evidenzia le distribuzioni funzionali interne.
L'attenzione verso le forme passate e verso le componenti ambientali si spinge infine, in altri architetti, sino al recupero del ''vernacolare'', trattato ironicamente come da H. J. Farwich (n. 1938) o in maniera ''pittoresca'' come da A. Deilmann (n. 1951), sino a raggiungere palesi inflessioni eclettiche nella casa Paulick a Bad Schwalbach (1983), di N. Berghof (n. 1949), M. A. Landes (n. 1948) e W. Rang (n. 1949), e nell'ampliamento di una villa Jugendstil a Melsungen (1983-84), di J. Jourdan (n. 1937) e B. Müller (n. 1941).
Bibl.: H. Rahms, Neue Neue Frankfurt, in Casabella, 481 (giugno 1982), pp. 14-25; O. M. Ungers, Architettura come tema, trad. it., Milano 1982; Abitare, 226 (luglioagosto 1984; n. monografico sulla G.); AA. VV., La ricostruzione critica della città. Berlino IBA 1987, Venezia 1985; Bauen in Deutschland. Ein Führer durch die Architektur des 20. Jahrhunderts in der Bundesrepublik und West-Berlin, a cura di F. Jaeger, Stoccarda 1985; F. Irace, Germania: un laboratorio critico, in Ottagono, 83 (dicembre 1986), pp. 20-35; International Bauausstellung Berlin 1987 - Projektübersicht, Berlino 1987; Berlino Ovest tra continuità e rifondazione, a cura di P. Montini, Roma 1987; Germania: nuove tendenze della pianificazione urbanistica, a cura di M. Venturi, in Urbanistica, 86 (marzo 1987), pp. 90-125; F. Werner, Sulla tipologia dei musei negli anni ottanta. L'esperienza della Repubblica Federale tedesca, in Lotus, 55 (1987/3), pp. 37-54; F. Stella, Una galleria d'arte fra il duomo e il municipio. Il Kulturschirn al Römerberg di Francoforte, di Bangert, Jansen, Scholz e Schultes, ibid., pp. 55-68.
Repubblica Democratica Tedesca. - Gli interventi edilizi realizzati durante gli anni Ottanta in G. orientale s'inseriscono nell'attuale dibattito di ripensamento critico della modernità e in particolare dei paradigmi ideologici e culturali su cui si è informata la costruzione della ''città socialista'' negli anni Sessanta-Settanta.
Durante gli anni Settanta, infatti, nell'ambito del vasto programma di edilizia residenziale varato nel 1971 dall'8° Congresso del SED (Partito Socialista Unificato di Germania) che indicava, quale obiettivo primario, la "soluzione della questione dell'alloggio nelle sue implicazioni sociali" entro il 1990, si è sviluppata una nuova politica urbana che, partendo dal riconoscimento delle contraddizioni conseguite dalle rapide ricostruzioni post-belliche (le nuove città, i vasti quartieri periferici, gli sventramenti urbani), ha individuato nuovi modelli progettuali d'intervento. Significativi sono al riguardo i "Principi per lo sviluppo socialista della pianificazione e dell'architettura nella DDR" del 1982, che individuano, in un nuovo rapporto fra antico e moderno e nella continuità dei processi storici, le esigenze primarie dell'architettura contemporanea.
Il recupero del passato e la ricerca di una nuova complessità urbana, intesa sia come commistione di funzioni che come molteplicità e singolarità delle realizzazioni architettoniche, hanno determinato un'attenzione particolare alle strutture urbane consolidate e individuato, nel riuso e nel recupero del patrimonio edilizio degradato e nella ristrutturazione e completamento dei centri storici distrutti, i campi privilegiati d'intervento. Al tentativo di ovviare alla monotonia delle configurazioni architettoniche ha contribuito, fra l'altro, l'introduzione del sistema a elementi prefabbricati WBS70 (Wohnungsbauserie 70) che consente, sulla base di poche invarianti, un certo pluralismo di scelte volumetriche e formali.
A parte le ricostruzioni quasi integrali di importanti edifici storici − basti ricordare due capisaldi dell'architettura tedesca recentemente ''restaurati'': lo Schauspielhaus di Schinkel a Berlino (riaperto nel 1984, su progetto di E. Gisske), la Semperoper di Semper a Dresda (inaugurata nel 1985, su progetto di W. Hänsch) − molti interventi volti a riesumare storiche scenografie urbane nei centri distrutti e degradati delle città sono stati attuati ricorrendo all'uso degli elementi prefabbricati WBS70 che hanno permesso, con l'unificazione statale dei sistemi costruttivi locali e regionali, un'estrema rapidità di esecuzione.
A Berlino come a Dresda, a Magdeburgo come a Erfurt e a Gera le zone centrali sono state oggetto di interventi di ricucitura edilizia, volti a ripristinare gli antichi allineamenti e profili stradali, e di operazioni di riqualificazione e ammodernamento dei tessuti storici tradizionali.
A Berlino, in particolare, un vasto programma di interventi edilizi è stato attuato anche in occasione dell'anno 1987, 750° anniversario della fondazione della città. Accanto ai nuovi quartieri residenziali di Marzahn, Hohenschönhausen e Hellersdorf, e agli interventi abitativi in zone più centrali quali Alexanderplatz (1981-84), Spittelmarkt (1983-85, su progetto di E. Schmidt) ed Ernst-Thälmann Park (1981-86, su progetto di un collettivo di architetti fra i quali E. Schröter), che presentano, rispetto ai modelli precedenti, una ricerca di maggiore ''urbanità'' attuata attraverso l'uso prevalente di edifici alti (circa 14 piani) e il ripristino, come ad Alexanderplatz e Spittelmarkt, di fronti stradali compatti, si trovano le nuove attrezzature culturali, ricreative, sociali − da segnalare il palazzo dei pionieri Ernst-Thälmann (1976-79), sensibile inserimento di G. Stahn nell'omonimo parco; il centro dello sport e del tempo libero (1978-81), modernissimo impianto di E. Schröter − e soprattutto gli interventi più ''rappresentativi'' della città, quelle operazioni cioè di ''ricostruzione complessa'' che vanno dal restauro dei monumenti alla ristrutturazione e persino alla replica di singole architetture o di interi settori storici della città.
Tra questi la risistemazione della Platz der Akademie con lo Schauspielhaus, la realizzazione di un tratto della Friedrichstrasse con la riproposizione degli allineamenti e dei profili edilizi preesistenti (3300 nuovi alloggi, caffè, ristoranti, alberghi, cabarets, ecc., in corso di realizzazione su un piano generale di R. Korn, S. Steller e H. Willumat del 1979-82) e la ricostruzione del Nikolaiviertel, nucleo originario della città, recentemente risorto sulle vestigia del passato, costituiscono interventi emblematici della cultura architettonica ufficiale degli anni Ottanta. In particolare la riedificazione del Nikolaiviertel, completata nel 1987 su progetto di G. Stahn, vincitore del concorso nazionale indetto nel 1979, si configura piuttosto come un vero e proprio ''restauro'' di fantasia che affianca a edifici prefabbricati, secondo i profili antichi, facciate in ''stile'' e ripropone la replica fedele di architetture storiche della città, come il palazzo dell'Ephraim della metà del Settecento demolito nel 1935, o la locanda Am Nussbaum, edificio del 16° secolo distrutto negli anni Sessanta.
Di certo queste operazioni hanno poco a che fare con un'interpretazione critica del passato, limitandosi, piuttosto, a una sua enfatica esposizione. Di fronte a queste riproduzioni appaiono certamente più significative e interessanti quelle realizzazioni improntate a un linguaggio ancora moderno e direttamente legate a sperimentazioni tecnologiche o strutturali. Fra queste: la casa di riposo August Bebel a Friedrichsroda, Thuringer Wald (1980), di W. Schmidt; il complesso residenziale a Rostock-Evershagen (1980), di P. Baumbach; la nuova sala di concerti Gewandhaus a Lipsia (1975-81), di R. Skoda.
La ricerca di un'identità formale con il passato connota invece altre architetture inserite in contesti storici urbani. Manipolazioni manieristiche caratterizzano due edifici sorti sulla Friedrichstrasse a Berlino: la nuova sede del teatro di varietà Friedrichstadtpalast (1984), opera, tra gli altri, di W. Schwarz, ispirato a motivi Jugendstil, e la casa della scienza e della cultura sovietica (1984), di K. E. Swora, accurata riproposizione in forme moderne dei fronti edilizi ottocenteschi tipici del quartiere. In essi si rappresenta, con evidenza, quella che J. Back definisce come architettura degli anni Ottanta nella G. orientale: "un tentativo − cioè − di sintesi fra l'edilizia industrializzata e le condizioni della città storica, che è un conglomerato nato dalla storia, in particolare dal xix secolo in poi". Vedi tav. f.t.
Bibl.: Sulla costruzione delle città nella RDT, a cura di F. Stella, Venezia 1983; Abitare, 226 (luglio/agosto 1984; numero monografico dedicato alla G.); U. Kultermann, Zeitgenössische Architektur in Osteuropa, Colonia 1985, pp. 122-29; G. Stahn, Das Nikolaiviertel am Marx-Engels Forum, Ursprung, Gründungsort und Stadtkern Berlins, Berlino 1985; L. Scarpa, La ricostruzione del Nikolaiviertel a Berlino Est, in Urbanistica, 86 (marzo 1987), pp. 120-25; A. Behr, Bauen in Berlin 1973 bis 1987, Lipsia 1987; F. Rogier, Urban preservation East of IBA, in Progressive Architecture (settembre 1988), pp. 33-37.
Musica. - Repubblica Federale di Germania. - Nell'immediato dopoguerra la G. si trovò, anche nel settore musicale, a dover superare l'isolamento culturale che aveva caratterizzato per oltre un decennio la sua storia più recente.
Occorreva ridare spazio ai pochi rimasti in patria e quasi del tutto inattivi durante il periodo nazista, richiamare i molti fuggiti in esilio all'estero, soprattutto portare il pubblico tedesco a conoscenza di quanto la ricerca musicale aveva in quel periodo prodotto negli altri paesi. Un ruolo determinante svolse l'emittente radiofonica tedesca, sia per la divulgazione musicale, sia soprattutto per la promozione del dibattito teorico e della produzione artistica. Si ripresero in pari tempo i fili della tradizione culturale, e in particolare si stabilì una sorta di continuità ideale tra l'avanguardia storica − con le questioni di ordine estetico lasciate aperte − e la nuova avanguardia, le cui premesse furono poste già nella seconda metà degli anni Quaranta.
Allo scopo di ristabilire i legami con la tradizione e la ricerca contemporanea, venne fondato nel 1946 l'istituto Kranichstein di Darmstadt, la cui direzione fu affidata a W. Fortner (n. 1907). L'importanza dell'istituto si accrebbe enormemente negli anni successivi, quando gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik che esso ospitava annualmente videro via via il contributo di compositori europei di spicco come R. Leibowitz (1948), O. Messiaen (1949), E. Varèse (1950), e ancora P. Boulez, H. Pousseur, e più tardi gli italiani B. Maderna, L. Nono e L. Berio. Tra i tedeschi, oltre a Fortner, fu presente P. Hindemith già nel 1947; successivamente vi si affermarono compositori come H. W. Henze (n. 1926) e K. Stockhausen (n. 1928), che prese a dirigere i corsi nel 1957. A Darmstadt si rese dunque possibile un ritorno all'avanguardia storica, e anzitutto a Schönberg e alla dodecafonia, quindi − soprattutto per il tramite di Leibowitz − a Webern, interpretato come anticipatore di un serialismo sistematico.
Stockhausen fu da subito il più vivace interprete della nuova avanguardia. Primi risultati dell'assimilazione del metodo dodecafonico e del serialismo possono individuarsi nelle sue prime opere, come Kreuzspiel per cinque fiati (1951) e Kontra-Punkte per dieci strumenti (1952).
Nel 1951 H. Eimert (1897-1972) fondò lo Studio für elektronische Musik di Colonia, da lui stesso diretto, attraverso il quale l'avanguardia tedesca si apriva alla sperimentazione della musica elettronica, intesa − a differenza dell'indirizzo della musique concrète parigina − come musica ''pura''. Anche per questo aspetto della ricerca l'opera di Stockhausen Gesang der Junglinge (1956) può considerarsi tra le più rappresentative.
Manifesto di un serialismo divenuto ormai ''accademico'' può considerarsi la rivista Die Reihe diretta da W. Eimert e K. Stockhausen dal 1955, oltre ai Darmstädter Beiträge zur Neuen Musik che presero a uscire con cadenza annuale nel 1958.
Durante gli anni Sessanta, all'indomani del primo intervento dello statunitense J. Cage a Darmstadt, si verificarono le prime reazioni allo ''strutturalismo'' seriale, il che comportò peraltro una generale frammentazione della ricerca intorno a itinerari individuali. In Stockhausen questo significò già alla metà degli anni Cinquanta il passaggio ai principi della ''indeterminazione'' o dell'''alea controllata'', che viene considerato come un esito interno all'adozione del serialismo, e dunque con una valenza più moderata rispetto all'indeterminazione integrale di Cage.
Tra le esperienze maggiormente rappresentative di questo periodo sono quelle di H. W. Henze, di B.-A. Zimmermann (1918-1970) e dell'argentino M. Kagel (n. 1931). Soprattutto in Henze si delineò subito la tendenza ad abbandonare lo sperimentalismo più estremo, per approdare al recupero di forme compositive più tradizionali, con un impegno rivolto particolarmente al teatro musicale (già nel 1952 l'opera Boulevard Solitude, nel 1956 König Hirsch, nel 1961 Elegie für Junge Liebende). Al teatro lirico dedicò un'opera molto importante, Die Soldaten, anche Zimmermann, nel 1960. Kagel, trasferitosi in G. nel 1957, ha lavorato a un teatro sperimentale, con lavori che lo videro impegnato particolarmente nella prima metà degli anni Sessanta, da Sur Scène (1962) e Antithèse (1963) a Tremens (1966).
Tra gli autori più significativi di opere liriche in questo periodo ricordiamo ancora E. Krenek (n. 1900) e B. Blacher (n. 1903) della generazione più anziana, G. W. Klebe (n. 1925) e A. Reimann (n. 1936) di quella più giovane.
Negli anni Settanta si è affermato un gruppo di giovani compositori che ha ricevuto il titolo di Neue Einfachheit, del quale fanno parte P. M. Hamel (n. 1947), M. Trojahn (n. 1949), H. Ch. von Dadelsen (n. 1948), W. Rihm (n. 1952), H. J. von Bose (n. 1953), W. von Schweinitz (n. 1953) e D. Müller-Siemens (n. 1957), nelle cui opere è presente un più motivato rifiuto della frattura operata dall'avanguardia, e un conseguente recupero della tradizione del sinfonismo fine-ottocentesco e di quegli autori del Novecento la cui opera era rimasta estranea alle tematiche dell'avanguardia, da K. A. Hartmann (1905-1963) allo stesso Zimmermann.
Questo indirizzo, e con esso la rivalutazione dei generi musicali tradizionali (particolarmente la sinfonia e l'opera lirica), si è consolidato ancora nella prima metà degli anni Ottanta. È utile ricordare in questo senso Die Hamlet Maschine di W. Rihm, composta fra il 1983 e il 1986, e rappresentata al Teatro Nazionale di Mannheim (1987). In questo quadro dev'essere considerata anche l'opera più recente di Henze che, a partire dalla contestazione giovanile della fine degli anni Sessanta, si è impegnato sul piano politico con opere come El Cimarrón (1969), Prison Song, per nastro magnetico e percussione (1971), fino alla più recente Wir erreischen den Fluss (1976). Al teatro musicale infine, ma sulla base di tutt'altri presupposti, sono dedicati ancora alcuni degli ultimi lavori di Stockhausen, tra cui il ciclo operistico Licht, di cui sono comparsi finora Donnerstag (1981), Samstag (1984) e Montag (1988).
Bibl.: H. H. Stuckenschmidt, Die grossen Komponisten unseres Jahrhunderts. i: Deutschland und Mitteleuropa, Monaco di B. 1971; Of German music: a symposium, a cura di H. H. Schönzela, New York 1976; W. Konold, Nuove opere liriche nella RFT. Un inventario e una rassegna, in Musica/Realtà, 23 (1987), pp. 91-108; J. Streicher, Musica in Germania: il cielo riunificato, in Musica e Dossier, 49 (maggiogiugno 1991), pp. 22 ss.; F. Reininghaus, Konsens der Vedrängungskünstler. Perspektiven der Berliner Musiklandschaft, in Neue Zeitschrift für Musik, aprile 1992, pp. 5 ss.
Repubblica Democratica Tedesca. - La netta rottura con il passato nazista definì l'orizzonte culturale entro il quale la vita musicale della G. orientale ebbe a riorganizzarsi all'indomani della guerra, in una forma sconosciuta al mondo tedesco occidentale. Il richiamo alla tradizione nazionale, assai notevole in questo settore, e in pari tempo il rispetto dei principi del realismo socialista, furono generalmente fatti propri da quei compositori la cui formazione risaliva ai primi decenni del 20° secolo, e che erano stati costretti a un lungo esilio durante la dittatura hitleriana.
Tra le figure di maggior rilievo in questo senso vi è anzitutto quella di H. Eisler (1898-1962), allievo di Schönberg fra il 1919 e il 1923, che aveva alle spalle una fortunata carriera di compositore nel momento del suo ritorno nella Berlino orientale nel 1950; incaricato presso la Deutsche Akademie der Künste, compose nell'ultimo periodo della sua vita opere improntate a ideali democratici e antifascisti. Della sua generazione sono P. Dessau (1894-1979), in esilio intorno ai primi anni Quaranta negli Stati Uniti, dove iniziò a lavorare con Brecht, e tornato in patria (a Berlino) nel 1948; e R. Wagner-Regeny (1903-1969), anch'egli stretto collaboratore di Brecht al Berliner Ensemble, da questo fondato nel 1949, e incaricato per la composizione nel 1950 presso la Hochschule für Musik di Berlino.
Il contesto in cui si formarono le nuove generazioni di compositori fu dunque ben diverso da quello dei loro maestri, e ben difficile si dimostrò per loro il rapporto con l'eredità dell'avanguardia storica (soprattutto con Schönberg). Scarse altresì le possibilità di ricerca e di sperimentazione, data la prevalenza dei metodi d'insegnamento tradizionali e l'insistenza sull'impegno sociale dell'attività artistica.
Non mancarono tuttavia momenti importanti nell'evoluzione dell'estetica musicale, come per es. il 2° Seminario internazionale dei musicologi marxisti, tenutosi a Berlino nel 1965, con importanti contributi a una revisione dei principi allora dominanti da parte dello svizzero H. Goldschmidt, in G. dal 1948, e di G. Mayer, uno dei più importanti musicologi della G. orientale. Già alla metà degli anni Cinquanta risale un primo gruppo di composizioni significative di autori appartenenti sia alla generazione di mezzo, come G. Kochan (n. 1930), S. Matthus (n. 1934), G. Katzer (n. 1935) e R. Kunad (n. 1936), che a quella più giovane, come F. Goldmann (n. 1941), F. Schenker (n. 1942) e U. Zimmermann (n. 1943).
Solo alla metà degli anni Sessanta cominciarono tuttavia le prime utilizzazioni del metodo dodecafonico e delle tecniche seriali, sulla scorta di quanto già P. Dessau aveva mostrato in alcune sue opere della fine degli anni Cinquanta (così l'opera teatrale Puntila, su libretto di P. Palitzsch e M. Wekwerth, da Brecht, 1957-59).
Nel 1963 veniva fondato a Berlino lo Studio für elektrakustische Klangerzeugung, che ebbe tuttavia una vita assai breve, lasciando praticamente vuoto il settore della musica elettronica (ragione, questa, per la quale il lavoro svolto in questo campo è assai scarso: si può ricordare l'opera di S. Matthus, Galilei, del 1966, oltre ad alcune composizioni di G. Katzer della metà degli anni Settanta).
Particolarmente significativa, in questi ultimi anni, l'opera di U. Zimmermann: passato attraverso una fase di sperimentazione sul materiale sonoro durante gli anni Settanta (così Der Schuh und die fliegende Prinzessin, 1975-76), più recentemente è tornato al discorso tonale e a forme espressive più convenzionali e melodiche, secondo una tendenza comune alla ricerca musicale della G. occidentale.
Bibl.: Forum: Musik in der DDR, a cura di D. Brennecke e M. Hansen, Berlino 1972; U. Strurzbecher, ''Komponisten in der DDR'', 17 Gespräche, Hildesheim 1979; F. Hennenberg, La generazione di mezzo. Saggio su sei compositori della RDT, in Musica/realtà, 1, 1 (1980), pp. 133-48; 2, 2 (1980), pp. 103-19; M. Garda, Tendenze dell'estetica musicale della RDT negli anni '70, ibid., 10 (1983), pp. 119-42; F. Kämpfer, Sozialer Freiraum, ästetische Nische. Frauen und Musik in der chemaligen DDR, in Neue Zeitschrift für Musik, ottobre 1991, pp. 25 ss.
Cinema. - Repubblica Federale di Germania. - La G. occidentale si trovò subito dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale a dover affrontare il problema della ricostruzione industriale. Lo sforzo operato in tal senso si tradusse in campo cinematografico in un vero e proprio boom che caratterizzò tutti gli anni Cinquanta, benché alla crescita economica non corrispondesse uno sviluppo qualitativo delle opere prodotte. Appartenenti per lo più al genere Trummerfilme (film di rovine), le pellicole degli anni Cinquanta ripercorrono episodi del conflitto mondiale o narrano vicende legate al nazismo. Nonostante che anche autori di grande prestigio come H. Käutner, R. Siodmak, B. Wicki e A. Weidenmann si siano cimentati nel genere, i film tedeschi del dopoguerra non sono quasi mai degni di nota. Un cinema capace di esprimere idee nuove comincia ad apparire nel 1962, quando al festival di Oberhausen una trentina di giovani cineasti firmano un manifesto che costituisce l'atto di nascita del nuovo cinema tedesco. "Il vecchio cinema è morto. Noi crediamo nel nuovo" proclamarono A. Kluge, V. Schlöndorff e gli altri registi. "Il nuovo cinema ha bisogno di nuove libertà. Libertà dalle convenzioni comuni del mestiere. Libertà dall'influenza del partner commerciale. Libertà dalla tutela esercitata dai gruppi d'interesse". Purtroppo lo stato dell'industria, in netto declino rispetto ai fasti degli anni Cinquanta, non permise ai giovani autori del Manifesto di Oberhausen di agire con l'auspicata libertà, soprattutto dal lato economico. Le difficoltà finanziarie infatti frenarono ancora per alcuni anni la possibilità di un controllo produttivo del film da parte del regista. Solo nel 1965, con la fondazione del comitato dei giovani cineasti tedeschi, la situazione si sbloccò, grazie anche ai numerosi interventi e sovvenzioni dello stato e all'interessamento della televisione, che divenne in parte produttrice dei primi lungometraggi del nuovo cinema.
Le opere finanziate in pochi anni con questa formula sono emblematiche del nuovo corso del cinema tedesco: Der junge Törless (I turbamenti del giovane Törless, 1966) di V. Schlöndorff; Anita G. (La ragazza senza storia,1966) di A. Kluge; Chronik der Anna Magdalena Bach (Cronaca di Anna Magdalena Bach, 1967) di J.-M. Straub; Jagdszenen aus Niederbayern (Scene di caccia in Bassa Baviera, 1969) di P. Fleischmann; Auch Zwerge haben klein angefangen (Anche i nani hanno cominciato da piccoli, 1970) di W. Herzog; Die Angst des Tormanns beim Elfmeter (Prima del calcio di rigore, 1971) di W. Wenders; Der Tod der Maria Malibran (La morte di Maria Malibran, 1971) di W. Schroeter; Die bitteren Tränen der Petra von Kant (Le lacrime amare di Petra von Kant, 1972) di R. W. Fassbinder.
Con caratteristiche stilistiche e tematiche differenti, ognuno di questi autori impegna una personale battaglia contro le convenzioni e l'establishment politico e culturale di una G. che non ha ancora chiuso i conti con il passato e nemmeno cominciato a interrogarsi sul presente. Benché la maggior parte dei cineasti tedeschi adotti un linguaggio decisamente poetico, dietro le metafore e i racconti talvolta visionari si avverte il pulsare di una volontà di denuncia che è essenzialmente politica. Non a caso alcuni registi, tra cui Fassbinder, Kluge e Schlöndorff, firmano nel 1978 il film collettivo Deutschland im Herbst (Germania in autunno), amaro ritratto della situazione tedesca all'epoca dei fatti di Stammheim.
Tra gli esponenti del nuovo cinema tedesco soprattutto tre autori seguono cammini personalissimi e assai significativi: W. Wenders, R. W. Fassbinder e W. Herzog. Quest'ultimo è il regista che più ha lottato contro le regole di un cinema di evasione o comunque consolatorio: cineasta visionario per eccellenza, ha dato vita a personaggi difficili, talvolta demoniaci, in lotta con la società che non li accetta.
Spesso i protagonisti dei film di Herzog sono dei ''diversi'': i nani di Auch Zwerge haben klein angefangen, l'uomo senza memoria di Jeder für sich und Gott gegen alle (L'enigma di Kaspar Hauser, 1974), il folle esploratore di Fitzcarraldo (1982). Diverso il caso di Fassbinder, prematuramente scomparso nel 1982, autore amante del melodramma, sempre teso a raccontare storie di relazioni carnali e omosessuali che, ammantate di un forte senso del kitsch, si possono leggere come una rappresentazione allegorica del potere dell'uomo sull'uomo esercitato all'interno di storie d'amore: un potere che si trasforma rapidamente in crudeltà quando entra in gioco la Storia. Particolarmente emblematici due dei suoi film più conosciuti, Die Ehe der Maria Braun (Il matrimonio di Maria Braun, 1978) e Die Sehnsucht der Veronika Voss (Veronika Voss, 1982), che hanno per protagoniste due donne uscite apparentemente indenni dal delirio della guerra ma che, entrambe ancora vittime del fascino del nazismo e al tempo stesso del rifiuto di esso, finiscono per soccombere.
Il passato che ritorna, il bisogno di continuare ad analizzarsi è uno dei temi che investe anche il cinema di Wenders. Sebbene sia il più giovane dei cineasti tedeschi e quindi apparentemente il più lontano dai problemi legati alle eredità della guerra, anche Wenders, soprattutto nei suoi primi film, parla di una generazione alla ricerca, sì, di una nuova identità, ma al tempo stesso decisa a non dimenticare i drammi del nazismo. Con il passare degli anni il cinema di Wenders ha assunto toni sempre più poetici, volgendosi a indagare la solitudine esistenziale dell'uomo e ad analizzare con particolare riguardo il complesso universo dei sentimenti. Indicativi, al riguardo, Paris-Texas (1983) e Der Himmel über Berlin (Il cielo sopra Berlino, 1987). Meno significativo è sembrato Until the end of the world (Fino alla fine del mondo, 1991).
Negli anni Ottanta si sviluppa una seconda nouvelle vague, caratterizzata nella maggior parte dei casi da un più forte impegno politico, come denotano i film di M. von Trotta, vincitrice a Venezia nel 1981 con Die Bleierne Zeit (Anni di piombo). Il film, ricostruzione dei fatti di Stammheim attraverso le vicende di due sorelle di cui una terrorista, fonde con sensibilità impegno politico e introspezione psicologica. Tra gli altri autori degli anni Ottanta H. Sanders-Brahms, R. van Ackeren, H. Noever, P. Adlon. È da ricordare anche H.-J. Syberberg, autore fra l'altro di un film su Hitler che dura sette ore.
Repubblica Democratica Tedesca. - Nel febbraio 1946, terminato il conflitto mondiale, nella nascente Repubblica Democratica Tedesca vennero girati alcuni documentari sulla ricostruzione di Berlino. La produzione di fiction, controllata dalla DEFA (Deutsche Film Aktien Gesellschaft), si orientò verso film che avevano per oggetto la guerra, mostravano una G. distrutta e denunciavano i mali del nazismo.
Autori di spicco del periodo della ricostruzione sono W. Staudte, K. Maetzig, E. Engel, e soprattutto S. Dudow, il cui film di maggior rilievo, Unser täglich Brot (Nostro pane quotidiano, 1949), è un'amara testimonianza sulla G. in rovina. Nel 1952 la conferenza dei cineasti convocata dal Partito comunista pose l'accento sulla necessità di uniformarsi ai principi del realismo socialista; tale richiamo al realismo forzato operò nel cinema della DDR un cambiamento di rotta rispetto allo stile e alle tematiche fino allora trattate, a scapito della vivacità e originalità che avevano caratterizzato la produzione precedente. Pochi autori riuscirono a sottrarsi all'accademismo imperante; tra questi G. Klein, che in Eine Berliner Romanze (1956) e Berlin-Schonhauser (1957) racconta storie di vita quotidiana di evidente impronta neorealista, e K. Wolf, che a partire dalla fine degli anni Cinquanta fino a tutto il Settanta seguì un suo personalissimo percorso artistico volto a segnalare la costante necessità per un autore di operare in assoluta libertà.
Grazie anche all'impegno di Wolf la cinematografia della DDR dagli anni Settanta in poi ha vissuto un lento ma significativo rinnovamento, in favore di uno sguardo disincantato e al tempo stesso lucidamente critico sul presente e i suoi problemi. I risultati raggiunti da opere quali Solo Sunny (1979) di Wolf − ritratto vivace della pop generation - o Die Frau und der Frende (1985) di R. Simon − vincitore ex aequo dell'Orso d'oro del Festival di Berlino − sono in questo senso testimonianza del progressivo abbandono da parte dei cineasti degli anni Ottanta del pesante bagaglio ideologico rappresentato dal realismo socialista.
La riunificazione, con i relativi problemi economici, ha aggravato le difficoltà del cinema tedesco. Da un lato gli studi di Babelsberg, a Berlino est, per molti anni il massimo centro produttivo della DDR, hanno rischiato di chiudere, e molti registi e tecnici si sono trovati senza lavoro; dall'altro, il cinema che operava nella G. federale ha retto a fatica la concorrenza della televisione. Autori che avevano caratterizzato il panorama culturale non hanno più tratto dalla società e dal dibattito ideologico linfa creativa, il mercato ha avuto il sopravvento (i film nazionali hanno incassato meno del 10% dell'introito globale, rispetto al 65% dei film USA), e anche le pellicole ispirate ai disagi sociali e psicologici prodotti dal nuovo assetto politico non sono riuscite a interpretare i controversi umori del pubblico. Qualche segno di risveglio è tuttavia venuto dai giovani usciti dalle scuole di cinema, soprattutto nell'ambito dei documentari.
Bibl.: M. Fontana, Film und Drang, nuovo cinema tedesco, Firenze 1978; S. Micheli, Il cinema nella Repubblica Democratica Tedesca, Roma 1978; I dossier degli anni 80: cinema e televisione, Repubblica Federale Tedesca, Venezia 1982; D. Trastulli, Germania pallida madre, Firenze 1982; Iunger Deutschen Film (1960-1970), a cura di G. Spagnoletti, Milano 1985; La Baviera e il cinema tedesco degli anni Ottanta. Il villaggio negato, a cura di A. Percavassi, L. Quaresima, E. Reiter, Firenze 1988; DEFA-Spielfilme. 1946-1964, Filmografia, a cura di G. Schulz, Berlino 1989.