Grecia
Stato dell’Europa merid., che comprende la parte merid. della Penisola Balcanica, gli arcipelaghi delle Ionie e dell’Egeo e l’isola di Creta. L’insieme delle isole occupa 1/5 dell’intera superficie. Il nome lat. Graecia (der. di Graecus «greco») fu usato soltanto dai romani; i greci usavano (e usano tuttora) il termine Ellade e, come etnico, elleni. Ciò dipende, secondo alcuni, dal fatto che i romani vennero a contatto con il mondo greco dapprima attraverso le popolazioni epirotiche che si chiamavano con il nome locale graicói; secondo altri, invece, il nome sarebbe da mettere in rapporto con quello degli abitanti di una città dell’Eubea o della Beozia, di nome Grea, che avrebbero preso parte alla colonizzazione in Italia. I romani chiamarono graeci tutti gli elleni e tale nome si affermò nella cultura occidentale.
Secondo la tradizione antica, le prime genti che penetrarono nella penisola furono gli ioni, che occuparono l’Attica; seguirono gli eoli, che conquistarono gran parte della G. centrale e del Peloponneso. Questa fase di assestamento, che determina una stasi nei rapporti con Creta e le Cicladi, si prolunga per tutto l’Elladico medio (1900-1600 a.C.) e solo verso la fine di questo periodo si avvertono segni di ripresa. L’Elladico tardo o Miceneo (1600/1580-1100 a.C.) è un periodo di profonda trasformazione nel quale si raggiungono nuovi assetti territoriali e nuove forme di organizzazione sociale, economica e politica, che corrispondono alla fioritura dei grandi palazzi di Micene, Tirinto, Pilo ecc. Attorno al 1450 a.C. i micenei occupano i principali centri di Creta; contemporaneamente prende avvio un importante fenomeno d’espansione commerciale («pre-colonizzazione» micenea), mentre presenze greche, e più precisamente achee, sono segnalate nei documenti egizi e ittiti dell’epoca. A partire dalla fine del 13° sec. a.C. si colgono nella società micenea evidenti segni di un declino, culminato poi nella distruzione dei grandi palazzi. In questo scenario fanno la loro irruzione i dori. La migrazione dorica, che nel mito si configura come «il ritorno degli Eraclidi» (➔ dori), si colloca, secondo la tradizione cronografica ellenistica, nel 1104 a.C. e costituisce l’ultima delle grandi invasioni di epoca protostorica. A essa segue una nuova fase di espansione. Colonie greche vengono dedotte alla fine del 2° millennio a Creta, nelle isole minori dell’Egeo, lungo le coste dell’Asia Minore colonizzate a N dagli eoli, al Centro dagli ioni, a S dai dori. La storia arcaica della G. tra la fine del 2° e gli inizi del 1° millennio a.C. è poco nota: la decadenza dell’antica civiltà micenea (secc. 12°-11°) fu graduale e attraverso alcune fasi intermedie (Submiceneo, Protogeometrico) sfociò nello stile cosiddetto geometrico, caratteristico della ceramica greca del 9°-8° sec. a.C. Se l’evoluzione artistica può essere seguita nelle grandi linee, quella politica è difficile a ricostruirsi: sembra a ogni modo che il Paese fosse diviso in numerosi piccoli Stati retti da monarchie, sul tipo di quelle rappresentate nei poemi omerici. Assisteva il sovrano un consiglio (➔ gerusia) di nobili, mentre il popolo non aveva che infima importanza; la popolazione libera era suddivisa in genti, file, fratrie. Gli organismi cittadini (pòleis) cominciarono a svilupparsi nei secc. 8°-7° a.C.: i greci, che prima abitavano in borgate disperse, si riunirono in aggruppamenti di tipo urbano protetti da mura. Si iniziava anche un secondo vastissimo movimento colonizzatore (colonie sulle coste del Mar Nero, della Cirenaica, dell’Italia merid., della Sicilia, della Francia merid. e della Spagna). Nel frattempo profondi rivolgimenti politici avevano luogo nella madrepatria: le monarchie decadevano o scomparivano del tutto (eccetto che in zone periferiche: Macedonia, Epiro, Cirenaica e, per ragioni diverse, Sparta) e ne prendeva il posto l’aristocrazia. Si formavano anche le prime organizzazioni unitarie, sacrali, ma con un certo carattere politico, poi gli Stati territoriali veri e propri derivanti o da unione federale di vari cantoni (Tessaglia), o dal predominio conquistato da una città su un determinato territorio (Atene nell’Attica, Sparta nella Laconia, Argo nell’Argolide ecc.). Tale processo fu molto lungo e solo alla fine del sec. 6° a.C. può dirsi che la G. avesse trovato una certa stabilità politico-territoriale. Ma questa era compromessa nel seno delle varie città-Stato da violente lotte sociali tra le aristocrazie ascese al potere e le forze cittadine che, acquistando importanza con l’esercizio della navigazione, del commercio e dell’artigianato, rivendicarono un’attiva partecipazione alla vita politica e la codificazione delle leggi sino allora amministrate dai nobili seguendo le norme del diritto consuetudinario. Ciò condusse, dopo lunghi contrasti, alla redazione scritta delle leggi, ma anche a lotte continue tra nobili e non nobili, che si risolvevano per lo più con la violenta affermazione di un tiranno che, secondando in origine le forze popolari, riusciva a farsi signore della città. Nel corso del sec. 6° le tirannidi, vittime di quelle stesse forze popolari che avevano favorito, erano però scomparse quasi ovunque e prevalevano in genere nelle varie città-Stato greche o regimi oligarchici più o meno ristretti (fondati in genere sui proprietari terrieri), ovvero, ma ancora rari, democratici (➔ governo, forme di). Alla fine del secolo nelle arti, nelle lettere, nel progresso civile e politico, nelle conquiste del pensiero, i greci erano all’avanguardia tra tutti i popoli mediterranei. Le lotte contro i persiani (499-478 a.C.), che parvero minacciare mortalmente questa fioritura mirabile, si conclusero con il trionfo dei greci accaniti difensori della propria indipendenza. A impedire però una ancor più completa supremazia, intervennero gelosie e discordie tra i maggiori Stati greci del tempo, Atene e Sparta, già antesignane nella lotta di libertà. Atene, alla testa di un’imponente lega marittima, fondata per la continuazione della guerra a oltranza contro i persiani, trasformò gradatamente questo organismo in impero: Sparta, egemone della maggiore lega terrestre del tempo, quella peloponnesiaca, temeva di perdere la posizione di primato che aveva avuto durante la guerra. A ciò s’aggiungevano motivi politici gravissimi, l’esser cioè Atene democratica e fautrice di ordinamenti democratici nelle città a lei federate, mentre Sparta era uno Stato conservatore, ed era considerata lo Stato ideale degli oligarchici di tutta la Grecia. Dopo un lungo periodo di tensione (circa cinquanta anni dopo la fine delle guerre persiane nel 478: onde il nome di pentecontetia), si giunse alla disastrosa guerra del Peloponneso, durata 27 anni (431-404), di cui furono protagoniste Sparta e Atene con le rispettive leghe, ma cui presero parte, negli opposti campi, quasi tutti gli Stati greci. Tale guerra portò con sé una somma di distruzioni e di perdite umane incalcolabili: la perseveranza e il feroce accanimento con cui fu combattuta sino all’ultimo provocò persino il ripudio da parte dei contendenti delle idealità nazionali antipersiane. Il favore della Persia fu alla fine acquisito da Sparta, che riuscì a fiaccare la rivale; ma la lotta per il predominio riarse subito. L’egemonia spartana, oltre che ai vinti, era grave agli stessi alleati dei vincitori e fu lungamente osteggiata da una coalizione stretta tra Argo, Corinto, Tebe e la ben presto risorta Atene: la conclusione fu data dalla cosiddetta pace di Antalcida (386), dettata dal re di Persia ai greci, nella quale si sanciva l’autonomia di tutte le città greche della madrepatria e si sanzionava il ritorno delle città greche d’Asia sotto il dominio persiano. Sparta esercitò ancora per qualche tempo l’egemonia; distrusse la Lega calcidica di Olinto (382), impose a Tebe una propria guarnigione, e tentò con un colpo di mano di occupare il Pireo, porto di Atene. Ma poco dopo Tebe si liberò dalla guarnigione spartana, mentre Atene ricostituiva la propria lega navale (377). Durante un nuovo congresso di pace (371) tenuto a Sparta si ebbe la rottura definitiva tra Sparta e Tebe: nella battaglia di Leuttra, che seguì poco dopo, i tebani ebbero il sopravvento e stabilirono così sulla G. un decennio di egemonia fondata sulla momentanea superiorità militare affermata da generali valentissimi, quali Epaminonda e Pelopida. Dopo la battaglia di Mantinea (362) tra tebani da un lato e ateniesi e spartani dall’altro, terminata con una inconcludente vittoria tebana, ebbe inizio la dissoluzione dell’egemonia di Tebe, mentre Atene vedeva defezionare i membri della sua seconda lega navale e Sparta tendeva a ripiegare in sé stessa estraniandosi dalla lotta per l’egemonia. Il divampare nel 356 della cosiddetta terza guerra sacra, a cui parteciparono quasi tutti i greci, indebolì ancor più la capacità di resistenza della G., e fu giovandosi di questa debolezza e delle discordie tra Stati e nell’interno di ciascuno di essi che Filippo II di Macedonia riuscì a estendere la sua influenza nella G. centrale. Demostene riuscì a stringere una lega tra Atene e Tebe per fronteggiare il pericolo, ma era ormai tardi: la battaglia di Cheronea (338), con la decisiva vittoria di Filippo, sembrò segnare la fine della libertà greca. Gli Stati greci (eccetto Sparta) furono costretti a riconoscere la supremazia della Macedonia e a partecipare a una federazione (Lega di Corinto), della quale fu dichiarato egemone Filippo. Scopo di questa lega era la guerra contro la Persia: già un’avanguardia era anzi passata in Asia, quando Filippo perì di morte violenta (336). Il successore di Filippo II, Alessandro Magno, dopo aver brutalmente riaffermato l’egemonia macedone con la violenta distruzione dell’insorta Tebe (335), passò in Asia ove s’impadronì dell’impero persiano. Ma i greci non erano domati: nel 331 era insorta Sparta e nel 322, all’annunzio della morte di Alessandro, divampò nella G. una insurrezione pressoché generale, la cosiddetta guerra di Lamia. L’una e l’altra volta Antipatro, reggente della Macedonia, ebbe ragione con molti sforzi dei rivoltosi: la guerra di Lamia si concluse con due gravi rotte greche, per terra a Crannone (Tessaglia), per mare presso l’isola di Amorgo. Dovunque nell’Ellade soggetta alla Macedonia furono istituiti ordinamenti oligarchici. Sebbene i greci nel nuovo assetto politico non avessero più l’importanza di un tempo, poiché l’epicentro era ormai nell’Asia ove dalle lotte e dalle intese tra i generali di Alessandro Magno sorgeva un nuovo assetto geopolitico, tuttavia la loro simpatia e il loro appoggio era ancora ricercato. Morto Antipatro (319), il nuovo reggente Poliperconte volle accattivarsi le simpatie dei greci con un proclama in cui restituiva loro la libertà (318), e lo imitava poco dopo (315) Antigono Monoftalmo, con l’analogo proclama di Tiro; più tardi (306) fece lo stesso Tolomeo I d’Egitto; tali espedienti erano usati dai sovrani ellenistici per indurre i greci a schierarsi dalla propria parte o, quanto meno, a tollerare il loro dominio. La G. fu, in massima, per circa cinquant’anni in signoria di coloro che dominarono la Macedonia: ma le confuse vicende di questa età ci sono poco note nei particolari, eccetto che per Atene, ove alla dominazione oligarchica di Demetrio Falereo (317-307) succedette quella di Demetrio Poliorcete e poi del figlio di lui Antigono Gonata, chiusa da una nuova insurrezione antimacedonica, la guerra di Cremonide, che si trascinò per alcuni anni (267-262 circa) senza alcun successo. La G. era stata frattanto invasa dai celti (280) e il re di Macedonia Tolomeo Cerauno era morto combattendo contro di essi; l’invasione fu frenata per merito precipuo dei beoti e della Lega etolica, che da modesti inizi nel sec. 4° era frattanto salita a grande potenza. Ed è infatti caratteristico di questo periodo il sorgere a rilevante autorità di leghe di popoli sino ad allora estranei per lo più alle vicende della nazione, gli etoli e gli achei. I primi, con la valorosa difesa di Delfi, dai celti, erano giunti a ottenere il primato sulla anfizionia delfica; i secondi, soprattutto da quando Arato riuscì ad annettere alla Lega achea Sicione (251), erano divenuti la più potente lega del Peloponneso. Contro queste nuove energie consumò pressoché tutta la vita Demetrio II di Macedonia (239-229); gli achei tuttavia, resistendo tenacemente, riuscirono anche a ottenere vantaggi territoriali nell’Argolide e soprattutto nell’Arcadia. Ma nel Peloponneso, frattanto, anche Sparta tendeva a riprendere il suo posto nella lotta per l’egemonia sulla penisola; gli achei, sconfitti gravemente presso Megalopoli (226), invocarono contro Cleomene III di Sparta Antigono Dosone, allora reggente di Macedonia, che intervenne e sconfisse a Sellasia (222) l’esercito spartano. Parve allora riuscire ad Antigono l’unione nazionale dei greci, in quanto nella Lega ellenica da lui fondata erano compresi tutti i greci, a eccezione degli ateniesi e degli etoli. Questa esclusione fu fatale ai destini della Lega: gli etoli assalirono gli achei e Filippo V, succeduto al morto Antigono, pur desideroso di sostenere gli alleati achei, si trovò costretto, dopo alcuni successi non decisivi, a concludere la pace di Naupatto (217), cui lo spingeva la gravità degli avvenimenti d’Occidente. I romani infatti, per essere intervenuti già due volte (239 e 219) in Illiria, erano un avversario pericoloso per la Macedonia ai confini nordoccid.: Filippo ritenne opportuno approfittare della guerra in atto tra Roma e Cartagine per impadronirsi dei possessi che i romani avevano conquistato nell’Adriatico orientale. Strinse alleanza con Cartagine, ma i romani si limitarono a spedire contro di lui nell’Egeo una squadra navale – che poco dopo ritirarono – paghi di aizzare contro di lui spartani, etoli, elei e messeni, oltre ad Attalo di Pergamo che sperava acquisti territoriali dal suo atteggiamento filoromano. Filippo dovette accettare una pace separata con gli etoli (206), quindi – senza perdite – con Roma (pace di Fenice, 205); e approfittò poi della pace per ricostruire una valida flotta, in previsione di nuove ostilità. La guerra riarse per un incidente tra Atene e Filippo, il quale, battuto ai passi dell’Aoo (198), poi a Cinoscefale (197), dovette accettare dure condizioni di pace. Il generale romano vittorioso, Tito Quinzio Flaminino, proclamò alle feste Istmie del 196 la libertà di tutti i greci. Ma la guerra antiromana continuava, anche se da parte dei greci non si riuscì mai a raggiungere una simultaneità di sforzi; sconfitto il tiranno di Sparta, Nabide, e mentre Filippo si schierava coi romani, gli etoli e Antioco III di Siria si fecero promotori della resistenza: i primi dovettero rassegnarsi alla pace dopo aver perduto la loro piazzaforte più importante, Ambracia (189), mentre Antioco, sconfitto alle Termopili (191) e poi alla battaglia di Magnesia (inverno 190), fu costretto ad accettare la dura pace di Apamea. Frattanto la Macedonia, negli ultimi anni di vita di Filippo V, si era nuovamente data un formidabile esercito: i romani provocarono una nuova guerra contro il figlio di lui, Perseo, che dopo qualche successo fu irrimediabilmente sconfitto nella battaglia di Pidna (168). Nel 149 un pretendente al trono di Macedonia, Andrisco, tentò una sollevazione antiromana che fu presto domata da Cecilio Metello; l’anno dopo la Lega achea non volle sottostare alle ingiunzioni di Roma e si ebbe un altro grave conflitto (➔ Acaia), che terminò con le sconfitte achee di Scarfea e Leucopetra e la distruzione di Corinto (146). La Grecia soggetta fu messa allora alle dipendenze del governatore della provincia di Macedonia, istituita nel 148: tuttavia ancora nell’88 la grandiosa sommossa antiromana della quale fu massimo esponente Mitridate VI Eupatore trovò larga risonanza in G. e particolarmente ad Atene, che resisté a lungo eroicamente all’assedio di Silla fino a che (1° marzo 86) la città fu presa d’assalto. Quest’ultimo episodio di ribellione, che ai greci costò assai caro, dimostrò solo l’impotenza a cui erano ridotti, per essere loro mancata a suo tempo la volontà di unione nella lotta allo straniero. Dopo aver goduto, in anni successivi, un periodo abbastanza lungo di tranquillità (67-49 a.C.), la G. fu coinvolta nelle guerre civili che dilaniarono il mondo romano (dalla battaglia di Farsalo, 48 a.C., a quella di Azio, 31 a.C.). Costituita nel 27 a.C. come provincia di Acaia, la G. conobbe nei primi secoli dell’impero una sostanziale decadenza, appena interrotta da periodi più felici, in corrispondenza dei regni di imperatori filelleni (Nerone, che nel 67 dichiarò la libertà dell’Acaia; Adriano, che tra il 124 e il 132 soggiornò più volte in Atene; Gallieno). La decadenza fu per converso affrettata dalle epidemie (si ricordi quella che nel 165 d.C., provenendo dall’Oriente, si diffuse nel mondo romano) e dalle numerose incursioni barbariche (quella dei costoboci nel 170 e quelle dei popoli germanici a cominciare dalla seconda metà del 3° sec. d.C.).
Con la morte di Teodosio (395) la G. fece parte dell’impero d’Oriente. Anche se mantenne a lungo un certo predominio culturale, la G. rimase una provincia di scarso rilievo economico e strategico. La sua decadenza andò accentuandosi anche per effetto delle incursioni di pirati e delle epidemie che la colpirono nel 3°-4° sec.: venne progressivamente spopolandosi nelle campagne e nelle città, ridotte a poveri villaggi. Fu perciò facile preda delle invasioni dei barbari (a partire dal 395, quando i goti di Alarico saccheggiarono l’Attica e distrussero Eleusi e il tempio di Demetra), che successivamente tra il 5° e l’8° sec. vi fondarono, con slavi, avari e bulgari, stabili colonie. Il Paese dovette poi far fronte a nuovi stanziamenti conseguenti all’immigrazione di valacchi (nella Tessaglia), di albanesi e di ebrei, i quali formarono poi importanti comunità a Tebe, Corinto e Atene. La polemica iconoclastica aperta da Leone III nel 726 (➔ iconoclastia) approfondì il contrasto tra Roma e Bisanzio, che nel 1054 aderì allo Scisma staccandosi dalla Chiesa di Roma. A più breve termine, l’editto contro le immagini provocò la sollevazione della G. e delle Cicladi, che proclamarono un antimperatore che tentò la conquista di Costantinopoli; la flotta ribelle fu allora distrutta dalle squadre imperiali e la rivolta fu soffocata: sintomo notevole questo, tuttavia, di una vitalità nuova che, come nelle province greche d’Italia, si fece luce attraverso la lotta contro l’autocrazia politico-religiosa bizantina. In effetti, stabilizzatesi le popolazioni immigrate sul suolo greco (e dalla fusione di esse con la popolazione indigena trae origine il popolo neogreco, che gli scrittori bizantini, già nell’8° sec., individuano col nome di Helladikòi, distinguendolo spregiativamente dagli antichi elleni e dai romei, cioè dai veri cittadini dell’impero), si ebbe sin dall’alto Medioevo un sensibile progresso, che fu non solo agricolo ma anche artigianale e urbano (lavorazione della seta a Tebe e Corinto, già nel 9° sec.). Parallelamente si andava formando nei suoi elementi strutturali la fisionomia sociale del Paese, caratterizzata da una assoluta prevalenza economica e politica della grande proprietà terriera, e dal concentrarsi del monopolio della cultura nelle mani di una ristretta aristocrazia ecclesiastica la quale seppe farsi portatrice del sentimento nazionale greco contro il cattolicesimo romano, e in funzione antibizantina. Traggono origine dalla crisi politico-militare dell’impero, nel quadro degli avvenimenti generali del tempo in Europa e nel Mediterraneo, l’occupazione araba di Creta (826-961), donde nel 9°-10° sec. le navi musulmane mossero sovente a devastare le isole dell’Egeo e le coste dell’Attica e del Peloponneso; la temporanea occupazione della G. continentale per opera dei bulgari sollevatisi contro l’imperatore Basilio II (976), fino al 981; e nel 10°-11° sec. le incursioni dei normanni, che nel 1147 saccheggiarono Corinto, Tebe e Atene. Sprovvista di presidi imperiali e nell’insofferenza dell’amministrazione bizantina, la G. fu facile preda delle milizie feudali latine partite per l’Oriente in occasione della quarta crociata. Espugnata Costantinopoli, i crociati invasero la G. tra il 1204 e il 1205, mentre i veneziani ne occupavano le isole. Con l’introduzione sia nei domini franchi sia in quelli veneziani degli istituti particolaristici del feudalesimo occidentale, la storia della G. perdette ogni significato unitario, per scindersi in tante storie locali quante erano le signorie sorte sul suo territorio nel disgregarsi dell’impero bizantino. Sorsero allora, per i capi franchi della quarta crociata, il principato di Acaia nel Peloponneso (che cambiò il nome in Morea), il regno di Tessalonica, comprendente la Macedonia e parte della Tessaglia, il ducato di Atene e altri feudi minori; mentre i veneziani sottoponevano al loro dominio diretto le Isole Ionie, Metone e Corone nel Peloponneso (dove, nel 1388, fondarono colonie anche a Nauplia e Argo), Creta e Cerigo, affidando invece a membri della loro aristocrazia, col vincolo feudale, il possesso dell’Eubea (Negroponte), delle Cicladi, di Stampalia e Scarpanto. In posizione antilatina il bizantino Michele Angelo Comneno costituì il despotato di Epiro, che comprendeva anche l’Acarnania e l’Elide e assorbì più tardi (1223) lo stesso regno di Tessalonica. Libertà e tolleranza contrassegnarono (se si eccettuano i rapporti con la Chiesa, che fu sottoposta per ovvie ragioni politiche all’autorità di quella romana) la dominazione latina: le principali città garantite, secondo una prassi affine a quella delle città dell’Occidente, nei loro diritti; rispettata, col corrispettivo di un tributo, la proprietà privata e assimilati ai milites del sistema feudale occidentale gli stradioti (grossi proprietari fondiari greci). Ma più sollecito del benessere economico e del progresso civile delle popolazioni soggette fu certo il governo dei mercanti veneziani; dove questo durò più a lungo (le Isole Ionie furono venete fino al 1797) si ebbe talora l’assimilazione del ceto dirigente: così a Creta, dove l’aristocrazia veneta fornì elementi alle rivolte locali del 14° sec.; ovvero rimasero tracce cospicue della civiltà veneziana nella lingua, nelle istituzioni e nel costume delle popolazioni indigene (nelle Isole Ionie principalmente). Durante la seconda metà del 13° sec. gran parte del Peloponneso era nuovamente in possesso dei sovrani del ricostituito impero bizantino d’Oriente; questi, nella nuova situazione determinata dalla conquista turca dell’Asia, gli riconobbero particolare importanza politico-strategica, e nel 14° sec. ne affidarono il governo a un principe della dinastia regnante col rango di despota. Il dominio ottomano (affermatosi su tutta la G. continentale, per la conquista di Maometto II, dal 1460) ristabiliva l’unità territoriale, ma segnò per i greci l’inizio di un’epoca di oppressione e di miseria. Soppressa violentemente in gran parte l’élite sociale e intellettuale della nazione, privata anche della sua parte migliore mediante lo schiavistico istituto della leva quinquennale (o devshirmè), per il quale i giovani più dotati erano inviati a Costantinopoli a servire il sultano nella guardia personale o nel corpo dei giannizzeri, la G. ebbe a soffrire le conseguenze di un ordinamento amministrativo (fondato sulla suddivisione del Paese in sei distretti, o sangiaccati, governati ciascuno da un bey con poteri civili e militari) che era ispirato a esigenze esclusivamente difensive e fiscali. Così l’iniquità delle sue condizioni sociali, rese oppressive dall’alleanza tra la vecchia aristocrazia indigena degli stradioti convertiti all’islamismo e quella dei nuovi feudatari turchi, fu mitigata solo in parte più tardi (17° sec.) dall’abolizione delle servitù personali. La progressiva conquista delle isole, eccetto Tino, fu completata dai turchi con l’occupazione di Cipro nel 1571; rimasero veneziane Creta, sino al 1669, e Corfù, Cefalonia e Zante fino alla caduta della Repubblica (quando passarono alla Francia, nel 1797). Venezia approfittava nel 1684 delle difficoltà turche nel bacino danubiano per attaccare la Morea, riconosciutale dal Trattato di Carlowitz (1699); ma la restituì nuovamente agli ottomani nel 1718 al termine di una campagna triennale, anche per la passività della popolazione greca, mostratasi allora indifferente ai vantaggi della mite amministrazione veneziana. Durante il 18° sec. il miglioramento delle condizioni generali (abolizione, avvenuta già nel 1676, della leva quinquennale; partecipazione dei greci agli impieghi civili e militari; accresciuta libertà e influenza del clero ortodosso, specie nei Balcani) non eliminò le ragioni di insofferenza per la dominazione ottomana, sicché l’influenza della cultura europea e l’azione della Chiesa ortodossa portarono i greci all’aperta rivolta. Questa trovò nel disordine amministrativo, nelle intemperanze dei giannizzeri, nell’anarchia dei maggiori feudatari le condizioni propizie al suo affermarsi; nei clefti, i suoi eroici guerriglieri; e nella ricca borghesia greca di Bisanzio e dei principali empori del Mediterraneo, i suoi quadri dirigenti. Già nel 1770, durante la guerra russo-turca, tutta la G. si sollevò, appoggiata dalla flotta zarista; ma la rivolta fallì per mancanza di un’efficiente organizzazione e per l’incertezza degli obiettivi politici.
Agli inizi del sec. 19°, con la fondazione della Eteria, il moto antiturco acquistò nuovo vigore; ben presto tutta la G. e la Penisola Balcanica erano avviluppate dalla rete di quella potente setta segreta che giungeva fino alla corte dello zar Alessandro I attraverso il ministro conte G.A. Capodistria e l’aiutante Alessandro Ipsilanti. Lo spunto all’insurrezione nazionale venne dalla ribellione di ‛Ali Tepedelenli, pascià di Giannina, contro il sultano; l’Eteria raccoglieva la richiesta di aiuto fattale da ‛Ali e diede inizio a un doppio movimento convergente: dall’esterno con A. Ipsilanti, che il 7 marzo 1821 passava il Pruth ed entrava in Moldavia, dove tentava invano di sollevare la popolazione romena e marciava con pochi greci su Bucarest, che occupava il 9 aprile; dall’interno, dove il Paese sorgeva in armi contro il dominio turco. L’Ipsilanti (cui era mancato non solo il concorso dei romeni ma anche l’appoggio dello zar, che si era dichiarato per la solidarietà conservatrice della Santa alleanza) fu però costretto sin dal giugno successivo a rifugiarsi in Ungheria, dove fu imprigionato; invece la rivolta nel Sud aveva esito fortunato; al comando di Demetrio Ipsilanti, fratello di Alessandro, i clefti delle montagne liberavano la Morea, mentre i marinai delle isole assalivano le navi turche nell’arcipelago; ai massacri turchi di notabili e dignitari ecclesiastici nel Fanari (il ricco quartiere greco di Costantinopoli donde traeva origine l’Eteria) e altrove, i patrioti risposero proclamando a Epidauro, il 1° genn. 1822, l’indipendenza della G. e costituendo un governo nazionale (organo esecutivo con a capo A. Maurocordato e un senato). Seguì il massacro totale della popolazione cristiana della fiorente isola di Chio (1822), nella cui rada poco dopo andò distrutta la flotta ottomana. A favore della G. (mentre i governi delle grandi potenze si mostravano ostili alla rivoluzione, negando ai delegati greci anche di farsi ascoltare al Congresso di Verona nel 1822), si era mossa nel frattempo l’opinione pubblica liberale dell’Europa: comitati «filellenici» raccolsero ovunque armi e denaro e, animati dagli ideali culturali e politici del Romanticismo, uomini di ogni nazione accorsero per combattere a fianco dei greci; tra questi, G. Byron morì all’assedio di Missolungi (15 apr. 1824), Santorre di Santarosa cadde combattendo nell’isola di Sfacteria (9 maggio 1825). Intanto anche il presidente J. Monroe affermava la volontà liberale degli USA inviando un messaggio di solidarietà agli insorti. Ma l’intervento della flotta e dell’esercito egiziano al comando di Ibrahim, figlio dell’ambizioso chedivè Mohammed ‛Ali, segnò la crisi della rivoluzione sino allora vittoriosa: attaccata nel giugno 1825, nonostante mirabili prove di eroismo (assedi di Missolungi, dell’acropoli di Atene), nell’estate 1827 tutta la G. continentale era nuovamente soggetta ai turchi. L’indipendenza ellenica divenne allora problema politico europeo: a neutralizzare le velleità imperialistiche del nuovo zar Nicola I, la Gran Bretagna liberale di G. Canning realizzava nel luglio 1827 la Conferenza di Londra, che stabilì il principio della mediazione russo-franco-britannica, al fine di imporre al sultano un armistizio e il riconoscimento dell’autonomia greca. Ma non avendo il sultano accettato tale mediazione si dovette giungere alla distruzione della flotta turco-egiziana per opera delle tre potenze europee nella rada di Navarino (20 ott. 1827) e a una campagna biennale di guerra che vide i francesi combattere in Morea e la Russia impegnata in Europa e in Asia con Turchia e Persia, fino alla Pace di Adrianopoli (14 sett. 1829): in seguito a essa il sultano sconfitto s’impegnò ad accettare per la G. le deliberazioni della conferenza londinese. Il protocollo di Londra del 3 febbr. 1830, che poneva in crisi il sistema della Santa alleanza, dava origine al regno indipendente di G., limitato però territorialmente tra il Golfo d’Arta e quello di Volos, mentre la Gran Bretagna conservava il possesso delle Isole Ionie (cedute ai greci solo nel 1863); la successiva convenzione del 7 maggio 1832 dava la corona a Ottone, secondogenito del re di Baviera. Il nuovo Stato, privato a Londra delle regioni più produttive (Tessaglia, Macedonia, Creta), dovette anche addossarsi i debiti della guerra di liberazione. Divenne perciò economicamente feudo britannico, mentre nella politica interna prevalevano, sul libero funzionamento del regime parlamentare (posto in essere dalla Costituzione accordata dal re soltanto nel 1844), la volontà autocratica del sovrano e gli intrighi delle grandi potenze; finché Ottone fu deposto e una costituente diede un altro re al Paese, Giorgio I, figlio del re di Danimarca (1863). La nuova Costituzione (1864) stabilì un regime di democrazia liberale (una sola camera eletta a suffragio universale; ampia libertà di riunione, di associazione e di stampa), che durò fino al 1911. Ostacolato dalle potenze straniere, il governo greco falliva però nel tentativo di liberare i cretesi insorti contro il dominio ottomano (1866-69); in seguito alla crisi balcanica del 1877-78, che vide l’intervento armato dei greci in Tessaglia e nell’Epiro, la conferenza internazionale di Costantinopoli assicurò invece alla nazione Larissa e la bassa valle del Peneo (1881). Il primo concreto impulso al suo sviluppo economico e civile fu dato al Paese dall’azione di governo di C. Trikùpis (1882-90). Ma le modeste risorse della G. non ressero allo sforzo imposto da una politica militare volta a realizzare le aspirazioni dell’irredentismo: fallito, infatti, l’intervento nel conflitto balcanico del 1885-86, la guerra contro i turchi per la liberazione di Creta (apr.-sett. 1897) si concludeva con una grave sconfitta e le grandi potenze, pur assicurando a Creta una limitata autonomia sotto re Giorgio, nominato alto commissario, imponevano al governo greco il controllo internazionale delle finanze statali (1898). Il governo di E. Venizèlos, salito al potere nel 1910, segnò per la G. un periodo di importanti avvenimenti: promosse un’efficace riforma costituzionale (1911), la ricostruzione tecnica delle forze armate, e, mediante un’efficace azione diplomatica e militare durante la crisi balcanica del 1912-13, riuscì ad assicurare al Paese, coi trattati di Bucarest e Londra, importanti acquisti territoriali (Giannina, Salonicco, Kavalla, Creta e le isole dell’Egeo tranne il Dodecaneso). La Prima guerra mondiale vide la G. internamente agitata dal conflitto tra la Corona, che era favorevole agli imperi centrali, e il Partito liberale guidato da Venizèlos, auspicante l’intervento a fianco dell’Intesa. Gli sviluppi del conflitto consentivano infine ai franco-britannici di imporre l’allontanamento di Costantino I, salito al trono nel 1913 dopo l’assassinio del padre Giorgio I (gli succedette il figlio secondogenito Alessandro), e il ritorno al potere di Venizèlos, che dichiarava guerra alla Germania, alla Turchia e alla Bulgaria. Il Trattato di Sèvres (10 ag. 1920) assegnò alla G. la Tracia orientale fino al Mar Nero, la penisola di Gallipoli e il territorio di Smirne, dove le truppe elleniche erano sbarcate su richiesta degli Alleati il 15 maggio 1919. Battuto Venizèlos nelle elezioni del 1920, un plebiscito restaurava sul trono, morto Alessandro I, il deposto re Costantino I. Ma le potenze occidentali non riconobbero il nuovo regime e la Turchia kemalista oppose più valida resistenza all’occupazione greca; i greci dovettero sgomberare Smirne (sett. 1921); seguì la caduta di Costantino, sostituito sul trono dal figlio Giorgio II, del suo governo, mentre la Pace di Losanna (24 luglio 1923) concludeva il conflitto con la Turchia imponendo alla G. sacrifici territoriali (la Tracia a E della Marizza). Intanto un accordo greco-turco del genn. 1923 aveva stabilito il principio dello scambio delle popolazioni alloglotte, la cui attuazione, se poneva il difficile problema di dare sistemazione a più di 1.200.000 greci immigrati, consolidava tuttavia l’unità nazionale. L’anno successivo, una rivoluzione promossa dalle sfere militari abbatteva la monarchia e instaurava, con voto dell’Assemblea nazionale costituente, la repubblica (25 marzo 1924). Nel nuovo regime, dopo un periodo di forti contrasti politici, prevaleva infine ancora la corrente liberale-nazionale di Venizèlos, che tornato al potere nel luglio 1928 riuscì ad attuare il reinserimento della G. nella politica europea e mediterranea (accordi con l’Italia del settembre 1928; con la Iugoslavia del marzo 1929; con la Turchia del 30 ott. 1930); ma ebbe minore successo nel proposito di consolidare nel Paese la democrazia repubblicana, come mostrò, nel marzo 1933, la vittoria elettorale dell’opposizione filo-monarchica, che provocava la caduta del suo ministero, e, dopo il vano tentativo di riconquista rivoluzionaria del potere effettuato il 1° marzo 1935 dai venizelisti, il colpo di Stato del generale G. Kondỳlis, che portava alla restaurazione della monarchia (10 ott.; un plebiscito ratificava il 2 nov. la deliberazione dell’Assemblea nazionale). In seguito il governo di I. Metaxàs si trasformava progressivamente, a partire dall’ag. 1936, in regime dittatoriale sul modello fascista; ma, sebbene il 3 nov. 1939 uno scambio di note fra i governi italiano e greco avesse rinnovato gli impegni del patto d’amicizia del 1928, Mussolini, il 28 ott. 1940, inviava ad Atene un ultimatum nel quale imponeva a Metaxàs l’occupazione militare, ai fini della guerra, in atto contro la Gran Bretagna, di basi strategiche in territorio greco. Aveva inizio così la guerra in cui il popolo greco diede prova di eccezionale valore nella difesa, che si mostrò efficace nonostante l’inferiorità tecnica e numerica, del suolo nazionale, ma dopo l’invasione della Iugoslavia, il 6 apr. 1941, le truppe tedesche varcarono il confine e ogni difesa crollò rapidamente. Il 28 apr. i tedeschi entrarono in Atene; il 20 maggio sbarcarono in forze a Creta, dove re Giorgio e il governo avevano organizzato l’estrema resistenza: questa però cessava nell’isola, di fronte alla schiacciante superiorità nemica, il 1° giugno. Il re aveva abbandonato Creta il 20 maggio, per trasferirsi al Cairo col governo (che rientrò poi ad Atene nell’autunno 1944). Il periodo dell’occupazione italo-tedesca fu grave di conseguenze per il popolo greco; l’inflazione, che arrivò poi al suo massimo subito dopo la liberazione, andava sempre più accentuandosi e la carestia costò la vita a 300.000 persone. Ma iniziatasi l’offensiva alleata, evacuata l’Africa dalle forze dell’Asse, prese vigore nella seconda metà del 1943 la resistenza, particolarmente contro i tedeschi; d’intesa con le similari organizzazioni partigiane che agivano contemporaneamente in Bulgaria, Albania e Iugoslavia, l’EAM (Fronte nazionale di liberazione) e l’ELAS (Esercito nazionale popolare di liberazione) avevano già sotto il loro controllo vaste zone del Paese quando, nell’autunno 1944, vi ebbero inizio gli sbarchi alleati.
Dopo la liberazione la situazione politica interna, sotto la pressione della crescente rivalità tra le potenze occidentali e l’URSS, entrò rapidamente in crisi: dopo un vano tentativo di compromesso effettuato con la mediazione inglese (accordo di Vàrkiza, febbr. 1945) scoppiò la guerra civile tra le organizzazioni partigiane dell’ELAS e dell’EAM sostenute dal Partito comunista, e le forze governative a sostegno del restaurato regime monarchico (per il referendum istituzionale del 1° sett. 1946). La guerriglia continuò accanita durante tutto il 1947 e portò anzi alla costituzione di un governo repubblicano popolare della «G. libera» sotto la direzione di Màrkos Vafiàdis; finché l’offensiva iniziata il 15 apr. 1948 dalle forze governative, col concorso di ufficiali osservatori anglo-americani, portò alla finale eliminazione (1949) della resistenza comunista, anche per gli sviluppi nel frattempo intervenuti nella Penisola Balcanica (rottura di rapporti fra il maresciallo Tito e l’URSS). Nel 1947 il Dodecaneso, ceduto dall’Italia, era entrato a far parte del territorio nazionale. Ma la situazione politica interna greca continuò a essere confusa, alternandosi al potere gabinetti di coalizione, per lo più effimeri, unico dei quali ad avere una certa stabilità fu quello dell’Unione nazionale del maresciallo A. Papàgos (nov. 1952-ott. 1955), emerso nella guerra civile. A Papàgos, morto nell’ott. 1955, succedette K. Karamanlìs che alla testa di un nuovo partito (Unione radicale) conquistò una debole maggioranza nelle elezioni del febbr. 1956, rafforzatasi però nel 1958 e 1961. In politica estera la G. nell’ott. 1951 aderì alla NATO; il 9 ag. 1954 firmò con la Iugoslavia e la Turchia il Patto balcanico di alleanza, cooperazione politica e mutua assistenza, che rimase poi praticamente inoperante. Nello stesso tempo la G. appoggiò le aspirazioni di unione (ènosis) formulate dai ciprioti, ponendo in seria crisi sia i rapporti con la Gran Bretagna, sia quelli con la Turchia, chiamata in causa dai britannici, a motivo della minoranza turca, per contrastare le aspirazioni greche. Le elezioni del marzo 1958 videro l’ascesa della Unione democratica delle sinistre e la sconfitta dei liberali di Venizèlos-Papandrèu. Le dimissioni di Karamanlìs (giugno 1963) dopo circa otto anni di potere aprirono la strada a un periodo di instabilità politica, che trovò sbocco nelle elezioni del nov. 1963 con la vittoria dell’Unione di centro e la conseguente formazione del governo di G. Papandrèu, il quale si fece promotore di una politica di distensione nei riguardi delle sinistre. La morte di re Paolo I (6 marzo 1964) e l’ascesa al trono del figlio Costantino XIII aumentarono la virulenza della lotta politica, che sboccò nel 1965 in un duro contrasto fra re Costantino e Papandrèu, in seguito al quale, dimessosi Papandrèu il 15 luglio, si aprì una lunga crisi politica, con susseguirsi di governi precari. Il 21 apr. 1967 un gruppo di ufficiali di destra si impadronì del potere, arrestando i principali avversari politici, relegando nelle isole alcune migliaia di oppositori e abolendo alcuni articoli della Costituzione. Ebbe così inizio un regime dittatoriale, guidato dalla cosiddetta «giunta» militare (formata da G. Papadòpulos, S. Patakòs, N. Makerèzos), anche se la giunta procedette subito alla costituzione di un gabinetto presieduto dal procuratore generale K. Kòllias. Un tentativo di re Costantino di riprendere il controllo della situazione con l’aiuto dell’esercito, iniziato il 13 dic., quando il regime militare appariva in certo modo scosso da un insuccesso subìto per l’atteggiamento risoluto della Turchia nei riguardi di Cipro, fallì immediatamente e Costantino si rifugiò a Roma, dove ebbero inizio lunghe e difficili trattative col nuovo governo, presieduto da Papadòpulos. Stroncata ogni opposizione con l’arresto degli uomini politici più in vista (fra cui i due Papandrèu, che furono poi liberati: il padre rimase ad Atene sotto stretta sorveglianza e vi morì nel nov. 1968, e il figlio Andrea prese a dirigere dall’estero la lotta al regime), il sovrano fu sostituito nei suoi poteri da un reggente, membro della giunta militare (dic. 1967). In queste condizioni il gabinetto «civile» – che nel febbr. 1968 sostituì la giunta militare e i cui maggiori esponenti erano Papadòpulos, primo ministro e ministro della Difesa, e Patakòs, vicepresidente e ministro dell’Interno – introdusse una nuova Costituzione di stampo fortemente autoritario, che fu sottoposta a un controllato e fittizio referendum popolare il 28 nov. 1968. Nonostante la repressione, le forze democratiche si andavano organizzando clandestinamente dando vita a varie formazioni, quali il Fronte patriottico, il Gruppo di difesa democratica e il Fronte panellenico di liberazione. La situazione economica si faceva sempre più pesante, in particolare a partire dal 1973 quando subì i contraccolpi della crisi mondiale. Ne derivò una forte tensione: nel maggio 1973 l’ammutinamento di una unità della marina militare fornì occasione al governo per la proclamazione della Repubblica, alla cui presidenza fu nominato Papadòpulos (luglio); nel nov. dello stesso anno all’occupazione studentesca del Politecnico di Atene si associò la protesta operaia. La brutale reazione del regime aprì una crisi nello stesso schieramento governativo, cosicché il 25 nov. il gen. F. Ghizikis depose Papadòpulos sostituendolo al governo. Ma fu solo il 23 luglio dell’anno successivo, in seguito allo scacco subito a Cipro (quando il regime militare greco tentò di rovesciare il presidente cipriota Makàrios, subendo una dura reazione militare turca), che la giunta militare fu costretta a dimettersi e fu richiamato in patria dall’esilio l’ex premier conservatore Karamanlìs con l’incarico di formare un nuovo governo composto da civili.
Costituito un governo di salvezza nazionale, furono ripristinati gli istituti e le libertà democratici, e il 17 nov. 1974 Nuova democrazia (ND), il partito di Karamanlìs, vinceva le elezioni col 54% dei voti e 220 deputati su 300, mentre l’8 dic. 1974 un referendum istituzionale confermava la forma repubblicana. Il 7 giugno 1975 veniva approvata la nuova Costituzione della Repubblica, alla cui presidenza era eletto K. Tsàtsos, che confermava l’incarico di primo ministro a Karamanlìs. Tra le prime iniziative del governo, fu decisa l’uscita dall’alleanza militare della NATO al fine di indurre gli USA a non fornire aiuti militari alla Turchia, con cui la G. manteneva un contenzioso relativo a Cipro e alle acque dell’Egeo. Nel nov. 1977 si tennero le elezioni politiche anticipate che, pur mostrando in crescita il maggior partito d’opposizione, il Movimento socialista panellenico (PASOK) guidato da A. Papandrèu, confermavano la maggioranza a ND (41,9%). Costituito un nuovo governo Karamanlìs, nel maggio 1979, fu decisa l’adesione alla CEE, operativa dal 5 giugno 1981, scelta su cui pesavano le necessità di superare la grave crisi economica con gli aiuti europei e contemporaneamente di rafforzare le istituzioni democratiche. Il 5 maggio 1980, Karamanlìs veniva eletto presidente della Repubblica, e la carica di primo ministro passava nelle mani di G. Ràllis, anch’egli di ND. Nell’ott. 1980, la G. rientrava nel Comando militare alleato della NATO. Già evidente la crisi di ND, divisa tra un’anima conservatrice e una liberale e quindi senza una linea politica, le elezioni dell’ott. 1981 assegnarono la maggioranza (48%) al PASOK e determinarono la formazione del governo Papandrèu. In politica interna il governo socialista varò una serie di provvedimenti quali la riforma del codice civile, l’introduzione del matrimonio civile e del divorzio, la riforma della pubblica amministrazione, l’indicizzazione dei salari, in relazione all’inflazione (misura poi rivista perché in contrasto con la politica dei redditi adottata poi), il voto a 18 anni ecc. In economia si orientò verso la compartecipazione di capitale pubblico e privato, l’industrializzazione e la valorizzazione delle ricchezze naturali. In politica estera rientrarono rapidamente le ventilate ipotesi di fuoruscita dalla NATO (per cui fu rinegoziato il trattato di cooperazione militare e rinnovata per un quinquennio, dal 1983, la cessione di basi militari) e di ridiscussione dell’appartenenza alla CEE, del cui trattato di adesione fu data un’interpretazione più favorevole agli interessi ellenici. Difficili rimasero comunque i rapporti con la Turchia: rispetto alla questione di Cipro, fallito un tentativo di mediazione dell’ONU, si ebbe un momento di particolare tensione quando, nel 1983, le forze turche di occupazione proclamarono la Repubblica turca di Cipro. Confermata la maggioranza socialista dalle elezioni europee (giugno 1984) e dalle elezioni politiche anticipate (giugno 1985), che segnarono però la ripresa di ND, il 29 marzo 1985, dopo una proposta di ridimensionamento dei poteri del presidente della Repubblica e le dimissioni per protesta di Karamanlìs, il PASOK elesse presidente il proprio candidato C. Sartzetàkis (già presidente della Corte suprema). Non risolti i problemi della crisi economica (inflazione e deficit pubblico elevati, ristagno produttivo, disoccupazione), Papandrèu adottò un programma biennale di austerità che suscitò opposizioni nello stesso campo socialista, radicalizzò il movimento sindacale, fece lievitare l’opposizione comunista, con l’effetto di rafforzare complessivamente ND che, guidata da C. Mitsotàkis, nelle elezioni amministrative dell’ott. 1986 raggiunse il 50%. Dopo un inasprimento della polemica con la Turchia, per cui nel marzo 1987 si giunse al limite di uno scontro armato per la delimitazione delle acque territoriali dell’Egeo, alle difficoltà del governo si aggiunsero le ripetute accuse di malversazione e corruzione mosse dai deputati di ND, finché lo scandalo della Banca di Creta (nov. 1988) coinvolse alcuni ministri e lo stesso Papandrèu. Tra richiesta di elezioni anticipate e proposte di voti di sfiducia da parte di ND, rimpasti governativi, creazione del cartello elettorale della Coalizione di sinistra, la legislatura giunse a termine. Nel giugno 1989, le elezioni politiche (in coincidenza con quelle europee) diedero a ND il 44%, al PASOK il 39%, alla Coalizione di sinistra il 13%. Dato che nessuno dei partiti maggioritari riuscì a formare un governo, l’incarico venne affidato al comunista Florakis, che patteggiò con ND un governo a termine di tre mesi (primo ministro T. Tzannetàkis di ND), che avrebbe dovuto affrontare una campagna di kàtharsis (purificazione) e affidare alla giustizia i ministri corrotti per poi ripresentarsi agli elettori. Dalle elezioni del nov. 1989 però la situazione emerse immutata riguardo alla possibilità di costituire maggioranze stabili (ND 46%, PASOK 41%, Coalizione di sinistra 11%), e i tre partiti decisero la formazione di un nuovo governo a termine sostenuto da tutte le forze politiche (primo ministro l’indipendente X. Zolòtas). Le elezioni dell’apr. 1990 assicurarono la maggioranza a ND (46,9%, 150 deputati), e con l’aiuto di un deputato di una formazione minore Mitsotàkis poté formare il governo ed eleggere Karamanlìs presidente della Repubblica (maggio). Nel 1991-92 le misure di austerità provocarono ondate di scioperi, mentre, sul piano internazionale, la G. si opponeva al riconoscimento da parte della Comunità europea dello Stato macedone nato dalla dissoluzione della Iugoslavia. Nell’ottobre 1993 nuove elezioni politiche generali riportavano al potere il PASOK (46,9%). Tornato alla guida del governo, Papandrèu si impegnò con successo per la ripresa delle relazioni diplomatiche (1995) con la Repubblica ex iugoslava di Macedonia. Nel 1996 K. Simìtis, sostenitore di un profondo rinnovamento del partito, sostituì il dimissionario Papandrèu. Il suo governo, riconfermato nel 2000, portò la G. ad aderire nel genn. 2001 alla moneta unica europea mentre, sul piano internazionale, il riavvicinamento alla Turchia fu sancito nel 1999 dalla caduta del veto di Atene al suo ingresso nell’Unione Europea e nel 2002 da uno storico accordo fra i due Paesi per la costruzione di un gasdotto destinato a rifornire la Grecia. Il governo si trovò a fronteggiare un crescente malcontento poiché la politica rigorosa per entrare nell’area dell’euro ebbe come rovescio della medaglia il rallentamento della crescita economica. Nel dic. 2003 Simìtis abbandonò la presidenza del PASOK e venne sostituito da Geòrgios Papandrèu, figlio di Andrèas. Le elezioni anticipate del marzo 2004 videro la sconfitta socialista e l’affermazione di ND, guidata da Kòstas Karamanlìs, nipote di Konstantìnos. Il nuovo governo varò un piano ambizioso di modernizzazione e di vendita dei settori produttivi rimasti di proprietà pubblica, ma dovette fronteggiare una situazione sociale ed economica caratterizzata da una disoccupazione diffusa e dagli alti tassi di inflazione. Tra il 2005 e il 2006, in un clima di scontro con i sindacati, il Parlamento approvò nuove leggi sul lavoro che introducevano una maggiore flessibilità e la possibilità di licenziare anche nel settore pubblico. Nel febbr. 2005 venne eletto presidente K. Papoùlias, esponente socialista ed ex ministro degli Esteri. Nel febbr. 2007 il governo, dopo aver rischiato la sfiducia parlamentare, rilanciò il proprio impegno verso un corso riformatore a tappe accelerate. Tuttavia il deteriorarsi della situazione economica ha sollevato un diffuso malcontento, sfociato nel 2008 e nel 2009 in un susseguirsi di scioperi e manifestazioni di protesta e infine nelle dimissioni del governo. Dopo le elezioni vinte dal PASOK è divenuto premier G. Papandrèu. Nel 2010 la G., anche a seguito dei giudizi di alcune agenzie internazionali di rating, è stata vittima di una pesante crisi finanziaria, col rischio di una vera e propria bancarotta dello Stato. La possibilità che la crisi potesse espandersi al resto d’Europa ha spinto dunque l’UE a varare un pacchetto di aiuti alla G., cui è stato imposto un piano di drastica riduzione del debito pubblico e dunque della spesa sociale. I contraccolpi della crisi e delle terapie richieste hanno provocato un’ampia ondata di protesta, egemonizzata dal sindacato PAME, con manifestazioni e scontri ad Atene e in altre città (maggio 2010).
Si veda anche La civiltà greca